venerdì 27 febbraio 2009

L'ESTATE DEL 1943 A ROMA

Io c’ero, non avevo ancora 13 anni ma sognavo tante cose tra le quali quella di andare al mare.
Proprio così ma tutti dovemmo smettere di andarci.
Eppure il mare l’avevamo vicino, ad Ostia, distante circa 27-28 Km, poco più di 30 minuti di treno dalla stazione della ferrovia Roma-Lido vicino Porta S.Paolo, luogo dove si svolse in seguito un episodio che in molti ricordano.
“Tutti ar mare, tutti ar mare
con il treno popolare”… etc.
Sono alcuni dei versi di una vecchia canzone romana.
Quello che appresi in seguito fu che i bombardamenti degli anglo-americani avevano distrutto i binari di quella ferrovia, la stazione di Ostia, lo stabilimento balneare “Roma” e molto altro tanto che, nel timore di uno sbarco del “nemico”, furono costruiti sul litorale degli sbarramenti in cemento armato e disposta l’evacuazione della popolazione civile da quella zona.
I bombardamenti a Roma ebbero inizio proprio nel periodo che andava dal luglio del ’43 al 14 agosto dello stesso anno quando Roma fu dichiarata Città aperta. Proseguirono però nei paesi intorno alla città, specialmente ai Castelli Romani.
La guerra stava lasciando un brutto segno su noi tutti specialmente su chi viveva, o meglio cercava di sopravvivere, nelle piccole e grandi città. C’era molta insicurezza e insofferenza in giro: fame, paura e povertà regnavano sovrane.
Quello era l’anno in cui dovevo ultimare la scuola media inferiore ma quasi per l’intera durata di quel periodo scolastico io e tre miei compagni di classe dei quali ricordo ancora il nome pensammo,
male e da incoscienti, di dedicarci ad altro. Non frequentammo più la scuola dove eravamo stati iscritti dato che trascorrevamo il tempo libero “rubato agli studi” trastullandoci nei luoghi dell’antica Roma sul colle Palatino. Fummo tutti regolarmente bocciati.
I bombardamenti a Roma sui quartieri Tiburtino, Prenestino, Casilino, Tuscolano e Nomentano, culminarono il 19 luglio ’43 nel tragico bombardamento del quartiere San Lorenzo dove ci furono migliaia di morti e feriti. Io e la mia famiglia abitavamo nei pressi del Colosseo, rione Monti, e non ricordo di aver sentito fragori di esplosioni probabilmente perché nostra madre ogni volta che suonava la sirena dell’allarme ci conduceva di corsa al ricovero antiaereo.
Un giorno, verso l’ora di pranzo, l’allarme risuonò almeno sei o sette volte tanto che invece di andare al vicino ricovero, scendemmo nella cantina del nostro fabbricato che a tutto poteva servire meno che a ripararci neppure da un semplice mortaretto. Il pensiero, quello mio e penso anche quello dei miei fratelli, andava però al piatto di pasta e legumi che avevamo lasciato fumante sul tavolo nella stanza da pranzo nell’attesa di essere divorato, ma per nostra madre la priorità era andare a rifugiarci.Finalmente nel primo pomeriggio gli allarmi cessarono e per me il ricordo di quel 19 luglio fu sempre legato oltre che all’episodio della pasta e legumi anche al fatto che quando dovetti uscire da casa, credo per acquistare qualcosa dal vicino fornaio, assistetti al passaggio di un tram proveniente da San Lorenzo dal quale esalava un pessimo odore di bruciato di qualcosa poco gradevole che non seppi definire e che per molto tempo mi rimase nelle narici. Credo che proprio quel bombardamento sia stato uno dei motivi, se non il principale, per il quale il 25 luglio, sempre del ’43, si verificò la “caduta del fascismo”. Se non ricordo male la notizia fu diramata per radio il giorno dopo ed il giorno dopo ancora, 27 luglio (arresto del duce), mentre di primo mattino ero intento a fare colazione in cucina con mia madre vicino sentii rientrare a casa mio padre che sventolava con la mano la prima pagina del principale quotidiano di Roma annunciante a titoli cubitali il festoso evento. Io presi la palla al balzo e, senza capire esattamente il significato di quell’avvenimento, sgaiattolai da casa e m’intrufolai in uno dei numerosi cortei di persone che festeggiavano sbandierando il vessillo tricolore recante al centro lo stemma di casa Savoia e gridando “viva il re e abbasso il duce” mentre a forza di picconate smantellavano ogni sia pur piccolo simbolo del fascismo che fu. E pensare che io e mio fratello più grande dovemmo fare obbligatoriamente tutta la “carriera” di quell’epoca: figli della lupa a 4 anni, poi balilla, poi ancora balilla moschettiere e sempre in camicia nera.
Un episodio di quel tempo fece comprendere a molti che i fascisti non fossero del tutto rassegnati né scomparsi. Me ne resi conto personalmente perché vi assistetti affacciato alla finestra di casa.Alcuni giorni dopo il 25 luglio due papà di miei coetanei, inquilini nel fabbricato dove abitavamo anche noi, ingaggiarono uno scambio di revolverate contro un paio di fascisti rifugiatisi in una delle aule della facoltà d’ingegneria che confinava con la nostra strada. Per prima cosa non avevo mai saputo che quei due nostri coinquilini erano antifascisti e per di più in possesso di armi poi però mi domandai che cosa poteva significare quella piccola “battaglia”.
Quando ad agosto del ’43 fu dichiarata Città Aperta a Roma si respirava una certa tranquillità. L’8 settembre di quell’anno fu firmato l’armistizio tra il governo italiano e l’esercito anglo-americano, ma il giorno dopo ci fu la fuga da Roma dei reali d’Italia. Tutti si dissero che la guerra era ormai terminata invece il 10 settembre ci furono aspri combattimenti, con morti e feriti tra i soldati e i civili italiani, i quali si opponevano all’ingresso delle truppe tedesche a Roma, sia a Porta S.Paolo, il più importante, che in altre località della periferia cittadina.
Invece la guerra purtroppo continuava…era cambiato il nemico!
A 65 anni di distanza da quel periodo ricordo, “per fortuna”, soltanto poche cose. Intanto a volte mi sono chiesto e mi chiedo ancora, ma…i miei tre fratelli che facevano? I due più piccoli rispettivamente di 6 e 9 anni probabilmente erano tenuti a bada da mamma mentre il più grande, 15 anni, dove s’era andato a cacciare?Un giorno o l’altro glielo chiederò. Sta a vedere che magari me l’ha pure detto ma chi se lo ricorda. Il tredicenne, vale a dire io, squaglionsi dal nido (licenza poetica), sia pure ad intervalli e per brevi periodi.
Mi ricordo un altro episodio verificatosi il 9 settembre, guarda un po’ il giorno del mio 13° compleanno. L’edificio nel quale abitavamo sin dal giorno della nascita di mio fratello più grande , 1928, confinava ad una distanza di pochi metri con un altro edificio abbastanza moderno per quell’epoca abitato quasi esclusivamente da gerarchi fascisti e loro sottoposti che aveva persino un nome: “palazzo Balbo” quadrùnviro della marcia dei fascisti su Roma. Ad un certo punto di quella giornata, se non ricordo male primo pomeriggio, sentimmo il rumore forte e continuo di numerosi colpi d’arma da fuoco. Prima che nostra madre ci facesse correre al riparo riuscimmo a capire che si trattava di spari provenienti dall’ultimo piano del vicino “palazzo balbo” e diretti verso la piazza antistante il Colosseo dove s’era fermato un piccolo carro armato leggero, italiano, dal quale un soldato, sempre italiano (si capiva dall’elmetto), rispondeva al fuoco con l’aiuto di un cannoncino. Anche questa battaglia non durò molto perché il carrista riuscì a centrare le finestre dalle quali erano stati sparati i colpi iniziali. Un passo indietro: nostra madre ci fece sì riparare ma anziché scendere in cantina considerata la rapidità dell’accaduto, si attaccò alle mani di noi quattro fratelli e ci fece fermare, lei compresa, sotto una specie di muro maestro che divideva un corridoio di casa dalla cucina solo che la finestra di questa cucina affacciava sul cortile interno del nostro fabbricato confinante con altri di questi tra i quali anche “palazzo balbo” e quindi abbiamo potuto veder sfrecciare numerosi proiettili che non riuscendo inizialmente a centrare le finestre in questione colpivano quelle di un altro edificio. Insomma l’importante fu che, centrato l’obiettivo, gli spari terminarono con l’esito finale delle “due finestre colpevoli” distrutte rimanendo tali per molti anni. Venimmo a sapere dopo qualche tempo che quasi tutti gli abitanti di quel palazzo se la diedero a gambe lasciando campo libero a gran parte dei cittadini confinanti i quali trafugarono tutto il possibile. La severità (o il timore) dei nostri genitori c’impedì di partecipare.
Quelli dopo il 10 settembre furono giorni tremendi sia per l’occupazione nazista e le malefatte dei fascisti sia per le numerose questioni legate alla sopravvivenza.
Tutto cominciò a migliorare dal giorno della liberazione di Roma da parte degli anglo-americani ma io non sono mai riuscito a dimenticare quel periodo dell’estate del ’43.
(prossimamente “LA PRIMAVERA DEL 1944 A ROMA”)

lunedì 23 febbraio 2009

L’AVVENIMENTO
Il 29 settembre 2056 (centoventesimo anno) si è verificato un fatto strabiliante, un avvenimento fuori, ma talmente fuori dal comune che ha lasciato tutto il Paese a bocca aperta. Esclusi gli extracomunitari, cinquanta milioni di cittadini e forse anche di più non riescono ancora a chiuderla.
Il “Signore degli Appelli”, Salvo Bertuccioni, è intervenuto alla nota trasmissione televisiva “Finestra a Finestra” condotta dall’anchorwoman Blonde Lambretta sull’unica rete pubblica superstite “rai-ter”, dono del generoso “Signore” che ne ha concesso l’uso e il consumo gratuito a tutti coloro che sono stati selezionati tra i vincitori del quiz “Balle Italia”, ma soltanto per un’ora al giorno essendo le altre 23 destinate alla pubblicità. Dato che la gentile Lambretta ha lungamente insistito EGLI ha concesso alla stessa “rai-ter”, in esclusiva, di replicare la trasmissione tutti i giorni dopo gli orari (suoi) della colazione, del pranzo e della cena e sempre gratuitamente in considerazione del fatto che il 157% dei telespettatori e radioascoltatori (centocinquantasette per cento come dicono i sondaggi) ne hanno fatto esplicita richiesta. “Il popolo lo vuole”…così ha commentato il “Signore degli Appelli”
EGLI ha illustrato il suo programma di governo, passato, presente e futuro, in soli tre punti:
= 1°) più dossi per tutti;
= 2°) più cessi per tutti;
= 3°) meno tosse per tutti.
Alla domanda della conduttrice Lambretta se poteva chiedergli che cosa ne pensava….EGLI l’ha interrotta affermando categoricamente “sono tutte bugie…il popolo mi ama!”.
La conduttrice gli ha chiesto se avrebbe potuto…EGLI l’ha ancora interrotta affermando energicamente “sono tutte falsità…il popolo mi crede!”.
Infine la Lambretta lo ha informato che la trasmissione stava per terminare…ma EGLI l’ha nuovamente interrotta affermando risolutamente “sono tutte menzogne…il popolo mi segue!”.
Al momento del commiato ha voluto aggiungere…”Lei è una gran bella donna…è occupata questa sera?…sa, mia moglie Armonica è impegnata alla stesura di alcuni articoli per il quotidiano di un suo amico un po’ mancino, che ne dice?…”.
Purtroppo a questo punto la trasmissione si è interrotta causa motivi facilmente intuibìli.
Peccato. Resta comunque il fatto che l’avvenimento è stato veramente eccezionale.
“Sogno o son desto?”

LA TELEVISIONE

=========================== La TiVi ================================
Io odio la TiVi !…non sempre però. Eppure un tempo l’amavo.
Oltre cinquant’anni fa volevo vedere l’incontro di pugilato valevole per il titolo mondiale dei pesi mosca (o gallo) tra il nostro pugile, se non ricordo male, sordomuto, il sardo D’Agata ed uno straniero di non so quale nazionalità. Non avevo in casa la TiVi e quindi me lo andai a gustare in una grossa affollatissima sala di un bar vicino dove abitavo. Che serata memorabile…in tutti i sensi anche perché D’Agata vinse il titolo. Ci scambiavamo i pareri: d’accordo o meno, eravamo contenti di stare in mezzo agli altri anche se mai visti e conosciuti.
E poi Carosello!…Altro che gli attuali spot, minispot, telepromozioni, televendite, minuti infiniti di pubblicità spacciati per varietà. Quando ne avrò tempo e voglia mi metterò di buzzo buono a cronometrare durante la programmazione televisiva nelle 24 ore, in qualsiasi canale, pubblico o privato, quante ore sono dedicate ai programmi e quante alla pubblicità. Va bene che questa è l’anima del commercio ma a volte mi viene l’istinto bestiale di urlare allo schermo…”l’anima de li…”…boccaccia mia statte zitta.
I “boss” della TiVi affermano, convintissimi (uno in particolare), che la grande maggioranza del pubblico televisivo, specialmente quello più anziano, è entusiasta di certi spettacoli d’intrattenimento (rimbambimento) anche se la maggior parte del contenuto di questi è “rosicato” dalla pubblicità. Per non parlare di un numero considerevole di film o telefilm “bufala” targati USA (e getta!).
Se un cittadino qualunque vorrebbe vedere in TiVi uno spettacolo di vero TEATRO!, oppure ascoltare e assistere a concerti di musica classica - sinfonica oppure ancora, opere liriche, è meglio che dedichi l’intera giornata al sonno terapeutico, dopo la mezzanotte provare a svegliarsi e forse, sottolineo tre volte forse, potrà togliersi questo “sfizio”, Naturalmente in una rete televisiva di “trincea” o quasi clandestina.
Mi si potrà obiettare che siamo in pochi (io sono tra questi) appassionati a questo genere di “cose”…e allora?…Non sarà meglio far appassionare anche le nuove generazioni?.
Un mio ricordino personale. Avrò avuto non più di 16 o 18 anni e, entrando in una libreria, notai che c’erano delle cabine insonorizzate dove era consentito ascoltare, gratuitamente, qualsiasi tipo di musica, bastava chiedere. Fu lì che m’innamorai, nonostante la mia ignoranza, de “LA POLACCA N. 6 in La Bemolle Maggiore Op. 53” – solo pianoforte, del compositore Frederic Chopin. Non voglio darmi arie da esperto perché non lo sono anzi, il contrario, ma da quella volta cominciai ad apprezzare, sia pure in minima parte, quel genere di musica. (1)
Intendiamoci, anche quella leggera mi piace molto come pure “veri” spettacoli di varietà.
C’è chi dice: io pago il canone e voglio vedere questo o quest’altro. Io non voglio arrivare a dire che ho diritto ad avere quello che piace a me. No!…Ma sono convinto che la TiVi, pubblica o privata che sia, ha dei doveri verso i telespettatori, cito a caso: quello di informare bene e correttamente, quello di fare spettacoli veramente divertenti ed anche quelli culturalmente validi e non soltanto lustrini, battutacce che fanno divertire soltanto chi le dice (naturalmente applausi e risate fragorosi, tutti regolarmente sollecitati e registrati in anticipo), quiz, quizzetti e quizzoni dove gli euro svolazzano a non finire, interruzioni pubblicitarie ad ogni pie’sospinto, talk-show su argomenti inutili ripetuti fino alla noia che io definisco perfino dannosi per la salute.
Non parliamo poi della stagione estiva che, per la TiVi, comincia prima dell’inizio dell’estate e finisce molto dopo la sua durata. Ne so qualcosa perché da circa 30 anni non “villeggio”: si possono trascorrere meglio le serate leggendo, cliccando sul PC, affacciato alla finestra ad ammirare il transito di persone e veicoli godendosi il fresco oppure “darsi all’ippica”.
Può sembrare lo sfogo di un irascibile matusa retrogrado o di persona impedita nel corpo, nella mente o nello spirito ma assicuro che non è così.
Sono vecchio, d’accordo, ho superato i 78 , ma ancora mi funziona la “ciricoppola”.
Attualmente, ma spero mi facciano cambiare idea perché non è che posso attendere molto, io affermo vigorosamente: ABBASSO la TiVi.
(1) Le cose che non ti aspetti. Sabato sera 21 febbraio corrente mentre stavo adattando questo post per il blog assistevo nello stesso tempo su Rai Tre alla trasmissione “Che tempo che fa”. Ad un certo punto viene presentato come ospite un giovanissimo famoso pianista cinese, Lang Lang, che, seduto al pianoforte, esegue proprio quel brano di musica classica citato poco sopra e cioè LA POLACCA di Chopin. Con mia grande gioia ho pensato che certe volte il caso combina piacevoli scherzi. Almeno questa sera ho perdonato la TiVi.

venerdì 20 febbraio 2009

Secondo tempo de "IL COLPO DI FORTUNA"

…….IL SACCHETTO

=Eccomi… sono andato al bagno… ehm…sa, ad una certa età…=
=Sì, sì…capisco…ecco il bagaglio…=
=Non so proprio come ringraziarla…le posso offrire qualcosa?…=
=No, no, grazie…adesso devo proprio andare…arrivederci…=
=Ah?…sì…speriamo…arrivederci e grazie…=
Appena uscita la ragazza prima di prendere la valigetta indosso un paio di guanti che mi sono portato appresso per evitare di lasciare impronte. Con la valigetta in una mano ed un bastone nell’altra, simulando una finta zoppìa, mi avvio verso casa. I miei saranno fuori per l’intera giornata…invitati da una sorella di mia moglie…gli ho detto che non sarei potuto andare con loro perché non mi sentivo troppo bene. Da solo in casa posso esaminare la valigetta più tranquillamente.
Che ci sarà dentro? Una bomba?…non credo…perché dovrebbe esserci? Anche se mi hanno scambiato per qualcun altro…non so…un capomafia, una spia, un terrorista o un killer non credo sia possibile adottare simili metodi…oppure sì? Poggio le orecchie sui bordi della valigetta per sentire un’eventuale ticchettio…che idiozia…se dentro c’era qualcosa di esplodènte a tempo a quest’ora il deposito bagagli era bello che saltato in aria. No, no…dentro ci deve essere per forza qualche altra cosa con le relative istruzioni su ciò che si deve fare…Se fossi io il tizio che doveva essere contattato.Progetto di un’arma misteriosa da vendere ad una potenza straniera?Documenti segreti e pericolosi per qualche personalità importante?
Basta !…se vado avanti così non aprirò mai questa benedetta (o maledetta) valigetta. Sempre con indosso i guanti prendo la chiave…la infilo nella serratura con molta delicatezza stando attento ad evitare qualsiasi brusco movimento…come se così facendo, ove dentro ci fosse un esplosivo, io mi salvo!…a volte sono proprio uno scemo. Via…coraggio…apriamo!… In un millesimo di secondo apro e…chiudo con un colpo secco.
Comincio a sudare freddo…mi assale un tremito violento…non riesco a frenarmi.Cerco di alzarmi dalla sedia ma le gambe non ne vogliono sapere. Mi asciugo il sudore che m’ha invaso tutto il corpo e lentamente…ma molto lentamente…sento che mi sto riprendendo da questa specie di shock. Forse è stato un sogno…o un incubo! Sollevo nuovamente il coperchio e quello che avevo intravisto prima è …realtà!
Il contenuto è maledettamente reale…un mucchio di biglietti da 500 euro ordinatamente impacchettati! Quanti saranno?…cento…mille…? La valigetta ne è completamente piena fino agli orli. Mi prende la smania di toccarli, di accarezzarli quasi ma mi freno in tempo.
Un momento…calma e sangue freddo. Che significato può avere tutto questo…tesoro?
Non ne ho la minima idea e nemmeno posso andarmene in giro a chiedere o a dare spiegazioni, quindi me la devo cavare da solo.Comincio a pormi delle domande: vediamo un po’… soldi da riciclare?…soldi falsi?…soldi frutto di qualcosa di disonesto che so…furti, rapine, saccheggi, sequestri di persona, tangenti?…oppure la ricompensa per qualcosa di delittuoso da compiere?
Cerchiamo di conservare la calma…già ma quale?…sono talmente agitato da sentirmi come in un frullatore. E mi gira anche la testa. Finalmente riesco ad alzarmi e allora decido di andarmi a preparare una tripla camomilla. Prima però richiudo la valigetta…non si sa mai…si dovesse volatilizzare tutta quella grazia divina…
Ingurgito la camomilla così velocemente che rischio di strozzarmi senza peraltro avere evitato di scottarmi…esalo lingue di fuoco come il cane a sei zampe del famoso logo.
Riapro la valigetta…sono effettivamente biglietti da 500 euro…non li avevo mai visti…sono belli però…un bel colore…sì, sì, sono proprio belli…da vedere e da spendere…ma come? Sempre con le mani inguantate prendo un pacchetto di quei cari 500 euro e li conto…1, 2,3,4,5,6,7…arrivo fino a 50…allora: 500 per 50 quanto fa?…non riesco nemmeno a fare questa semplice operazione…500 per 50…500 per 50…fa…25.000 euro?…impossibile…sono troppi…ma no per la miseria sono proprio 25.000… Non ce la faccio a contare anche gli altri…sto tremando di nuovo…sono troppo agitato…vado a farmi altre tre camomille…Il cuore mi sta martellando il petto…calma…calma…calma. Cerchiamo di esaminare la “cosa” con freddezza…vediamone i lati negativi…eventuali…
Se sono falsi come faccio a scoprirlo? Intanto voglio accertarmi se sono tutti soldi oppure in mezzo ai pacchetti ci sono soltanto pezzi di carta…vediamo un po’…no, no…sono soltanto soldi…insomma “soltanto” è una parola… poi le fascette che li tengono sono semplici strisce di carta senza alcun timbro bancario…ma quanti saranno?…non lo voglio sapere, almeno per ora altrimenti rischio di farmi venire un colpo… voglio solo accertarmi che i numeri di serie non siano consecutivi…bene, non lo sono…
Devo escogitare un piano…sarà meglio per un po’ di tempo non uscire di casa…la scusa e bella e pronta…non mi sento bene…mi farò crescere la barba…mi metterò un paio di occhiali da vista anche finti…poi quando deciderò di uscire eviterò di passare dalle parti in cui l’altro giorno ho fatto quell’incontro…mi piacerebbe rendermi invisibile almeno per un certo periodo.
Quando dovrò verificare se i biglietti sono falsi andrò a cambiarli ma non in banca e neppure alla posta perché se lo fossero verrei subito denunciato alle autorità competenti…meglio evitare…vado in vari negozi…intanto, per esempio, dal fornaio dove vado quasi tutti i giorni…mi conosce bene… inventerò una scusa qualsiasi …si…tutto però a tempo debito. Ho letto da qualche parte che quando una persona trova del denaro di qualsiasi ammontare senza si riesca a sapere a chi appartiene e nessuno lo reclama, dopo un certo periodo di tempo…mesi?…anni?…non ricordo, il “fortunato” ne diventa il legittimo proprietario. Sarà così?…lo spero…ma se nel frattempo io, considerata la mia età, “navigherò verso altri lidi” che succede? Farò in modo che, eventualmente, la mia famiglia possa godersi il gruzzolo…come ricevere una normale eredità…troveranno una lettera al riguardo con tutti gli opportuni dettagli.
Lascio trascorrere alcuni mesi e quindi do inizio all’operazione “money changer”. Cambio settimanalmente soldi e zone della città. Tutto fila a meraviglia…i “500” sono più che buoni…sono ottimi. In casa si chiedono come mai spendo soldi così in continuazione e dove li trovo considerata la mia pensione…ho raccontato una frottola…per misura cautelativa…un lavoretto extra a giorni e ad ore alterni, tipo venditore porta a porta di pubblicazioni. Funziona! Giustifico così sia il cambiamento del mio aspetto che il flusso dei soldi.
In giro, come ogni settimana, sono fermo ad un semaforo insieme ad altra gente ed attendo che diventi verde il segnale per l’attraversamento pedonale…appena scatta siamo in molti che, nei due sensi di marcia, attraversiamo sulle strisce…mi viene incontro un tizio grande e grosso con uno strano sguardo…compie un’ancor più strano movimento come in procìnto di cadere…mi si aggrappa e nello stesso istante sento una specie di “plop”…avverto un forte dolore al petto, all’altezza del cuore…scivolo lentamente a terra ed il tizio quasi mi ci accompagna…sento che le forze mi stanno abbandonando…mi sembra di non avere più nè gambe né braccia…non riesco a parlare mentre mi pare di udire in lontananza un gran vociàre …qualcuno, furtivamente, mi sta frugando in tasca…se poco fa era mattina perché sta diventando tutto sempre più buio?…perché sento tanto freddo?...e perché mi vogliono togliere dalle mani il sacchetto?
NON LO SAPRO’MAI

lunedì 16 febbraio 2009

IL COLPO DI FORTUNA - Primo tempo.

IL SACCHETTO
L’involucro di plastica che tutte le mattine porto con me quando esco di casa e che uso per gli acquisti che eventualmente devo fare per le necessità della mia famiglia questa mattina contiene, finòra, soltanto un pacchetto di croccantini per il mio gatto Nerone. Proseguo nella mia quotidiana passeggiata attraverso le vie del rione facendo ballonzolare in modo altalenante il sacchetto e il suo contenuto…così… per divertimento. Giunto nei pressi della fermata della metropolitana mi sento picchiettare sulla spalla sinistra, mi volto e mi trovo davanti una persona fuori del comune. Un pezzo d’uomo notevolmente più alto di me, di un’età indefinibile e dall’aspetto giovanile; il volto incorniciato da una folta barba nerissima, occhi impossibili da scrutare perché occultati da un paio d’occhiali scuri, cappello borsalino di colore grigio calcato sulla fronte bassa, con indosso un giubbotto, pure questo di colore grigio, chiuso da una cerniera lampo. Anche lui ha in mano un sacchetto di plastica con dentro qualcosa che fa lentamente dondolare avanti e indietro. Posso notare bene tutto ciò che descrivo perché lui, prima di rivolgermi la parola, mi lascia, credo volutamente, il tempo di farlo.
=Salve=
=Salve…mi dica…=
=Questo è lo scontrino e questa è la chiave, sai quello che devi fare=
Neppure il tempo di riprendermi dalla sorpresa e di leggere quello che c’è scritto nel tagliandino che mi ha consegnato... alzo la testa…mi guardo intorno…niente! Nessuna traccia dell’”uomo in grigio”. Ma dov’è andato? Mi viene in mente che l’unica possibilità che ho di rintracciarlo è quella di sperare che sia sceso in metropolitana e quindi scendo anch’io. Appena fatti tre scalini vedo in terra il “sacchetto di plastica” che quel tizio aveva in mano pochi secondi prima. Lo raccolgo e mi convinco che è proprio quello ma dentro, anziché qualcosa di commestibile, ci trovo un piccolo pezzo di mattone avvolto in una mezza pagina di giornale. Comincio ad insospettirmi e corro, secondo quello che mi permette l’età e la salute, alla ricerca dell’uomo in grigio.
M’imbatto in un barbone con accanto un grosso cane, entrambi seduti in terra: lui, con la schiena poggiata al muro del corridoio d’ingresso alla metro, sta rigirandosi tra le mani il giaccone e il cappello entrambi di colore grigio fiutando questi due oggetti con il naso sul quale ha inforcato un paio di occhiali scuri. Ecco la conferma ai miei sospetti. Però non c’è la barba…sì, perché quella che aveva sul viso, secondo il mio parere, doveva essere senz’altro finta. Continuo a girare con lo sguardo tutt’intorno a me però capisco che è perfettamente inutile. Mi chiedo il perché di quello che è successo ma non so darmene una ragione. Evidentemente sono stato scambiato per qualcun altro. Vado dal barbone per chiedergli se mi può descrivere la persona che gli ha dato quegli oggetti ma mi tocca scappare a gambe levate perché oltre a coprirmi d’improperi mi vuole fare azzannare dal suo cane che credevo calmo, placido e tranquillo come il Piave.
E adesso? Mi reco nel vicino giardino, mi siedo in una panchina, mi guardo accuratamente intorno e comincio a riflettere. Devo cercare di comprendere qualcosa riguardo quello che mi è accaduto…o che mi potrebbe accadere. Già…Chissà quali sviluppi prenderà la…”cosa”? Intanto comincio a pensare che il sacchetto “danzante”, meglio… i due sacchetti, c’entrano qualcosa e addirittura che questi sono un elemento importante, diciamo il primo indizio. Secondo me proprio loro hanno svolto la funzione di segnale di riconoscimento fra due persone che non si sono mai viste e che quindi non si conoscono.Mi viene in mente tutto ciò che ho appreso in questi ultimi dieci anni da libri e film polizieschi e di spionaggio. Devo ricordarlo poiché la faccenda lo richiede.
Che cosa ho in mano? Per prima cosa quello che m’ha dato l’uomo in grigio il quale ha usato sicuramente un travestimento per rendersi irriconoscibile mentre invece lui mi ha facilmente riconosciuto. Perché? Io dico che il segnale di riconoscimento è stato, per lui, il “sacchetto danzante”che avevo in mano. Seconda cosa da fare è quella di esaminare attentamente ciò che il “sospetto uomo in grigio” mi ha consegnato. Lo scontrino “parla” chiaro: è stato rilasciato questa mattina alle 8:30 a.m. dal deposito bagagli della vicina stazione ferroviaria. Se quel tale, oltre allo scontrino, mi ha dato anche una piccola chiave dicendomi inoltre che sapevo quello che dovevo fare la cosa più logica è andare a ritirare il bagaglio al deposito, aprirlo e…bè…vedere che diavolo spunta fuori.
Non reputo prudente andarci oggi. Potrebbe esserci qualcuno appostato nei pressi per vedere se il bagaglio viene ritirato e da chi. Lascerò passare qualche giorno. Il venerdì pomeriggio e il sabato mattina credo siano i momenti di maggior affollamento della stazione e allora…vada per sabato.
Eccomi alla stazione sabato mattina alle 9:00. C’è un viavai pazzesco di cose e persone; i bar sono stracolmi di gente che consuma brevi e veloci colazioni; in uno di questi bar, quello più vicino al deposito bagagli, sono riuscito a prendere posto da solo, in un piccolo tavolino e ripasso a mente il piano che ho studiato a casa. Ho indossato abiti di foggia assai diversa da quelli dell’altro giorno sperando così di non essere facilmente riconosciuto. Adesso tocca contattare la persona adatta allo scopo che mi sono prefisso. Eccola…è una ragazza sola, sottobraccio un paio di libri; probabilmente una studentessa universitaria fuori sede che torna a casa per il week-end ed è in attesa dell’arrivo del treno che dovrà prendere per tornarsene a casa; lo presumo dal fatto che pur degustando un cappuccino molto lentamente consulta in continuazione il suo orologio e il quadro recante l’orario arrivi e partenze dei treni. Non mi alzo dal posto in cui sono seduto e la interpello falsando notevolmente il mio timbro di voce:
=Signorina…scusi?…=
=Prego, dica pure…=
Mi pare ben disposta:
=Mi deve proprio scusare ma alla mia età i problemi s’ingigantiscono…ehm…potrebbe farmi una cortesia?=
=Certo…se posso, perché no…=
=Ecco…si tratta di questo…io devo ritirare il bagaglio che ho lasciato in deposito…vede, quello là è il posto dove si depositano i bagagli…ehm…siccome ho un po’ di difficoltà…ehm…le do lo scontrino…me lo può ritirare lei?…è abbastanza semplice…se non le crea troppo disturbo… sa mi eviterebbe una fatica anche se lieve…=
=Non si preoccupi…ci penso io…mi auguro soltanto che ci sia poca gente altrimenti rischio di perdere il mio treno…=
=No, no, non credo…io da qui vedo che è poco frequentato questa mattina…ecco questo è lo scontrino per il ritiro e…grazie tante in anticipo…=
=Prego…=
Tutto sta andando secondo il piano stabilito…la ragazza, tra l’altro proprio bellina, sta entrando…Ancora qualche minuto…eccola che torna verso di me con una grossa valigetta 24 ore in una mano. Prima di farle segno di avvicinarsi guardo attentamente se è pedinata da qualcuno, non si sa mai.Per precauzione mi sposto da dove ero seduto e dal fondo del bar faccio cenni alla ragazza che sta entrando e nello stesso tempo mi dirigo alla toilette.
(fine primo tempo)

venerdì 13 febbraio 2009

SDRAIARSI SU DI UN DIVANO

IL NUMERO
A me piace ogni numero dispari da 1 in poi, all’infinito. Quello pari no! Perché? E chi lo sa? La verità è che tutti i numeri mi sono stati sempre un po’ antipatici…parlo di quelli studiati a scuola, logicamente. I primi anni non è che andavo proprio tanto male…mi davano fastidio i problemi tipo “La mamma va dal fruttivendolo a comprare due chili di patate, un chilo di pomodori e mezzo chilo di cipolle; se ha pagato con…tot… monete da 50 e ha speso…tot…quanto le resta in borsetta?”… domandatelo a lei, mi dicevo. Oppure quell’altro “Ci sono due treni…uno parte da…a cento chilometri l’ora, l’altro parte da…a tot chilometri l’ora, quanto…?” ... informatevi alle ferrovie, no? Pensavo mi andasse in tilt il cervello. Ho avuto sin da allora una forma d’idiosincrasia per la matematica che ho mollato non appena ho potuto farlo. Tutto ciò è durato sin dalla frequentazione di scuole d’ogni ordine e grado, per oltre trent’anni. Ricordo che anche al lavoro, quando capitava qualcosa che aveva a che fare con i numeri, specialmente con le frazioni, demandavo e ricorrevo sempre all’ausilio di qualcun altro. Un giorno, improvvisamente, non ricordo certo la data esatta, tutto è cambiato. Non che abbia improvvisamente cominciato a risolvere problemi algebrici o d’alta matematica ma ho sentito di nutrire per i numeri un certo affetto in considerazione dell’effetto che fanno su di me. Direi quasi terapeutico (od ossessivo?). In moltissime occasioni dovendo stare fermo per una certa situazione, il mio divertimento consiste nel fatto di contare e ricontare più volte le cose, gli oggetti o addirittura le persone che ho davanti gli occhi. Poi faccio le operazioni, solo quelle del periodo della prima infanzia, intendiamoci: addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione, punto e basta. Cito qualche esempio: in qualunque sala d’attesa ci sono ovviamente persone in attesa. Allora comincio a contare: quanti uomini?…quante donne?…quanti giovani?…quanti anziani?…In quest’ultima categoria risalta la maggioranza delle vedove sui vedovi, direi all’incirca, il 75% contro il 25% (che pacchia per quest’ultimi!). Poi passo ai lampadari e alle lampadine, al mobilio, ai ninnoli, ai quadri ecc., senza tralasciare il conteggio di scalini in presenza di eventuali scale per accedere a quei luoghi. Camminando in strada conto quante macchine italiane rispetto a quelle straniere e di queste quante di una certa marca e quante di un’altra, sia circolanti che parcheggiate. Se sto aspettando un bus di linea ad una fermata, allora enumero quanti bus della linea che m’interessa passano nel senso di marcia opposto al mio e noto sempre che quello che serve a me è in netta minoranza, direi uno su tre ( e quindi in ritardo). Quando controllo le cifre elencate in un qualsiasi scontrino del mercato, del supermercato o di un negozio presso i quali ho proceduto all’acquisto di più cose, mi diverto a tirare le somme con vari metodi (senza l’ausilio di calcolatrice) a gruppi di due, di tre e via dicendo…Capita anche che il mio totale non combaci con quello dello scontrino (naturalmente poi mi rendo conto che la colpa è mia) e allora rifaccio l’operazione anche due o tre volte, così per diletto, e mi ci faccio una risata sopra.
Devo però confessare che ho un mio numero preferito anzi il NUMERO preferito: il 7! Non so spiegarne il motivo ma quando sono dietro a compiere alcune azioni tipo, ad esempio, l’uso quotidiano per esercizio fisico della cyclette, ogni 7 pedalate eseguo 7 movimenti con le dita delle mani per sgranchirle meglio.
Confessione per confessione ho una profonda avversione per il diciassette che,personalmente, non ritengo sia un numero ma una iattura tipo il passare sotto una scala a pioli (cambiare il percorso), lasciare che un gatto nero ti attraversi la strada (in questo caso quale sarebbe il rimedio:fucilarlo?), incrociare il passaggio di un’ambulanza o di un carro funebre (fare gli opportuni gesti scaramantici), anticipare la sera prima il cambio della data del giorno seguente nel calendario sulla scrivania (attendere almeno le 7 a.m. del giorno successivo). Mi capita a volte quando leggo un giornale, un libro o una rivista di dover sospendere la lettura per un motivo qualsiasi ma se mi trovo davanti alla pagina diciassette faccio del tutto per leggere ancora almeno altre quattro o cinque pagine e così pure davanti alle pagine successive quando il risultato della somma, della differenza, del prodotto(questo è un po’ difficile) o del quoziente delle due o più cifre della pagina della pubblicazione che sto leggendo diventa diciassette o quando ancora, se si tratta di un libro che sto leggendo, arrivo alla pagina 100 diciassette, 200 diciassette e così via via per quelle che seguono.
Al sorgere dell’alba del giorno venerdì diciassette di ogni mese di ciascun anno io EMIGRO, se non con il corpo almeno con la mente, tra gli amici aborigeni dell’Amazzonia dove, spero, non è vigente il calendario gregoriano entrato in vigore il 4/10/1582 con la riforma di Gregorio XIII (così parlò Za…nichelli editando il vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli).
Tutte idiozie, stupide superstizioni che lasciano il tempo che trovano e che non hanno alcun concreto riscontro nella realtà…ma vallo a dire ad un capoccione come me. E poi io mi diverto ad “operare”!
Affronto tutto questo in modo paranoico?…sono completamente d’accordo. Ho bisogno di andare a sdraiarmi sul divano di un analista, di uno psicologo, di uno psichiatra?…ci vado subito!…però mi occorre l’indirizzo. Ad esempio: via tal dei tali numero…attenzione però…deve essere al civico NUMERO 7 meglio ancora se lo studio si trova all’interno NUMERO 7. Se vado all’indirizzo fornitomi e accanto al portone dove devo entrare c’è il diciassette…regolarmente me ne torno indietro! Cordiali saluti.

lunedì 9 febbraio 2009

SOLITUDINE

SEDUTO IN UNA PANCHINA NEL PARCO
Alcuni morbidi colpi sulla mano destra mi fanno sollevare le palpebre lievemente appesantite dal sonno e vedo il volto sorridente di Lucilla seduta accanto che mi dice a bassa voce
=Scusa se t’ho svegliato ma…=
=Tu?…e che ci fai qui?=
=Io abito qui vicino…tu piuttosto…se non hai cambiato residenza, mi sembra che questo parco sia piuttosto lontano da casa tua, o no?…=
= E’ vero…ma l’ho visto così poco frequentato e riposante che ho pensato di fare una piccola sosta nel corso della mia passeggiata ed invece appena seduto mi sono addormentato e neppure me ne sono accorto=
=Dovevi essere molto stanco perché è già un bel po’ di tempo che dormi o forse sarà il caldo incipiente che…=
=…unito al post-pranzo e all’ora insolita del primo pomeriggio hanno fatto in modo di farmi cadere quasi in letargo…=
=Già…e sono anche tre o quattro volte che cerco di svegliarti spostandoti il capo ciondoloni che hai di continuo reclinato sulla mia spalla destra ma evidentemente devi avere il sonno pesante=
= Sì, hai proprio ragione…però… potevi pure spostarti magari di poco e…=
=così avresti sbattuto la testa sulla panchina ed il tuo risveglio sarebbe stato poco piacevole…=
=Effettivamente è andata meglio così…ti ringrazio molto…=
=Non c’è di che…ti ho anche chiamato almeno per un po’…Bruno, Bruno…ma tu non mi sentivi=
=No, altrimenti ti avrei risposto…Comunque vedo che sei qui con una bella neonata…è tua?…=
=Si è mia figlia ...Sai che l’ho sempre desiderata e lei è il mio unico tesoro…=
=Veramente sei ancora così giovane che chissà quanti altri tesori potrai avere se lo vorrai…=
=Forse è una tua dimenticanza ma ho superato i 50 da un paio di mesi…=
=Sinceramente ti dico che non li dimostri per niente...=
=Ma io non me li sento, credimi…=
=Neppure io mi sento i miei 55 anni=
=Allora siamo pari=
=In ogni caso ti faccio i miei complimenti …anche per tua figlia…guarda come dorme beata lì nel passeggino…=
=Questo è uno degli altri motivi per cui non mi sono allontanata da questa panchina…ho voluto che riposasse tranquillamente…=
=Non potevi scegliere luogo e ora migliori…=
=Infatti…qui si respira un’aria così pulita…e questo silenzio poi…ho scelto di proposito questo piccolo viale con poche panchine…siamo i soli frequentatori di questa parte del parco…io, te e la mia bambina…=
=Sono d’accordo…come si chiama tua figlia?…=
=Katrina…è un nome di origine russa, come il padre, mio marito, che si chiama Vladimir…lui è un imprenditore piuttosto importante…si occupa di petrolio…=
=Chissà come deve essere contento tuo marito…=
=Ah! sì…lui è senz’altro molto contento… soprattutto in questi ultimi tempi…=
=Perché?…=
=…perché vive arcicontento in non so quale paradiso esotico insieme alla sua giovanissima amichetta ed ex-segretaria…=
=Mi dispiace…incautamente ho toccato un argomento che dovevo evitare…ti chiedo scusa…=
=Non lo potevi sapere quindi niente scuse. E poi io non ho nulla da rimproverarmi…lui piuttosto= =Cambiamo discorso che ne dici?…=
=No, no…anzi…non può che farmi bene parlarne…specialmente con te…=
=Non sei tenuta a farlo…=
=Lo so ma preferirei farti sapere come sono andate le cose dopo che ti ho lasciato…=
=Vorrei che tu non ne parlassi…=
=Ti è molto dispiaciuto quando è successo?=
=Sai benissimo quanto ho sofferto…=
=Perché non ti sei messo con qualche altra ragazza?…=
=Paragonavo le altre a te e…loro perdevano…=
=Già ma questo… è un tuo errore, lo capisci vero?=
=Può darsi ma è stato difficile per me rassegnarmi…Voglio confessarti una cosa…non ne ho mai parlato con nessuno…Ormai saranno passati 10 anni, vero?…=
=Sì, dieci anni esatti…=
=Credimi, non sto esagerando, tutte le notti o quasi, faccio lo stesso sogno…=
=Penso di sapere di che sogno si tratta…=
=Brava…ricordi quello che mi dicesti?=
=Certo…ti dissi che dovevi fartene una ragione e ti dissi anche…=
=Non ripeterlo…non lo voglio ascoltare di nuovo…Il giorno che mi lasciasti fu il più brutto della mia vita e come sai non mi sono mai dato pace…Vado avanti ma sono vuoto dentro…Aspetto con ansia la notte perché so che non appena riesco ad addormentarmi tu arriverai nel mio unico sogno, sempre lo stesso…=
=Io non so come aiutarti…non posso fare nulla…non dipende da me=
=Capisco…però spero che tu non svanisca dal mio sogno…mi contento di questo=
=Come vuoi…Adesso però debbo andare… Neppure io ti ho dimenticato…Addio Bruno…=
=Arrivederci Lucilla, arrivederci…=
Sento nuovamente quei morbidi colpi sulla mia mano…mi guardo intorno e non mi riesce più di vedere Lucilla. Di fronte a me, seduti vicini su una panchina, due vecchietti mi salutano con un cenno e allora gli chiedo
=Scusatemi…avete visto per caso in quale direzione è andata quella signora con la quale stavo conversando un attimo fa?…=
=Veramente no…io e mia moglie ci siamo seduti qui da oltre un’ora e non abbiamo visto nessuna signora…lei era da solo e dormiva placidamente…=
=Ma come?…sto parlando di una bella signora, bruna, che conduceva anche un passeggino con una bambina dentro…=
=Mi dispiace deluderla signore ma debbo insistere. Quando noi siamo venuti in questo parco e ci siamo seduti le assicuro che lei era da solo su quella panchina e stava dormendo…=
=Si, d’accordo, però sono stato svegliato dalla signora con dei brevi colpi sulle mie mani…=
=Ah!…ma quello è stato il nostro Pilù…vede quel piccolo bastardino che vive ormai con noi da qualche anno?…quando si accorge che qualcuno dorme, e lei signore lo faceva profondamente, lui batte con molta delicatezza la sua zampetta sul dorso delle mani della persona addormentata,anche se la vede per la prima volta così, soltanto per avere un po’ d’ attenzione…L’ha fatto un’ora fa e l’ha ripetuto adesso, malgrado i nostri richiami=
=Possibile che abbia fatto un sogno?…di giorno?…=
=Credo proprio di si…probabilmente un bel sogno dato che a volte sembrava che sorridesse, ma è stato soltanto quello…=
=Già…scusatemi, deve essere andata proprio così…grazie comunque e arrivederci…ciao Pilù…=
Rattristato, m’incammino per fare ritorno al lavoro.
Passano i giorni ed io non riesco ancora a convincermi che è impossibile rivedere Lucilla…lei ormai non c’è più su questa terra e, se la rivedrò, sarà soltanto nel mio sogno.

venerdì 6 febbraio 2009

MA CHE MI CHIAMO GIOCONDO?

RICHIESTE
Ormai da oltre dieci anni tutte le mattine, tempo permettendo, faccio la mia bella passeggiata di circa due chilometri come da perentori ordini dei medici.
L’orario antimeridiano, e solo quello, varia secondo le stagioni (esistono ancora?), mentre il tragitto è solitamente lo stesso: una sorta di girotondo per le strade vicino la mia abitazione sfiorando alcuni posti turisticamente molto frequentati. Raramente verso altri luoghi.
Cammin facendo incontro molte persone alcune conosciute ed altre invece sconosciute com’è logico che sia.
Esiste però anche la categoria delle “presunte”…voglio dire persone che io credo di conoscere ed altre che ritengono di conoscere me, per deboli ricordi o per vaghe somiglianze.
Mi è capitato più di una volta.
Per stare in sintonia con il titolo, nel corso di tali passeggiate avvengono incontri particolarmente curiosi accompagnati da richieste dello stesso tipo.
Le richieste normali sono quelle che sono fatte, più frequentemente, da turisti stranieri, anche se usano soltanto la loro lingua, per sapere dov’è la tale strada, il tale luogo, la fermata più vicina di un mezzo di trasporto pubblico. A volte riesco a fammi capire, altre no.
Poi ci sono quelle curiose, a dir poco.
Alcuni esempi:
- incrocio qualche giovane che mi chiede “scusa nonno (?) che mi daresti una sigaretta?” ed io rispondo “non fumo” aggiungendo “mi dispiace” da vero ipocrita in quanto se sono dispiaciuto è perchè ho dovuto smettere di fumare da un decennio, ma appena incrocio una persona che fuma oppure, meglio ancora, lo sta facendo camminandomi davanti, annuso l’aria come un cane da tartufo;
- a volte sono fermato gentilmente da qualche persona la quale mi domanda se conosco via tal dei tali. Io abito in questo rione da 40 anni, so benissimo dove si trova la via richiestami, mi guardo in giro con un sorriso agrodolce e dico “dovrebbe essere da queste parti, ma adesso non ricordo bene…credo che sia la prima o la seconda a destra dopo il semaforo…” poi da perfetto idiota gli do un consiglio “lei faccia una cosa…vede quell’edicola di giornali?…bene, chieda a loro…sono certo che avrà indicazioni più esatte”. Appena fatti alcuni passi nella direzione contraria a quella presa dalla persona avviatasi verso il semaforo, alzo gli occhi e che ti vedo?...la targa della via tal dei tali;
- ogni due o tre giorni al massimo incontro una ragazza dall’apparente età di 30-35 anni vestita con una mise sempre diversa da quella dei giorni precedenti. Siccome la vedo circolare dalle mie parti ormai da parecchi anni, presumo debba abitare nel mio stesso rione, quindi so benissimo dove si fornisce per l’abbigliamento: con una capace borsa nella mano sinistra non omette di visitare accuratamente neppure il più piccolo dei cassonetti per la spazzatura rifornendo così il suo personale guardaroba. La faccenda però che mi scombussola non poco è che ogni volta che la incrocio - e capita spessissimo – mi fa la seguente richiesta “mi dai 50 centesimi per prendere l’autobus” A parte il fatto che un biglietto per bus, tram o metro attualmente costa 1 euro, tre cose mi colpiscono di questa richiesta: 1) prima del cambio della lira in euro mi chiedeva mille lire (la cosa va avanti da parecchio); 2) il suo rapido adeguamento della cifra che richiede, da lire in euro; 3) possibile che io cambio il mio identikit tutte le volte che l’incontro dal momento che rifiuto di darle soldi ormai da tanto tempo essendomi un po’ scocciato?. Ormai m’avrà incontrato mille volte.
- non più tardi di qualche giorno fa dovevo sbrigare una commissione alle poste di Piazza San Silvestro (pagamento bolletta elettricità) e, mentre stavo transitando in Via S,Claudio, una piccola stradina che costeggia la Rinascente e che collega Via del Corso alla piazza suddetta, vicino Palazzo Chigi, vengo fermato molto cortesemente da uno “scricciolo” di signora non più giovane, lineamenti ben delineati, capelli biondo-cenere, che mi fa: =ciao, come stai?-=, io leggermente impappinato rispondo =non c’è male e tu?=, lei: =bene, bene, grazie…ma dove stai andando?=, io =alla posta, devo andare a pagare…=, lei =ma pensa un po’…io proprio di là sto venendo, adesso però devo correre subito a casa altrimenti…Solo che ho fatto tardissimo e dato che devo prendere mio nipote a scuola ho proprio paura di non arrivare in tempo...Mi è venuta in mente una cosa…Non è che per caso mi puoi prestare 30 euro per prendere un taxi, così è sicuro che arrivo proprio all’ora di uscita…poi appena arrivata a casa te li faccio subito avere…che ne dici?= .
Questa valanga di parole che all’inizio mi aveva quasi rimbambito nel momento stesso in cui si è fermata m’ha fatto accendere una lampadina nella testa e allora ho risposto: =ecco cara, l’avrei fatto volentieri ma ho appena i soldi per pagare questa bolletta, altrimenti ben volentieri…=, lei = che peccato…vedrò di arrangiarmi in qualche altro modo…va bene, fa niente, ciao, ci vediamo eh? =
Io, zitto, fra di me “speriamo di no”. A mia memoria, la gentildonna non l’ho mai vista nè conosciuta.
Ieri però mi è capitata una cosa buffa.
Girato l’angolo della via dove abito una signora sui 60 anni, ben vestita, fresca permanentata, con in mano una busta contenente numerosi documenti mi chiede dove si trova la sede di un certo sindacato affermando che ricorda il nome della via, che è poi quella dove io risiedo suddivisa in due tratti dal punto in cui ci troviamo, ma ha dimenticato se sta nel tratto a destra (proprio dove abito io) o in quello a sinistra. La informo con certezza che quel sindacato si trova nel tratto a sinistra in quanto sono passato lì davanti numerose volte e che nel tratto a destra, che mi riguarda, ci sono soltanto scuole, il mio (si fa per dire) fabbricato e un paio di negozi…lo saprò bene no dopo una vita che ci abito?.
La signora, arciconvinta, mi fa “no, no…guardi che si sbaglia, non è la prima volta che ci vengo…giorni fa sono andata a sinistra e non c’è nessun sindacato. Si trova senz’altro a destra” e si avvìa senza dirmi né ao né bao.
Mi chiedo…Ma essendo così sicura perché mai mi ha fatto quella richiesta?

lunedì 2 febbraio 2009

IO TORNEREI AL TEMPO CHE FU

Un N.B. (che non centra niente con il post che segue) Desidero informare i blogger amici che, ove non dovessero vedere la mia piccola foto tra i “Lettori” del loro blog, sono autorizzatissimi, se lo desiderano, a procedere allo “scambio-link”, giacchè io non riesco a farlo. Grazie.

IL MARCHINGEGNO
Voglio dire due paroline sul marchingegno “telefonino o cellulare” che dir si voglia.
Dicesi marchingegno un arnese di complessa struttura, complicato ma anche munito dei requisiti necessari per il suo indispensabile utilizzo.
Ma chi ha detto che è indispensabile? E’ stata promulgata una legge al riguardo? No e allora?
Io, infatti, fino a qualche tempo fa, mi sono sempre opposto a volerne maneggiare uno e ho resistito fino all’estremo. Mi sono sentito come quel soldato giapponese che, unico al mondo, per anni e anni ha ignorato, penso volutamente, che la guerra nel ’45 fosse finita e continuava a restare nascosto nella giungla in attesa del nemico.
Dietro una forte insistenza di mio figlio, il quale già mi suppliziava da qualche tempo, ho alzato bandiera bianca e mi sono arreso. Causa un momentaneo ricovero ospedaliero. Ecco per quale motivo dovevo essere continuamente in condizione di essere contattato e di poter contattare. Addio pace e tranquillità.
Come milioni di cittadini sono entrato anch’io, purtroppo, a far parte della “famiglia dei cellularisti”.
E non finisce qui: sempre per ordini ricevuti, devo portarmelo appresso anche quando sono fuori casa.
Mi sento ridicolo e capisco il perché. Prima che mi fosse appioppato il mio marchingegno (io non ne volevo sapere) mi divertiva molto il fatto di incontrare persone che, camminando per strada, sembravano parlare ad alta voce con se stessi. Ai primi impatti, quando li incrociavo sul mio cammino vedendo che addirittura gesticolavano, cambiavo marciapiede e svicolavo, poi, col passare del tempo, mi accorgevo che, camminando, parlavano anche ad alta voce, con uno o due fili che fuoriuscivano dalle loro orecchie e allora capii che…non erano pericolosi.
Per non parlare dello spettacolo che veniva offerto soprattutto da persone di una certa età anche superiore alla mia (e sì che io ne ho 78), le quali allo squillare del loro apparecchio prima si guardavano intorno per capire se lo squillo li riguardava oppure no e poi iniziavano una “importantissima ed inderogabile” conversazione a base di… “come stai? – che mangi a pranzo? – ieri sera che hai visto in TV? – che dici me lo compro quel vestito? – tu adesso dove stai? – io sto sul bus e fra poco scendo – sì, va bene, ci sentiamo più tardi – un bacione”…
Si spiega così perché quando esco di casa lo porto con me a passeggio, nascosto in tasca e, ove mai dovesse vibrare (mi hanno persino messo in funzione il “vibratore”) e poi mettersi a suonare io non faccio altro che girare lo sguardo intorno con aria interrogativa e vedere “l’effetto che fa”. Risponderò a tempo debito, sempre se riuscirò a capire chi mi ha chiamato. Mi hanno istruito su come fare per sapere questo, quello e altro ancora ma evidentemente qualcosa dentro di me si rifiuta di collaborare.
Esiste, è vero, la cellulare-dipendenza (da Neologismi Quotidiani di Adamo e Della Valle). Sms, telefonate, pettegolezzi da rivelare il prima possibile senza aspettare di tornare a casa; la “cellulare-dipendenza” non abbandona gli italiani neanche quando sono al volante (Sicilia, 25 ottobre 2001, p.9, In Italia – Nel Mondo).
Mi viene detto “è il progresso, bellezza”…Già, devo prenderne atto, mi devo rassegnare come ho già dovuto fare per altri marchingegni.
Giorni fa mi sono intenerito e quasi commosso nel vedere un uomo, avrà avuto circa 60 anni, che stava facendo una telefonata ad uno di quegli apparecchi di ultima generazione coperti da una piccola semi-cupola in plexiglas, ancora installati in alcune strade delle città.
Non so se funzionano ancora a gettone oppure occorre usare qualche altra cosa (forse una parola magica come ad esempio “abracadabra” o una password?) ma io ritengo che siano ancora utili.
Stavo quasi per fermarmi accanto a quel signore, congratularmi con lui e stringergli la mano. Avevo incontrato un “compagno di sventura”! Se e quando ne incontrerò qualcun altro gli chiederò se vorrà far parte di una costituenda “Associazione per il ripristino e la valorizzazione del telefono fisso” tanto che male può fare un’associazione in più o in meno.