sabato 31 luglio 2010

AVEVO NOTATO IL SOGGETTO E...

malgrado siano trascorsi trent'anni me lo ricordo ancora
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L'osservavo incuriosito per il suo comportamento.
Un uomo alto, capelli folti leggermente brizzolati, un viso con un cipiglio duro, baffetti sottili alla
Clark Gable, distintamente vestito.
Stavamo entrambi fermi, insieme ad altre persone, in piedi sul marciapiede dove era posizionata la fermata di tre linee di autobus ognuno verso differenti destinazioni.
Il soggetto in realtà era appoggiato ad una balaustra in ferro che divideva la strada riservata ai mezzi pubblici da quella del traffico privato.
Volgeva lo sguardo verso le persone in attesa ma si soffermava soprattutto ad osservare le donne.
Un paio di autobus erano sopraggiunti, molte persone erano salite, ma il soggetto no e per la verità neppure io. Evidentemente aspettavamo lo stesso bus e insieme a noi anche altre persone.
Quando sopraggiunse il bus che aspettavo insieme ad altri ci accingemmo a salire ed io mi feci un poco da parte per far passare prima alcune donne ma venni bruscamente scansato da quel soggetto il quale, rapido come un fulmine, s'infilò tra me e una ragazza, forse ventenne, che si mise in fila dietro altri per il biglietto di viaggio.
Non feci alcuna rimostranza per evitare fastidiose polemiche.
Lo spazio era ristretto ed il bus strapieno.
Molto lentamente ci stavamo avvicinando al centro del bus dove si trovava l'uscita quando mi accorsi che il soggetto davanti a me palpeggiava con le mani il didietro di quella ragazza ventenne.
Lei si voltò due o tre volte senza parlare ma lanciando occhiate di fuoco verso il soggetto il quale, imperturbabile, con un sorriso mefistofelico sulle labbra, fingeva di guardarsi intorno.
All'ennesima palpeggiata la ragazza, furiosamente, si voltò ed esplose
= la vuole smettere porco che non è altro?
= come ti permetti?
= mi permetto sì perché mi sta maneggiando sin da quando siamo saliti
= bada come parli, tu non sai con chi hai a che fare
= con un maiale, questo è poco ma sicuro
= se le cose stanno così allora guarda la mia tessera, io sono un sovrintendente di polizia, quindi adesso scendi con me e andiamo al commissariato...Autista? Fermi questo bus!
Facendomi coraggio e a brutto muso mi sorpresi a dirgli
= scusi lei sta commettendo un sopruso e sta abusando della sua qualifica...
= e tu chi sei?
= io sono uno che ha assistito a questa ignobile scena e non sono solo, vero gentili signore?
Due donne che si trovavano sedute proprio vicino al luogo del misfatto annuirono prontamente e...
= nun solo avemo visto tutto ma se nun scenne subbito lo pijamo pure a borsate in testa...
= allora dovete venire pure voi al commissariato...
= noi nun venimo da nessuna parte e si nun te sbrighi a annattene da 'sto coso becchi pure un par de pizze su quer grugno da...
Il soggetto, servito a dovere, scese dal bus bofonchiando chissà cosa.
I commenti soddisfatti fecero scoppiare a ridere tutti i passegeri del bus, compreso la ventenne.

mercoledì 28 luglio 2010

DOLCE CARA GENTILE SIGNORA

Purtroppo ho il difetto - però non giurerei che sia tale – di rammentare cose sulle quali sarebbe meglio sorvolare.
È più forte di me perciò me le ricordo e me le racconto.
Tutte le mattine, tempo e temperature permettendo, cerco di sgranchire le stanche ossa camminando nelle vicinanze di dove abito per un'ora e a volte anche due.
Naturalmente incontro molte persone e tra queste, com'è ovvio, anche quelle che conosco, amiche, amici, o semplicemente conoscenti.
Con una di queste, Celeste, ottantenne e forse più, - moglie di un mio amico scomparso venti anni fa, residente nello stesso mio condominio, proprietaria del suo appartamento e di un negozio sottostante - c'incontriamo spesso perché abbiamo gli stessi orari di uscita da casa.
Quando avvengono questi incontri scambiano molto volentieri qualche parola anche perché, piuttosto claudicante e in non buone condizioni fisiche, le soste le consentono di provare un po' di sollievo.
Vive da sola, non ha figli e soltanto qualche lontano parente che non si fa vedere mai.
Fino a qualche mese fa quando la incontravo la vedevo sempre quasi appesa al braccio di una signora anziana, vicina ai settanta credo, che la sosteneva e le parlava sempre col sorriso sulle labbra. Tempo prima me l'aveva presentata dicendomi che era una sua cara amica, che l'aiutava e l'accompagnava tutte le sere in chiesa. Una persona ammodo, sobriamente vestita e molto premurosa verso Celeste.
Quando mi è stata presentata non mi pare di aver compreso bene il suo nome, Ad ogni modo ho incontrato anche lei in varie occasioni salutandoci reciprocamente e con cordialità. Non lo so con certezza ma penso che abiti in zona.
L'ho intravista anche nel parco pubblico vicino casa, e non una sola volta, che passeggiava con al guinzaglio un cane, mai lo stesso.
Ieri, rientrando a casa, vedo Celeste uscire dal portone dell'edificio in cui abita, da sola. Cammina a fatica e appena mi vede mi dice
= Aldo mio, Aldo mio, con questo caldo non ce la faccio proprio a stare in casa
= Celeste scusa, ma come fai a uscire sola, quella tua amica che non ricordo come si chiama non è venuta oggi?
= Quella?
= Sì. Sai che la vedo spesso in giro?
= Con qualche cane, vero?
= Esattamente. Dev'essere proprio una cara persona e quindi mi meraviglio che oggi non la veda accanto a te...
= Meno male...
= Perché? È un'amica tua. Non capisco...
= Allora adesso ti metto al corrente. Devi sapere che quella è un'amica a pagamento...
= Che vuoi dire?
= Che per fare compagnia a me, per accompagnarmi in chiesa e da qualche altra parte, ma non per fare lavori in casa, sin dall'inizio mi ha chiesto soldi e io glieli ho dati. Ma quando poi mi ha detto che quello che le davo non era sufficiente e che ne voleva quasi il doppio ho detto di no e di non farsi più vedere da me. Ha trovato subito un'altra amicizia, sempre a pagamento, per la quale deve occuparsi di cani.Hai capito mio caro che razza d'amica? Tra l'altro pensionata anche lei. Percepisce una pensione uguale alla mia.
= Ma dove l'hai conosciuta?
= In chiesa, a battersi il petto e dove va per fare nuove amicizie di questo tipo.
Insomma, forse un po' esigente in fatto di conquibus ma in fondo in fondo, direi molto in fondo è una dolce cara gentile signora.




domenica 25 luglio 2010

E POI DICONO CHE UNO...

Mi corre l'obbligo precisare che tutto ciò che è scritto qui di seguito è la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità.
Ieri mattina dovevo fare un salto al supermercato e, memore del fatto che durante la stagione estiva entrare in quel posto c'era da essere più che prudenti stante l'aria surgelata che ivi circolava, decisi di non andarci a piedi ma di servirmi del bus che mi avrebbe portato proprio lì davanti. Così avrei evitato di entrarci col sudore addosso causa l'estate africana del periodo.
Alle 8:00 a.m. in punto mi trovavo alla fermata del bus vicino casa, fortunatamente all'ombra e sotto le fronde di uno dei grossi alberi piantati sul marciapiede. Ero solo. Evidentemente un bus era già passato e quindi sapevo che dovevo attendere almeno venti minuti prima dell'arrivo di quello successivo.
Nel frattempo qualche altra persona si stava avvicinando alla fermata, curiosamente solo donne. Dopo un po' mi venne in mente l'idea di contarle: erano sei. Due giovani suore di colore, credo indiane, due signore anziane penso settantenni, una giovane di circa quarant'anni – nella scala da uno a dieci, cinque più - anche se in minigonna e infine una stangona che doveva avere poco meno di cinquant'anni. Non so neppure io il perchè ma mi misi ad osservarla con molta più attenzione. Una linea di curve notevole ma non eccessiva, un volto con dei lineamenti piacevolissimi, zigomi alti, occhi coperti da occhiali da sole per cui non m'è riuscito vederne il colore, capelli chiari con molte meches. Il di lei abbigliamento consisteva in una camicetta traforata, nera, maniche all'indecisa e ampia scollatura che offriva il panorama di circa la metà di due discrete colline. Pantaloni lunghi ultratrasparenti bianchissimi, di cotone, con dei puntini sporgenti che a me fecero venire in mente il piquet. Per vedere quando arrivava il bus la stangona si era posizionata ad un metro di distanza da noi e mi volgeva le spalle. A questo punto mi misi ad osservare con più attenzione e quindi decisi di farmi una storica domanda: quello che vedevano i miei occhi era un perizoma o un tanga? Non essendo un esperto optai per il tanga. La stangona, piuttosto innevorsita a causa del bus che non arrivava, si accese una sigaretta, si voltò, mi dette un'occhiata, si tolse dalla mia visuale e si andò a posizionare dietro le mie spalle, un poco distante. Aveva forse pensato che io stavo indugiando troppo col mio sguardo? Può darsi.
All'arrivo del bus mentre cinque delle donne presenti stavano salendo dalla porta anteriore, la sesta, la stangona, aveva deciso di salire da quella posteriore dove mi stavo avvicinando anch'io. Salì davanti a me ed ebbi così l'occasione di prendere atto - osservando meglio a una ventina di centimetri di distanza e grazie ai miei occhiali con lenti bifocali - che effettivamente si trattava di un tanga. Anche la rima: una stanga con il tanga. Non poteva essere altro.
Potrei pure sbagliarmi, ma credo di aver visto sul viso della stangona il lieve accenno di un sorriso beffardo.
Chissà a chi era indirizzato.

martedì 20 luglio 2010

LA CROCIERA - BREVE RESOCONTO

Siamo sulla nave e guardando Nanda che saluta la nipote col fazzoletto in mano mi accorgo che le sta spuntando qualche lacrima e allora
= Nanda, che fai piangi?
= ma chi piagne, chi piagne (si asciuga gli occhi con il fazzoletto)...me dev'esse' entrato quarche bruscolino nell'occhi...
= fammi vedere, te lo tolgo io...
= ma che te faccio vede, lassa perde. Piuttosto annamo a vede sta cabbina (e si avvia mentre io la seguo un po' pensieroso).
Rimaniamo veramente estasiati nel visitare la cabina che ci è stata assegnata: ampia, arieggiata, ammobiliata ottimamente, un bagno-doccia completo di tutti gli accessori, due eleganti comodini e due ampi letti singoli.
= a Calo'... ammazza che robba...sembra de sta' ar grandhotel
= Nanda qui siamo in prima classe quindi...
= e vabbè però tutto sto gran lusso...
= non preoccuparti. Dimmi piuttosto quale letto preferisci tu, quello più vicino al bagno o l'altro
sotto l'oblò?
= er seconno che hai detto
= benissimo. Io suggerirei di sistemare le nostre cose nell'armadio e poi di andare a fare un giro,che ne pensi?
= sì, famo così.
Dopo una trentina di minuti usciamo dalla cabina e visitiamo gran parte della nave .
Giunta l'ora di pranzo ci indirizzano verso un bel salone e ci accompagnano al tavolo che sarà riservato a noi per l'intera durata della crociera. Pensavo che ci avrebbero fatto accomodare in un tavolo con più persone ed invece il nostro è soltanto per noi due.
Finito il pranzo facciamo una breve passeggiata in coperta parlando del più e del meno, poi ci sistemiano su due comode sedie a sdraio, ammiriamo il panorama marino e scambiamo qualche parola con i vicini.
= Calo', ho sentito di' che stasera dopo cena se balla
= se vuoi possiamo partecipare anche noi però ti avverto che non so muovere un piede
= sei de coccio allora...vabbe' te ne stai seduto su quarche cosa e te metti a chiacchierà co' quarche vecchietta. Hai visto quante ce ne so' in giro?
= Nanda scusa la domanda impertinente: ma tu sei forse una giovanetta?
= ma che vor di', io so' regazza drento. Sapessi quanno ciavevo diciotto-vent'anni come spirolavo e quanti sdronciconi me ronzavano attorno. Poi un giorno, uno de q uesti - er meijo te l'assicuro - me comincio' a ronza' attorno più spesso dell'artri e così siccome due più due fa sempre quattro è annata a fini' che me lo so sposato
= e avete vissuto felici e contenti. Così mi ha detto tua nipote Milena
= questo è poco ma sicuro. Solo però fino a quanno quer brutto malaccio me l'ha portato via. Era un
pacioccone, 'n'omo bono, venneva er pesce accanto ar banco mio. Calo' adesso però piantamola e vestimose pe' anna' a cena' e poi se gettamo ner vortice de le danze...
Siamo così riusciti a creare tra di noi un'atmosfera cordiale e simpatica.
La sera quando ci prepariamo per andare a dormire lascio a Nanda la precedenza per il bagno e quella per mettersi a letto. Quando a mia volta esco dal bagno vedo che già dorme e non sente nulla degli eventuali rumori che faccio. Anche perché sin dalla prima sera le ho detto che mentre dormo russo e lei allora si è premunita tappandosi le orecchie con dell'ovatta.
Oggi è già il quinto giorno di navigazione e siamo andati a dormire subito dopo cena poiché abbiamo voluto partecipare a qualche attività dell'animatrice di bordo e così ci siamo stancati.
E' quasi mezzanotte ma ancora non riesco ad addomentarmi. Ad un certo punto, benché al buio, mi accorgo che Nanda accanto al mio letto sta sollevando la mia coperta
= scusame Calo', nun dormo e sento freddo. Me metto drento al letto co' te. Sta' tranquillo nun ammollo carci quanno che dormo
= eppure io non dormivo perciò non russavo e quindi non ti ho svegliata io
= lo so, lo so, nun è corpa tua, adesso dormi, conta le pecorelle
= è un metodo che non funziona
= Calo'...ehm...se io t'abbraccio tu che fai?
= educatamente ricambio il tuo abbraccio
= sai che c'è Calo'? Famo l'educati e strignemose forte.
A quel punto il "fatto" è finito come speravamo entrambi che finisse.
Il mattino successivo, quando mi sveglio, mi accorgo che Nanda, sdraiata accanto a me, mi sta guardando con uno strano sguardo, un incrocio tra il dolce e il tenero
= Calò, me vergogno pure, ma te devo da confessa' 'na cosa. Stanotte, quann'è successa quella cosa che m'ero scordata da un sacco de tempo, me so' "commossa"
= grazie a te Nanda anche per me è stato uguale. Non lo credevo proprio
= e allora chi ce impedisce de "commoverci" quarch'artra vorta? Armeno provamoce.
La nostra crociera è terminata, quindici giorni bellissimi trascorsi felicemente. Scendiamo dalla nave e Milena è lì che ci attende. Ci viene incontro, ci abbraccia e ci chiede com'é andata
= 'na favola, bella de nonna tua, se semo pure "commossi"
= cioé?
= cioé, cioé, quante cose voi sape'. Quanno cresci n'artro po' te lo spiego. Anzi, datte da fa' perché io e Calo' fra un par de mesi se sposamo, tanto er viaggio de nozze già l'avemo fatto. Annamo Calo'
Mi volto per guardare Milena che, attonita, ci fissa con gli occhi completamente spalancati.
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NULLA DI QUESTA STORIA È REALMENTE ACCADUTO. IL SOGNO È RIMASTO TALE

domenica 18 luglio 2010

LA REALIZZAZIONE DEL MIO SOGNO

L'ho sognato da tanto tempo e finalmente quel giorno è arrivato.
Sin da ragazzo ho cercato di far diventare realtà quel sogno e, dopo aver chiesto qua e là per Roma, ci sono riuscito. Ho avuto fortuna, non posso negarlo.
Sono le 12:20 e mi sto avviando con passo veloce all'agenzia di crociere di una famosa Società di navigazione che le organizza per il Mediterraneo con partenze anche da Civitavecchia in provincia di Roma. Quindici giorni da trascorrere sull'Autostrada del Mare e a bordo di una nave bellissima munita di tutti i comfort. Una coppia di coniugi, miei conoscenti con i quali mi sono confidato mi ha "raccomandato" alla loro unica figlia dipendente di quella Società di navigazione. Mi sono informato a dovere presso l'agenzia ed anzi la gentilissima nonché affascinante figlia della coppia dei miei conoscenti - Milena, questo il suo nome – proprio stamane mi ha telefonato e mi ha messo al corrente di qualcosa di meraviglioso. Lei, quale dipendente della Società, ha diritto ogni anno ad un premio di produzione che consiste in una crociera al costo ridotto del 50%, senza alcun altro esborso. Per l'intera durata della crociera - quindici giorni – usufruisce gratuitamente di tutte le comodità e i servizi offerti. C'è un piccolo problema però, quello cioè che la cabina di prima classe messa a sua disposizione è per due persone che devono occuparla benché per il secondo passeggero non si debba pagare nulla. Milena, quando mi ha telefonato questa mattina, mi ha messo al corrente di un suo piano riguardo questo viaggio e me ne ha riferito tutti i particolari. Entrambi i suoi genitori sono partiti per altri lidi e lei avrebbe dovuto occuparsi della nonna materna durante la loro assenza. La nonna, una vedova perfettamente autosufficiente ed in buona salute, per carità, ha comunque una certa età e quindi non si può lasciare da sola giacché Milena in realtà ha tutto un altro programma di vacanze da trascorrere con il suo ragazzo in giro per l'Europa. Però come si fa a rinunciare ad una tale occasione? Allora mi ha fatto una proposta: me la sarei sentita di fare quel viaggio da me tanto sognato facendo compagnia a sua nonna ad un prezzo vantaggiosissimo e cioè a metà della metà del costo reale complessivo? Dopo alcuni chiarimenti chiesti a Milena e dalla stessa ottenuti ho detto sì. Mi ha fornito ulteriori dettagli e adesso sono in Agenzia a perfezionare la "scenetta" , già tra noi concordata, a voce alta, a beneficio dell'intero uditorio:
= buongiorno signorina, sono passato per sapere se ci sono novità per la crociera Mediterranea
= buongiorno anche a lei, aspetti che controllo perché forse c'è qualcosa che le può interessare (e inizia a spiegarmi tutti i dettagli della faccenda: nome della nave, giorno e orario di partenza, il numero della cabina etc etc, anche altri elementi di cui sono già a conoscenza)
= benissimo, d'accordo su tutto. Dove posso accomodarmi per attendere l'altro passeggero?
= è una passeggera ed è già lì seduta su quel divano, se vuole andare a parlarle
= certo, con permesso allora... (mi dirigo verso il divano, lì giunto faccio un mezzo inchino e chiedo alla signora seduta che so essere la nonna di Milena) posso sedermi?
= er posto c'è
= grazie. Sento dall'accento che lei è romana (nel frattempo la osservo: è piuttosto in carne, capelli bianchissimi, neppure un filo di trucco, due occhi vispi di un colore incerto, senza occhiali, vestita molto sobriamente)
= da na marea de generazzioni
= anch'io sono nato a Roma ma da antenati siciliani. Mi chiamo Calogero, il nome del mio nonno materno
= io me chiamo Nanda e nun è er nome de nessuno de' li parenti
= grazioso nome. È il diminutivo di Fernanda vero?
= macché, me chiamo proprio Nanda
= sono un pensionato e...
= te credo che voleva ancora lavora'?
= no, certo. Lei invece lavora?
= all'età mia? No, no, sto in pensione, prima facevo la fruttarola, ciavevo er banco a Campo de' Fiori. Puro mi padre prima de me e mi nonno prima de lui, tutti fruttaroli armeno da cent'anni
= a proposito di anni io ne ho ottanta
= e io settanta. In due famo un secolo e mezzo pensa un po'
= cambiamo argomento...
= sì, si è meijo
= quella bellissima impiegata che vede lì a quel bancone...
= chi quella? È mi nipote, la fija dei mi fija
= benissimo...
= mica tanto. Pensi che noi tre ciavemo tutte lo stesso carattere e nun riuscimo a anna' d'accordo. Però se volemo bene e sa perché? Mica perché vivemo nella stessa casa, ma pe' er fatto che io so' vedova da diecianni e mi' genero c'è e nun c'è, nu' lo vedi e nu' lo senti, quinni...
= quindi ecco spiegato perchè vi volete bene
= già. Senti un po', m'hai fatto parlà solo a me ma de te nun hai detto un granché
= ti ringrazio per essere passata ad un tono un po' più confidenziale, ma di me c'è poco da dire: sono vedovo anch'io, ho due figli, sposati, che hanno le loro famiglie però quest'anno ho deciso che voglio fare una crociera senza di loro
= e puro io. So' anni che me la sto a sogna'. Siccome mi nipote m'ha dato la cabbina sua che però è pe du' persone sto aspetta' che quarchedu...ma dimme un po', ma che gnente gnente annammo su la stessa nave?
= non solo, anche nella stessa cabina così in due risparmiamo
= e vabbe' ho capito però famo a capisse pure noiartri due. Te rendi conto che dovemo da passa' quinnici giorni drento la stessa cabina?
= certo, soltanto la notte però
= e lo so però nun te mette gnente in testa che...
= non porto cappelli
= nun fa' la spiritoso, sai che voijo di'
= tranquilla so benissimo come comportarmi
= ecco bravo, comportate da ragazzo educato...adesso annamo da mi nipote a sistemà l'urtime cose
= sì, vedrai che sarò un perfetto gentiluomo
= e sinnò 'na ciavattata in testa nun te la leva nessuno
= grazie ti ringrazio per la tua bontà (ridendo andiamo da Milena la quale avendo assistito da lontano a tutta la scena sorride anche lei).
Tre giorni dopo, di domenica, alle 9:00 a.m. in punto io e Nanda dalla nave salutiamo la cara Milena diretti verso la meta agognata, l'inizo della realizzazione del nostro sogno.

giovedì 15 luglio 2010

ROMA 10 GIUGNO 1940

L'anno precedente, il 1939, si stava chiudendo nell'ultimo quadrimestre con l'inizio della Seconda Guerra Mondiale.
L'Italia ne era ancora fuori, ma alcuni segnali non facevano presagire nulla di buono e la storia lo ha confermato.
Proprio in quell'anno il Coro della Cappella Lateranense diretto da monsignor Raffaele Casimiri
venne invitato da monsignor Lorenzo Perosi autore di musica sacra e direttore del Coro della Radio Vaticana, ad una trasmissione della stessa Radio diffusa in tutto il mondo.
Io che non avevo ancora dieci anni e mio fratello più grande che ne aveva circa dodici, facevamo
parte di quel coro della Basilica di San Giovanni in Laterano come voci bianche.
Era il pomeriggio inoltrato del 10 giugno 1940 e noi ragazzini componenti del coro, dopo le prove di quel giorno, avevamo pensato bene di fare un partita di pallone proprio nella enorme piazza antistante l'ingresso dell'edificio dove ci recavamo per le prove.
Nella Piazza di Porta San Giovanni oltre all'Ospedale omonimo – per le volte in cui ci sono entrato lo considero la mia seconda casa - vi sono: un obelisco al centro alto oltre trenta metri; il Battistero Lateranense dove sono stato battezzato; alcuni palazzi di civile abitazione e il Palazzo Lateranense che subì gravi danni nell'attentato dinamitardo del 28 luglio 1993.
Ci meravigliammo non poco noi ragazzini nel vedere che l'intera piazza era completamente deserta non circolavano i mezzi pubblici e neppure i rari mezzi privati di quegli anni. Anche i passanti si potevano contare sulle dita di una mano.
Non ci chiedemmo il perché di tutto questo, avevamo ben altro da pensare.
Dopo appena una ventina di minuti una parola urlata con voce stentorea risuonò nella piazza: ITALIANI !...seguita da applausi scroscianti e dalle grida: duce, duce, duce.
Ci demmo un'occhiata intorno e notammo che sui tetti dei palazzi che circondavano la piazza erano stati installati un gran numero di grossi altoparlanti di colore celestino con la scritta Germini, una ditta di apparecchiature radiofoniche, dischi etc, che aveva un suo negozio qui a Roma, in via delle Tre Cannelle proprio di fronte a quella scalinata e a quel palazzo dove sono state girate alcune scene del famoso film "I soliti ignoti".
Ascoltammo in silenzio il discorso del Mussolini con il quale, dal famoso balcone, annunciava ad una folla oceanica riunitasi in Piazza Venezia la dichiarazione di guerra presentata alle nazioni "demoplutomassoniche" - così lui le appellò - Francia e Gran Bretagna.
Un delirio di applausi e grida entusiastiche provenienti da sotto quel balcone di palazzo Venezia accompagnò quel discorso durante l' intera sua durata.
Soltanto nei giorni seguenti cominciammo a renderci conto di ciò a cui stavamo andando incontro.
La guerra, una tragedia enorme e dalle conseguenze disastrose che iniziava ma della quale non si poteva prevedere quando e come sarebbe finita.
10 GIUGNO 1940 – 25 APRILE 1945 quasi cinque anni tra bombardameti, distruzione, enormi danni, fame, occupazione, persecuzione di ebrei e antifascisti, rastrellamenti, migliaia e migliaia di morti e feriti.
Questi una parte dei risultati di quella sciagurata dichiarazione di guerra.

domenica 11 luglio 2010

COME INTERCETTARE UNA TELEFONATA

L'altro ieri mentre ero in cucina sento squillare il telefono che si trova poggiato su di un mobiletto all'ingresso di casa. Velocemente mi avvicino, alzo la cornetta, chiedo chi parla ma il telefono è muto: nessun segnale e nessuna parola. Non sarà piaciuta la mia voce.
Vado in camera mia, mi siedo alla scrivania davanti a Pasquale-pc e, in quello stesso momento, squilla nuovamente il telefono. Non mi alzo, prendo il senzacorda -cordless- gentilmente donatomi da mio figlio in occasione di un mio compleanno che io come al solito non so usare e appena sto per aprire bocca sento
= ciao amore
= ciao cara, ma che bella sorpresa
= ti ho telefonato prima che tu uscissi per andare al lavoro
= hai fatto benissimo
= tua moglie?
= ancora dorme, non preoccuparti. Invece dimmi: tuo marito?
= è già uscito, doveva accompagnare nostro figlio a scuola
= ho capito. E tu cosa stai facendo?
= sono a letto
= come mai?
= penso
= a cosa?
= a noi due amore
= anch'io ti penso amore mio
= mi piace quando mi dici così
= lo so amore. Quando credi ci si possa rivedere?
= anche adesso se vuoi
= per volerlo lo voglio però mi aspettano in ufficio
= non potresti fare un ritardino amore?
= lo farei volentieri, ma già per venire da te ci vuole una buona mezz'ora, poi...
= amore almeno un'orettina devi stare qui con me...
= appunto. Quindi come vedi tra venire da te, fermarmi per un'ora poi il tragitto fino all'ufficio...
= avanti amore, non te ne pentirai, sarò interamente tua
= mi stai tentando amore. Quasi quasi telefono in ufficio e avverto che ritardo...
*******
Ahò, aaa amori belli, vedete de sbrigavve che a me me serve er telefono. Libbero possibirmente.




giovedì 8 luglio 2010

TRAVOLTO SULLA STRISCIA PEDONALE DA UN CARRO FUNEBRE CON OSPITE A BORDO

L'ometto veniva dal mercato dove aveva acquistato frutta e verdura e si era fermato diligentemente al semaforo per aspettare che scattase il verde e così passare all'altro lato della strada.
Dopo qualche secondo d'attesa venne il turno del colore verde e quindi s'incamminò per attraversare, ma giunto a metà della striscia pedonale si dovette fermare perché stava sopraggiungendo piuttosto velocemente un carro funebre l'autista del quale riuscì a frenare appena in tempo.
Iniziò così un curioso balletto tra indecisi del tipo "prego si accomodi" – "no grazie, dopo di lei". L'ometto con i gesti segnalava all'autista che poteva procedere e altrettanto faceva l'autista poi, quando stava scattando nuovamente il rosso al semaforo, entrambi presero la stessa decisione e accadde quello che non avrebbe dovuto accadere.
Il carro funebre, violentemente tamponato da una macchina del corteo fece di scatto un balzo in avanti e, inevitabilmente, travolse l'ometto il quale sarebbe rimasto illeso o quasi se nel cadere non avesse sbattuto la testa con violenza sui sampietrini tratteggiati in bianco.
Il sangue cominciò a colare e man mano la macchia rossa si allargava.
Nel frattempo l'autista aveva fermato il carro e si era avvicinato all'ometto per prestargli le cure del caso seguito dai conducenti delle altre auto del corteo funebre.
Tutto fu inutile.
L'ometto intanto si rendeva perfettamente conto che la sua ora era arrivata e che se ne stava andando "all'alberi pizzuti" ovvero al cimitero.
"Però che iella domani dovevo andare alla posta per ritirare la pensione e ..."
Questo fu l'ultimo suo pensiero.

lunedì 5 luglio 2010

QUADRETTO FAMILIARE BALNEARE

L'anno: il 1966, il mese: luglio, la località: il lungomare Foceverde di Latina, l'alloggio: un albergo, i personaggi: io, mia moglie M e nostro figlio M di sette anni, altri due miei fratelli: il più grande G e la di lui sposa novella R, il terzo P e la di lui futura sposa T.
Assenti giustificati il quarto fratello A, single, studente e i nostri genitori.
Una precisazione. L'albergo in realtà c'era e non c'era in quanto era ancora in costruzione. In pratica esisteva soltanto lo scheletro in cemento armato, senza muri esterni e neppure interni. Però il proprietario, lo stesso del ristorante confinante, aveva ricavato al pianoterra dello "scheletro" anzidetto un piccolo appartamento costituito da un ampio ingresso che fungeva anche da cucina e camera da letto e da un'altra piccola camera di passaggio che conduceva al bagno, da adibire forse come alloggio del guardiano del cantiere. Nella stagione estiva invece lo affittava ai villeggianti in vacanza ad un prezzo, per la verità, molto conveniente.
Adesso non ricordo chi di noi scovò questo appartamento regale, ma poco importa giacché per andare al mare bastava attraversare la strada. La spiaggia era riservata all'albergo-ristorante e ai suoi ospiti, pertanto i tuffi e le nuotate tra le onde del Tirreno erano assicurate senza alcun problema.
Mentre le signore e il pargolo potevano trascorrere tranquillamente la loro villeggiatura, noi tre fratelli partivamo da Roma per giungere a Foceverde il sabato promeriggio e quindi ripartire la sera della domenica in quanto nessuno di noi aveva ferie dal lavoro in quel periodo. Viaggiavamo con una sola auto, quella di mio fratello G, poichè io non avevo auto e neppure patente mentre mio fatello P aveva sì la patente, sempre rinnovata per anni e anni, ma non aveva mai guidato un'auto in vita sua. Una prima volta che aveva provato era salito su un marciapiede e aveva quasi demolito una ventina di tavoli e sedie sistemati all'aperto dinanzi un ristorante nei pressi di Piazza Navona.
Sin dal primo sabato in cui arrivammo a Foceverde ci rendemmo conto, ahimé, come stavano le cose. Il pomeriggio trascorso al mare tutto bene: le signore sdraiate al sole per non perdersi un briciolo di abbronzatura, il pargolo sempre a mollo e a strarompere a destra e a manca e noi tre a leggere giornali. La cena preparata dalle tre grazie non era niente male, non avevamo la TV il che era un bene, il pargolo sfiancato dopo aver sfiancato noi se ne andò a dormire e quindi rimanemmo noi sei a raccontarci gli avvenimenti della prima settimana di villeggiatura.
Venimmo informati che avevano fatta amicizia con una signora del luogo madre di tre bambini con i quali il pargolo aveva subito legato. Ogni sera si riunivano lì in casa dove si villeggiava e tutti ad ascoltare le strane e misteriose storie che la vicina amava raccontare, piene di diavoli, fate, folletti, maghi, mostri e streghe. Ci dissero che si divertivano molto ad ascoltare: beate loro. Giunta l'ora del sonno che a mio fratello G arrivava abbastanza alla svelta si organizzò l'assegnazione dei posti letto
così distribuiti: le tre grazie nel lettone matrimoniale dove si era già andato ad infilare il pargolo; io e mio fatello G nell'altra stanza in un letto ad una piazza e mezzo mentre mio fratello P ,sempre in quella stanza, in uno di quei letti estraibili dal divano, vicino alla porta del bagno. Buonanotte a te, buonanotte a me, appena mezz'ora dopo dormivano tutti meno uno: io. Mi giravo e rigiravo nel letto, niente da fare, il sonno era ben lontano dall'arrivare. Mio fratello G che russava in stereofonia, l'altro fratello P che dormiva placidamente benché affossato dentro quella specie di letto che le era stato assegnato ed io con gli occhi ben aperti. Ad un certo punto sentii provenire dal piano superiore, uno strano rumore. Non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Mi concentrai e pian piano
scoprii il mistero: stavano annaffiando a più non posso il pavimento di quel piano proprio sopra le nostre teste credo con un tubo di gomma come quello dei vigili del fuoco. Il tetto della nostra camera trasudava umidità. Mi venne da pensare che se non smettevano tra non molto l'acqua sarebbe caduta copiosamente. Feci passare un altro po' di tempo poi mi decisi. Mi vestii, badando di fare meno rumore possibile, uscii e andai a vedere cosa diavolo stava succedendo. Salite appena due rampe di scale vidi il proprietario dell'albergo-ristorante che stava richiudendo il rubinetto dell'acqua, lui mi vide, mi chiese spudoratamente se avevo bisogno di qualcosa, gli spiegai il motivo per cui ero salito e lui mi disse che per carenze d'acqua durante il giorno lui doveva fare quel lavoro necessariamente di notte poiché il cemento armato del solaio andava annaffiato spesso.
Discussi con lui quel tanto che bastava per cercare di far valere le mie ragioni ma feci un buco nell'acqua, tanto per cambiare. Mi avviai per tornare in casa ma la porta era ovviamente chiusa e io non possedevo alcuna chiave. Per entrare avrei dovuto bussare o suonare ma avrei anche svegliato gli altri. Allora attraversai la strada e me andai sulla spiaggia. Si stava bene, c'era la luna, e aspettai che si facesse giorno. L'alba giunse abbastanza in fretta e appena il primo pallido sole iniziò a crescere dissi fra me e me "sale il sole, son solo sull'assolato suol, sollevato".
Dopo avermi cercato da ogni parte mi vennero a svegliare gli altri e gli raccontai tutto. Mi ricordo che per tutto il resto della giornata feci girare in continuazione un disco di Mina con una sua canzone "La banda". Io mi stordii e tutti gli altri si scocciarono.

giovedì 1 luglio 2010

L'IRA DI ACHILLE

Circa un anno fa, su questo blog, descrissi uno degli incontri che quotidianamente facevo nel corso del mio giro mattutino per le strade del rione dove abito. Si trattava dell'incontro con una signora o signorina – ancora non ho chiesto informazioni e non ne chiedo – intorno ai quaranta anni, bionda forse ossigenata, piccolina, grassottella, ad ogni modo di piacevole aspetto, con al guinzaglio un magnifico e atletico cane lupo a passeggio per le necessità di quest'ultimo. All'epoca, questo bellissimo animale definito dalla signora "il bimbo" aveva quattordici mesi ed era vivacissimo con una gran voglia di giocare. Data la vicinanza delle nostre rispettive abitazioni ci siamo naturalmente incontrati parecchie volte sempre salutandoci cordialmente e scambiandoci reciprocamente qualche frase di circostanza, mentre osservavo che il "bimbo" cresceva a vista d'occhio.
Questa mattina ho assistito ad un incontro particolare, sempre con quella signora col lupacchiotto al guinzaglio: attualmente ha superato i due anni. Lei faticava enormemente a tenere il suo cane il quale "incacchiato" di brutto, abbaiava a più non posso contro un altro cane non so di che razza, anche lui al guinzaglio tenuto da una ragazza. Non c'era verso di trattenerli, le due facevano sforzi enormi per cercare di allontanarsi dal posto dove si stava verificando lo scontro, poi finalmente la ragazza ci è riuscita e si è avviata in tutt'altra direzione.
Con molta prudenza mi sono avvicinato alla signora bionda la quale, tenendo con tutta la sua forza il guinzaglio del suo lupacchiotto che voleva lanciarsi all'inseguimento dell'altro cane della ragazza, mi dice:
= Ha visto che fa?
= Vedo che è un po' nervoso stamattina...
= Ma no. Sapesse quanto è buono, un agnellino
= Non si direbbe...
= Scherza? Ha notato come si comporta con i bambini?
= Sì, dalla mia finestra. Quando passate nei pressi della scuola tanti bambini vi vengono incontro...
= Ha visto? Lui si accuccia in terra e da loro si fa fare tutto: carezze, lisciatine sul pelo, lascia che gli prendino la coda e si fa persino baciare dai più coraggiosi. Pensi che si ricorda perfettamente sia le ore di entrata e di uscita dei bambini dalla scuola sia la strada che facciamo per passarci accanto. Capisco che è facile dato che facciamo questo tragitto tutti i giorni e anche due volte al giorno, però mi fa tanta tenerezza il suo comportamento.
= Chissà invece come si comporta con i gatti...
= Con i gatti? Quelli sono come degli amici. Dove abito ce ne sono due o tre e quando a volte li incontriamo si guardano come per salutarsi e si passa oltre.
= Veramente?
= Almeno è la mia impressione. La vuole sapere un'altra cosa?
= Dica, dica...
= Non abbaia alle femmine...
= Parla di cani femmina vero?
= Sì, sì...le annusa un po', le squadra, scodinzola per qualche secondo e sta zitto e quieto. Vorrei capire il motivo per cui Achille...
= E chi è Achille?
= Lui, il mio bambinone...non le ho mai detto che si chiama Achille?
= Ma chi, il lupacchiotto?
= Sicuro. Lui è il mio Achillone. Vorrei sapere perché ce l'ha con i cani maschi
= Lo so io il perché, è l'ira di Achille che non vuole rivali.
= Già, non ci avevo pensato... Adesso devo andare. La saluto e arrivederci alla prossima...
= Certamente...arrivederci.
Curioso, né io e neppure la bionda signora sappiamo quali sono i nostri rispettivi nomi però
conosco il nome del lupacchiotto: Achille!