martedì 29 settembre 2009

ottava ed ultima puntata de L'ANNIVERSARIO

“Certo, finalmente sono riusciti a coronare quello che era il loro sogno. E Mimma?”
“Lei sta ancora a casa con me: te la ricordi casa mia vero? Me l’hanno lasciata i nonni e noi non
abbiamo voluto venderla anche se è così grande per me e per Mimma: lei benché abbia più di ottant’anni riesce a tenerla linda e pinta come quando era più giovane”
“Mimma! Tu non hai idea di quanto sia stata d’aiuto a me ed a tua madre, grazie a lei ed anche a Roberto, il tuo padrino, abbiamo potuto trascorrere i più bei momenti della nostra vita”
“In uno dei quali naturalmente sono spuntata io”
“E’stato un crudele destino il nostro, prima la gioia per la tua venuta al mondo poi il tremendo dolore per la scomparsa di tua madre”
“Che cosa ricordi di lei?”
“Tutto, ogni minima cosa: la sua bellezza, la sua dolcezza specie nei momenti più intimi, la sua
testardaggine nel volerti far nascere ad ogni costo anche sapendo che rischiava la morte, come poi è successo. Era anche un’ottima pianista. Lo suoni anche tu il pianoforte?”
“No, ho tentato con qualche lezione ma evidentemente non faceva per me. Comunque si trova sempre a casa, non abbiamo mai voluto disfarcene”
“Nel salone accanto la finestra vero?”
“Sì, te ne ricordi ancora?”
“L’ho visto il primo giorno che ho conosciuto tua madre ed accanto al quale abbiamo avuto la prima lunga conversazione della nostra vita ma, adesso, posso esaudire il mio desiderio più grande e a lungo sognato?”
“Quale?”
“Vorrei abbracciarti, soltanto se tu credi di…”
Antonella, sorpresa, ebbe un breve momento d’indecisione ma poi si tuffò piangendo nelle braccia di suo padre. Trascorsero alcuni momenti così, l’uno abbracciato all’altra, singhiozzando e cercando di dirsi tutto in quel breve lasso di tempo. Dopo un po’, con grande sforzo, si ricomposero e ripresero a parlarsi più tranquillamente
“Poco fa mi hai sventolato davanti agli occhi una tessera della polizia ma che vuol dire?”
“Vuol dire che la mia professione è quella di ispettore di polizia, no “ispettrice” eh!”
“Hai ereditato da tuo nonno la volontà di fare questo lavoro?”
“No, invece pensa che prima avevo scelto di iscrivermi in Università alla facoltà di filosofia,come te e poi, pensando che mi poteva tornare più utile, sono passata a giurisprudenza e quindi a fare la poliziotta e così fare di tutto per riuscire a trovarti.”
“Brava, un po’ di testardaggine come tua madre ti è stata utile. Ti sei sposata, fidanzata?”
“No, no, niente di tutto questo”
“Ti incontri con qualcuno?”
“Veramente mi scontro con qualcuno”
“Che significa?”
“Beh sarebbe una lunga storia ma te la riassumo: lui, si chiama Luca, è purtroppo un ottimo avvocato penalista e sta dall’altra parte della barricata perché io contribuisco ad acciuffare alcuni delinquenti e lui riesce a farli uscire di galera difendendoli in Tribunale. E’ talmente bravo che per quanti clienti è riuscito a procurarsi non abbiamo molto tempo da trascorrere insieme”
“Ah ma allora hai incontrato un “qualcuno” !”
“Beh come si può dire? Qualche volta cerchiamo di coesistere e qualche volta, per cause di lavoro, litighiamo: ha qualche anno più di me e riconosco che è un bell’uomo con molti pregi ma ha anche dei difettucci”
“Non possiamo essere perfetti”
“Certamente no e comunque Luca fa del suo meglio per correggerli ed in realtà sono io ad essere
forse un po’ troppo esigente: te lo farò conoscere”
“Mi farà senz’altro piacere”
“Anzi, facciamo così: chiederò a Mimma di preparare una cena per …giovedì prossimo. Va bene per te? Così rivedrai Mimma e farò venire anche Luca, insieme quei due faranno salti di gioia”
“D’accordo per giovedì sera”
“Adesso scusami un momento che debbo dire qualcosa ai due miei colleghi che stanno qui sotto
davanti il tuo portone”
“E’ la tua squadra?”
“Sì, lavoriamo insieme da parecchio tempo ma sono due giovani di ventitre e ventiquattro anni”
“Devono essere speciali per poter andare d’accordo con te”
“Già, tu hai fatto in fretta a capire che soggetto sono”
“Perché per molti versi assomigli a tua madre”
“La stessa opinione di Roberto e Mimma. Pronto Esposito? Bordarin? Pronto? Che fate, dormite?”
“Nient’affatto, studiavamo la situazion”
“Anche Esposito, oppure lui sta studiando in una situazione più comoda, magari col sedile reclinato?”
“Ma quando mai ispetto’! Io stongo cà co l’uocchie aperte e vigilo”
“Va bene, d’accordo, potete pure tornare in Commissariato: io vi raggiungo più tardi e dite al
capo che gli farò un dettagliato rapporto”
“Servo vostro ispetto’, stateve buono, ma al passero ci potete pensare da sola?”
“Tranquilli, tutto a posto, penso che il passero non sia più solitario. Ci vediamo dopo”
“Antonella? Cè un piccolo bar qui vicino che fa un ottimo caffè, vuoi venire anche tu?”
“Senz’altro papà. Oh, mi è uscito spontaneo e non so come!”
“Mi hai reso enormemente felice, questa è la seconda volta nella mia vita che sento quella parola, mi manca da troppo tempo, da quando - come saprai - mio figlio aveva imparato a dirla da poco tempo e poi, invece…”
“Sì, Mimma me l’ha detto, mi ha parlato del tuo bambino, dell’incidente ed anche di tua moglie,
ma io quella parola non l’ho potuta mai usare ed è stato come se volessi colmare un vuoto”
“Non mi dispiacerebbe se lo facessi di nuovo. Adesso andiamo”
Quel giovedì sera l’incontro tra Mimma ed Armando fu commovente fino alle lacrime e soltanto
dopo un bel po’ di tempo Luciana riuscì a presentare al padre l’avvocato Luca il quale, cercando
di risollevare il morale di tutti, disse:
“Oh ecco finalmente il mio caro suocero misterioso”
“Alt Luca, ascoltami bene, tu sei riuscito a commettere tre grossi errori in una così brevissima
frase: primo non c’è niente di tuo, secondo non è ancora tuo suocero e terzo non è misterioro
ma è il mio papà e si chiama Armando”
“Posso almeno salutarlo Professor Armando e chiedergli se vuole diventare mio suocero?”
“Non dipende da me, devi chiederlo a lei, per ora preferisco che tu mi chiami soltanto Armando”
“Visto Antonella? Tra uomini ci si comprende al volo”
“Luca adesso piantala e andiamo a tavola altrimenti Mimma ci lincia”
La cena, interminabile per vari motivi, fu il trionfo dell’arte culinaria di Mimma e lei si sentiva ammirata come una regina; poco prima di mezzanotte giunse il momento del commiato: Luca fu il primo a scusarsi ma fattosi così tardi lui confessò - punzecchiato da Antonella - di essere stanchissimo sia per le udienze in Tribunale sia per i numerosi clienti che aveva dovuto ricevere in studio.
Poi toccò ad Armando che volle ancora abbracciare Mimma ed Antonella ma quando stava per uscire la figlia lo fermò e gli disse:
“Papà, in questi giorni io e Mimma abbiamo parlato a lungo di te ed abbiamo pensato, insieme, di chiederti se ti andava di venire a vivere con noi: aspetta, aspetta, non rispondere subito. Qui, lo
sai, c’è molto spazio vuoto: avresti la tua camera e la tua libertà di accogliere gli studenti che vuoi nello studio che era di mio nonno”
“Se vengo a stare qui da voi, e non lo escludo del tutto, non desidero lavorare nello studio di una
persona che, mi dispiace per lui e che riposi in pace ovunque si trovi, non è stato un padre degno di tua madre né un uomo per il quale avere rispetto. Non voglio scendere in dettagli ma se mi torna in mente soltanto il pensiero della scenata che mi impose un maledetto giorno prima che tua madre ci lasciasse…Beh credimi, diventerei una belva furiosa!”
“Ho conosciuto il nonno e purtroppo per sedici anni ho dovuto sopportare il suo caratteraccio, perciò ti capisco, però pensa a quello che Mimma ed io ti abbiamo chiesto e dimentica il resto”
“Lo farò. Per adesso un abbraccio”
Mimma lo fermò e ad Armando e Antonella disse:
“Il tredici settembre abbiamo celebrato l’anniversario della morte della nostra cara Luciana: credo che lei da lassù ha voluto trasformarlo in una bella festa. Sono veramente felice che sia finita così: quando verrà il momento per me di raggiungerla sarò molto più allegra e credo che ci faremo delle gran risate.”

domenica 27 settembre 2009

settima e penultima puntata de L' ANNIVERSARIO

“Ispetto’ mi sentite? Andiamo male, ’a Luna Rossa non parla a me perché cà nun ce sta nisciuno col nome che mi avete ditto”

“Ci manca solo che ti metti a cantare: cerca assolutamente di sapere dov’è il passero”

“Lasciate fare a me”

Stava per suonare ad uno dei campanelli per chiedere informazioni quando sentì lo scatto per l’apertura del cancello ed una bella ragazza accingersi ad uscire

“Ciao, devi entrare vero? Lui sta su, io ho già finito, dovevo consegnargli soltanto alcuni appunti. Ci vediamo”

“Ci vediamo?”

“Babà che succede? Con chi ti devi vedere?”

“No, aggi’avuto ‘na visione a… ‘n’incrocio “pericoloso”“

“Che incrocio?”

“Poi vi spiego ispetto’. Intanto so’ riuscito a trasire”

“Allora prosegui e buona fortuna”

“ Al vostro buon cuore”

Appena entrato si diresse verso la prima porta a destra e suonò il campanello sperando che qualcuno gli aprisse; sentì ciabattare molto lentamente poi la porta si aprì socchiusa da una catenella e una magrissima vecchietta gli chiese:

“Che c’è? Non devo comprare niente”

“Signo’ ma chi ve l’ha detto che vendo quacchecosa? Volevo farvi solo una domanda, col vostro permesso”

“Sei napoletano?”

“Pecché è peccato?”

“No, l’ho capito da come parli: mio marito, buon’anima, era anche lui napoletano”

“Ah! Ecco, no, e che avevo da sapere ‘na cosa, sempre se voi permettete”

“Dimmi dimmi”

“Devo andare dal signor Armando: mi sapete dire a che piano alloggia? Il citofono nun lo dice”

“Ma perché abita qui?”

“E sì, l’aggio visto trasire poco fa aprendo ‘u cancello con le chiavi ma non aggio fatto in tempo a chiamallo”

“Ma com’è questo signore?”

“Uno alto accussì,magrolicchio, ave gli occhiali, n’anticchia di capelli bianchi e starà sui settant’anni”

“Ma quello è il professore! Sì, sì, sta all’interno 11: sul citofono non ci sta il suo nome perché l’appartamento è di un suo amico, un professore di arco…di archologia…insomma hai capito no? Ma lui sta sempre all’estero: Africa, Cina, India, dappertutto meno che a casa e allora ci vive il professore che dici tu. Ci vanno da lui tanti studenti universitari perché lui li aiuta, li fa studiare queste cose qua, ormai saranno un paio d’anni”

“Signò ‘a maronna vi benedica, grazzie grazzie assai!”

“Anche a te, vai, vai su e…studia mi raccomando”

“Stateve buono, io salgo”

“Ciao giovanotto, sei stato molto simpatico e m’hai ricordato il povero mio marito”

“E meno male…Pronto ispetto’ ci siete?”

“Finalmente Babà si stava facendo notte”

“Ma come? San Gennaro ha fatta la grazzia e voi vi lamentate? Gesù Gesù”

“Lascia stare i santi e dimmi qualcosa”

“Quella mi stava raccontando vita morte e miracoli e io doveva stare lì pe’ sentì”

“Va bene, va bene, che hai saputo?”

“Il fatto è che il professore, così lo chiamò la nonna, qui non ci abbita e ci abbita!”

“Babà che fai anche lo scioglilingua? O è sì oppure è no”

“Ci abbita a tempo determinato nel senso che la casa è di un altro professore che mò non c’è, sta

in uno spaccimme di posto che non mi ricordo da più di tre anni: comunque il vostro professore fa studiare gli studenti, li aiuta, nun saccio come ma li aiuta”

“A che interno sta?”

“Interno 11, mi sembra terzo piano”

“Salgo su”

“Da sola?”

“No con la banda appresso”

“Che banda?”

“Babà svegliati, non c’è bisogno di nessun’altro, è tutto sotto controllo. Tu esci”

“Volisse nu revolvero? Ne tengo uno che farebbe proprio al caso vostro”

“Chissà se è meglio un cannone? Ma non farmi ridere e lasciami andare per favore. E tu Osei tieni d’occhio questo qua che non faccia sciocchezze”

“Ghe penso mi, vada pure tranquilla siora ispettore”

“Aspettatemi qui, probabilmente vi darò altre istruzioni. Io vado”

Antonella suonò al citofono dell’interno 11 e a chi rispose disse che doveva parlare urgentemente

con il professore. Arrivata dinanzi alla porta dell’interno 11 venne ad aprirle una ragazza molto giovane la quale:

“Ciao, sono Bruna e sto aspettando il mio ragazzo che è di là nello studio del professore a parlare della propria tesi: lui fortunatamente è alla fine degli studi e si sta laureando, io invece sono al secondo anno di scienza della comunicazione. Tu devi essere una fuori corso, eh?”

“Beh certo, ma ho voluto riprendere gli studi interrotti ormai da qualche anno “

“Oh! Ecco Tommi! Come è andata? Bene vero? Lei pure deve parlare con il professore, noi

ce ne andiamo, ciao e auguri!”

“Grazie, ciao!”

Lo studio dove entrò era arredato con semplicità ma molto ordinato; quello che tutti chiamavano il professore era seduto ad una scrivania intento ad annotare qualcosa su alcuni fogli di carta. Senza neppure alzare la testa, doveva aver sentito i suoi passi perché le disse:

“Siedi, siedi, che vuoi farmi vedere?”

“Un semplice tesserino della polizia”

“Cosa?”

Alzò la testa e guardandola rimase esterrefatto, quasi senza riuscire a parlare…

“Ma tu sei…No, non puoi essere!”

“No infatti, non sono Luciana e non lo posso essere perché è morta esattamente trentadue anni fa ed oggi è l’anniversario della sua scomparsa. Ma tu lo sai chi sono io? Lo sai o non hai mai voluto saperlo? Sono Antonella, sua figlia, però guarda che caso strano sono anche tua figlia ed ora ne ho la certezza. Dopo che per tutti questi anni ti ho cercato disperatamente in ogni buco della terra oggi finalmente ti conosco. Dove eri nascosto? Perché tu non hai mai sentito il bisogno di cercarmi, di vedermi mentre io sono quasi impazzita nel volere ad ogni costo conoscerti? Per quale ragione mi hai fatto questo? Non è stata vigliaccheria da parte tua? Ammettilo, avanti, dimmi che non te ne fregava niente di me, perché non lo ammetti?”

Armando, senza essere riuscito ad alzarsi, si sentiva come un ebete, investito da quel fiume di

parole così amare, così colme di rabbia, così crudeli e stentava a riprendersi; poi, facendosi forza,

con gli occhi colmi di lacrime e con un filo di voce le disse:

“Tu, come anche tua madre, la mia adorata Luciana, siete state sempre e ovunque nel mio cuore: no, no, adesso lascia parlare me, non interrompermi, ti prego! Penso che tu conosca bene i motivi per i quali non ho potuto né cercarti né vederti, non saresti qui a dirmi certe cose perchè qualcuno deve pur averti detto qualcosa su di me e su tua madre, ti avranno pure detto quanto io e lei ci siamo amati e ti avranno anche spiegato perchè io mi sono dovuto allontanare da tutto quello che più mi stava a cuore…”

“Sì, il tuo amico Roberto e Mimma mi hanno detto alcune cose di te”

“Già, i miei cari Roberto e Mimma”

“Roberto purtroppo è deceduto qualche anno fa, pensa, in Danimarca dove si era trasferito ed aveva sposato il suo amico Federico. L’hai conosciuto?”

(fine della settima puntata)

venerdì 25 settembre 2009

sesta puntata de L'ANNIVERSARIO

Chi poteva essere stato a compiere quel gesto? Mimma no perché lei usava farsi condurre
al Verano soltanto nel mese di novembre, Roberto neppure perché si trovava all’estero. E allora?.
Qualificandosi provò a chiedere qualche informazione agli operatori del Comune sempre presenti nei paraggi, ma nessuno seppe dirle qualcosa. Ci rinunciò.
Il lavoro la tenne molto occupata tanto che si dimenticò presto della questione.
L’anno successivo però, stava per avvicinarsi settembre, le tornò nella mente quasi all’improvviso l’episodio misterioso del mazzo di fiori.
Il giorno prima della ricorrenza della morte di sua madre si presentò nell’ufficio del suo capo al
Commissariato di appartenenza e gli disse:
“Dottore, scusi, dovrei chiederle un favore”
“Prego Antonella, siedi pure e dimmi che ti occorre”
“Si tratta di questo: sto seguendo una certa pista e le vorrei chiedere se per domani posso disporre di una macchina senza contrassegni e far venire con me i miei due giovani colleghi della squadra Bordarin ed Esposito, naturalmente non in divisa”
“Ho capito, il solito trio tricolore: ”Osei”, te e “Babà”…”
“Esattamente, sono i loro soprannomi: scherziamo sempre su questo fatto”
“E allora come macchina perché non usate quella di Osei che è di uno sgargiante color polenta?”
“Grazie dottore, anche a lei piace scherzare”
“Già, comunque formate davvero una bella squadra, efficace ed unita”
“Anche se Osei è veneziano, io romana e Babà napoletano andiamo molto d’accordo”
“Appunto vi abbiamo soprannominato il trio tricolore! Va bene, prenditi pure i tuoi ragazzi e…
in bocca al lupo”
“Crepi, io spero molto in questa pista.”
Si riunì subito dopo con i due giovani agenti, li informò brevemente sul caso da risolvere e si dettero appuntamento per l’indomani di prima mattina, all’apertura del cimitero dove avrebbero deciso come dividersi i rispettivi compiti.
Quella mattina, puntualissimi all’appuntamento che avevano fissato, dopo essersi sistemati nella ormai famigerata auto color polenta, Antonella spiegò ai due agenti come avrebbero condotto l’operazione.
“Appena aperto il cancello del cimitero, assicuratami che non ci sia in giro nessuno, io entro e mi nascondo nei paraggi della tomba di mia madre; tu Babà…”
“A proposito ispettò, scusatemi: voi la conoscete quella poesia di Totò “A livella”? Parla proprio di nu cimitero”
“Babà non mi pare proprio il momento di parlare di poesia”
“Ispettore la mi scusi per il termine ma lu l’è sempre il solito rompiballe”
“Uè Osei, tu sì proprio ‘na pizza”
“Adesso smettetela e cerchiamo di curare bene la nostra operazione”
“Ssì capito mò? Statte zzitto perché adesso dobbiamo operare”
“Posso andare avanti signor Ciro Esposito?”
“Senz’altro ispetto’, si accomodi: però non mi chiami con il mio nome e cognome sennò non mi
riconosco, e sicuramente manco Osei sape di chi si parla se lo chiamate Dario Bordarin”
“Va bene, mò basta! Questa faccenda potrebbe durare chissà quante ore e quindi diamoci da fare: tu Babà senza dare nell’occhio mi segui a distanza fingendo di cercare tra le tombe quella che ti interessa, tu Osei invece rimani in macchina pronto a partire ad un mio segnale: dobbiamo tenerci in contatto con le radiotrasmittenti che abbiamo sempre in funzione sulla frequenza che abbiamo concordato. Ci siamo capiti?”
“Ispetto’, io sicuramente e speriamo anche quacche d’unantro, non dico chi è, va bbuono?”
“Non ricominciare Babà, la cosa è importante”
“Sempre ai suoi comandi ispetto’”
“Io mi sto avviando…Pronto, mi sentite?”
“Forte e chiaro ispetto’”
“Anca mi siora ispettore”
“Credo di essermi appostata piuttosto bene: mi vedi Babà?”
“No, ispettò, sì fosse calata in quacche orifizzio?”
“Non dire scemenze, io ti vedo benissimo”
“E meno male”
“Tu ci senti Osei?”
“Son qua che attendo ordini”
Dopo un paio d’ore si sentì nelle radio di ciascuno la voce di Babà:
“Pronto, pronto, ispettò mi sentite?”
“Ti sento e abbassa la voce. Che c’è?”
“Sto virendo camminà innanzi a me nu “passero solitario”: mi sembra quasi preciso alla descrizione che ci avete fatto”
“A me l’ha fatto qualcun altro, comunque dimmi: ha pure un mazzo di fiori in mano?”
“Na vera bellezza, ispettò”
“Dovrebbe essere lui, state sempre in ascolto perché poi vi dirò come dovremo muoverci”
“Me permeto far osservare alla siora ispettore che al cimitero se viene sempre con dei fior”
“Io aggio capito ispettò e speriamo che anche…”
“Sta zito ciò, son mica scimunito, crapon”
“Smettetela e state attenti: se il tizio comincia a trafficare davanti la tomba di mia madre potrebbe essere lui”
Come era stata avvertita Antonella vide il “passero”: un uomo alto, dinoccolato, con radi capelli quasi bianchi, occhiali senza montatura, vestito dimessamente, sicuramente di oltre settant’anni che si era portato proprio davanti la lapide di sua madre; lo vide armeggiare con dei vasi di fiori, togliere quelli secchi, prendere l’acqua nella vicina fontana e rimettere tutto a posto sistemando il mazzo di fiori che aveva portato. Fece una breve sosta e prima di andarsene carezzò dolcemente la foto di sua madre e si avviò verso l’uscita.
Antonella voleva essere più che certa sulla sua identità e quindi diede seguito al suo piano affrettandosi a contattare i suoi colleghi
“Babà, Osei, fate attenzione, il passero sta uscendo, la descrizione sembra quella che vi ho fatto però per esserne certi dobbiamo procedere con il piano che abbiamo concordato: allora
tu Osei accendi il motore ma resta in macchina pronto a seguirlo se lui dovesse salire su qualche mezzo. Però prima devi attendere il nostro arrivo. Se lui invece va a piedi in qualsiasi direzione tu Babà…Babà mi senti?”
“Sono tutt’erecchie”
“Lo segui senza fartene accorgere e vedi dove arriva”
“Quatto quatto, aggio capito”
“Via! E speriamo bene”
Dopo aver visto che il passero andava a piedi accortamente seguito da Babà, salì in macchina da Osei e gli disse di fare in modo di non perdere di vista i due; cinque o seicento metri dopo, si era nel quartiere di San Lorenzo, il passero si fermò davanti ad un edificio di sei piani, prese delle chiavi dalla tasca della giacca, aprì un cancello di vetro e ottone e - dopo averne controllato la chiusura automatica - salì le scale a piedi.
Doveva abitare lì ma in quale appartamento?
Antonella voleva procedere cautamente, non voleva commettere errori perché la delusione sarebbe stata enorme. Avvertì Babà:
“Esposito mi senti?”
“Dite a me ispettò? Perchè Babà sta sempre cà”
“Ho capito, hai visto dov’è entrato il passero?”
“Ci mancherebbe ispetto’, nun l’aggio perso ‘e vista”
“Bene, adesso guarda sul citofono in quale appartamento abita “
(fine della sesta puntata)

mercoledì 23 settembre 2009

quinta puntata de L'ANNIVERSARIO

Luciana, magrissima, bianca in volto, quasi irriconoscibile, con numerosi tubicini attaccati al suo corpo emaciato, gli fece cenno di avvicinarsi e con un filo di voce gli disse:

“Come stai? Scusa se non ti posso abbracciare…ho giurato a mio padre che se mi avesse lasciato la possibilità di poterti rivedere ancora una volta ti avrei fatto promettere di non voler conoscere la nostra bambina e di dimenticarti di lei…I miei si occuperanno di Antonella e lo faranno bene, ne sono certa…Non interrompermi, ti prego, sono allo stremo, da parte sua lui mi ha giurato che ti lascerà in pace ma soltanto se tu farai quello che ti ho appena detto. Sono stata felice con te, ti ho amato molto, ricordatene e ricordami… Ti prego!”

Armando piangendo e singhiozzando era lì che stava quasi per cadere in ginocchio quando entrò un medico, seguito da Mimma e dai genitori di Luciana che lo costrinse subito ad uscire. Ormai non c’era più nulla da fare.

Il giorno dopo il suo rientro a casa, il tredici settembre, Roberto riuscì a fargli sapere che quella stessa mattina Luciana si era spenta serenamente.

Anche se la notizia non poteva sorprenderlo per Armando fu un colpo tremendo.

Per parecchio tempo stentò a riprendersi ma poi le necessità della vita lo indussero a continuare a

vivere per sé e, ancora più doverosamente, per sua moglie Gabriella.

Dovette passare quasi un’eternità prima che Armando lasciasse perdere di pensare a Luciana ed alla loro figlia Antonella.

Intanto gli avvenimenti sconvolgenti di quegli anni unitamente al peggioramento delle condizioni di salute di sua moglie Gabriella se da una parte lo distraevano dal ricordare più spesso le due persone che avevano costituito una parte così determinante di quel breve periodo della sua vita, dall’altra parte lo occupavano e lo preoccupavano sempre di più.

Il referendum sul divorzio, l’epilogo del movimento di Lotta Continua, i vari atti di terrorismo,

il mancato sorpasso del PCI sulla DC nelle elezioni del 1976, l’assassinio del Professor Bachelet all’Università, il rapimento e l’uccisione di Moro nel’78 oltre la morte per consunzione della propria moglie Gabriella - anche se prevista - lo indussero a prendere una drastica decisione.

Contattò con non poche difficoltà il suo amico Roberto che era inoltre il padrino di battesimo di sua figlia Antonella e lo coinvolse in un’ultima richiesta di favore prima di partire per l’estero dopo aver lasciato per sempre l’Università.

Gli disse di chiamare Mimma e di pregarla di farsi trovare soltanto lei con la piccola Antonella, l’indomani pomeriggio alle sedici dinanzi l’ingresso principale del cimitero del Verano, spiegandole i motivi: desiderava conoscere la bambina e salutarla perché poi non si sarebbe più fatto vedere. Con la promessa che non avrebbe detto nulla riguardo al fatto di essere suo padre e del suo rapporto con sua madre Luciana.

L’indomani poco prima delle sedici, celandosi dietro uno dei banchi di fiori lì numerosi, attese pieno di speranza l’arrivo di Mimma ed Antonella.

Dopo circa venti minuti vide avvicinarsi al cancello la nota figura della cara Mimma che teneva per mano la copia in miniatura di Luciana: sua figlia Antonella!

Fingendo di incontrarle per caso le avvicinò, salutò cordialmente Mimma facendole capire che

tutto sarebbe andato secondo quanto promesso e si rivolse alla piccola:

“Ciao, tu devi essere la nipote di questa signora”

“No, lei è la tata”

“Ah già, mi sono confuso, scusami. Tu come ti chiami?”

“Antonella e tu?”

“Ehm io Federico e sono un amico di Roberto, lo conosci vero?”

“Sì, sì, è il mio padrino. Adesso io e tata andiamo a mettere i fiori dove sta la mia mamma”

“E posso venire anch’io? L’ho conosciuta la tua mamma, sai?”

“Tata può venire anche lui con noi?”

“Certo, però questo è un segreto come quelli che abbiamo io e te: nessuno deve sapere che abbiamo visto questo signore”

“Sì, devo parlarne solo con te”

“Brava, mi raccomando”

“Dimmi Antonella, posso sapere quanti anni hai?”

“Quasi sei e tra poco andrò a scuola, alla prima elementare”

“Perbacco, stai diventando grande, complimenti. Adesso vogliamo andare? Così mi fai vedere

dove sta la tua mamma “

“Vieni, vieni, sta qui vicino: ecco questo posto si chiama il pincietto e qui è dove sta mamma”

“E’ vero, quella è proprio la tua mamma, me la ricordo sai?”

“Però sta sola sola qui, papà sta in un altro posto, lontano; lui pure non c’è più, così mi hanno detto i nonni”

“Quando sarai più grande andrai a portare i fiori anche a lui”

“Adesso Antonella dobbiamo sbrigarci: dì una preghiera alla mamma e poi andiamo”

“Ciao mamma, stai tranquilla: quando sarò più grande andrò anche da papà”

Si salutarono. Armando e Mimma, trattenendo a stento le lacrime, fecero del tutto per non far capire alla piccola quello che entrambi stavano provando in quei momenti.

Con una infinita tristezza nel cuore Armando partì quella sera stessa per Parigi dove aveva trovato una prima sistemazione presso alcuni amici d’Università.

Circa dieci anni dopo questo doloroso incontro morì il nonno di Antonella e, appena trascorsi due anni anche la nonna. Mimma e Antonella - che nel frattempo aveva raggiunto la maggiore età e si era diplomata al liceo classico - rimasero sole in quella grande casa. Poiché non mancavano loro le possibilità economiche avendo Antonella ricevuto dai nonni una discreta eredità, decisero di comune accordo di continuare a vivere in quella casa anche perché Mimma da molto tempo aveva assunto le vere e proprie funzioni di una seconda madre.

Antonella aveva preso varie lezioni di pianoforte ma aveva anche dimostrato di non avere alcuna predisposizione per quello strumento, al contrario di sua madre Luciana come le avevano ripetuto spesso i suoi nonni e allora si iscrisse alla facoltà di Filosofia.

Sembrava destino, avevano commentato Roberto e Mimma che spesso si sentivano e si vedevano, la stessa Università del padre.

Invece successe una cosa particolare: dato che Mimma un giorno decise di mettere al corrente Antonella dicendole la verità sui suoi genitori lei ne rimase molto colpita, stentava quasi a credere che per tutto quel tempo l’avessero tenuta all’oscuro di un episodio così importante della sua vita.

Dopo averci pensato per una notte intera, l’indomani si recò all’Università e cambiò facoltà

iscrivendosi a Giurisprudenza: le era balenata in mente una certa idea.

Intanto cominciò a fare ricerche su suo padre contattando prima l’Ambasciata d’Italia in Francia, poi vari altri Consolati ed Ambasciate d’Italia praticamente in tutto il mondo, ostinatamente, quasi con un feroce accanimento.

Le era mancata una parte importante della sua vita ed intendeva ritrovarla a tutti i costi.

Continuò a cercare di avere notizie del padre per molti anni; mantenne sempre i contatti con il suo padrino Roberto benché lui si fosse trasferito in Danimarca con il suo Federico col quale si era anche sposato civilmente, nella speranza poi rivelatasi inutile che lui sapesse qualcosa di più, ma Armando sembrava sparito nel nulla.

Nel frattempo si era brillantemente laureata rendendo felicissima la dolce tata Mimma e dopo poco tempo partecipò, con notevole successo, ad un concorso per far parte della Polizia di Stato. L’entrata in servizio le consentì, contattando le persone giuste, di proseguire le ricerche su suo padre in maniera più accurata usando tutte le tecnologie possibili ed esaminando

centinaia di dati e di siti informatici ma si dovette arrendere: doveva abbandonare ogni speranza.

Per dimenticare si era buttata a capofitto nel proprio lavoro ottenendo ottimi risultati: divenne

Ispettore di Polizia e le furono affidati soprattutto casi di furto, rapine e truffe; aveva superato i trent’anni e, con grande cruccio di Mimma, non si era ancora “sistemata” così come le ripeteva spesso la sua ormai vecchia tata.

Ogni anno, il tredici settembre, si recava al cimitero per portare dei fiori a sua madre.

Recandosi lì si accorse che ai piedi della lapide era stato sistemato un bellissimo mazzo di fiori.

(fine della quinta puntata)

lunedì 21 settembre 2009

quarta puntata de L'ANNIVERSARIO

“Ti capisco, anch’io quando l’ho saputo ho tentennato un po’ poi però ho pensato alla felicità
che può dare la nascita di una creatura ed ho gioito ma non per molto”
“Che vuoi dire?”
“Da questi accertamenti è venuto fuori anche un altro risultato, non lo definirei buono, anzi”
“Luciana, guardami, non mi tenere così in ansia”
“Il fatto è che…ho anche un tumore abbastanza diffuso”
“Non può essere, una persona come te non può…”
“Sono una persona come tante altre alle quali è arrivato questo stesso regalo”
“Come puoi usare dell’ironia anche in questi frangenti? Ma ti rendi conto? No, no, dobbiamo subito risolvere il tuo problema che è il più importante, trovare al più presto una qualsiasi cura realmente efficace che possa…”
“La cura in realtà ci sarebbe ma le conseguenze e gli effetti collaterali che ne derivano nonché l’incertezza di un risultato favorevole mi hanno fatto prendere una decisione irrevocabile: non intendo sottopormi ad alcun tipo di cura, chemioterapia o altro”
“Ma come fai a ragionare così, ti rendi conto a quale rischio vai incontro?”
“E tu hai idea di quale rischio corre chi deve nascere? Anzi questo sì che non è incerto perché la cura che dovrei fare farebbe solo danni al nascituro”
“Allora per quest’altro problema ricorreremo a…”
“Non lo devi neppure pensare: io sono l’unica proprietaria del mio corpo ed anche di quanto,
sì, anche di quanto esso contiene”
“Non sei un recipiente, sei la mia Luciana, l’unica persona che non posso permettermi di perdere”
“Potrebbe non accadere”
“Ascoltami Luciana, tu non puoi decidere da sola: piuttosto dimmi chi è al corrente di questa tua
condizione?”
“Nessuno: ho preferito parlarne prima con te ma sembra che non sei d’accordo su quanto io ho già deciso”
“E’ vero ed è impossibile per me accettare una tale decisione. Perché non ne parli con Mimma ma anche con i tuoi genitori?”
“Te li raccomando i miei genitori: vedrai come reagiranno quando sapranno di noi e della nostra
bambina”
“Sai già che è una bambina?”
“Sì, e gode ottima salute”
“Ma perché mi hai tenuto all’oscuro per tutto questo tempo?”
“Volevo essere più che certa su entrambe le “novità”: sia sulla bambina sia sul seguito”
La discussione tra i due si protrasse a lungo ma Luciana era irremovibile ed Armando in preda alla disperazione; la implorò a lungo ma lei non volle dargli retta. Alla fine promise però che ne avrebbe parlato sia con Mimma che con i propri genitori ma disse ad Armando di stare molto in guardia perchè il padre avrebbe reagito molto male. Si lasciarono salutandosi tre le lacrime ma promisero a se stessi che comunque avrebbero continuato a lottare per loro e per la bambina.
Appena una settimana dopo quella triste serata Armando - che non aveva avuto più notizie né dagli amici Roberto e Mimma né tanto meno da Luciana - si trovava nella sua aula all’Università ed era in procinto di iniziare la lezione quando si presentarono alla porta due ufficiali dei carabinieri che gli chiesero di unirsi a loro per un colloquio al Viminale: lui intuì subito di cosa si trattava.
I suoi studenti, numerosi come al solito, cominciarono a rumoreggiare e stavano lasciando i loro posti ma Armando lì fermò perentoriamente dicendo loro di tranquillizzarsi perché questa volta si trattava di una faccenda personale e che le questioni politiche non c’entravano nulla.
Impiegarono poco meno di trenta minuti per arrivare a destinazione; venne introdotto nello studio del Capo dell’Ufficio Politico che era per l’appunto il padre di Luciana il quale, fissandolo negli occhi con uno sguardo feroce si rivolse ad Armando dicendogli:
“Come vede, egregio professore, stiamo parlando a quattr’occhi solo noi due ma si rende conto di avere sputtanato me e la mia famiglia? Lo capisce questo vero? Perché si dovrà anche rendere conto che io cercherò di rovinare la sua vita per sempre!”
“Io e Luciana ci amiamo e…”
“Tu, lurido bastardo, non ti permettere di nominare mia figlia! Per te non esiste, capito? Non devi neppure cercare di avvicinarti a lei e sai benissimo il perché: l’hai abbindolata, l’hai plagiata così come hai fatto e continui a fare con gli studenti che credono a tutte le panzane che tu cerchi di fargli entrare nelle loro zucche vuote”
“Lei non si può permettere con me questo suo modo di agire!”
“Io ti rovino, pezzo d’imbecille, lo vuoi capire si o no?”
“Io non ho commesso alcun reato”
“Il fatto che sei sposato, tra l’altro con una che non sta a posto con la testa, non ti dice nulla?”
“Lei non può parlare così di mia moglie”
“Ah già tua moglie…E tu e la tua mogliettina lo sapete cos’è l’adulterio? Lo sapete?”
“Lei cerca solo vendetta invece di cercare di salvare sua figlia e la bambina”
“Tu non puoi dirmi quello che devo o non devo fare: non ti è permesso neppure di pensare a loro perché da oggi tu avrai ben altro a cui pensare. Capisci quello che ti dico? Parolaio dei miei…”
“Sì ed è inutile che aggiunga altro: prenderò le mie decisioni”
“Tu puoi decidere soltanto di sparire dalla faccia della terra, questa sì che è una saggia decisione! Per adesso devi sparire dalla mia presenza! Capitano? Venga, ecco lo accompagni pure fuori dal Ministero l’illustre professore può rientrare al lavoro perché deve stare molto attento alle sue attività. Lo ha capito benissimo, vero professore? Stia molto attento!”
Finalmente terminato quel colloquio infernale Armando ritornò all’Università perché temeva che ai suoi studenti potesse essere venuta qualche balzana idea e non voleva in nessun
modo che altri fossero coinvolti e far prendere una brutta piega alla sua attuale situazione.
Passarono settimane, persino qualche mese ma lui non riuscì ad avere nessun tipo di informazione. Si era accorto peraltro di avere il telefono sotto controllo e di essere sorvegliato.
Voleva sapere dove si trovava Luciana e soprattutto come stava perché, secondo i calcoli che lei aveva fatto, doveva essere già arrivato il momento del parto.
Dopo una decina di giorni di settembre, una mattina mentre stava andando verso l’Università
venne avvicinato da uno studente del suo corso il quale, fingendo di parlare della imminente nuova lezione, gli disse sussurrando che doveva entrare nella vicina cabina telefonica, fingere di dover fare una telefonata e attendere invece lo squillo di chiamata.
Armando comprese subito che doveva trattarsi di Luciana; con tono scherzoso invitò lo studente ad avviarsi in aula ed entrò subito nella cabina poco distante. Finse di cercare un numero telefonico nella propria agendina ma appena suonò il telefono prese il ricevitore e se lo portò all’orecchio… Era Roberto!
“Ascoltami, non parlare: la nostra amica mi ha detto che è meglio tornare subito a casa!”
Il telefono venne riattaccato e lui, ritenendo di aver ben recepito il messaggio, invece di andare all’Università, tornò indietro nel suo appartamento.
Aperta la porta vide Giovanna, sua suocera, venirgli incontro con una busta in mano, l’aprì e vi trovò un foglio, lo lesse e sentì che il mondo gli stava crollando addosso.
Senza firma, scritto a macchina, il contenuto di quel foglio lo informava dove era ricoverata
Luciana che - ormai era in fin di vita - comunque aveva dato alla luce una bambina alla quale aveva dato il nome Antonella e desiderava rivederlo un’ultima volta.
Armando informò Giovanna che doveva assentarsi per un paio di giorni, la pregò di badare bene a Gabriella e di non farle mancare nulla, chiamò un taxi e si fece portare dove sperava di arrivare in tempo per rivedere Luciana.
Giunto a destinazione, davanti la camera dove presumibilmente era ricoverata, c’erano i genitori e Mimma la quale - senza dire una parola - gli aprì la porta e lo fece entrare.
(fine della quarta puntata)

venerdì 18 settembre 2009

terza puntata de L'ANNIVERSARIO

“Sei un’ottima pianista”

“Sono soltanto un’insegnante di pianoforte del Conservatorio”

Armando era affascinato dalle bellissime dita affusolate di…

“A proposito, tu sei Luciana?”

“Certo e tu sei Armando”

“Ci siamo visti venerdì sera all’Auditorium vero?”

“Io sì che ti ho visto ma tu forse neppure mi hai notato: ero in compagnia di Roberto, quel tuo collega di Università che ti ha accennato un breve saluto e tu hai risposto appena”

“Ho i miei motivi”

“Io potrei diventare uno di quei motivi”

“Che cosa c’entri tu?”

“Il tuo amico e collega Roberto dopo le mie ostinate domande mi ha raccontato di quello che ti è capitato e che ti sta capitando”

“Avrei preferito che non lo facesse ma tu che cosa c’entri?”

“Sono la figlia di quell’alto funzionario dell’Ufficio politico del Ministero Interni…”

“…Che mi assilla e cerca di impaurirmi con il suo atteggiamento e quello dei suoi uomini”

“Appunto!”

“Vuoi sottopormi ad interrogatorio anche tu?”

“Non ho nessuna intenzione del genere anche perché so pochissimo del lavoro di mio padre e quel poco che so non mi piace: ma è mio padre ed è bene che tu lo sappia, anche mia madre lavora nello stesso Ufficio”

“ La cosa mi lascia completamente indifferente perché io proseguirò ugualmente nelle mie attività che non sono affatto sovversive come tuo padre e quelli come lui vorrebbero far credere: non uso violenza, non faccio del male a nessuno ma sono tenacemente contro chi e come ci governa attualmente. Ed uso soltanto parole.”

“Che sono macigni”

“E’ una tua personale opinione ma non mi fa cambiare le mie idee”

“Vorrei cambiare discorso, sei d’accordo?”

“Come vuoi ma spiegami: cosa sono venuto a fare qui?”

“Una semplice conversazione. Intanto gradisci qualcosa? Bibita, caffè, the?”

“Preferirei un caffè se non è avvelenato!”

Luciana sbottò in una fragorosa risata e mentre seguitava a ridere si avviò verso la porta del salone per ricomparire, ancora sorridente, dopo qualche secondo.

“Il caffè è finito?”

“Sta arrivando”

Infatti, subito dopo entrò una donna sulla cinquantina di gradevole aspetto che portava un vassoio con due tazzine da caffè, un bricco ed una zuccheriera…

“Armando ti presento Mimma, la mia…”

“…Tata. Luciana dillo tranquillamente perché ti ho vista nascere, crescere e…”

“…Ed invecchiare. Sì, perché a trentadue anni mi sto avvicinando alla terza età”

“Non le dia retta! Oh scusi, lei è il professor Armando?”

“Niente professore, prego”

“Va bene, allora signor Armando: il mio nome è Domenica e come ha sentito questa birbante mi chiama e mi ha sempre chiamato Mimma ma a me fa piacere così come me ne ha fatto molto di più quando l’ho sentita e vista ridere. Che cosa le ha detto di tanto buffo da farle fare finalmente, quelle belle risate?”

“Perché, non ride mai?”

“Così come poco fa, mai! Deve averle detto qualcosa davvero divertente”

“Probabilmente”

“Beh adesso io debbo lasciarvi perché ho alcune commissioni da sbrigare: ci rivedremo signor Armando?”

“Mimma ti prego, puoi anche andare se vuoi: comunque penso che lo rivedremo ancora”

“Bene Luciana, allora vado. Ciao a voi due”

“Ho proprio l’impressione che tu gli vada a genio perché di solito non si comporta così quando vede altri ospiti.”

“Ne vede molti o uno in particolare?”

“Attualmente sono completamente libera e sola. Ci sono state in precedenza altre situazioni simili ma con risultati non proprio soddisfacenti e d’altra parte Roberto,il nostro comune amico,

lo sai come la pensa al riguardo.”

“E questo cosa c’entra? Io non mi sono mai permesso di escluderlo dal novero delle mie amicizie soltanto perché lui è…”

“Lo so benissimo perché ti tieni lontano da lui ma volevo solo farti capire che l’unica persona con la quale avrei potuto intrecciare una seria relazione sarebbe stato soltanto con Roberto ed invece non è proprio possibile…Però come unico fraterno amico non me lo lascio scappare!”

La loro conversazione andò avanti per più di un paio d’ore con argomenti tra i più vari ma sempre interessanti sotto numerosi punti di vista. Si rendevano conto che man mano che procedevano nella loro reciproca conoscenza si stava materializzando tra loro qualcosa di insolitamente particolare, speciale e piacevole.

Dovettero però interrompere quel loro incontro poiché entrambi avevano degli impegni: Luciana con due allievi che prendevano lezioni di piano privatamente, Armando atteso a casa da esigenze piuttosto onerose.

Decisero di rivedersi ancora ma di comune accordo stabilirono di prendere alcune precauzioni coinvolgendo le sole persone sulle quali potevano contare: Roberto che non si sarebbe mai tirato indietro ed anzi avrebbe sicuramente fornito loro ogni possibile appoggio e Mimma con la quale Luciana aveva uno straordinario rapporto di affettuosa complicità.

Come avevano previsto, grazie al prezioso aiuto di quelle due persone a loro così care, ebbero la

possibilità di incontrarsi sempre più spesso. A volte veniva loro da ridere pensando a come avevano organizzato il sistema degli appuntamenti: robe da cospiratori.

Con il passare del tempo però avvenne quello che avevano sperato e temuto. L’intensità e la

passionalità della loro relazione raggiunse vette elevate. Roberto, nei periodi in cui era occupato con il lavoro, metteva a loro disposizione il proprio appartamento mentre Mimma copriva Luciana, per le assenze prolungate da casa, inventandosi le scuse più fantasiose.

Armando era quello che accusava non pochi sensi di colpa ma poi, aiutato e confortato sia da Luciana sia da Roberto e Mimma, si rendeva conto della realtà, molto amara per lui e se ne faceva una ragione: ormai Gabriella era come se vivesse in un’altra dimensione e nessun’altro esisteva per lei.

Dopo qualche mese, una sera Armando venne contattato nella solita segreta maniera e gli venne riferito che Luciana doveva parlargli urgentemente. Fu predisposto il tutto e fu possibile fissare l’incontro quella sera stessa a casa di Roberto.

Quando Armando entrò Luciana era già in casa, seduta in poltrona: si alzò e gli andò incontro

come era solita fare, abbracciandolo con forza ma questa volta tremava. Perché? Lui si rese conto che c’era qualcosa che non andava e le chiese

“Come mai stai tremando?”

“Forse avrò un principio d’influenza”

“Ed è per questo che hai chiesto ai nostri amici di farci incontrare così in fretta e furia?”

“In realtà il motivo è un altro”

“Non tenermi col fiato sospeso. Qual è? C’entrano i tuoi genitori?”

“No, ma non voglio tirarla troppo per le lunghe: in questi ultimi tempi non mi sentivo molto bene e siccome il malessere non aveva alcuna intenzione di lasciarmi in pace sono andata a fare alcuni accertamenti. Oggi ho conosciuto il risultato: sono incinta!”

“Beh di solito questa è una bella notizia però non mi rendo conto se devo esserne contento oppure no”

(fine della terza puntata)

mercoledì 16 settembre 2009

seconda puntata de L'ANNIVERSARIO

Improvvisamente Luciana prese una decisione: si fece dare dal barman un salviettino di carta, prese una penna dalla borsa e scrisse qualcosa; poi piegò più volte quel salviettino e, dopo aver bevuto un caffè, fece per avviarsi ma ritornò subito indietro per avvicinarsi ad Armando al quale disse:

“Scusi, le è caduto questo biglietto, era qui sul pavimento accanto a lei”

“Grazie ma…”

Luciana senza voltarsi aveva già lasciato il bar incamminandosi verso il suo posto mentre Armando, distrattamente e preso alla sprovvista, dette una rapida occhiata al biglietto e senza neppure aprirlo se lo mise in tasca e ritornò anche lui al suo posto in sala.

Il concerto si concluse con la sinfonia N.41 in Do Maggiore K.551 Jupiter e fu un vero trionfo.

Quando il pubblico, dopo numerosi applausi, cominciò a defluire, i primi ad uscire furono Roberto e Luciana che sollecitò il suo accompagnatore ed amico a fare in fretta: non voleva essere vista da Armando né essere fermata dai suoi allievi che probabilmente di lì a qualche minuto avrebbe potuto incontrare.

Il suo intento era quello di evitare qualsiasi contatto visivo con quel professore.

Nel frattempo Armando stava aiutando molto delicatamente sua moglie Gabriella la quale, con evidente sforzo, si alzò dalla poltrona e appoggiandosi al marito uscirono insieme dalla sala e dall’Auditorium.

Giunti a casa c’era ad attenderli Giovanna, la mamma di Gabriella, rimasta vedova da qualche anno e che si era dedicata completamente alla figlia sin dal giorno di quel tremendo incidente.

Per loro era stata una salvezza soprattutto in quella circostanza e in considerazione delle condizioni di salute di Gabriella poiché Armando, che da un bel po’di tempo aveva interrotto ogni contatto con i suoi a causa di divergenze politiche, non avrebbe saputo come affrontare quella difficilissima situazione.

Dopo una frugale cena insieme alla suocera - che nel frattempo aveva provveduto ad occuparsi della figlia - Armando iniziò a cambiarsi per la notte e nel farlo si ricordò del biglietto che aveva in tasca e consegnatole da quella giovane donna.

Lui era certo di non aver mai avuto in tasca quel biglietto e quindi non poteva essergli caduto ma decise comunque di dargli uno sguardo.

Il contenuto, scritto a stampatello, era il seguente

CHIAMA 735974 LUNEDI ORE 16.00

DA TELEFONO PUBBLICO

Che cosa significava? E perché poi telefonare lunedi e non quella sera stessa, venerdi, oppure l’indomani sabato o l’indomani ancora, domenica? Si stava arrovellando il cervello per cercare di capire chi era quella giovane donna e che cosa voleva ma l’aveva vista così di sfuggita che non gli riusciva persino di rammentarne le sembianze.

Dopo il non felice esito dell’esperimento che aveva pensato di provare conducendo Gabriella ad assistere al concerto di quella sera, accantonò quel nuovo problema ripromettendosi di affrontarlo l’indomani.

Invece per naturali e più importanti impegni lasciò trascorrere sia il sabato che la domenica tanto

che soltanto il lunedì tenendo la solita lezione all’Università si ricordò del biglietto ed allora si mise a scrutare i volti delle studentesse presenti pensando che forse la giovane donna misteriosa potesse celarsi tra di loro. Niente! Fece anche un giro per le aule universitarie: poteva trattarsi di una delle colleghe e non trascurò neppure il personale amministrativo femminile ma senza alcun risultato.

Ci rinunciò e decise di attendere l’ora fissata nel biglietto e scoprire così di cosa si trattava: l’incuriosiva e l’insospettiva la perentorietà della frase che aveva letto.

Alle sedici in punto telefonò al 735974 e dopo il terzo squillo rispose una voce femminile:

“Pronto?”

“Pronto, sono Armando, con chi parlo?”

“Non sai chi sono?”

“No, come faccio a saperlo?”

“Non hai raccolto nessuna informazione? Avendo il numero telefonico non sarebbe stato difficile”

“Avevo altro da pensare che fare l’investigatore”

“Io ritengo invece che la tua sia stata una mossa molto intelligente avendo ricevuto un biglietto in una maniera così particolare e di quel contenuto, che ne dici?”

“Senti, ascoltami bene: non so chi tu sia né mi interessa saperlo”

“Non inquietarti adesso: so chi sei e che cosa stai passando in questo periodo anzi, non solo attualmente ma da qualche tempo”

“Eh no accidenti, adesso esigo una spiegazione! E poi cosa significa il fatto che ho dovuto chiamare da un telefono pubblico? Se lo facevo da uno privato avevo qualcosa da temere?”

“Te l’ho chiesto nel reciproco interesse”

“Ma insomma chi sei tu? Che cosa vuoi?”

“Mi chiamo Luciana, prendi nota del mio indirizzo di casa”

“Perché?”

“Vorrei parlarti, non temere, non è una trappola o qualcosa di pericoloso per te”

“Voglio crederti, anche perché non ho nulla di che preoccuparmi: dettami pure il tuo indirizzo”

“Scritto?”

“Si, vuoi che venga io da te? Quando?”

“Anche subito”

“Ma di cosa si tratta?”

“Ne parliamo quando arrivi: adesso ascoltami bene perché ti suggerisco alcune precauzioni che dovrai prendere”

“Se è uno scherzo sappi che non me lo posso permettere”

“A destra del portone chiuso del mio fabbricato c’è un citofono per trentadue numeri d’interno, sedici per scala: tu suona tranquillamente all’interno dodici della scala B, tanto nessuno ti ascolta e nessuno ti può aprire ma - nello stesso tempo - cercando di non darlo a vedere e per non far capire che stai venendo a casa mia, suona all’interno tre della scala A…Io so che sei tu e quindi il portone ti sarà aperto: basta che sali cinque gradini, ti dirigi verso sinistra e troverai la porta dell’interno tre della scala A”

“Vuoi lasciarmi parlare, per favore? Ti rendi conto di quanto è ridicola questa situazione?”

“A tra poco, spero proprio di non fartela sembrare tale. Ciao!”

Con la cornetta del telefono tra le mani Armando si rese conto soltanto che suonava libero: aveva

riattaccato! Ma che accidenti stava succedendo? Non riusciva a prendere una decisione qualsiasi.

Stare al gioco oppure ignorare completamente tutto l’accaduto? Ci pensò sopra per un po’ e poi si disse “Sarà una sciocchezza , ne sono certo ma voglio proprio vedere di che entità” e si incamminò verso quello strano appuntamento.

Giunto al portone che gli era stato indicato non ebbe difficoltà ad effettuare simultaneamente le due chiamate al citofono e, atteso qualche secondo, al suono della seconda si aprì lentamente una

delle due parti per l’accesso ed entrò nell’androne seguendo poi le indicazioni ricevute.

L’interno tre della scala A aveva la porta aperta dalla quale proveniva il suono di un pianoforte: riconobbe il brano musicale, era la Polacca N.6 in La Bemolle Maggiore Op.53 – Eroica – di Chopin ed anche eseguito magistralmente. Era una riproduzione? Oppure? Restò di stucco e soltanto quando si accorse che il brano era quasi terminato suonò il campanello per far capire che

c’era qualcuno alla porta.

“Avanti, puoi pure entrare e chiuderti la porta alle spalle”

Riconobbe la stessa voce femminile che aveva sentito al telefono un’ora prima ed attraversato il

lungo corridoio entrò in uno splendido salone, ad un angolo del quale proprio vicino alla finestra c’era un pianoforte a coda e seduta davanti una giovane donna: lunghi capelli corvini, un pallido viso ovale, una bellezza delicata…La giovane donna del bar dell’Auditorium!

“Eri tu che suonavi?”

“Sì!”

(fine della seconda puntata)

lunedì 14 settembre 2009

L'ANNIVERSARIO - Prima puntata

Mancavano circa venti minuti all’inizio del concerto ma la sala dell’Auditorium era già quasi esaurita in ogni ordine di posti. Soltanto alcuni ritardatari si accingevano ad occupare il proprio posto.

I biglietti d’ingresso erano stati letteralmente presi d’assalto dagli appassionati già da parecchi giorni e d’altra parte l’avvenimento lo meritava: l’indiscusso valore della più che nota Orchestra di Santa Cecilia, la famosa bravura del suo Direttore, il programma della serata che era tra i più allettanti poiché prevedeva notissimi brani del grande compositore Wolfgang Amadeus Mozart quali, ad esempio, i vari concerti per pianoforte ed orchestra, per clarinetto ed orchestra, per flauto ed orchestra ma soprattutto quello che interessava di più ad Armando, il “Concerto per violino ed orchestra N.3 in Sol Maggiore K. 216”.

C’era un motivo ed era molto importante per lui e per sua moglie Gabriella che gli era seduta accanto: desiderava suscitare in lei l’interesse di una volta ma non era affatto sicuro che questo ennesimo tentativo avrebbe avuto l’esito che si augurava.

Frattanto Roberto entrando in sala sollecitava a più riprese Luciana che si era soffermata a parlare con dei giovani che l’avevano incontrata nel foyer.

“Vieni, Luciana, troviamo i nostri posti che tra poco inizia il concerto”

“Eccomi, eccomi, non siamo in ritardo, c’è ancora qualche minuto prima che…”

“ Se io non ti metto un po’ di fretta tu saresti capace di continuare a chiacchierare con quei ragazzi chissà fino a quando”

“Quelli sono i miei allievi e sono arcicontenta che mi abbiano dato ascolto e siano venuti qui anche se lassù dove hanno preso posto l’acustica non è delle migliori”

“Considerate le loro possibilità economiche c’è comunque da ammirarli”

“Certamente. Vieni, ecco questi sono i nostri posti. Ma chi stai salutando? Perbacco! Chi è quell’uomo così affascinante? Un tuo amico o…di più?”

“Sss Luciana, ti prego, innanzi tutto abbassa la voce, e poi non potresti smetterla una volta tanto di punzecchiarmi perché sono, insomma, perché sono quello che sono?”

“Ma si, stai tranquillo, so benissimo che tu ed il tuo Federico formate la coppia più fedele che esista, la mia era soltanto una battuta: lo sai che ti considero sempre come il mio fratello maggiore”

“E allora portami un po’ di rispetto; comunque quella persona così interessante per te e non per me è un mio collega d’Università: lui è docente di filosofia ed è anche laureato in sociologia. Se ti interessa si chiama Armando e siamo coetanei, avendo entrambi superato la quarantina.

E’ stimato, anzi quasi adorato dai suoi studenti”

“Specialmente dalle studentesse, ne sono certa”

“Questo è sicuro ma lui - oltre che essere un docente molto serio e preparato - è anche sposato…Vedi quella bella donna seduta accanto a lui? E’ la moglie, una bravissima violinista diplomatasi al Conservatorio proprio come te, solo che tu sei diplomata in pianoforte ed insegni mentre lei - a suo tempo - dopo aver vinto brillantemente un difficile concorso è entrata a far parte proprio di questa orchestra di Santa Cecilia come violinista di seconda fila”

“Sai qualche altra cosa su di loro?”

“Su di lui potrebbe esserti più preciso tuo padre”

“Mio padre? Ma…E che cosa c’entra ?”

“Non è il più alto funzionario in grado all’Ufficio Politico - o come si chiama - lì al Viminale, al Ministero dell’Interno?”

“Sì, so che lui è il Capo o qualcosa del genere, almeno per quel poco che so io poiché non sono per nulla interessata all’attività di mio padre”

“Adesso sta iniziando il concerto: al primo intervallo cercherò di informarti meglio”

“Dovrai farlo per forza!”

Durante la prima parte del concerto Luciana più che prestare ascolto ripensava a quello che le aveva appena detto Roberto e, cercando di non farsi notare, ogni tanto volgeva il proprio sguardo dove erano seduti Armando e Gabriella.

Le appariva stranissimo l’atteggiamento dei due: lui che sussurrava qualcosa all’orecchio di lei accarezzandole nel frattempo le mani, lei che fissava il suo sguardo avanti a sé immobile come una statua e non perché attenta alla melodia ma come se la sua mente, i suoi sensi, si trovassero altrove.

Al termine della sinfonia n.40 in sol minore K.550 venne effettuato il primo intervallo durante il quale Roberto cercò di rispondere, per quel poco che era di sua conoscenza, alle insistenti domande di Luciana e la informò che Armando era considerato da molti uno dei più convinti sessantottini dell’epoca, antifascista, assiduo partecipante a tutte le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, convinto pacifista, gandhiano, antirazzista, sostenitore di Nelson Mandela, di Martin Luther King e del nobile insegnamento di Aldo Capitini il quale affermava, tra l’altro, che la non violenza è apertura all’esistenza, alla libertà e allo sviluppo di tutti gli esseri e perciò interviene anche nel campo sociale e politico, orientandolo .

Però Luciana gli domandò che senso aveva collegare il docente a suo padre ed al suo lavoro.

Roberto le spiegò allora che lo avevano etichettato – sbagliando - becero comunista, rivoluzionario e addirittura terrorista sia perché fondatore insieme ad altri di “Lotta Continua” un movimento di estrema sinistra - in realtà anti PCI dell’epoca - ed in seguito editore dell’omonimo giornale, sia perché le sue lezioni universitarie - affollatissime e seguitissime da una gran massa di studenti - erano temute da tutti: governo, partiti politici, sindacalisti, forze dell’ordine che lo accusavano di sedizione, di incitamento alla rivolta , di tentato rovesciamento delle istituzioni dello Stato e via dicendo.

La realtà era che lui faceva di tutto perché studenti e lavoratori uniti lottassero contro l’attuale

sistema usando parole che all’orecchio di qualcuno erano da considerare più che bombe dirompenti, quasi da anarchia assoluta.

Perciò schedato, sorvegliato, molte volte prelevato e condotto presso le competenti autorità per accertamenti e interrogatori, però sempre ed in brevissimo tempo rilasciato libero per l’inconsistenza delle accuse che gli venivano rivolte

Ma Luciana voleva anche sapere qualcosa sulla moglie di Armando la quale, sin dall’inizio del concerto ed anche durante, era rimasta sempre immobile, senza nessun tipo di reazione né cenni di approvazione o meno, completamente assente,

Roberto le dovette quindi raccontare del terribile trauma subìto soprattutto da Gabriella quando a causa di un incidente d’auto morì il loro bambino di appena due anni mentre lei subì alcune ferite piuttosto serie che le impedirono in seguito di poter continuare ad essere la bravissima violinista di una volta.

Armando, che quella mattina non si trovava con loro, aveva reagito all’accaduto lasciandosi coinvolgere ancora di più nella lotta politica senza concedersi alcuna tregua mentre Gabriella, letteralmente sconvolta anche perché fu soltanto sua la causa dell’incidente, si rinchiuse in se stessa e da più di tre anni si era ridotta come un automa, come se la vita non le interessasse più. Spiegò a Luciana che lui era al corrente di tutte queste cose in quanto amico molto intimo di Armando il quale però quando si accorse che le cose - per via della politica - stavano prendendo una brutta piega lo pregò, nel suo interesse, di interrompere questa loro amicizia.

Roberto ci rimase molto male ma comprese benissimo il perché: Armando non desiderava che restasse coinvolto anche lui nella lotta che aveva intrapreso.

Intendiamoci, spiegò a Luciana, lui non voleva essere identificato come un Ciceruacchio, un Masaniello o un capopopolo ma era fermo nelle sue convinzioni.

Stava iniziando la seconda parte del concerto e Roberto e Luciana si zittirono.

Terminato il concerto per flauto e orchestra n.1 in Sol Maggiore K.313 ebbe luogo il secondo ed ultimo intervallo: molte persone si alzarono e tra queste anche Armando.

Luciana, che non lo aveva perso di vista, si alzò anche lei e senza accennare nulla a Roberto lo seguì: si fermarono entrambi al bancone del bar, leggermente discosti l’uno dall’altra, e fecero le loro rispettive ordinazioni.

(fine della prima puntata)