venerdì 29 maggio 2009

IL CORTILE

Inutilmente da due o tre ore mi giro e rigiro nel letto ma un’irrefrenabile ridda di pensieri e ricordi mi mulinano nella mente tanto che sono costretto ad alzarmi malgrado sia appena spuntata l’alba. Come mai, dopo così tanto tempo, mi è venuta la voglia di rivedere il cortile del fabbricato in cui sono nato qualcosa come oltre 78 anni or sono. Strano…Mah!…Eppure lì nei pressi ci sono già andato altre volte. Insomma non sono il tipo di voler conoscere ad ogni costo e dettagliatamente il perché ed il percome mi capitano certe cose. Risolutamente, cercando di fare il minor rumore possibile per non svegliare gli altri, mi alzo da quella tortura che è diventato il mio letto, procedo nella routine d’ogni mattina appena svegliato, faccio colazione, leggo qualcosa in modo da far trascorrere un po’ di tempo e così uscire di casa in un’ora decente cosa che faccio precisamente alle 8:30. Fortunatamente è una bella giornata quasi estiva. Come ci arrivo in Via della Polveriera? Potrei prendere il bus alla fermata vicina e scendere a quella di fronte al Colosseo. Ma lì, ricordo, c’è da inerpicarsi su quella ripida scalinata che dai piedi del Colosseo si arriva in Via Nicola Salvi attraversata la quale si percorre Via del Fagutale e quindi si “approda” nella via dove si trova la mia vecchia casa. Mentre faccio questo ragionamento mi assale il primo ricordo: quella ripida scalinata che raggiunge “l’isola del zibibbo” (così chiamavamo il gruppo d’edifici che componevano la nostra parte del Rione Monti) ritaglia una fetta di folta vegetazione che ricopre la piccola collinetta (da noi battezzata “l’Africa – la giungla”) e che divide la zona del Colosseo da quella del Colle Oppio. Era la nostra “trincea” per le “battaglie a base di sassate (o serciate)” con i coetanei “nemici” del rione Celio. Decido di rinunciare al bus e fare una bella passeggiata. Raggiungo in breve tempo il parco del Colle Oppio, proseguo lungo il viale del Monte Oppio ma, giunto alla fine della discesa noto, con dispiacere, che prima del “fontanone” dell’Acqua Felice non c’è più un’enorme colonna di marmo (porfido credo) rossastra, lunga, bella e levigata che si trovava adagiata orizzontalmente in un piccolo spazio verde e che era stata una gradita fonte di giochi nonchè una specie di “agorà”, credo per intere generazioni, compresa la mia. E sì che per salirci sopra a cavalcioni si faticava parecchio per quanto era alta e grossa. Passo oltre verso Largo della Polveriera, rasento un bel Ristorante (ex osteria un tempo nostra sala-giochi di briscola e tressette), un moderno bar (anche qui ex negozio di generi alimentari con annessa osteria, all’epoca altra sala-giochi, proprietario di allora: il“sor Salvatore”) e svolto in Via della Polveriera. Ecco il civico 37, un edificio dove abitavano vecchi amici, il 38 attualmente studio d’architettura (già abitazione a livello strada occupata per anni da una famiglia di vecchi compagni di giochi), il 39 con la saracinesca abbassata (molti anni fa adibito a magazzino per il materiale – romanzi a puntate o fascicoli – regno di nostro padre), il 40 (ecco l’edificio del quale faceva parte la nostra casa-interno 11), il 41 locale a livello strada adibito oggi a non so cosa (un tempo abitazione di una famiglia sempre di amici), il 42 ingresso del CORTILE, il 43 che non è mai esistito(dovrebbe-potrebbe “numerare” una finestra?) e infine il 44 ancora un edificio abitato da altri amici. Il CORTILE al quale si accede tramite una specie di largo tunnel consiste in un’ampia area libera scoperta interna ed è circondato, girando in senso orario, dal retro degli edifici di via della Polveriera 37, di Largo della Polveriera, di via delle Terme di Tito, di via del Monte Oppio e di via della Polveriera 44. Mi era stato detto che attualmente non si poteva entrare nel CORTILE poichè l’accesso era impedito da una saracinesca verso l’esterno e da un cancello metallico all’interno, dopo il “tunnel”. Ho trovato tutto spalancato: gli “allegri fantasmi” del passato mi stavano forse aspettando? Appena entro nel “tunnel” noto sulla destra tre piccole porte chiuse: la prima è di un microscopico locale un tempo occupato dal nostro calzolaio di fiducia, il “sor Silvano” tipo curioso sempre abbigliato con un vistosissimo fiocco nero a guisa di cravatta (si mormorava trattarsi di anarchico o comunque di accanito repubblicano vecchio stampo). Risuolava le scarpe bucate ritagliando vecchi copertoni di automobile. Il successivo locale funzionava, in forma abusiva, come prima piccolissima sede del neonato gruppo dei giovani esploratori C.N.G.E.I; il terzo probabilmente un magazzino. Percorso il “tunnel” eccomi nel CORTILE: sulla destra sette saracinesche abbassate chiuse su altrettanti box-auto (?)…Ai tempi in cui a volte lo frequentavo non ricordo di avervi visto mai un’auto ma piuttosto roba di magazzino. Sulla sinistra invece un muro non troppo alto con un piccolo cancelletto centrale, chiuso, che una volta consentiva l’accesso ad un corridoio a cielo aperto sul quale si affacciavano le porte di due o tre abitazioni, compresa quella della portiera e del locale fontane. Nel mentre costeggio quel muro improvvisamente si apre una porta metallica e ne esce una piccola signora molto anziana, piuttosto in carne, con un paio di grossi occhiali da vista e una folta chioma di capelli neri vistosamente tinti di recente. Appena mi vede mi saluta e mi rivolge una specie di saluto di bentornato come se mi avesse riconosciuto. Io un po’ sbalordito cerco di rispondere il più educatamente possibile e, come lei si allontana, ritorno sui miei passi, vado a verificare sul citofono accanto al portone numero civico 40 e leggo il nome della famiglia che abita all’interno in questione dal quale è apparsa la signora di prima: è la stessa di quando io abitavo lì, naturalmente quando ero molto più giovane. Altro ricordo: il loro capo-famiglia, un vero e proprio antifascista vecchio stampo. Faccio un breve giro nel CORTILE e ricordo che all’epoca io e la banda di miei coetanei non lo frequentavamo spesso, preferivamo giocare fuori per la strada o nel vicino parco del Colle Oppio. Può darsi pure che ci fosse stato vietato di frequentarlo a seguito delle proteste di qualcuno. Credo proprio di sì perché c’eravamo accorti che mentre ci trastullavamo nel cortile venivamo osservati dalle sorelle di un nostro coetaneo (noi dovevamo avere al massimo dodici o tredici anni) facenti parte di una famiglia abitante nel nostro fabbricato, “tre sorelle” tutte più grandi di noi ed anche belle “figliole”. Loro solevano starsene sulla loggetta che circondava la loro abitazione e che “aveva la vista” sul cortile e commentavano, sghignazzando, le nostre gesta. Noi avevamo capito che sollevando“castamente” gli sguardi verso “il cielo” molto “casualmente” s’incrociavano le gambe delle “tre sorelle”…a quell’epoca ancora non andavano di moda i famosi “blue-jeans”. Ecco quindi spiegato, credo, il successivo “vietato l’accesso”. Altri ricordi non me ne vengono in mente e quindi torno sui miei passi. Lascio il CORTILE, esco su via della Polveriera e, nel palazzone di fronte, il mio sguardo va verso il civico numero 8. Ai tempi della mia infanzia, della mia gioventù e della mia adolescenza era una abitazione a livello strada occupata da una famiglia, madre, padre cieco e due figlie femmine una delle quali piuttosto “sbarazzina”. La madre fabbricava in casa i “caramellotti” (zucchero filato solidificato non si sa bene con quale procedura) i quali, avvolti in carta sgargiante, venivano venduti, da lei che camminava sempre con il marito sottobraccio, in giro qua e là per il rione ma soprattutto davanti le vicine scuole Vittorino da Feltre. Per tornarmene a casa mi avvio verso la fermata del bus davanti al Colosseo e per farlo oltrepasso via degli Annibaldi su quella orrenda passerella (non si po’ neppure definire ponticello) più adatta in una“selvaggia foresta equatoriale” costruita qualche anno fa. Incrocio tra i cento e i duecento turisti giapponesi debitamente muniti di tre o quattrocento macchinette fotografiche di ogni forma e dimensione i quali sorridono estasiati. Velocemente (adesso cammino in discesa) arrivo alla fermata e salgo sul bus. Sorrido anch’io fra di me, soddisfatto di aver rivisto i miei vecchi luoghi …compreso il CORTILE.

mercoledì 27 maggio 2009

APPELLO IN DIFESA DELLA DEMOCRAZIA, IN DIFESA DELLA COSTITUZIONE
Sono giornate molto pesanti, in cui le parole gravano come macigni, e se l’argomento di queste parole sono la Democrazia, il Diritto, la Giustizia, il rischio è che questi macigni si trasformino in frane, di quelle che travolgono interi paesi cancellandone la storia, cancellandone la civiltà, rinnegandone l’etica.Mancano due settimane alle elezioni europee, nel nostro Paese questo appuntamento, a causa delle parole-macigno del capo del governo, rischia di assumere caratteristiche che vanno ben al di là del risultato puramente elettorale.Una cosa soprattutto assume un importante valore politico: la coesione che travalica le sigle, di un fronte di difesa democratico della Costituzione e delle Istituzioni .Attualmente sono cinque i soggetti politici che partecipando alla competizione europea possono rappresentare questo fronte: i due cartelli elettorali di sinistra, il PD, IDV-Di Pietro e UDC.Dei cinque partiti o movimenti il PD è l’unico che, ad oggi, sostiene la campagna dei referendum di riforma della legge elettorale. Nell’eventualità che il referendum passi ci ritroveremmo con un sistema che prevederà premio di maggioranza al partito di maggioranza relativa (non alla coalizione) e innalzamento della soglia minima di sbarramento. Risultano evidenti due cose: che una minoranza del paese, ma in possesso di una maggioranza relativa, avrebbe uno strapotere e una consistente porzione di elettori non avrebbero rappresentanza parlamentare.In questi giorni è davanti gli occhi di tutti l’inaudito attacco alle istituzioni da parte del capo del Governo. Credo che proseguire sulla strada del referendum sarebbe come iniettare cellule malate in un corpo che già sano non è.Il PD deve uscire dall’equivoco e riconoscere che il tema del referendum è di fatto superato da una evidente emergenza democratica e che sarebbe un suicidio della democrazia anche solo ipotizzare leggi che diano maggiori poteri agli organismi di governo.La democrazia è un sistema di governo con evidenti imperfezioni, ma anche con importanti anticorpi che normalmente impediscono la degenerazione. Il nostro compito è quello di far sì che non calino le difese immunitarie insite nella nostra Costituzione.Una rinuncia da parte del PD ad appoggiare e sostenere il referendum potrebbe inoltre raccogliere il consenso di molti compagni che non riconoscendosi nell’area dei due cartelli elettorali di sinistra, si troverebbero nell’imbarazzo di un voto all’Italia dei Valori, che pur essendo un partito di sicura opposizione a Berlusconi, non rappresenta la cultura di sinistra, o di una astensione, in quanto non si sentirebbero sufficientemente tutelati proprio in funzione del referendum liberticida.Blog promotori:A sinistrail Russo La Mente persa L’eco dell’Appennino Vengo da lontano ma so dove andarePS. Chi condivide questa richiesta copi e incolli sul proprio blog il post senza aggiungere o togliere nulla possibilmente segnalando l’adesione a uno dei cinque blog promotori o alla seguente mail indemocrazia@yahoo.it
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lunedì 25 maggio 2009

IL RETTANGOLO

Il rettangolo semplice semplice ha due lati lunghi e due corti tipo, ad esempio, i campi da gioco per il calcio, calcetto a 5, calcio a 8, il football americano, il rugby, il tennis, il cricket, l’hochey, la pallacanestro, la pallamano, la pallavolo (forse ne ho dimenticato qualcuno). Sono aree attrezzate opportunamente su erba normale o sintetica, terra battuta, linoleum ecc.ecc. e, ovviamente, su superfici pianeggianti. All’età di 12-13 anni io e quelli della mia età,qualcosa come 67 anni fa avevamo, insieme a molti altri, la passione per il calcio. Attualmente è anche così ma esiste una non piccola differenza. Oggi amministrazioni pubbliche, enti, circoli privati , attrezzano impianti sportivi polivalenti, gratuiti o a pagamento, che consentono a chi lo desidera o a chi se lo può permettere di praticare qualsiasi attività sportiva. Per noi, a quei tempi, la cosa più importante era “giocare a pallone”. Sì, va bene, ma dove? Qui arriva la differenza…Dov’erano i campi da gioco?…A quella età e in quegli anni non si poteva davvero andare in giro per la città alla ricerca degli spazi opportuni per di più molto rari. Dovevamo rinunciarci?…nemmeno per sogno! Noi “stanziali” di Via e Largo della Polveriera eravamo fortunati perché avevamo il nostro“campo” a non più di un centinaio di metri dalle nostre case…Bastava svoltare a sinistra nella vicinissima Via Eudossiana, passare davanti la Facoltà d’Ingegneria dell’Università ed eravamo belli che arrivati: Piazza di San Pietro in Vincoli (di fronte la Chiesa omonima dove tuttora si può ammirare la famosissima statua marmorea del Mosè di Michelangelo). C’era un problema però…bè…veramente i problemi erano più di uno: 1°) il nostro “campo” era quadrato; 2°) non c’era erba di nessun tipo, né terra battuta, né linoleum…solo asfalto e sampietrini; 3°) non era una superficie pianeggiante ma era una discreta discesa; 4°) confinava con un paio d’istituti religiosi in uno dei quali erano ricoverate numerose persone piuttosto in là con gli anni, in precarie condizioni di salute ed in disagiate condizioni economiche. Ho ancora nelle orecchie le sgridate dei custodi che ce ne dicevano di tutti i colori ed a ragione giacchè le urla di noi partecipanti erano più che assordanti e disturbavano notevolmente la quiete, il sonno e la tranquillità dei loro ospiti; 5°) non era adatto a contenere il numero dei contendenti in campo perché a disputare la partita coloro che ne prendevano parte superavano la trentina e non 11 contro 11; 6°) la durata degli incontri era in pratica illimitata…Cominciavamo subito dopo il pranzo di mezzodì e terminavamo a tramonto inoltrato; 7°) la difficoltà di mantenere la “palla” (appresso la descrivo) sul terreno di gioco…Sì perché a volte, spinta da un calcione, quella rotolava giù per la Scala (o Salita)dei Borgia e scendendo e saltellando, attraversava Via Cavour e si fermava in Via Leonina,nel pieno del Rione Monti. Parliamo della “palla” Non era un pallone regolamentare…figuriamoci…non era di cuoio o pelle o qualcosa di somigliante…era soltanto un’accozzàglia di carta e stracci tenuta insieme da spago piuttosto scadente…però era rotonda, più o meno, e questo a noi bastava. La lotta per averla tra i propri piedi era piuttosto cruenta. Avevamo sempre braccia, gomiti, gambe e ginocchia piene di sbucciature di vario tipo ma non ce ne poteva importare di meno.Dove trovavamo tutta quell’energia era un mistero poiché eravamo alle prese, chi più chi meno, con una nutrizione abbastanza carente sotto parecchi punti di vista. Il periodo coincideva, purtroppo, con la seconda guerra mondiale in pieno svolgimento. I continui allarmi aerei del ’43 e del ’44 costrinsero anche noi ad interrompere il nostro campionato (si fa per dire). Come praticante so benissimo di essere stato sempre negato per quel gioco che pure mi piaceva molto e, infatti, a differenza di altri miei coetanei, non sono mai entrato a far parte di nessuna squadra neppure a livello parrocchiale o rionale. Evidentemente il mio destino era quello di fare soltanto il tifoso di calcio.
Il motivo per il quale divenni tifoso di una squadra anziché di un’altra è stato ed è per me un mistero. Solitamente uno diventa tifoso della squadra di calcio della città nella quale è nato, anche se esistono numerosi tifosi nati in un posto che tifano invece per squadre di città diverse dalla propria. E’ il caso, ad esempio, di tifosi che s’innamorano sin da bambini di squadre che magari navigano di solito nei piani alti della classifica della categoria della quale fa parte la squadra poi divenuta del cuore. Il mio caso credo sia significativo. Sono il secondo di quattro fratelli tutti nati a Roma. Il primo ed il terzo stratifosi della squadra con quel nome, il quarto fievolmente della Juventus, il secondo, appunto io, della Lazio…perché? E nemmeno si può parlare di avere ereditato il tifo per l’una o l’altra squadra da uno dei genitori, come spesso capita, poiché entrambi, nati in Sicilia, non credo abbiano mai saputo se il pallone aveva da essere quadrato o rotondo…credo.
Mi sono avvicinato al vero gioco del calcio, soltanto da tifoso intendiamoci, tra i 14 e i 15 anni quando, imbeccato da un mio quasi coetaneo abitante all’interno 4 del mio stesso fabbricato, venni a sapere che nella Lazio, la prima squadra di questa città, nata nel 1900, giocava un centravanti formidabile: Silvio Piola il quale era anche centravanti della Nazionale. Da allora quella squadra mi entrò nel cuore e nella mente se così ci si può esprimere. Ricordo che il mio coetaneo-coinquilino, divenuto in seguito un accanito capotifoso, mi faceva entrare gratis allo stadio (all’epoca il Nazionale, poi Torino, poi Flaminio) non ho mai capito a quale titolo ma con il compito, per le partite in casa della nostra squadra, di addobbare gli spalti per gli spettatori con un’enorme serie di striscioni inneggianti l’adorata Lazio. E non importa se proprio nell’estate del ’45 l’ineguagliabile S.Piola fu ceduto alla Juventus…io, sin da allora, sono rimasto sempre tifoso laziale. Malgrado retrocessioni, squalifiche, brutte faccende di scommesse illegali, ipotesi di fallimento e di scomparsa dalla scena calcistica…la Lazio è stata anche altro: vincitrice di coppe e supercoppe nazionali e internazionali, scudetti, tornei ecc.Delusioni e gioie hanno formato una miscela che non mi ha mai fatto cambiare bandiera. Così è, naturalmente, anche per i tifosi delle altre squadre…io non sono speciale. Le trasferte al seguito della squadra quando doveva giocare fuori casa, sono state le cose che ricordo maggiormente e con nostalgia anche se, da oltre 34 anni, non vi partecipo più. C’è stato un tempo che ci andavo con moglie e figlio…poi ha seguitato lui da solo. Già perché,guarda un po’ che caso strano, lui e quando si è sposato anche sua moglie e quando sono nate le loro due figlie anche loro…bè…che soddisfazione!…tutti tifosi laziali …solo mia moglie, a volte…non sempre, chissà per quale motivo…mi dice che è tifosa anche dell’altra.
Ugualmente da oltre 34 anni ho dovuto evitare, per motivi di salute, di recarmi allo stadio. E’ capitato molto raramente, sollecitato da mio figlio, di assistere di persona ad incontri di calcio della mia squadra molto tranquilli, qualche amichevole o partite il cui risultato era ininfluente. Dopo aver appreso il risultato finale della partita che la mia squadra ha giocato allora, grazie a mio figlio, mi godo tranquillamente lo spettacolo, bello o brutto che sia, in videoregistrazione a casa. I ricordi che ho di questo mio essere tifoso del calcio e della Lazio sono tanti…tutti legati a quel rettangolo.
QUESTO POST ESCE IN OCCASIONE DELLA FINALE DELLA COPPA DEI CAMPIONI DI CALCIO FISSATA A ROMA – STADIO OLIMPICO – PER MERCOLEDI 27 MAGGIO 2009.
TRA LE VARIE MANIFESTAZIONI COLLEGATE CON TALE EVENTO, UNA PARTITA DICALCIO TRA “VECCHIE GLORIE” DI TALE SPORT SI GIOCHERA’ AL LARGO DELLA POLVERIERA, ANGOLO VIA DELLA POLVERIERA, CON VISTA SUL COLOSSEO.

giovedì 21 maggio 2009

VERO ED AUTENTICO

…e fresco di giornata. Spetta ad altri l’ardua sentenza se vale la pena tenerne conto oppure non farci caso. Io, personalmente, propendo per il sì.
Circa due ore fa esco dal barbiere vicinissimo casa mia e, fatti alcuni passi, all’incrocio tra via Emanuele Filiberto, Via Galilei e Via Bixio, mi ferma una signora: attempatella, grassottella, elegantella (non si dice ma giusto per fare rima), bel viso tondo, begli occhi celesti, bel sorriso.
Mi apostrofa e mi fa:
= Per favore sa indicarmi Via Bixio?
La guardo stupito giacchè è proprio la via che stiamo iniziando a percorrere, io per andare al mercato di Piazza Vittorio, lei non lo so.
= Ecco signora è proprio questa davanti a noi e…
= Uh! Che sbadata…non ricordavo più dov’era…sa ci venivo negli anni cinquanta per frequentare la scuola elementare…c’è ancora la scuola?...a quei tempi io stavo con la maestra Taddei…era anziana, ma le volevo bene e lei altrettanto…(così, tutto d’un fiato)
Interrompo il flusso e dico:
= La scuola c’è sempre, anzi adesso c’è anche l’asilo-nido che è stato realizzato piuttosto di recente…
= Davvero?...Mi piacerebbe rivedere la mia vecchia scuola…
= Se viene con me ci passiamo proprio davanti…Mi segua, io poi proseguo per il mercato di Piazza…
= Anche quello c’è ancora?...
= Sì ma adesso c’è il mercato nuovo, al coperto…
= Vorrei tanto andarci…(sempre tutto d’un fiato)…io sono nata al campo profughi di Piazza Santa Croce in Gerusalemme dove c’era il Museo dei Granatieri…I miei genitori son dovuti scappare dalla Libia subito dopo la guerra. Loro erano contadini friulani e dovevano andare nelle campagne vicino Latina portando me e i miei tre fratelli e…
Torno a frenarla e la informo:
= No, il campo profughi non c’è più, il museo invece sì, vicino la Basilica di Santa Croce, se facciamo pochi passi gliela indico…
= Volentieri…
= Ecco, questo è l’asilo-nido e questo è l’ingresso della scuola…
= Sì, sì…adesso ricordo perfettamente…che bei tempi…ricordo persino i miei compagni di scuola, come ci divertivamo…e quante risate…poi le custodi…ne ricordo una che mi abbracciava sempre perché mi diceva che le ricordavo una sua nipotina…quando venivo qui c’era la maestra Taddei…(ancora tutto d’un fiato)…
= (cercando di essere il più cortese possibile, però sforzandomi un po’)…Ormai credo non insegni più…
= Lo penso anch’io…
= Bè…io adesso vado al mercato…
= Le dispiace se vengo anch’io?...
= (stavo per risponderle come uno stupido..no tu no…) E perché mai dovrebbe dispiacermi?…
Camminando camminando, parlando parlando, arriviamo dopo poco all’ingresso del mercato e lei, porgendomi la mano mi fa:
= Ciao, io mi chiamo Anita…
= (io, spiritoso)…Garibaldi?...
= (spiritosa anche lei)…bè…sono un po’ più giovane…non trovi?...
= Certo, scusami…io mi chiamo Aldo…ciao…
(senz’altro aggiungere, sorridendo entrambi, ce ne andiamo ognuno per la sua strada, volgendo il nostro sguardo indietro).
IL CASUALE INCONTRO HA AVUTO UN DISCRETO INIZIO MA LA FINE NON QUELLA CHE SPERAVO.

lunedì 18 maggio 2009

LA VISITA

Bongiorno…bongiorno…trasite…trasite…Scusate signor tenente, ogni tanto mi scordo e mi metto a parlà in dialetto…E che volete, mi sto invecchiando…Voi piuttosto, per la pucchiacchia di catarina, ma come avete fatto a restare giovanotto?…Beh! Voi me lo dovete spiegare ‘sto mistero. O v’à fatta ‘a grazia San Gennaro?…Eppure voi non siete napoletano…mah!…San Gennaro o sape lui chello che ‘a fare…Nun vi posso manco dicere assettateve perché mia moglie, quella santa donna, s’è portata via ‘a seggiola…Sissignore…Lei tutti i giorni, matina e sera, si riunisce con tre o quattro commarelle e si dicono il rosario, ma no uno, perlomeno ‘na ventina…E va buò, non fanno male a nisciuno anzi, c’è chi ci guadagna,cioè propriamente io, sissignore. Adesso vi conto il miracolo, voi però non lo dovete dire a nessuno…me lo giurate?…E sì signor tenente, me lo dovete giurare. Magari ditemi sì o no…No, anche senza parlà, basta che fate così con la testa…ecco così, bravo…n’atra vota…ecco, grazie…fatelo ancora ‘na vota e poi basta…ecco…così…oh!…Mi fate proprio piacere. Allora dove ero rimasto?…Di San Gennaro ve l’ho detto…Il giuramento l’avite fatto…Ah, sì…Ma perché state all’inpiedi?… Ecco non cè la seggiola! E già, quella è mia moglie che…Ma che vi ho già parlato del fatto del rosario?…Ah! ecco dove ero rimasto! Dunque, quando le commarelle dicono il rosario io sento suonare e cantare…Ma no canzoni napoletane che io asinnò esco pazzo, no…Ssss!…Venite più vicino che ve lo dico in una recchia…Ecco, così. Più propriamente sento tutta la Cavalleria Rusticana, si,si, avete capito bene, l’intera opera, pensate. Se volete ve la posso anche cantare perché ce l’ho tutta cà in capo…Però io mi sono addimannato tante vote: ma che ci cape la Cavalleria cu’mme? E anche con voi, noi stavamo in fanteria!…Vi ricordate eh?…Bei tempi. Io per esempio avrebbe preferito quella del Piave che mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio ma…Venite, venite più vicino…Mi hanno detto che non si può cambiare!…Ormai lassù…sì, sì, lassù, guardate pure voi, lassù in alto accussì è stato deciso . E sì caro signor tenente, quando lassù viene presa una decisione quella è e quella deve arrimanere per secoli dei secoli e così sia!…Proprio così!…Pensate che una volta invece della Cavalleria ho sentito cantare grazie dei fiori. Propriamente quella cantata da Nizza Pilli. Apriti cielo! Guardate che m’è successo. Le gambe, le vedete?…Non si sanno più muovere!…Io glielo dico:fateme ‘sto spaccimme de favore…Fetenti, moveteve, moveteve…Ma loro gnente manco pe’ ll’anima di chi gliè stramuorto…E che maniere!…Manco v’avesse chiesto che so na cinquina uscente sulla ruota di Napoli, perché io l’avrebbe giocata subbito. Avrei incarricato a mia moglie…Mò nun ce stà perché lei e le commarelle dicono il rosario, tutti i giorni. E va buo’, vuole dire che quando ritorna si prende i denari e se ne scinne abbasso, va alloco e se la gioca. Scusate, vi volevo addimannare signor tenente, per caso voi venite pure addimani?…No no, non vi disturbate a parlà, basta che fate così con la testa sempre se dite sì…ecco così…E bravo il signor tenente!…Ma anche dopo addimani?…sii? E ma allora voi gli volete veramente bene al qui presente vostro maresciallo Nannarone…Grazie, grazie assai…Sempre agli ordini signor tenente, sempre agli ordini…Ma che dovete andare via? E va buono tanto ci vediamo domani. Io non vi accompagno perché ‘ste fetenzie di gambe non ne vonno sapè…A dimani signor tenente, a dimani…
=…infermiera?…
=Eccomi dottore…
=Ma il paziente della stanza 7 che…
=Ha capito perché le ho chiesto di togliersi il camice? Quel signore quando vede un camice bianco comincia a strillare dicendo che lui non vuole fantasmi in camera sua…Pensi che una volta ha preso la sedia che aveva vicino al letto e me l’ha tirata addosso…Per poco non mi prendeva in testa…
=Mi scusi, ma da quanto tempo è ricoverato in questa clinica…
=Ha ragione…Lei è al suo primo giorno di visita e non può saperlo…Ecco, questa è la sua cartella. Sono già tre anni che sta da noi…
=Va bene…Voglio parlare con sua moglie…
=Quale moglie? E’ morta proprio tre anni fa…Aveva 83 anni…
=E lui quanti ne ha?…
=Ottantotto ed ha una salute di ferro…A parte naturalmente la …la…
=Allora parlerò con un figlio, una figlia…
=Non ne ha mai avuti e non ha un parente neppure alla lontana, così almeno io ho sempre saputo…
=A chi devo riferire com’è andata la…?
=Lo riferisca a me perché lui crede che sia sua moglie…Tanto vale che lo sappia io com’è andata la visita!.

venerdì 15 maggio 2009

seconda ed ultima parte di MIA CARA SORELLA

L’amore per un suo coetaneo ma soprattutto le conseguenze di ciò che era avvenuto in seguito, l’avevano portata a voler intraprendere, lontana dalla sua città natale, tutta un’altra vita. Inoltre, per ironia della sorte, proprio quella sera aveva deciso di voler dare inizio a quella “carriera” e scegliere me come suo primo “cliente”. Mi disse che sia lei che il suo fidanzato appartenevano a due note famiglie benestanti, molto attente al denaro, alla posizione sociale, alla dimostrazione verso chiunque di possedere una moralità superiore agli altri, al rispetto delle convenienze sociali dominanti. Continuò il suo racconto dicendomi che lei, Viviana e lui, Piero, erano follemente innamorati. Un giorno…l’occasione capitò ideale, l’atmosfera giusta…e accadde che i loro sensi ebbero il sopravvento. Le sembrò che stare con lui fosse stata la cosa più meravigliosa del mondo. Poi, un giorno, il dramma. Quando le famiglie seppero che aspettava un bambino scoppiò il pandemonio…”Cosa diranno i parenti…che penseranno gli amici, i conoscenti” e così via. Ma, quello che più l’addolorò fu che il suo adorato Piero sparì come d’incanto… più cercava di incontrarlo, di parlargli e più lui si faceva negare…Era come svanito nel nulla.
Non le lasciarono scampo: tutti pensavano che l’idea migliore fosse quella di disfarsi di suo figlio. Il risultato del suo amore tradito era da buttare via come immondizia, un niente…Nessun scrupolo per quello che le fecero fare, come se non fosse un peccato…anzi era il trionfo dell’onestà. Fu per questo che aveva deciso di andarsene via dalla sua città lasciandosi dietro la vecchia vita, la parte più bella di sè: la giovinezza, le speranze, l’entusiasmo…tutto!
Dopo avermi raccontato la sua storia e confermato di aver preso la decisione di diventare così com’era stata “bollata” dai suoi io cercai di dissuaderla, la pregai, le dissi che era ancora in tempo a restare quella che era, una brava ragazza e che io ero disposto ad aiutarla a trovare un lavoro…a farle conoscere un bravo giovane…Insomma feci del mio meglio per farle cambiare idea, ma non ci fu niente da fare: ormai aveva deciso. Volevo insistere ancora ma lei mi pregò di non farlo e mi chiese di poter fare una doccia. Le indicai dov’era il bagno e le dissi che se desiderava mettersi addosso qualcosa di pulito, poteva recarsi nella stanza lì vicino e indossare tutto ciò che voleva. Mentre preparavo qualcosa da bere per entrambi sentii suonare alla porta e mi chiesi chi fosse, dato che non aspettavo nessuno. Appena aperto si fece largo per entrare mio suocero, tutto trafelato, il quale di gran fretta m’invitò nuovamente ad uscire con lui perché, così affermò, “attualmente” si trovava sprovvisto di denaro. Ritornò anche sull’argomento delle due “signore” che ci stavano aspettando. Gli confermai che non ne avevo alcuna voglia ma che comunque se avesse avuto bisogno di un prestito, glielo avrei fatto volentieri. Quando stava per andarsene, Viviana uscì dal bagno, senza la parrucca bionda e senza trucco, capelli cortissimi, a piedi scalzi, con un mio pigiama addosso: completamente diversa dalla Viviana di prima. Ora sembrava un ragazzo, tanto che a mio suocero non parve vero lanciarmi addosso una serie d’insulti, d’insinuazioni d’ogni specie, di accuse di tradimento nei confronti della propria figlia,ecc. Insomma ci fu il più disgustoso dei litigi nel corso del quale i miei tentativi di spiegazioni si rivelarono piuttosto inutili.
Al culmine della discussione squillò il telefono ma non feci neppure in tempo a dire =pronto= che sentii la voce di Enrico, un mio ex compagno di lavoro ed amico, il quale =avvisava che per quella sera era tutto fermo; che avrebbe richiamato il lunedì successivo e che si sarebbe trattenuto ancora cinque minuti al bar sotto casa mia, poi avrebbe portato Moby Dick a lavorare!= Lì per lì, stentavo di capire quello che stava dicendo, ma approfittai subito della sua telefonata per trovare una soluzione al mio problema Mi stava venendo in mente un’idea. Gli dissi di salire subito perché dovevo chiedergli un favore. Lui, un po’ imbarazzato acconsentì. Chiamai Viviana in disparte e le dissi che non volevo liberarmi di lei ma che era meglio per il momento andare a casa del mio amico Enrico che stava per venire a prenderla. Le assicurai che più tardi sarei andato a trovarla per poi decidere insieme sul da farsi.
Dieci minuti dopo entrarono Enrico e Moby Dich, una “ragazza” che doveva il suo soprannome al suo aspetto piuttosto giunonico. Come se non bastasse era talmente sguaiata e volgare che mostrava in maniera evidente quale professione esercitasse. In quel frangente non mi rendevo conto come stavano realmente le cose, pensavo soltanto che dovevo salvare la faccia davanti a mio suocero e nello stesso tempo cercavo di aiutare Viviana a salvarsi da quella pazzesca decisione che aveva preso. Raccontai ad Enrico qualcosa che m’inventai al momento e lo pregai di occuparsi di Viviana soltanto per qualche ora in modo da sistemare le cose con mio suocero. Entro poco tempo sarei andato a casa sua e avrei pensato io al da farsi. Lui, meravigliandomi non poco, accettò entusiasta e mi disse di stare tranquillo. Non appena spiegai la mia intenzione a Viviana, lei si rifiutò categoricamente di andare con Enrico: mi disse che aveva paura. Aveva la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava nell’atteggiamento sia di Enrico che di mio suocero. Intanto mi chiedevo come fosse possibile che io non mi accorgessi di quello che stava accadendo o che era accaduto. Improvvisamente ripensai a certe coincidenze e a certi fatti. Come mai dopo così tanto tempo Enrico si rifaceva vivo telefonando a casa mia, facendo un numero che lui non poteva conoscere dato che eravamo lì soltanto da un paio di mesi?. Volevo una risposta così lo misi alle strette, lo minacciai e venni a sapere cose ignobili, orribili, che non avrei mai immaginato potessero accadere.
Moby Dick, proprio lei mi aprì gli occhi. Mi disse chi era in realtà Enrico:un protettore, uno sfruttatore di prostitute tra le quali c’era anche lei, che era “scesa di grado” rispetto a Sandra…pensa, proprio Sandra, mia moglie!
Venni così a scoprire che la mia dolce mogliettina era diventata la favorita e faceva il “mestiere” in un appartamento vicino casa della sorella, la quale era stata coinvolta nella lurida faccenda, naturalmente dietro lauto compenso, per coprire le assenze di Sandra da casa mia nei fine settimana. Il tutto con la partecipazione anche di mio suocero che era a perfetta conoscenza dei fatti. L’unico a non aver mai capito e saputo nulla ero io:un ingenuo ed anche un imbecille. Man mano che venivo a conoscenza di tutte quelle brutture mi resi conto che dovevo sentire anche la versione di Sandra e la chiamai al telefono dalla sorella: ormai sapevo come era stata organizzata tutta la faccenda. Si presentò dopo una mezz’ora e, senza fare una piega, dopo che io le dissi che ormai ero a conoscenza della sua doppia vita, non si perse d’animo anzi, con una sfrontatezza senza pari mi disse chiaro e tondo cosa ne pensava di me. Mi distrusse letteralmente ed io persi la testa. Infuriato e senza più remore coprii d’insulti sia Sandra che Enrico e mio suocero. Ero imbestialito e non riuscivo più a trattenermi. Viviana, che fino a quel momento aveva assunto un atteggiamento prudente restando al di fuori di quell’ignobile situazione, cercava di calmarmi ma non ci riusciva. Tra l’altro veniva persino insidiata da quel farabutto di Enrico che intendeva convincerla a far parte della sua “corte” ottenendo un netto rifiuto. Ad un certo punto, io non ne potei più. Con fare minaccioso scacciai tutti di casa e poi mi accasciai su di una poltrona privo di forze e di volontà. Mi sentii battere sulla spalla, era Viviana che era rimasta per cercare di aiutarmi ad affrontare quella brutta faccenda. La ringraziai e le chiesi, anzi la pregai, di restare con me. Lei però, era ormai decisa a voler intraprendere la strada che aveva scelto e mi disse dolcemente che non sentiva di essere la persona adatta a risolvere i miei problemi. Aggiunse che non intendeva darmi delle delusioni, che ormai aveva deciso e che non voleva tornare indietro. Si riteneva una donna che non poteva più dare amore nel vero senso della parola ma soltanto offrire se stessa per soldi e aggiunse persino che avrebbe accettato che io divenissi il suo protettore. Le affibbiai uno schiaffo pentendomene subito dopo. Lei non battè ciglio. Con le lacrime agli occhi, dopo un po’, mi disse che sarebbe andata in camera da letto: mi avrebbe aspettato ma…voleva essere pagata. Aggiunse poi che potevo stare tranquillo perché in seguito allo spiacevole “incidente” con il proprio fidanzato, i medici, dietro richiesta della sua famiglia, avevano fatto in modo che lei non potesse mai più avere figli. Tutte queste cose mi fecero perdere definitivamente la testa. Sentivo che stavo scoppiando e non capivo più cosa stesse succedendo, sentivo solo che mi stava crollando il mondo addosso. Follemente lucido andai in fondo alla stanza, presi la rivoltella, mi misi di fronte a Viviana che non ebbe il tempo di capire e reagire e cominciai a sparare. Un colpo, due, poi altri, con estrema lentezza, finchè quasi con ferocia le scaricai addosso tutti i colpi. Dopo che Viviana cadde a terra, andai al telefono, alzai il microfono e formai il numero 113. Quando mi risposero, diedi loro il mio nome, il mio indirizzo e li informai che avevo ucciso una persona. Mi chiesero chi avevo ucciso ma io, in preda forse ad un delirio, non seppi dire chi avevo ucciso e riattaccai. Poi presi in braccio Viviana, la adagiai sul divano e la accarezzai mormorando lentamente Sandra…Viviana…e poi ancora…Viviana… Sandra…Non riuscivo a rendermi conto di chi avrei voluto uccidere e chi in realtà avevo ucciso. Venne la polizia e tu sai come andò a finire.
Di tutto questo desideravo che tu fossi informata, ecco perché ti scrivo..
Ti saluto con molto affetto e, soltanto se tu lo desideri, ogni tanto ricordami. Tuo fratello.

martedì 12 maggio 2009

MIA CARA SORELLA - (Prima parte)

Tramite Don Ruggero, il cappellano del carcere di Rebibbia a Roma, spedisco questa mia lettera all’Ambasciata d’Italia, lì in Canberra-Australia, dove spero che i funzionari riescano a trovare te e la tua famiglia perché qui, dall’Italia, non siamo riusciti a scoprire un tuo preciso indirizzo Credo ti chiederai come mai, dopo tanto tempo, cerco di mettermi in contatto con te. Ho trascurato di farlo prima, quando ne avevo l’opportunità, perché ho sempre pensato che tu provassi vergogna per me. Ma, credimi, la lettera che ti sto scrivendo non è fatta per chiederti aiuto o qualcosa del genere. Desidero soltanto sapere qualcosa di te…se stai bene…com’è la tua famiglia …non desidero altro…Di me, se t’interessa saperlo, posso solo dirti che, purtroppo, sono ancora vivo.Oggi finalmente esco. Dopo 33 lunghissimi anni di “galera” che ho volutamente scontati… esco. Dove andrò?…cosa farò?…qualcuno mi riconoscerà adesso che ho superato i 67 anni d’età? Non lo so e nemmeno m’ importa saperlo.Sarei potuto uscire molte volte in permesso per buona condotta…ma non l’ho mai chiesto. Avrei potuto usufruire degli arresti domiciliari ma non ne ho mai fatto richiesta. Qualcuno mi aveva consigliato di chiedere la grazia…di fare domanda per l’indulto e ho rifiutato. Il processo al quale fui giustamente sottoposto per il mio reato si chiuse con la comminazione a mio carico della pena dell’ergastolo. All’epoca non avevo e non volli chiedere l’assistenza di un avvocato…ero colpevole e meritavo la pena. La legge però, prevedeva un difensore d’ufficio , coaì me ne affidarono uno che ce la mise tutta, ma io non avevo voglia di collaborare ed ero refrattario a voler fornire qualsiasi ragione, per cercare di giustificare ciò che avevo commesso. Ti racconto tutto questo perchè all’epoca del fatto tu eri poco più che adolescente e, non essendoci più né i nostri genitori, né altri parenti, in seguito mio arresto tu rimanesti sola. Facesti bene ad accettare, benché così giovane, di sposarti e di emigrare in Australia. So che hai cercato più volte di volermi incontrare ma io non ho mai voluto vederti perché non volevo che tu fossi coinvolta nella mia dolorosa vicenda e, lo ammetto, ho cercato di dimenticarti e di farmi dimenticare da te. Come vedi, non ci sono riuscito e sono qui a scriverti con la speranza che tu mi possa un giorno leggere…Il nostro è un legame di sangue che non deve, per nessuna ragione, turbare la tua tranquillità e quella della tua famiglia, perciò spero di non essere troppo invasivo nel tentare di contattarti. E’ vero pure che non hai mai potuto sapere tutti i particolari dei fatti di allora ma oggi, visto che hanno deciso di mettermi in libertà dopo aver scontato una notevole parte della pena inflittami, sono qui a cercare di spiegarti perché è successo quello che è successo. Il momento (…) in cui avvenne probabilmente lo ricorderai ma…ti prego di dimenticarlo. Quando entrambi i nostri genitori morirono malauguratamente in quel pauroso incidente io, già sposato con Sandra, decisi di venire ad abitare nella nostra vecchia casa, in paese altrimenti tu, tanto giovane, saresti rimasta sola. Qualche mese dopo, costrettovi dall’insofferenza di Sandra che non ne voleva più sapere di abitare lì perchè il suo unico desiderio era quello di vivere a Roma io, per quieto vivere ma anche per la debolezza del mio carattere, decisi di accontentarla. Insieme con te decidemmo di vendere un grosso pezzo del terreno che ci avevano lasciato i nostri genitori ma non la casa per la quale nutrivo un grande attaccamento come credo anche tu. La stessa ditta che acquistò il terreno, una piccola fabbrica di mobili, mi prese alle proprie dipendenze come falegname, l’unico mestiere che sapevo fare… Io accettai di buon grado il lavoro giacchè potevo così continuare ad occuparmi anche della nostra casa. Così pian piano riuscii a ristrutturarla discretamente. Trasferiti a Roma tu, anziché venire ad abitare con noi due,dopo compresi il perché, pensasti bene di andare a stare dalla nostra unica nonna rimasta in vita:la mamma di nostro padre. Avevo sistemato le cose in modo che noi potessimo trascorrere insieme tutti i fine settimana nella nostra casa di campagna. Ma non andò come pensavo come tu ben sai anche se non conosci tutti i particolari che cercherò adesso di riferirti. Per tutto il periodo in cui sono stato sposato ho dovuto ingoiare rospi su rospi, ma ho sempre cercato di salvare il salvabile perché ero realmente e sinceramente innamorato di Sandra. Ancora oggi non riesco a comprendere il radicale cambiamento del suo atteggiamento nei miei confronti ed in quello dei miei parenti o dei miei amici. Quando ci conoscemmo non era così come poi è diventata e per di più in brevissimo tempo. Io riconosco di essere rimasto sempre un provincialotto, un bonaccione, se vogliamo anche un ingenuo nonchè un amante del quieto vivere tanto da essere giudicato da lei un essere senza spina dorsale. Così ogni giorno, di mattina di buon’ora, prendevo il treno e da Roma andavo in fabbrica a lavorare. Facevo una cinquantina di minuti all’andata ed altrettanti al ritorno, dal lunedì al venerdì. Il sabato e la domenica volevo trascorrerli in paese, con Sandra naturalmente, ma questo fu possibile soltanto per qualche mese perché lei, in quei fine settimana, voleva andare a Roma, a casa della propria sorella. Per quattro o cinque volte andai con lei ma capivo che non c’era dialogo sia tra di noi che con la famiglia della sorella e la noia aleggiava sovrana. Cercai in ogni maniera di convincere Sandra a stare insieme con me in quei due giorni liberi ma ogni volta che glielo chiedevo sorgevano discussioni. Non avere avuto figli nostri è stata una delle cause dei continui diverbi. La colpa di ciò era di entrambi quindi ce la rinfacciavamo continuamente. Lei usava questo pretesto per andarsene tutte le settimane dalla sorella che aveva due bambini. Che potevo obiettare io?…nulla…o forse avrei potuto e dovuto. Quel maledetto venerdì tornai a casa dal lavoro molto prima del solito, a metà pomeriggio. In fabbrica si era verificato un guasto all’impianto elettrico e così si fermarono i macchinari, gli operai, insomma tutto, perciò rientrammo anticipatamente a casa, tanto fino al lunedì successivo non si poteva riparare niente. Appena rientrato, cercando di essere il più allegro possibile, notai Sandra già vestita che stava accingendosi a dare gli ultimi ritocchi al suo aspetto e che al mio apparire mi guardava con un misto di sorpresa e di timore. Le chiesi se le faceva piacere venire al cinema e poi anche a cena in un ristorante a sua scelta ma rifiutò subito. Le confessai anche che, già da qualche tempo, in seguito ad altre discussioni, specialmente quando lei finiva per uscire ugualmente nonostante le mie preghiere io, in uno di quegli infiniti giorni di solitudine, avevo pensato al suicidio. A quel punto le mostrai una pistola che avevo acquistato tempo prima. Ebbene…alla vista di quell’arma lei, per nulla intimorita, cominciò a coprirmi d’insulti e a deridermi. Poi, prendendo le chiavi della macchina e avviandosi per uscire da casa, mi salutò dicendomi che sarebbe rientrata il lunedì successivo. Rimasto solo ebbi una crisi di sconforto…Mentre pensavo e mi chiedevo che cosa avrei potuto fare per cercare di migliorare la situazione sentii suonare alla porta. Quando l’aprii vidi che era mio suocero, il padre di Sandra, un tipo piuttosto particolare, un vedovo che pensava solo a divertirsi, malgrado la sua non più verde età. L’unica sua occupazione era quella di trascorrere più tempo possibile con amicizie femminili di dubbia moralità. Naturalmente giustificava la propria figlia. Mi disse che in fondo lei non aveva tutti i torti a voler vivere la propria vita godendosela nel miglior modo possibile. M’invitò a seguirlo perché aveva in animo di trascorrere la serata in compagnia di due “signore” di sua conoscenza e perché aveva capito che, secondo lui, in quei momenti io dovevo reagire, divertirmi, evadere. Rifiutai non per voler fare il moralista ma perché ritenevo di non avere lo spirito giusto per certe avventure. Dovevo evadere…ma da cosa? Da me stesso?… dal dolore?… dalle speranze?… oppure dagli altri?. Dopo queste amare riflessioni decisi di uscire da casa. Senza neppure accorgermene constatai di aver percorso un notevole tratto di strada quindi, vedendo poco lontano un parco, ne approfittai per sedermi in una panchina. Data l’ora tarda non c’era quasi nessuno ma all’ombra di uno dei lampioni che davano anche sulla strada mi accorsi che accanto ad un fuoco acceso c’era una donna, bionda, vistosamente truccata. A gesti ben comprensibili ma con un atteggiamento non volgare né improntato all’equivoco, era intenta a respingere con dinieghi di testa e di mano le evidenti proposte che le rivolgevano alcuni individui al volante delle proprie auto. Non comprendevo bene l’accaduto ma m’incuriosiva l’atteggiamento di quella persona. Ad un certo punto mi accorsi che anche lei mi guardava tanto che i nostri sguardi s’incrociarono. Lei, dopo un attimo d’esitazione mi chiamò con un gesto della mano…un gesto gentile, dolce, un qualcosa tra il saluto e il richiamo. Io, un po’ timido e un po’ impacciato, dopo essermi sincerato che quel gesto era rivolto proprio a me, mi avvicinai. Ci guardammo, notai che era molto più giovane di quello che credevo. Scambiammo qualche parola, mi disse come si chiamava e io feci altrettanto, poi lei mi prese la mano e mi chiese se poteva venire a casa mia. Ancora oggi continuo a chiedermi perché dissi di sì. Entrati in casa ce ne restammo seduti in poltrona per diverso tempo raccontandoci le rispettive storie. Venni così a conoscere che la sua vicenda era più tragica della mia e nello stesso tempo ugualmente triste. (fine della prima parte)

venerdì 8 maggio 2009

SOSTA GRATUITA

Passo da quella piazza ormai da circa dieci anni eppure non me ne sono mai accorto.
Fino a qualche giorno fa.
La piazza in questione ha un giardino quadrato che è opportunamènte chiuso di notte, e che è delimitato, per tutti e quattro i lati, da altrettanti grossi edifici, tre dei quali sono riservati ad attività commerciali e abitazioni, il quarto invece, il più grande di tutti, è uno stasbile statale adibito ad uffici. Proprio quest’ultimo, è contornato da un largo marciapiede, accanto al quale sostano numerose autovetture, parcheggiate a spina di pesce, debitamente provviste del ticket pagato per la sosta. TUTTE MENO UNA.
L’ho constatato dopo qualche giorno e spiego come e perché.
Passando ogni mattina in quella piazza e costeggiando le autovetture ho visto, sempre parcheggiata nel medesimo posto, l’unica auto sprovvista di ticket, una panda di colore blu scuro con tutti i finestrini, parabrezza e quello posteriore compreso, interamente oscurati dall’interno da pezzi di cartone d’imballaggio perfettamente sagomati.
E la peppa! E come mai?
La cosa mi è parsa strana, anche perché sul marciapiede, proprio davanti alla “panda cartonata e oscurata” e alle altre autovetture lì accanto parcheggiate, ho notato una notevole quantità di cose fuori luogo: un materasso, alcune coperte, due o tre cuscini, una sedia, un tavolino pieghevole, un piccolo mobiletto e altro ancora. Tutto in precarie condizioni, ma accuratamente sistemato sotto il cornicione, probabilmente per proteggere quel materiale dalla pioggia.
Una settimana fa, passando nella stessa piazza e vedendo che non c’era nessuno intorno all’auto, spinto dalla curiosità mi sono avvicinato e ho cercato di guardarci dentro: nulla. Mentre stavo per allontanarmi ho dato, per caso, una sbirciatina alla targa posteriore e ho visto che l’auto aveva una targa tedesca.
E la peppa un’altra volta! E che vuol dire?
A quel punto ho deciso che dovevo andare in fondo alla questione.
L’indomani ripasso di lì ad un’ora diversa del solito e che vedo? Lo sportello dalla parte del passeggero della panda aperto e, seduto sul sedile con il corpo mezzo dentro e le gambe penzoloni di fuori, un anziano signore di circa 70 anni, lineamenti rubizzi, basco nero in testa, maglione e calzoni pesanti, senza cappotto. Teneva in mano una sorta di zuppièra in metallo dalla quale prelevava qualcosa che con molta calma portava alla bocca e masticava. Intorno a lui una ventina tra gatti e piccioni i quali, placidi e beati, banchettavano in sua compagnia. Non so perché m’è venuto in mente San Francesco.
Prudentemente ho osservato tutta la scena dal marciapiede opposto, ma sembrava che al “pandista” importasse poco o niente di chi passava e guardava.
Curioso come sono devo assolutamente saperne di più. Magari, a questo punto, qualcuno potrebbe dirmi: ma fatti i cavoli tuoi.
Quel giorno stesso, di pomeriggio, mi vedo con un vecchio amico che abita a non più di una ventina di metri dalla panda e dal suo occupante.
Gli chiedo:
=Giova’, dimmi un po’, sai dirmi qualcosa di quella panda posteggiata vicino casa tua e che vedo lì da qualche tempo, sempre allo stesso posto?…
=Ah quella? Niente d’importante…
=D’accordo, ma a me sembra che ha una targa della Germania e che…
=Ah, sì, ma non dà fastidio a nessuno…
=Io non sto dicendo che dà fastidio, ti chiedo soltanto, se lo sai, che ci fa lì parcheggiata quella panda da chissà quanti giorni e a chi appartiene, visto che ce l’hai quasi sotto le finestre di casa tua…
=Bè è una cosa lunga…
=Lunga quanto?
=Mah, credo più di cinque o sei anni..
=E la peppa!
=Chi è?
=Chi è chi?
=La peppa
=Senti Giova’, va bene che hai quasi novant’anni e ti devo portare rispetto, però non abusare della mia pazienza…
=Ma dài, stavo scherzando…
=Tu scherzi, ma non mi dici niente della panda e di un tale che, stamàni, seduto metà dentro e metà fuori, mangiava insieme a gatti e piccioni…
=Calmati, calmati…adesso ti spiego qual’ è la situazione…
=Volesse il cielo…
=Vuole, vuole…Le cose stanno così…Ci siamo abituati tutti qui intorno a vedere il tedesco che vive dentro quella panda…
=Scusa Giova’, ma in quella macchina come fa a viverci una persona e pure d’una certa età, presumo…
=Ti spiego subito…Quando è inverno, o fa freddo anche se è autunno o primavera, lui dorme benissimo in macchina e ci sta anche comodo perché l’ha sistemata a dovere…Invece d’estate, o quando la temperatura lo permette, lui preferisce dormire e mangiare all’aperto…
=Ma dove?
=Di fronte alla panda. Avrai visto che uno spazio è occupato da tutto il necessario per dormire…
=L’angolo camera da letto…
=Bravo! Lo spazio accanto, quello dove c’è un tavolino, una sedia e…
=L’angolo camera da pranzo!
=Bravissimo!
=Un corno…Ma come fa, dico io, per le altre necessità tipo cucinare, andare al bagno…
=Nessun problema…lui non cucina…
=E che fa? Mangia crùdo?
=Ma quale crùdo…Ogni giorno lui va lì…sai? a quel convento di suore che…
=Sì, sì…
=Bene…Lì chiunque va a bussare, negli orari prefissati, ottiene gratuitamente un pasto caldo a colazione, pranzo e cena…
=Aaah!...Ecco! Il vitto è assicurato…
=Già e…
=L’alloggio pure, ho capito, ma…il bagno?
=E dov’è il problema?
=Non lo so, dimmelo tu…
=Qui vicino ci sono quei due bar che tu ben conosci…lui suddivide equamente le sue necessità…un giorno da uno e il giorno dopo dall’altro…
=E così anche questo l’ha risolto. Però, dico io, avrà pure altre necessità e per risolverle che fa, vive di rendita, chiede l’elemosina oppure…?
=Niente, niente, non ha mai chiesto soldi a chicchessìa.
=Strano…Ma, scusa, possibile che nessuno gli abbia mai detto e chiesto niente…che so, polizia, vigili urbani, ausiliari del traffico che si occupano dei parcheggi a pagamento?..
=E che bisogno c’è?...
=Ah!noo? Per esempio, come fa per il ticket sulla sosta? Quello è un posto precario
=Ma che scherzi? Quello è un posto fisso: SOSTA GRATUITA A TEMPO INDETERMINATO!

lunedì 4 maggio 2009

IL CORRIDOIO

Chiamasi corridoio l’ambiente di forma allungata che permette l’accesso indipendente alle varie camere e mi sembra una definizione esatta. Però bisogna anche pensare alla sua reale funzione! Nella casa dove attualmente abito (non di mia proprietà, purtroppo) ne esiste uno che, unito all’ingresso, forma una “L” capovolta e misura 15 metri di lunghezza circa per 1 metro e 25 centimetri di larghezza sempre circa. Ha una sua storia e vive di una vita interessante. Lo percorro ormai da oltre 40 anni ed ha avuto dei momenti quasi “storici”. Quando nel 1969 noi entrammo in questa casa mio figlio, di circa dieci anni, decise che quello poteva benissimo fungere da “pista” per le sue corse con i pattini a rotelle. A parte il fatto che con il rumore che faceva teneva sveglio l’intero palazzo specialmente se si “allenava” nelle ore meno opportune (approfittando della mia assenza quando io ero fuori per lavoro!) sono certo che ha contribuito notevolmente ad accelerare la “dipartita” di un noto uomo di spettacolo (degli anni’30-’40-’50) abitante al piano sottostante il nostro appartamento. L’interno 1 del nostro fabbricato era, all’epoca, affittato appunto a Bixio Ribechi – attore comico di varietà, autore, anche musicista credo – ed alla sua consorte (?) – una volta bellissima subrettina e attrice giovane. Il Bixio era sì abbastanza in là con gli anni ma se il “bravo figliolo” avesse smesso prima le sue scorrerie, il “bravo comico” poteva stare ancora un po’ di più fra noi. Il suo funerale, al quale assistemmo dalle nostre finestre, fu molto bello e affollato da numerosa gente dell’ambiente teatrale ed anche da qualche giornalista. La sua consorte si dedicò per qualche anno all’attività di noleggio di costumi carnevaleschi, fino a che le fu possibile.
Negli anni successivi il corridoio che poteva quasi definirsi un “vialetto di passeggio” visse alcuni momenti di notorietà…
- Fine estate 1971 (o 1972?): mentre si stavano effettuando i lavori per la Metro A si verificarono alcune notevoli crepe nel muro e nel tetto sia nel corridoio del nostro appartamento che di quelli posti nella stessa ala del palazzo. Intervennero tecnici, vigili urbani, vigili del fuoco, agenti di PS ed altri funzionari…In poche parole ci dissero che prima di sera dovevamo trasferirci in un altro alloggio più sicuro (e dove?) o in albergo a spese dell’amministrazione comunale. Vennero effettuati vari accertamenti ma dopo qualche conciliabolo ci dissero che potevamo rimanere nelle nostre case, sia a noi che agli altri inquilini. Tirammo un sospiro di sollievo anche se non eravamo molto tranquilli ma le crepe non si allargarono. Qualche tempo dopo la Società della Metro inviò degli operai per i lavori di riparazione e di tinteggiatura con spese, in parte, a suo carico. Trascorsi un paio d’anni…“tremate le crepe son tornate” e tuttora sono lì…però il fabbricato sta ancora in piedi. Durante il periodo di quei lavori io ne ho approfittato per andarmene in vacanza al mare!.
- Periodo giugno 1975-novembre 1998 il mio corridoio ha potuto godere del transito, per circa sei o sette volte, dei bravissimi operatori del 118 che con i loro attrezzati veicoli bianchi con strisce rosse
son dovuti venire di corsa a prelevarmi per i capricci del muscolo più importante del mio corpo –
tic tac…tic tac...tic tac.
- Per una quindicina di anni il corridoio si è reso utile a Micia, la gatta di casa nostra, la quale si era specializzata in numerosi “salti in alto” balzando a velocità supersonica da un muro all’altro del suddetto gratificandolo altresì di un elevato numero di “graffiti felini”(tuttora esistenti…lei non più).
- Successivamente, per oltre tredici anni, il corridoio era diventato la meta prediletta di Birilla, la gatta di mia nuora, di mio figlio e delle mie due nipoti. Sì perché quando la famigliola, dopo aver lavorato e studiato tanto si prendeva e si godeva giustamente le sue meritate vacanze, “ella”, cioè Birilla, veniva a farsi la sua villeggiatura a casa mia. Inizialmente se ne stava un po’ malinconica ma poi, col passare non dico dei giorni ma delle ore, si cominciava a sentire a suo agio e placidamente se la dormiva soprattutto dopo che la ricoprivo di “coccole” (ordini perentori ricevuti dall’intera famigliola in vacanza). A fine settembre del 2007 anche lei ci ha lasciato.
Attualmente il corridoio funziona anche da “ viale della salute” in quanto io e mia moglie lo percorriamo anche più volte per il post-pasto e non solo. Quando Birilla stava da noi ci seguiva (così come faceva anche Micia) forse pensando ad una “regola della casa” da osservare scrupolosamente tutti i giorni. A volte mi è venuta la fantasia di metterci un paio di panchine e quattro o cinque piante da appartamento, abbastanza grandi, per far sembrare il tutto un vero e proprio viale di un parco anziché un CORRIDOIO!