martedì 28 settembre 2010

LO SCONOSCIUTO

APRILE 2007 - Il sesto giorno della mia degenza in ospedale ebbe inizio di notte, alle ore 1.53. Posso precisare l’ora ed i minuti con esattezza perché intravisti su quel tale aggeggio tanto in voga di questi tempi ma da me sempre ignorato: il cellulare! (Una volta era definito così il furgone che trasportava i detenuti da un carcere all’altro e, non capisco il perché, ma ci vedo un nesso).
Inizio il racconto dal “sesto giorno”… e il motivo c’è.
E’ opportuno che faccia un passo indietro per descrivere la stanza dove mi hanno “installato” il
primo giorno del mio ricovero: tre letti, tre mobiletti muniti di cassetto e sportello, tre poltroncine (di una plastica talmente dura da costringerti ad alzarti dopo neppure dieci minuti di “seduta”),tre armadietti a muro, un bagno, un’ampia vetrata che dà su una terrazza a livello di due o tre metri quadrati dalla quale ha libero accesso un “nutrito battaglione di zanzare-iena nottambule”.
Di quei tre letti il terzo a sinistra è stato da me occupato per dieci giorni esatti mentre negli altri
due si sono avvicendati ben sette “compagni-soggiornanti” (in appresso per brevità “co-so”):quattro nel primo letto a destra e tre in quello al centro (tra questi ultimi LO SCONOSCIUTO!).
Formulare critiche o giudizi sui miei amici “co-so” non mi compete né voglio farlo ma raccontare qualcosa di loro mi alletta molto.
1°GIORNO: il “co-so” occupante il letto a destra è un giovane romeno tra i 25 e i 30 anni, sposato
con una quasi coetanea sua connazionale e papà di una bella bambina. Un numero imprecisato di sorelle ed amiche, anch’esse romene, lo circondano, lo coccolano e lo coprono di attenzioni…molto
alimentari, quasi ininterrottamente. Per due notti di seguito e da nessuno disturbati, i due sposini hanno dormito beatamente e teneramente abbracciati in quel “loro” primo letto a destra cullati dal sottofondo del televisore acceso, senza soste, dalle 7 del mattino fino alle 23 inoltrate della sera (o notte?). Il proprietario del televisore in realtà è il “co-so” occupante il letto al centro il quale ha delegato il compito dello “zapping” al vicino romeno che si diverte persino con la pubblicità che imperversa sulle TV private e con l’audio discretamente elevato.
Il “co-so” del letto centrale, un omone alto 1 metro e 90, peso 125 chili, pancione da partoriente quadrigemellare, somigliante incredibilmente al famoso attore americano Ernest Borgnine, se
ne sta a letto, dormendo e russando, quasi tutto il giorno alla ricerca continua del modo migliore
per respirare più facilmente. Il medico gli ha detto che per ottenere quello che desidera è “calare
almeno di 40 chili”. Il “co-so” sghignazza e torna a dormire. Due cose mi hanno incuriosito di lui:
la prima è quella che, malgrado in letargo, appena sente la pubblicità di un gestore telefonico apre occhi e bocca e copre di insulti feroci la TV. La seconda che lui, malgrado il pancione, afferma di dormire molto meglio “a pancia sotto”. Infatti, dormendo, emette col respiro un suono talmente rumoroso che sembra spari cannonate. Ecco perché le “zanzare-iena” a lui non lo pensano proprio.
2°GIORNO: idem c.s.
3°GIORNO: il “co-so” romeno viene dimesso, ci saluta e ci informa,in un italiano stentato, che lascerà l’Italia per tornarsene in Austria dove ha numerosi parenti (non avevo dubbi) ed un lavoro.
Subito dopo anche E. Borgnine lascia la compagnia portandosi via il TV (un grazie di cuore!).
Non passa neppure un’ora che entrambi i letti vengono rioccupati: in quello a destra un ometto di circa 85 anni, piccolo, magro, occhialetti incollati sul naso (mi sembra di averglieli visti anche di notte), quasi sempre con una “coppola” sul capo,abruzzese capa-tosta, ex alpino, ex prigioniero di guerra in Polonia sotto i nazisti, “beccato” in Russia. Da qualche anno “commercialista(?) in nero”.
Possiede alcune virtù: ad ogni passaggio di ausiliarie, di infermiere e di medici non dimentica di
informarli, mattina, pomeriggio e sera, che a casa prendeva cinque pillole al mattino e sei prima di
andare a letto: il disco si è incantato! Poi, ogni quattro e cinque ore, ripete il racconto di quando in Russia è stato internato dai nazisti in un campo di concentramento: altro disco incantato.
Il letto al centro viene concesso ad un pensionato, ingegnere (laureatosi alla Facoltà d’Ingegneria vicino San Pietro in Vincoli, figlio di un abitante di Via della Polveriera per circa venti anni – però
guarda che combinazione – chissà se noi lo abbiamo conosciuto avendo lì abitato sin dal 1930),
molto ciarliero ed abbastanza cordiale, esperto di computer e di telefonini (io ne ho subito profittato).
4°GIORNO: di primo mattino, dopo il rito del giro di controllo dei medici, l’ex-alpino viene
“congedato” e il reduce…finalmente…torna a casa.
Il tempo per le ausiliarie di sistemare il letto di destra per un nuovo arrivo ed ecco che, in una sedia a rotelle, fa il suo ingresso un fresco “co-so”: alto, non troppo in forma, 75 anni, ex muratore
ora in pensione, anche lui ex alpino ma per sbaglio poiché al momento della leva era stato destinato
ai bersaglieri ma ci fu un equivoco (niente Porta Pia ma le Dolomiti). Lo accudisce, quasi dall’alba e sino al tramonto la moglie, un po’più giovane di lui, che lo ricopre di baci, carezze e parole dolci
come: amore, caro, tesoro. Non hanno potuto avere figli: questa la ragione di tante tenerezze? Tratta
il marito come un bebè e lui non ne è molto contento. Borbotta in continuazione ma cambia subito atteggiamento non appena riesce a farsi ascoltare dagli astanti raccontando innumerevoli episodi della sua vita in ciò confortato e sostenuto dalla propria moglie la quale, evidentemente, dopo 40 anni di matrimonio ha compreso benissimo il punto debole del consorte.
5°GIORNO: idem c.s.
6°GIORNO: il fatidico sesto giorno inizia con le dimissioni mattutine del “co-so” del letto di destra seguito nel pomeriggio da quello del letto di centro. Tanti saluti ed in bocca al lupo o in c… alla balena. Dal pronto soccorso portano in barella un uomo di circa 50 anni, conciato non troppo
bene con un paio di flebo e catetere attaccati al corpo ma che lui, adagiato semi-immobile nel letto di destra, non appena allontanati medico ed infermiere, se li stacca alzandosi per andare a bere al bagno in un continuo avanti e indietro per sei o sette volte.
Arriva il personale medico e…apriti cielo. A sera inoltrata la situazione lentamente si normalizza.
Potenza di certa terapia.
Mi addormento abbastanza facilmente rivolto verso il letto centrale vuoto.
All’1 e 53 apro casualmente gli occhi e noto che nel letto accanto al mio, quello di centro, dorme placidamente un “co-so”. Quando è arrivato? Come mai non me ne sono accorto?. Con l’ausilio del chiarore di una luce d’emergenza riesco a capire che si tratta di un uomo piuttosto robusto, scarsi capelli bianchissimi, senza pigiama con indosso soltanto un paio di slip leopardati. Lascio perdere l’esame e mi rimetto a dormire. Il mattino dopo, alla luce del giorno, riesco ad esaminare meglio il mio vicino di letto. E’ un distinto signore, piuttosto in carne, tratti gentili del viso, occhiali da lettura e da vista attraverso i quali guarda spesso intorno a sé. Dopo qualche minuto si alza e, a piedi scalzi, si dirige verso la porta d’ingresso della nostra stanza tornando subito al letto non appena entrano medico ed infermiera. Gli chiedono come si chiama e lui risponde che non lo sa!, poi passano all’età, allo stato civile, al luogo di nascita e di residenza ma lui continua a dire che non lo sa e non ricorda neppure il motivo per il quale si trova in ospedale. Gli spiegano che sono stati due carabinieri di pattuglia a condurlo lì e che è stato rintracciato vagante per la Via Aurelia, conciato piuttosto male, senza portafoglio, né documenti, né orologio,né altri oggetti all’infuori di due mazzi di chiavi: uno di una abitazione (ma quale?) e l’altro di due auto, una Lancia ed un’Audi e di due paia di occhiali. Gli dicono che al pronto soccorso gli sono state riscontrate due ecchimosi una in testa e l’altra alla schiena in corrispondenza del rene destro conseguenze evidenti di una caduta. Lui non riesce a ricordare il perché di quelle “botte”. Deve quindi trattenersi in ospedale per i necessari accertamenti. Lo informano che anche la P.S. si è data da fare cercando di sapere qualcosa di lui: lo hanno persino fotografato con e senza un cappello, con e senza occhiali e hanno inviato le foto alla trasmissione TV di RAI TRE “Chi l’ha visto?”…ma finora senza alcun risultato. Nessuno ha chiesto o chiede notizie di una persona che è scomparsa ormai da qualche giorno. Credendo di capire la sua voglia di parlare con qualcuno lo sollecito un po’ cercando di metterlo a suo agio ma ci blocchiamo sempre sul suo stato confusionale. Parla con un accento romano, non romanesco, ma lui insiste nel dire che non sa di dove viene né dove era diretto al momento della caduta. A volte gli sembra di ricordare di essersi fermato con la sua auto - ma quale? - ad un capolinea della Metropolitana - ma quale? La A o la B? Ed a quale capolinea? Sollecitato da medici ed infermiere a dire il proprio nome sorridendo risponde sempre che lo dirà l’indomani mattina - e questo ogni giorno almeno fino a quando sono restato io in ospedale. A volte indossa l’unico paio di calzoni con i quali è stato ricoverato: tipo jeans, moderni, di colore verde-bottiglia e così pure una bella maglietta, una camicia scozzese ed un paio di calzini che il giorno precedente la mia dimissione ha lavato da solo perché insudiciatisi nella caduta ed ha steso il tutto alla terrazza fuori la stanza L’unica nota un po’stonata, rispetto all’età dimostrata, un paio di scarpe da ginnastica di ottima marca ma di una misura che non deve essere la sua e che il primo giorno si è tolto lo sfizio di lavare accuratamente. Abbiamo stretto quasi un rapporto amichevole e conversa volentieri con me sempre senza la memoria del suo passato ma anche con la consapevolezza che vuole affrontare il presente e con il desiderio di uscire al più presto dall’ospedale. Ma per andare dove?. Non lo sa ma spera nell’aiuto delle forze dell’ordine. Qualche volta lo vedo prendere un quotidiano o una rivista lasciati dal precedente “co-so” e osservo che legge avidamente quasi sorridendo muovendo lievemente le labbra senza emettere alcun suono. Poi mi dice che sfogliando le pagine gli viene in mente qualcosa ed aggiunge, facendomi vedere una foto pubblicitaria che mostra il bellissimo volto di una giovane miss, che gli ricorda qualcuno anzi che l’ha persino conosciuta personalmente. Mah?!?!
E’ giunto il giorno delle mie temporanee dimissioni dall’ospedale sapendo già che dovrò ritornarci tra non molto. Che ne sarà dello SCONOSCIUTO? . Dopo quattro giorni dal suo arrivo nessuno si è fatto né sentire né vedere. L’augurio che gli faccio è che presto qualcuno si ricordi di lui anche se si tratta di uno SCONOSCIUTO che probabilmente vive o ama vivere da solo.
Ci salutiamo cordialmente stringendoci le mani senza sapere quali siano i nostri rispettivi nomi.

sabato 25 settembre 2010

LUI MI HA SUPERATO

Forse sarà il periodo che intercorre tra i sei e i sedici anni a far sì che noi giovanissimi abitanti a Via della Polveriera – monticiani – ne combinassimo di tutti i colori.
Aggiungiamoci anche che dal 1936 al 1946 non è stato un gran bel vivere per molti ma soprattutto per noi bambini e poi ragazzi. Il nostro sviluppo è stato un po' problematico.
Sembrava che noi si facesse una gara per vedere chi combinava più "frescacce", sia in casa con i membri della propria famiglia, sia fuori di essa.
Uno della nostra combriccola, tutti o quasi coetanei, mi ha senz'altro superato nel combinare cose diciamo particolari. E sì che io ne ho fatte di cotte e di crude, però mai come le sue.
LA PRIMA
Aveva non più di undici anni quando andò in macchina a Largo Tritone con il padre il quale appena arrivato accostò al marciapiede e si fermò perché doveva andare in un edificio poco distante per questioni di lavoro. Raccomandò al figlio di starsene buono e tranquillo tanto si sarebbe trattato di pochi minuti e poi si avviò. Dopo una ventina di minuti visto che il padre non tornava pensò bene di mettere in moto la macchina e prendere la via del ritorno. Durante il tragitto si divertì facendo salire in macchina un certo numero di suoi coetanei scorazzando per le vie intorno al Colosseo. Poi se ne tornò a casa e, suonando il clacson sotto le finestre di casa sua, fece affacciare la madre alla finestra salutandola tutto allegro e soddisfatto. Le conseguenze furono quelle facilmente immaginabili.
LA SECONDA
Un giorno questo mio amico che aveva un fratellino biondo di circa due anni, fu sorpreso dalla madre mentre, di fronte allo specchio di un armadio, si stava tagliando i capelli. Lei, molto spaventata chiese al figlio che cosa stesse facendo togliendogli nello stesso tempo le forbici dalle mani. Lui molto candidamente rispose che si stava tagliando i propri capelli castani, perché gli piaceva che ricrescessero biondi come quelli del fratellino.
LA TERZA
Questa volta si trattò di qualcosa di diverso perché coinvolse anche qualcuno di noi suoi amici tra i quali c'ero anch'io. Il padre di quel mio amico era caposquadra di un gruppo di operai della Società telefonica che si occupava della installazione di fili telefonici all'esterno degli edifici. Quando lui, il "capoccia", saliva sulla scala scorrevole per raggiungere un punto in alto e aveva bisogno di un qualsiasi attrezzo o di altro filo, si rivolgeva allo o agli operai rimasti in basso non chiamadoli a voce ma fischiando in un modo che loro solo conoscevano. In realtà lo conosceva benissimo pure il mio amico ed infatti più d'una volta, sapendo dove lavorava il padre, ci diceva di seguirlo, ci si appostava ben nascosti e quando vedeva che i lavori stavano procedendo lui fischiava quel motivetto e si assisteva ad una scena buffa dove l'operaio chiedeva al suo capo "che te serve capo' ?" e l'altro "gnente, chi t'ha chiamato", "ma come, hai fischiato proprio mò", " ahò ma che te sei 'mbriacato de prima matina". "te giuro capo'", "vabbe', lassamo perde". Anche noi c'imparammo quel fischio particolare e quando a nostra volta capitavamo nei pressi di una squadra di operai intenti a fare quel tipo di lavoro ripetevamo la stessa scenetta divertendoci un mondo. Noi. Loro no.
Il ricordo di un caro indimenticabile amico.

mercoledì 22 settembre 2010

SIGNORE E SIGNORI, ECCO A VOI...

Nel periodo che va da metà degli anni cinquanta a quella degli anni settanta io e un gruppo di amici e amiche facevamo parte di una compagnia teatrale amatoriale-dilettantistica alla quale era stato affibbiato il nome "Compagnia SDR – SDRONCICONI". Che voleva dire non l'ho mai capito ma eravamo contenti come se fosse chissà quale autorevole nome.
Ci dilettavamo nelle ore libere dal lavoro a mettere in scena commedie, spettacoli di varietà, d'arte varia etc. Facevamo tutto da noi nel senso che quando c'era da fare scenari, costumi, spezzati da palcoscenico, luci, microfoni e quant'altro necessario avevamo la fortuna di avere con noi i genitori di qualcuno della compagnia che se ne incaricava, Con noi c'erano anche un giovane che suonava benissimo la fisarmonica e una bella giovane cantante la quale, in seguito, fece pure carriera nello spettacolo in quanto diventò una soubrettina della compagnia di riviste di Erminio Macario. Una volta mi capitò di vederla co-protagonista in una trasmissione di varietà in TV.
Una quarantina d'anni fa - era un venerdì d'estate - verso le ventidue mi telefonò a casa Mario, il comico bravissimo della compagnia, padre della cara amica blogger Luz – Blog "COME IL PANE A COLAZIONE " - il quale mi disse che la domenica successiva, cioè due giorni dopo, doveva prendere parte ad uno spettacolo serale all'aperto in una località poco fuori da Roma dove erano in corso dei festeggiamenti non ricordo in onore di quale patrono.
Aggiunse che l'amico-attore che gli faceva sempre da spalla negli sketch l'aveva informato qualche minuto prima che a causa di un improvviso impedimento quella domenica lui non poteva essere presente. D'altra parte era stato preso un impegno con gli organizzatori della festa e quindi lo spettacolo "s'aveva da fare". Mi chiese allora se me la sentivo di prendere il posto del nostro comune amico e che, se potevo, il pomeriggio dell'indomani, dovevo andare a casa sua, abbastanza vicino la mia, per dare una ripassata alla scaletta del copione da portare in scena in quanto era un repertorio che anch'io conoscevo da anni. Non ebbi difficoltà a rispondere che avrei volentieri sostituito l'assente e quindi lo rassicurai dicendogli che avrei partecipato anch'io..
Il sabato pomeriggio andai da Mario il comico, il quale mi mise al corrente quali erano gli sketch che dovevamo portare in scena,.Aggiunse che avrebbero partecipato la sorella più grande di Luz, il fisarmonicista e la giovane cantante nonchè due giovani ballerine. Chissà dove le aveva incontrate in quanto non facevano parte della nostra Sdronciconi. Io, oltre che la sua "spalla" dovevo fare il presentatore. Nel soggiorno di casa di Mario si erano radunati tutti o quasi i componenti della sua famiglia per assistere alla "ripassata". Tutto andò bene poiché era un repertorio di battute che sapevamo a memoria.
Il giorno dopo, domenica, verso le diciannove ci ritrovammo tutti nel posto dove avevano montato il palcoscenico e cioé a margine di un campo di calcio senza erba, pieno di polvere. Naturalmente senza sipario, né fondale, né scenari e neppure quinte, alto dal terreno non più di un metro. Per le donne che si dovevano cambiare era stato allestito una specie di camerino di legno. La gente aveva già iniziato ad entrare nell"arena" dove c'erano solo posti in piedi. Alcune signore, previdenti, si erano portate le sedie da casa. Le due prime file della "platea" erano state occupate da un numeroso gruppo di giovanottelli i quali già da un'ora prima dell'inizio dello spettacolo avevano cominciato a rumoreggiare.
Alle 21 in punto, dopo un breve stacco musicale del fisarmonicista, entro in scena, saluto il pubblico e presento la giovanwe cantante la quale interpreta tre canzoni piuttosto conosciute a quei tempi. Quando inizia a cantare la terza coinvolge il pubblico e molti la seguono. Applausi e bis.
Poi tocca a me e a Mario per un breve siparietto tra spalla e comico.
Il terzo numero in programma prevede l'entrata in scena del fisarmonicista e delle due giovani ballerine. Appena mettono i piedi sul palco le accoglie un applauso fragoroso E se ne comprende benissimo il perché: giovani, attraenti, truccatissime, con un costumino da far strabuzzare gli occhi – meno male che era estate – non poteva che andare così. Fanno il loro numero ma il pubblico, quello maschile soprattutto, urla "bis" a più non posso tanto che le due "pupille di Tersicore" sono costrette nuovamente a danzare. Malgrado le richieste del pubblico le ragazze riescono a lasciare il palco emozionatissime e sprizzando gioia da tutti i pori.
Tocca nuovamente a me entrare in scena per presentare il numero che segue, ma a questo punto scoppia il finimondo:
= Vattene a casa; rifacce vede le ballerine; nun te volemo a te; nun ce ne frega niente dell'artri
E comincia a volare qualcosa, naturalmente dalla platea verso il palco. Io rimango fermo davanti al microfono, riesco ad evitare un paio di cose, e poi, con molta calma, chiedo per favore un po' di silenzio che riesco ad ottenere da una grossa parte del pubblico. Il problema sono le due prime file composte dai baldi giovanottelli i quali, con le braccia poggiate sul palco a pochi centimetri da me, ascoltano malvolentieri quello che dico loro e poi uno di loro, forse il più grandicello mi fa
= Ahò, a broccole', mo t'avemo fatto di' 'ste du' frescacce, s'azzittamo pure quando fate la scenetta, ma poi se nun ce rimannate le du' bambole qui succede er finimonno, se semo capiti?
Firmato l'armistizio, finite per il momento le ostilità, proseguiamo col programma: siparietto, cantante, scenetta e infine, dulcis in fundo, le ballerine tanto amate vestite – quasi – con un altro costumino piuttosto osé.
Delirio in platea, richiesta di bis a non finire finché ad un certo punto gli organizzatori decidono di far intervenire i due carabinieri presenti per l'ordine pubblico i quali, dopo molte insistenze, riescono a calmare i bollenti spiriti dei più agitati.
Ad ogni modo è stato comunque un successo. Per qualcuno almeno.

sabato 18 settembre 2010

MAURO cerca NORA

Dopo altri cinque giorni di vacanza oggi inizia il nuovo anno scolastico e si riaprono le scuole. Quella dove insegno si trova a tre chilometri di distanza da dove abito e quindi ne approfitto per andarci in bicicletta. Devo ammetterlo sono emozionato perché i miei ragazzi della quinta C al termine di quest'anno scolastico proseguiranno gli studi altrove. Anche cinque anni fa quando ci lasciammo con quelli della quinta B provai la stessa cosa. D'altra parte quando si sta con loro per cinque anni di seguito e li si vede crescere sotto i propri occhi, da bambini a ragazzi, penso che sia comprensibile provare questo sentimento. Anche questa volta, al termine dell'anno scolastico, farò loro la stessa richiesta che feci a quelli della volta precedente: "se vi va e se potete venitemi a trovare e fatemi conoscere come procedete nella scuola e nella vita".
Pedalando mi torna in mente il mio viaggio sul treno di cinque giorni fa. Lo confesso, l'aver conosciuto Nora non mi ha lasciato indifferente e meno che mai l'aver trascorso quelle ore con lei
raccontandoci tanto delle nostre vite. D'altra parte posso solo sperare d'incontrarla, così, magari per caso, ma non ne sono troppo sicuro. Abbiamo deciso di non scambiarci i nostri rispettivi numeri telefonici e credo sia stata una decisione saggia. Non ci siamo neppure detti dove abitiamo e neppure io le ho detto in quale scuola insegno e...Un momento. Adesso che ci penso lei mi ha detto che lavora alla sede Rai di Torino quindi ove decidessi di rivederla...No, no, meglio lasciar perdere. Nora ha più che validi motivi per vivere la sua vita e dividere il suo futuro con il suo compagno. Mi rassegno e non ci penso più anche perché sono arrivato a scuola Il primo giorno è uno dei più impegnativi dell'anno scolastico per tanti motivi, uno dei quali è quello che proviamo piacere a raccontarci reciprocamente le vicende delle vacanze appena terminate: con chi, come e dove.
Trascorsi tre mesi mancano appena dieci giorni all'inizio delle vacanze natalizie. Le scuole infatti resteranno chiuse dal 23 dicembre all'8 gennaio del prossimo anno, ed io, come negli anni precedenti torno a Palermo dai miei. Decido quindi di recarmi alla stazione per prenotare il treno.
Allo sportello c'è un discreto numero di persone avanti a me. Mi metto in fila dietro l'ultima e attendo il mio turno. Quando sto per arrivare allo sportello un pensiero mi balena nella mente. Non faccio il biglietto ed esco dalla fila. In questi tre mesi non ho fatto altro che pensare a Nora e allora adesso decido diversamente. Prendo la bici, chiedo informazioni circa l'indirizzo preciso della sede Rai di Torino e, ottenutolo, per agire più serenamente torno a casa dove cercherò di riordinarmi un po' le idee e studiare un piano per cercare di rivedere Nora.
Ragionando a mente serena, lei non lavora in una scuola e può darsi allora che abbia soltanto pochi giorni di ferie. Non dovrebbe allontanarsi da Torino.
È il 23 dicembre, sono le sette di mattina ed io mi trovo davanti il portone d'ingresso della sede Rai e attendo, malgrado il gran freddo, l'entrata degli impiegati. Non ho potuto domandare nulla alla persona all'ingresso perché di Nora conosco soltanto il suo nome e non il cognome. Alla spicciolata
arriva un discreto numero di persone che va man mano aumentando fino a fermarsi alle 9 in punto. Di Nora nessuna traccia. Può darsi che qui si lavori a turno, mattutino e pomeridiano. Ritornerò qui tra poco meno di sei ore. Venti minuti prima delle quindici sono di nuovo qui e vedo che alcune persone stanno avvicinandosi al portone d'ingresso. Tra esse la figura inconfondibile di Nora. Incurante di tutto cerco di farmi notare agitando una mano. Dopo qualche secondo lei mi vede e istintivamente ci corriamo incontro con le braccia spalancate. Ho solo il tempo di notare che non ha più la frangetta dei capelli sulla fronte, li ha lasciati crescere e li ha annodati dietro la nuca. Mi dice che deve entrare in ufficio, ma che ne uscirà alle ventuno. Le assicuro che sarò li ad aspettarla. Sono in preda all'agitazione come fossi alle prime armi in questo genere di cose, ma sono contento di esserlo perché tutto questo può avere un solo ed unico significato: sono innamorato di Nora.
Quella sera stessa siamo di nuovo insieme e riprendiamo a parlare come se non fossero trascorsi più di tre mesi. Lei m'informa che conduce sempre la stessa vita di cui mi parlò sul treno, che ogni fine settimana si vede con il suo compagno, ma su questo argomento preferisce non approfondire ed io non le chiedo nulla. Mi dice che non potrà recarsi a Palermo per via del lavoro ed io la informo che ho cancellato quel viaggio. Lei proprone di trascorrere qualche festività insieme. Noi due soli precisa. Era quello che speravo.
Concordiamo di comune accordo come, dove e quando vederci e nessuno di noi due si meraviglia di ciò che stiamo facendo, spontaneamente e con naturalezza come se fossimo amici di vecchia data uniti da qualcosa di molto diverso rispetto l'amicizia. Questa volta ci scambiamo i numeri telefonici. Fissiamo l'appuntamento per il venerdì successivo. A casa mia in quanto il mio collega con il quale condivido l'appartamento si trattiene in quello della sua ragazza fino a notte inoltrata. A volte neppure rincasa. Ci salutiamo sfiorandoci appena le labbra con un tenero bacio.
Nora puntualissima venerdi sera alle 9:30 suona alla porta, le apro, ci salutiamo baciandoci e cominciamo a cenare. Trascorrono un paio d'ore raccontandoci un bel po' di cose, ma ad un certo punto, soltanto guardandoci negli occhi comprendiamo che è giunto il momento che entrambi attendevamo. Andiamo nella mia camera dove accadrà quello che già doveva accadere su quel treno da Palermo a Torino.
Ci siamo messi d'accordo che la sera del 31 dicembre pur non potendo trascorrere insieme la notte di Capodanno, ci saremmo visti verso le 22 vicino il suo posto di lavoro soltanto per alcuni minuti per scambiarci gli auguri.
Alle 20:30 mi preparo per andare a quell'appuntamento, esco da casa, prendo la bicicletta e vado
quasi volando verso quel posto che ormai conosco molto bene.
A metà strada una macchina con i fari abbaglianti accesi.......
Nora guarda per l'ennesima volta l'orologio, si sta avvicinando troppo velocemente la mezzanotte,
riprova di nuovo a chiamare Mauro al telefono ma nessuno risponde.
Dopo altri tentativi andati a vuoto per cercare di parlargli, il 2 gennaio va a casa di Mauro e apprende dall'amico che lui non c'è più, investito da una macchina.

mercoledì 15 settembre 2010

QUEL LUNGO TRENO CHE ANDAVA TROPPO VELOCE

Come ogni anno trascorro le vacanze in Sicilia dove sono nati i miei ed ora mi trovo qui alla stazione centrale di Palermo per prendere il treno delle 12:05 che mi consentirà di arrivare a Torino Porta Nuova domattina alle 10:45.
Ho prenotato da venti giorni un posto in vagone letto e quindi sono tranquillo per il viaggio. Infatti noto una gran folla di viaggiatori vicini al treno in procinto di salire e trovare un posto libero.
Da dodici anni, ora ne ho trentasette, insegno in una scuola elementare di Torino e, non essendo sposato, divido un minuscolo appartamento poco fuori città con un mio collega anche lui celibe.
Malgrado le continue sollecitazioni dei miei, soprattutto di mia madre, non ho ancora trovato, ma neppure tanto cercato per la verità, la donna alla quale vada bene il mio carattere, il mio aspetto, il
mio lavoro o chissà che. Finora brevi relazioni anche intense con qualche collega o con loro amiche, ma c'è stato sempre qualcosa che ci ha indotto ad interrompere, serenamente e di comune accordo, qualsiasi eventuale futuro panorama di vita.
Ho già depositato nel portabagagli del mio scompartimento la borsa da viaggio e attendo che arrivi l'altro passeggero che dividerà con me il letto a castello. Farò scegliere allo stesso quale dei due preferisce, se quello di sopra oppure l'altro.
Sento che il treno si sta muovendo lentamente per uscire dalla stazione. Però non è venuto nessun altro passeggero. Forse è meglio, così mi troverò più a mio agio. Ho con me un libro e quindi leggo.
Appena trascorso un quarto d'ora si affaccia alla porta scorrevole dello scompartimento l'addetto al vagone il quale:
=Scusi se la disturbo signore, avrei da chiederle un favore...
=Prego, se posso...
=Si tratta di questo. Il passeggero che doveva occupare insieme a lei questo scompartimento ci ha avvisato soltanto poco prima della partenza che, per cause di forza maggiore, doveva rimandare il viaggio e quindi non si sarebbe presentato...
=Infatti ho notato che malgrado il gran numero di passeggeri che si sono affannati per trovare un posto qui ce ne sta uno vuoto...
=Appunto, signore, il treno è stracolmo, non c'è un posto libero, negli altri vagoni stanno seduti persino nei corridoi, però...
=Però cosa?
=Una persona che ha prenotato un posto in questo vagone letto, benché avvisata che non ce n'erano più liberi, per una serie di motivi personali ci ha detto che non poteva prendere il treno successivo in partenza troppe ore dopo. Ci ha chiesto quindi di salire ugualmente perché si sarebbe seduta anche nel corridoio.
=Mi dispiace ma non capisco quale è il favore che dovrei fare io. Qui il posto libero c'è, se vuole può occupare questo...
=Ecco signore, c'è un problema ...
=Quale?
=È una signora
=Ah!
=Le crea qualche fastidio se la signora prende posto anche lei in questo scompartimento?
=A me, nessuno, forse alla signora...
=No, ha detto che la cosa non la disturba...
=Allora che venga pure...
Dopo qualche minuto ritorna l'addetto che lascia il passo ad una signora...E che signora!
=Buongiorno. Mi dispiace disturbarla ma domani mattina devo essere assolutamente a Torino per riprendere il lavoro, sa...
=Scusi se la interrompo, abbiano tanto di quel tempo, possiamo parlarne dopo non crede?
=Ha ragione. Allora sistemo le mie cose e...grazie anche a lei per aver convinto questo signore...
=Prego, le auguro buon viaggio anzi lo auguro ad entrambi..
=Ah, sì, grazie, buonasera
Mentre la signora sistema il suo bagaglio di sottecchi la osservo ...ed è un bell'osservare. Non molto alta, capelli castano scuri, lisci e una deliziosa frangetta sulla fronte, volto rotondo, personale ben tornito...il resto lo guarderò dopo con più attenzione.
La prima cosa che facciamo è quella di scambiarci i nostri nomi: lei Nora io Mauro.
Poi avvicinandosi l'ora di pranzo chiedo a Nora se si va insieme al vagone ristorante e lei accetta ad una sola condizione: il conto deve essere categoricamente diviso tra noi due. È inutile la mia insistenza e quindi "concludiamo l'accordo". Durante il pasto, non proprio eccellente per la verità, ci raccontiamo molte cose di noi stessi. Lei ha trentadue anni, cinque meno dei miei, è impiegata presso la sede Rai di Torino, vive in casa di una sorella della propria madre, torinese d'adozione da molti anni, è single ed ha un compagno, anche lui single e coetaneo che vive però a casa dei propri genitori. Aggiunge anche, bontà sua, che si vede col suo compagno in casa sua soltanto dal sabato alla domenica quando i genitori di lui se ne vanno in giro per le vicine montagne. Anch'io le racconto tutto di me finché arriva il momento in cui veniamo avvisati che il vagone ristorante ormai sta chiudendo. Il tempo è passato e noi non ce ne siamo accorti. Prenotiamo un leggero pasto per la cena e torniamo nel nostro scompartimento dopo aver sorseggiato un discreto caffè. Nessuno di noi due fuma. Trascorriamo l'intero pomeriggio fino all'ora di cena un po' leggendo e per il resto continuando a raccontarci alcune cose di noi e qualche aneddoto della nostra vita passata. Consumata la cena torniamo al nostro "alloggio" verso le ventidue. Dopo un'ora decidiamo entrambi che è giunto il momento di andare a dormire, Nora sceglie il letto di sotto, io mi reco al bagno per indossare il pigiama. Lei, al mio rientro, si è già sdraiata nella sua cuccetta ed è in pantaloncini corti e maglietta a V senza maniche. Salgo al mio posto e Nora lascia a me la scelta di tenere accesa o spenta la luce.
Lei non legge, io qualche pagina, poi spengo. Neppure venti minuti dopo mi sento chiamare
=Mauro dormi?
=Non ancora, perche?
=Ti va di parlare un poco'?
=Certo, aspetta che scendo.
Siamo andati avanti per ore. Abbiamo visto l'alba e poi lo scorrere delle ore, sempre parlandoci ma, come presi da una fretta inspiegabile siamo andati veloci col nostro dialogare, abbiamo parlato in sintonia con la velocità del treno.
Come se temessimo di non riuscire a dirci tutto prima del nostro arrivo a destinazione.
Torino Porta Nuova è apparsa troppo presto.
Ci siamo guardati negli occhi e, solo con lo sguardo, abbiamo capito di avere lasciato qualcosa a metà.
Non ci scambiamo numeri telefonici ma, commossi, ci abbracciamo a lungo, affettuosamente, teneramente.

domenica 12 settembre 2010

NE CLICCHI UNO E NE TROVI DUE

FINO AD OGGI LE COSE STANNO COSI'
La faccenda non è poi così importante ma ha suscitato in me molta curiosità ed allora mi sono chiesto: perché non provare a fare un conteggio?
Vero è che fare di conto non mi aggrada molto, però voglio conoscere il motivo se esiste.
Cercherò di fare un po' di statistica su maschi e femmine aventi il mio stesso cognome e componenti soltanto la mia famiglia, non quella di zii e cugini.
Scorrendo il mio albero genealogico a partire dal mio nonno paterno del quale conservo il cognome - parlo del 1860, dal tempo cioè del Regno delle Due Sicilie – mi sono accorto di una cosa particolare.
Inizio appunto dal 1860 quando Garibaldi dopo essersi rifornito d'armi a Talamone in Toscana, sbarca a Marsala in Sicilia con i Mille per conquistare il Regno delle due Sicilie.
Mio nonno paterno, Salvatore, nacque e visse in una piccola cittadina della provincia di Trapani, la stessa di Marsala, dove nel 1900 nacque anche mio padre il quale nel gennaio del 1928, dopo essersi sposato con mia madre che non aveva ancora diciotto anni, emigrò a Roma in viaggio di nozze. Nel novembre di quello stesso anno, sempre qui a Roma. iniziarono a nascere quattro fratelli, io compreso, tutti maschi. Il periodo: 1928 – 1937.
Mi fermo qui e inizio a contare: dal 1860 al 1937 sei maschi e neppure una femmina.
Vado avanti.
Dal 1959 al 1972 da quei quattro fratelli nascono quattro maschi, uno per ciascuno di loro e anche una femmina. Finalmente!
Siamo quindi a dieci maschi e una sola femmina.
Dal 1987 nasce un solo maschio però scomparso dopo tre giorni, e poi soltanto femmine, ben cinque che vanno ad aggiungersi alla solitaria di cui prima.
Risultato? Alla data odierna, scomparsi cinque maschi: nonno paterno, mio padre, due miei fratelli e il mio nipotino, nel centenario dell'unità d'Italia c'è il pareggio: sei femmine e sei maschi.
Di che colore sarà il futuro?


FREEAEDILE'S CORNER
Un dizionario italiano-inglese e viceversa mi ha consentito di trovare le parole per titolare questo scritto poiché fanno il paio con "Speakers' corner" – l'angolo degli oratori di Londra, in Hyde Park vicino Marble Arch.
Invece "Freeaedile's corner" è l'angolo dei muratori di Roma, a Piazza Vittorio vicino Via Lamarmora.
Questo angolo del mio rione dove passo quasi ogni giorno è particolare in quanto diventa angolo dei muratori soltanto la domenica mattina, tutte le domeniche, da oltre quaranta anni sicuramente, dato che sono venuto ad abitare da queste parti nel 1969.
Fino a circa venti anni fa era frequentatissimo.
Discussioni a non finire tra assistenti di cantiere, mastri, muratori, carpentieri, manovali, ferraioli, attaccacalce etc.
Davanti un grande bar-tabacchi, sul marciapiede d'angolo, si scambiavano consigli, opinioni, pareri e notizie sui più recenti macchinari e materiali edili utili al loro lavoro. Parlavano inoltre di appalti o sub-appalti che avevano ottenuto e, se qualcuno di loro era alla ricerca di personale, si fornivano reciprocamente i nominativi di operai da loro conosciuti e momentaneamente disoccupati.
Quasi si percepiva la grande euforia che regnava in tutti i presenti in quanto il lavoro non mancava e conseguentemente non mancavano neppure i soldi.
Poi lentamente il numero di quei lavoratori e piccoli imprenditori si andò sempre più assottigliando.
Domenica scorsa, di mattina, passo nei pressi di quell'angolo e vedo soltanto tre di quelle persone intente a parlare tra di loro.
Sono tre uomini piuttosto robusti, non troppo alti, capelli grigi, abbronzati, vestiti casual, di età intorno ai sessanta anni, forse un poco più giovani.
Incuriosito mi avvicino e dico loro:
=Buongiorno, scusatemi, posso chiedervi una cosa?
=Dite, dite sor maè, che ve serve?
= No, niente era soltanto una mia curiosità personale
= De che se tratta?
= Ecco, si tratta di questo. Abito qui in zona da molti anni e ogni domenica mattina passo proprio vicino questa via e questa piazza. Ho notato che parecchio tempo fa eravate in molti qui a parlare del vostro lavoro. So che siete tutti impegnati nel settore dell'edilizia
= Embé?
= Come mai col passare degli anni da tanti che eravate siete diventati così pochi?
= A sor mae' ma voi 'ndo vivete su la luna?
= No, ma...
= Ecco, appunto. Sta annanno tutto a carte quarantotto. A parte er fatto che quarcheduno è annato in pensione, quarcun altro all'artro monno; c'è persino chi se n'annato all'estero. Nun se batte più un chiodo...
= E voi invece?
= Sor mae' ma che sete der fisco?
= Io, alla mia età?
= Nun se po' sape'...
= Tranquilli sono un pensionato molto più anziano di voi, e non della finanza.
= Allora vabbe'. Noi se arangiamo; 'gni tanto quarche lavoretto pe' sistema' 'na casa, na stanza, na cucina, un bagno, robetta così riuscimo a rimedialla. Si nun je la famo da soli quarche rumeno o quarche clandestino che ce da' na mano 'o trovamo sempre...
= Tutto legale e regolare?
= Ma de che? Si nun c'è gnente de legale e regolare indove ce dovrebbe da esse , ve pare che noi dovemo da esse i più fregnoni?
= Avete ragione. Arrivederci e grazie.

giovedì 9 settembre 2010

QUI SI STA BENE

Quella sera, giusto all'ora di cena, Gino si stava recando a passo svelto verso un ristorante che gli era stato raccomandato dai suoi colleghi di lavoro, ma ad un certo punto si sentì chiamare, si voltò e vide venire verso di se, quasi correndo, Tullio un suo vecchio amico. Abbracci, baci, scambio di battute e reciproche domande e risposte sulle loro personali situazioni. Gino benché quasi cinquantenne informò l'amico, anche lui della stessa età, di essere ancora scapolo mentre Tullio invece gli disse di essersi sposato non da molto con una bella donna, Milena, deliziosa, intelligente, calma, docile, mansueta etc etc. S'informò su dove si stava recando al momento del loro incontro e quando si sentì dire da Gino che stava andando a cena in un ristorante vicino Tullio insistette molto per fargli cambiare idea e ci riuscì invitandolo a casa sua. Lui doveva prima sbrigare qualcosa perciò gli dette un suo biglietto da visita con l'indirizzo e quasi lo costrinse ad accettare quanto gli aveva proposto. Gino accettò non molto entusiasta, salutò l'amico Tullio e si avviò.

A casa di Tullio sua moglie Milena con un bicchiare in mano colmo di liquido chiaro come acqua dice alla cameriera Rosetta

MI: Allora Rosetta questo è un liquido potentissimo per smacchiare, sono certa che adesso riuscirai a far sparire quelle macchioline sul soprabito che voglio indossare stasera. Cerca di fare del tuo meglio

RO: (prendendo il bicchiere) non dubiti signora (sta per avviarsi ma suonano alla porta, allora posa il bicchiere su di un tavolino poggia-telefono per andare ad aprire ma Milena la ferma

MI: No, vado io ad aprire tu pensa a quello che devi fare

RO: (esegue dimenticando di prendere il bicchere con il liquido)

MI: eccomi (apre la porta di casa)

GI: Buona sera signora è permesso?

MI: (esitante) prego...lei chi sarebbe?

GI: non le ha telefonato suo marito?

MI: no perché, che doveva dirmi?

GI: se mi fa entrare le spiego tutto...ecco, grazie. Il fatto è questo: poco fa ero in strada e camminavo per i fatti miei quando improvvisamente mi sento chiamare, mi volto e chi ti vedo?

MI: non lo so...

GI: ma Tullio, naturalmente, proprio suo marito. Ci siamo abbracciati perché siamo amici da molti anni e non ci vedevamo da tanto tempo. Poi mi ha chiesto dove ero diretto. Ho risposto che stavo andando al ristorante per cenare, poichè io sono scapolo, sa com'é, mangio sempre fuori casa, non mi va di cucinare, sono uno di buon appetito, quindi...

MI: quindi?

GI: appena ha sentito che andavo al ristorante Tullio mi ha fatto cambiare idea. Ma dove vai, lascia perdere, vieni a casa mia a cena, così conoscerai anche mia moglie - non lo sapevo che si era sposato – a casa mia si sta bene, e così via. Per farla breve mi ha convinto soltanto dopo avere tanto insistito...sapesse quanto ha insistito...

MI: ah! Ha insistito tanto?

GI: direi troppo. Mi ha detto che lei si chiama Milena. Io mi chiamo Gino, piacere di fare la sua conoscenza. Una gran bella casa la vostra, qui sì che si sta bene...

MI: grazie. Ad ogni modo torniamo alla cena. Mio marito l'ha invitato a cenare da noi, ma ha dimenticato due cose: primo che mi aveva promesso di portarmi a cena fuori e per l'occasione avevo persino indossato questo bell'abito , secondo che non ho nulla in frigo per preparare una cena decente, mi manca il...

GI: Credo non ci sia da preoccuparsi perchè Tullio mi ha detto, tra l'altro, che provvedeva lui ad acquistare tutto il necessario per una buona cena...

MI: sì capisco, ma è meglio far controllare che cosa c'è rimasto in casa. Rosetta? Rosetta...

RO: eccomi signora

GI: (appena vede entrare Rosetta, una bella ragazza, fra di sé esclama) ...Qui sì che si sta bene

MI: Rosetta mi dovresti dire cosa abbiamo in frigorifero per poter...Anzi no, facciamo così, vediamo che porta mio marito e poi...(suona il campanello della porta)

RO: (va ad aprire la porta e poco dopo rientra con un pacco tra le mani) signora c'è il commesso della rosticceria con questo pacco

MI: ah sì? Beh, portalo in cucina

RO: veramente signora vuole essere pagato...sono trentacinque euro...

MI: ma non ha provveduto mio marito?

RO: no, anzi suo marito ha detto al commesso che il conto lo avrebbe pagato lei

MI: (mostrandosi imbarazzata) il fatto è che non ho euro di taglio piccolo e non so che fare...

RO: il commesso ha detto che se non viene pagato riporta tutto indietro...

GI: (intervenendo) signora scusi, senza offesa, ci penso io poi, quando viene suo marito...

MI: lei è veramente gentile. Mi spiace crearle questo disturbo...

GI: ma le pare signora, per così poco ...(prende il denaro dal portafoglio, lo dà a Rosetta e sottovoce) ...almeno si mangia. Però qui si sta bene...

Questi episodi si ripeterono nello stesso identico modo, come il precedente, altre due volte: la prima per la consegna da parte del commesso di una enoteca di due bottiglie di vino pregiato per un importo di quindici euro e la seconda per la consegna di una torta da parte del commesso di una pasticceria, importo venti euro.

GI: (innervositosi, appena Rosetta ha ritirato l'ultima consegna ed è tornata in cucina per unirla alle precedenti , sbotta)...signora Milena, parliamoci chiaro. Io ho tirato fuori 35, 15 e 20 euro per un totale di settanta euro. Se suo marito non viene io mi porto via lei e la cameriera, Da qui non si scappa, qualcuno deve pur provvedere a ridarmi i miei euro...

MI: ma no, stia tranquillo, mio marito arriva, per forza deve arrivare, sistemerà tutto lui...

GI: e se lui non sistema io qui sfascio tutto...

MI: si calmi la prego, adesso vado di là e vedo se Rosetta ha iniziato a predisporre...

GI: ecco, bene, vediamo se si può cominciare a mangiare. Non ci vedo più dalla fame...

Dopo qualche minuto si sentì provenire dalla cucina un gran fracasso, urla, strepiti, fragore di oggetti che si rompevano e Rosetta, irritatissima, che riappariva dicendo

RO: me ne vado...me ne vado da questa casa e senza neppure dare gli otto giorni. Vado via da questo inferno...

GI: scusa ma cosa è successo?

RO: Mi domanda cosa è successo? Quella è isterica, è nevrotica. Lo sa che ha fatto? Ha buttato dalla finestra tutto quello che il marito ha fatto venire per la cena...

GI: ma no...

RO: ma sì

GI: non c'è rimasto proprio niente?

RO: beh, posso andare a vedere

GI: brava, brava va a vedere...Per la miseria settanta euro buttati dalla finestra...

RO: ecco, ho rimediato questo mezzo pianino, se per lei va bene, sa era del cane...

GI: no, se poi il cane si offende?

RO: allora glielo riporto?

GI: (gli strappa il mezzo panino dalle mani e comincia ad ingozzarsi fino a strozzarsi. Cercando qualcosa che lo aiuti vede il bicchiere pieno di liquido chiaro sul poggia-telefono lo prende ma al primo sorso...)

RO: (urlando) non beva, non beva, quello è liquido per smacchiare...(insieme a MILENA che è riapparsa sentendo le urla, sostengono GINO che, mezzo svenuto, si sta accasciando)

GI: (tra le braccia di MILENA e ROSETTA vaneggiando le guarda e mormora con un filo di voce) QUI SI' CHE SI STA BENE.

*******

RIASSUNTO DI UN VECCHIO SKETCH DI VARIETA' RIPROPOSTO NEL 1987


domenica 5 settembre 2010

QUANDO ANCH'IO SBARCAI IN SICILIA MA NON ERO UNO DEI MILLE

Mi sembra di ricordare che dovevo ancora compiere diciotto anni ed era sicuramente il 1948.
Ero stato invitato da uno dei fratelli di mio padre a trascorrere una breve vacanza in Sicilia, nella città dove erano nati entrambi i miei genitori, i loro fratelli e sorelle nonché i miei nonni paterni e materni.
Dei quattro nonni era rimasta viva soltanto la nonna paterna la quale, molto in là con gli anni, ci lasciò dodici giorni dopo il mio arrivo. D'altra parte, vedova di tre mariti, forse era giusto che fosse arrivato anche per lei il momento di raggiungerli.
Lo zio paterno presso il quale avrei trascorso la mia vacanza, aveva moglie e tre figli dei quali il più grande morto due anni prima in un tragico incidente mentre era in mare che si divertiva dentro la camera d'aria di un grosso copertone di ruota d'autocarro; il secondo emigrato in Svizzera e la terza, femmina, mia coetanea, in casa ad accudire i genitori.
La camera che mi era stata assegnata, in realtà uno stanzone, si trovava al pianoterra, accanto a un bagno, alla cucina e all'ingresso che dava proprio sulla strada, mentre gli zii e la cugina occupavano l'intero secondo piano di questa casa di soli due piani che si trovava nella zona periferica della città.
C'era anche un altro ingresso che si poteva utilizzare per entrare in casa ma era stato adibito a stalla dove "regnava" una grossa capra. Dico regnava poiché lei, la capra, sembrava ce l'avesse con me, forse sapeva già che ero un caprone. Infatti se tentavo di entrare in casa usando l'ingresso da lei presidiato, cercava di ammollarmi cornate a non finire. Per fortuna era legata allo stipite di una porta, ma più d'una volta ho dovuto chiedere aiuto a qualcuno di famiglia.
Qualche giorno prima del mio rientro a Roma un altro fratello di mio padre mi disse che voleva farmi avere due bottiglie di vino Marsala, specialità di quelle zone, da portare a casa mia a Roma. Mi chiese di presentarmi l'indomani, al mattino, per andare con suo figlio, un cugino della mia stessa età, a Campobello di Mazara luogo di residenza di un nostro lontanissimo parente proprietario di un'azienda vinicola dove produceva quel nettare con l'uva dei suoi vigneti.
La mattina dopo, puntualmente alle otto, andai da quest'altro zio dove trovai mio cugino già pronto e con due biciclette da passeggio, una per ciascuno, dato che il luogo dove stavamo per recarci distava tra i nove e i dieci chilometri. L'unico inconveniente era che il cielo non prometteva nulla di buono, al contrario. Infatti, a metà del percorso venne giù tanta di quell'acqua, frutto di un temporale con fiocchi e controfiocchi, tale da sommeggerci e farci quasi affogare. Quando il lontano parente ci vide fradici dalla testa ai piedi, facemmo appena in tempo a scendere dalle bici che ci mise in mano un bicchierone di marsala ciascuno a scanso di qualsiasi malanno.
Non so bene come fu e come non fu, a sera inoltrata mi sforzai di aprire gli occhi e vidi uno spettacolo che non mi sarei mai aspettato di vedere. Ero coricato dentro il mio letto nello stanzone della casa di cui ero ospite, sotto non so quante coperte e circondato, seppure seduti composti e compunti, da un numero imprecisato di zii, zie, cugini, cugine, altri lontani parenti e la nonna Peppina semisdraiata nella sua poltrona i quali, tutti, mi taliavano (guardavano) con apprensione. Al mio completo risveglio gli "spettatori", all'unisono, tirarono un sospiro di sollievo: ero risorto!
Seguì però una lunga serie di parole e frasi facilmente immaginabili. Del mio cugino ciclista con me a Campobello nessuna traccia. Ad una mia domanda in proposito mi venne risposto che era a casa sua a smaltire la sbornia ed anche...un po' di legnate.
La sera dopo ero in viaggio per ritornare a Roma.
Non ero uno dei mille quindi non mi fermai a Teano.

giovedì 2 settembre 2010

QUALCOSA D'IMPOSSIBILE

Forse se ne parlo riuscirò una volta per tutte a dimenticare una mia brevissima storia quando avevo poco più di trentanove anni.
Dove lavoravo prestava saltuariamente la sua opera un mio coetaneo il quale ci aveva presentato una mezza parente di appena quindici anni anche se ne mostrava qualcuno di più. Lei aveva una sorella più grande ma erano orfane di entrambi i genitori, di qui la necessità e la voglia di lavorare. Le avevo affidato un compito non difficile, ma lei, molto intelligente, sin dai primi giorni dimostrò di apprendere facilmente e quindi nel breve arco di un mese riuscì a cavarsela da sola senza che io o chiunque altro dovesse fornirle ulteriori istruzioni. Ogni giorno poi dovevamo svolgere insieme una certa pratica per cui era molto semplice verificare come procedeva il compito che le avevo assegnato. Con l'avanzare del tempo la ragazza mostrava dei miglioramenti notevoli ed inoltre, il suo carattere sereno e socievole l'aiutava molto nei contatti con le altre ragazze, anche con quelle molto più grandi. Era la mascotte dell'ufficio benvoluta da tutti. Piuttosto bene in carne aveva un viso tondo con due occhi azzurri che brillavano e sempre un lieve sorriso sulle labbra. Sin dai primi giorni le dissi di usare con me lo stesso tono confidenziale così come faceva con le altre ragazze. D'altronde eravamo tutti colleghi e dipendenti, non c'era nessun caporeparto, c'era soltanto il nostro comune datore di lavoro. In breve lei diventò molto pratica del suo incarico tanto che si era resa quasi indispensabile. Si lavorava tutti insieme con molta cordialità e, tra di noi, si scherzava continuamente. Sembrava che la ventata di gioventù che quella ragazzina aveva con se avesse fatto diventare tutti noi quasi come suoi coetanei. I giorni, le settimane, i mesi passavano in questa atmosfera di fatica affrontata con giovialità.
Trascorso un anno, forse anche di più, iniziai ad accorgermi che la giovanissima collega quando veniva da me per il quotidiano incontro di lavoro, arrossiva fin sopra i capelli e la vedevo emozionarsi. Rimanevo molto sconcertato e non riuscivo a capire da cosa era causato questo suo
strano comportamento. Lei indugiava più del dovuto e io sentivo il suo sguardo che mi fissava pur senza osservarne il volto. Nessuna parola, nessuna frase fuori dal contesto del lavoro d'ufficio. Non volli mai chiederle il perché di questo modo di comportarsi e repressi più volte la mia voglia di conoscerne i motivi.
Dopo sei o sette mesi decisi di comunicare al mio nuovo datore di lavoro che era subentrato al precedente, la mia volontà di licenziarmi da quell'impiego in quanto non mi riusciva andare d'accordo con lui. Aveva un atteggiamente padronale verso me e le ragazze. Con i clienti dialogava con frasi infarcite di politica nostalgica del vecchio regime – aveva peraltro il cranio pelato – e, cosa che non digerivo assolutamente, mi rinfacciava il fatto che io avevo uno stipendio più alto di sua moglie professoressa di liceo. E allora? Praticamente lavoravo in quell'ufficio almeno dodici ore al giorno, per sei giorni, esclusa la domenica e come ferie, benché mi spettassero venticinque giorni, ne utilizzavo la metà per guadagnare qualcosa in più.
Quando informai le ragazze delle mie dimissioni riconosco che rimasero molto dispiaciute. Tutte meno la giovanissima la quale se ne tornò nella sua stanza senza dire una parola. La sera stessa, al momento di uscire, mi chiese se potevo accompagnarla a casa. In ufficio si sapeva che venivo al lavoro con la mia 1100 celestina che parcheggiavo nelle vicinanze. Non ebbi i riflessi pronti per dirle che non avrei potuto farlo in quanto dovevo recarmi di corsa in un qualsiasi altro posto e allora le dissi di sì.
Entrammo in macchina, lei prese posto sul sedile del passeggero accanto a me e stavo per mettere in moto quando mi poggiò la sua mano sulla mia e mi disse
= aspetta per favore
= perché?
Mi prese il viso fra le mani, poggiò le sue labbra sopra le mie e mi dette un bacio talmente lieve e casto che sentii appena il suo profumo e mi sussurrò...
= tu sai benissimo che ti voglio bene e sin dal primo giorno
Riuscii a farfugliare soltanto qualche parola di scarso significato, ma mi ripresi subito e le dissi
= e tu lo sai che è impossibile qualsiasi cosa fra di noi.
Le spuntarono piccole lacrime su quegli occhi splendenti ma non disse altro e così feci anch'io.
L'accompagnai a casa e tutto finì lì.
Qualche sera dopo, sempre al parcheggio, mentre stavo per tornarmene a casa si avvicinò alla macchina quel coetaneo che circa due anni prima aveva fatto venire a lavorare da noi la giovane collega. Mi disse molto cortesemente di cercare di evitare ogni e qualsiasi futuro incontro con la ragazza e aggiunse che il fidanzato della sorella più grande voleva parlarmi a quattr'occhi. Mi spiegò dove dovevo incontrarlo l'indomani. Quando arrivai al luogo dell'appuntamento lo trovai già li che aspettava. Mi venne incontro, mi salutò e mi disse
= lei piange e si dispera...sai di chi parlo vero?
= certo...e tu sai, spero che te lo abbia detto, che tra noi non c'è stato nulla. Non sono tanto pazzo da mettermi con una ragazzina col rischio di finire in galera
= lo so, ci ha detto ogni cosa a me e a sua sorella con la quale mi sposerò il mese prossimo. Anzi entrambe mi hanno detto di invitarti al nostro matrimonio...
= no, grazie, meglio di no
= grazie a te. Di tutto. Anche a nome della mia futura sposa.
Circa cinque anni dopo le due sorelle vennero a trovarmi nel mio nuovo luogo di lavoro.
Come avevavo fatto a sapere dove ero impiegato? Non glielo chiesi e neppure m'interessava saperlo.
LEI era diventata splendida. Ancora di più qualcosa d'impossibile per me.