lunedì 28 novembre 2011

giovedì 24 novembre 2011

E' PROPRIO VERO NON C'E' DUE SENZA TRE

Ieri mattina alle 11.00 mi azzardo a mettere il naso fuori la finestra per accertarmi che la temperatura esterna sia adatta al mio essere freddoloso.Lo è. Insomma, diciamo sopportabile. Allora mi faccio coraggio, m'imbacucco bene bene e avviso in casa dicendo "io esco". Una voce mi risponde "fai bene, non fa freddo". Lo dice lei abituata ai sottozero rumeni e che con i riscaldamenti accesi in casa quel minimo indispensabile sbuffa e dice "che caldo, sto sudando". Esco da casa astenendomi dal ribattere.Fatti pochi passi arrivo alla solita fermata per prendere il mio solito autobus quando davanti a me chi ti vedo? La "ragazza con i capelli rosso fiamma"! Sì, proprio lei, quella che incontrai a novembre dello scorso anno e che rividi a gennaio di quest'anno. Lei, la parrucchiera, che sa il mio nome ma non mi ha detto il suo, che ha una compagna, che abitano nella stessa casa dalle mie stesse parti ma che non mi ha mai detto quali.Considerato il suo abbigliamento dev'essere anche lei un po' freddolosa e, come le altre volte, sta sempre con il telefonino incollato all'orecchio destro.Dopo un paio di minuti smette di parlare al telefono, si guarda in giro, si volta, mi vede e mi fa un sorriso salutandomi

= ciao Aldo come stai?

= ma...ti ricordi il mio nome?

= certo me lo hai detto qualche tempo fa...

= ma tu non mi hai detto il tuo però

= hai ragione...Fulvia

= bene, così se c'incontriamo ancora potrò...

= già, meglio così

= sei stata in vacanza quest'estate?

= sì, ma una sola settimana in Olanda con la mia compagna...

= come sta?

= benissimo, in perfetta forma, ci siamo molto divertite ad Amsterdam...

Arriva l'autobus semivuoto, saliamo, ci sediamo vicini e Fulvia mi racconta quello che lei e la sua compagna hanno combinato in terra olandese. Hanno incontrato altri italiani e hanno fatto amicizia con due di loro della stessa età, simpatici ma troppo intraprendenti i quali hanno creduto che Fulvia e la sua compagna fossero facilmente abbordabili, Sono riuscite a tenere loro testa con varie scuse pur trascorrendo con loro molto del proprio tempo libero peraltro divertendosi ma senza offrire nulla in cambio. Inventandosi un motivo urgente per fare ritorno in Italia li hanno salutati promettendo ai baldi giovani che si sarebbero rivisti. Una promessa che non avevano nessunissima intenzione di mantenere.

Fulvia si prepara per scendere e mi dice

= io sono quasi arrivata a destinazione, ciao...

= ciao e...grazie della compagnia

= grazie a te, Io non ho conosciuto nonni né materni né paterni e allora ho raccontato tutto a te come se tu fossi mio nonno...Ciao...

E si avvia ma, fatti pochi passi, torna indietro e mi sussurra nell'orecchio

= io e la mia compagna domattina saremo a quella fermata alle 10, non più tardi, ciao...

Io la guardo scendere dall'autobus a bocca e occhi spalancati per lo stupore e le faccio ciao con la mano molto lentamente, come inebetito.

Fino a sera inoltrata sono stato a pensare a quella frase che mi ha sussurrato prima di scendere dal bus. Ed è anche tornata indietro per farlo.

A malincuore ho preso una decisione credo saggia.

Domani non esco ma se lo faccio cambio orario, fermata e linea di autobus.


lunedì 21 novembre 2011

DELIZIE CONDOMINIALI

1) L'UNIONE FA LA FORZA

(scritto già pubblicato l'1/10/2011 nel blog IL CONDOMINIO – "rosy-soloprova.blogspot.com")

Nel tardo pomeriggio di ieri nel condominio dove abito come inquilino da oltre 43 anni, è accaduto un episodio che vale la pena raccontare.L'assistente di mia moglie invalida, una signora rumena, mi dice che da qualche ora sente dei colpi al di là del muro del soggiorno che confina con l'appartamento di proprietà di un condomino di circa novant'anni che conosco da quando venni qui ad abitare. Cerco di tranquillizzarla dicendole che probabilmente stanno eseguendo alcuni lavori per cui quei rumori si sentono anche da noi. Non più tardi di un'ora dopo mi dice che quei colpi si ripetono troppo spesso e che risuonano come una specie di alfabeto morse, sembra che vogliano dire qualcosa. Mi metto anch'io ad ascoltare ed in effetti la signora non ha tutti i torti. Non conosco il numero telefonico di questo condomino il quale tra parentesi vive da solo aiutato quasi tutti i giorni da una delle sue figlie che si alternano e da una signora vicina di casa, anche lei condomina. Informo l'amministratore-condomino, gli spiego quello che sta succedendo, lui cerca di informarsi telefonicamente ma nessuno gli risponde. Chiama allora un altro condomino che abita vicino e gli chiede di accertarsi cosa sta succedendo. In breve i due condomini vicini del novantenne entrano in casa sua e lo trovano nella vasca da bagno dove era scivolato nel primo pomeriggio con il bastone da passeggio accanto con il quale aveva cercato di chiedere aiuto per alcune ore. Lo mettono a letto, telefonano alle figlie le quali si precipitano e constatano che fortunatamente il loro papà, anche se un po' acciaccato e impaurito, si sta riprendendo. La catena condominiale creatasi tra più persone è servita a qualcosa.

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2) Inediti aggiornamenti post 1/10:

Da qualche giorno il novantenne uscito dall'ospedale, è assistito 24 ore su 24 da una giovane signora indiana che parla benissimo l'italiano e che già conoscevo perchè aveva assistito in precedenza un altro anziano, poi deceduto, che confinava guarda caso con il novantenne.Il cortile del condominio dove abito è amplissimo circondato da 92 unità immobiliari suddivise in quattro scale. Ha una forma quadrata soltanto per tre lati poiché il quarto lato è molto più ridotto. Le finestre che si affacciano sul cortile medesimo offrono a volte uno spettacolo curioso. Intanto occorre precisare che non è di proprietà condominiale ma di una società commerciale il cui dirigente-proprietario è "da prendere con le molle" in quanto tra lui e il condominio "non corre buon sangue". Siamo e non da poco, perennemente in causa per vari motivi uno dei quali è che ha vietato a tutti di stendere il bucato dalle finestre che affacciano appunto su questo strano cortile interno. Qualche anno fa ha fatto causa a due o tre condomini che avevano stesso la biancheria, vincendo. Uno dei perdenti è proprio il novantenne di cui sopra il quale ha dovuto sborsare a quell'epoca, dieci milioni di lire. Da allora quasi tutti adottano una tattica: stendono di notte o nei giorni festivi quando la società chiude i battenti. Oppure, come si fa da me, stendono dentro casa. Raro che qualcuno vada a stendere nella terrazza condominiale, sopra il settimo piano. Lui afferma che il divieto è necessario per il "decoro" della sua proprietà!?!?!?

3) Alcune domande:

a) Perché una coppia di giovani occupanti un appartamento al mio stesso piano, il primo, poco lontano dalle mie finestre sul cortile, quest'estate, in costume ADAMitico ed EVitico si sedevano sul davanzale di una delle loro finestre aperte sul cortile? Forse soffrivano troppo il caldo o che?

b) Perché sempre tre finestre sul cortile al mio stesso piano ma di un'altra scala, in tutte le stagioni sono sbarrate da cancellate in ferro battuto a balconcino, dietro le quali si trovano tende marrone chiaro che oscurano tutto l'interno ma che durante quasi tutta la giornata, notte inclusa, lasciano filtrare un poco di illuminazione elettrica? È una bisca clandestina o che altro?

c)Perché al settimo e penultimo piano soltanto la piccola finestra del bagno di un appartamento di un'altra scala è sbarrata da un'inferriata mentre le altre finestre dello stesso appartamento sono senza alcuna inferriata? Paura di un furto a quel piano e con l'accesso impedito solo dal bagno?

PERCHÈ NON MI FACCIO I FATTI MIEI???


mercoledì 16 novembre 2011

COSI' PER CASO

Ci stava riflettendo da un bel po' di tempo ma era avvenuto tutto in maniera così strana che ancora stentava a crederci. Con il trascorrere dei giorni però si convinceva sempre di più che in lei stesse avvenendo un vero e proprio cambiamento della propria vita. Era rimasta vedova a trent'anni con due bambine una di cinque e l'altra di tre anni e con l'onere gravoso della gestione di un'azienda di proprietà del suo defunto marito. Con l'aiuto dei propri genitori e dei consuoceri, tutti avanti con l'età, si era dedicata completamente alle due bambine e al lavoro finché attualmente, sulla soglia dei sessant'anni, poteva ritenersi molto soddisfatta di come stavano andando le cose. Viveva da sola nella propria casa ma le domeniche e i giorni festivi li trascorreva sempre con le sue due figlie, i loro mariti e i loro bambini. Dalle 13 alle 14 di tutti i giorni lavorativi pranzava in un ristorante vicino la propria azienda malgrado i pressanti inviti delle due figlie che lì dentro collaboravano con lei e che avrebbero voluto la madre a pranzo a casa loro. I proprietari del ristorante, due coniugi, la moglie cuoca e il marito cameriere, ormai le avevano riservato permanentemente un piccolo tavolo dato che quelli più grandi erano sempre occupati da un gran numero di clienti. Da circa quattro mesi il proprietario le aveva chiesto se poteva far sedere a quel piccolo tavolo un cliente e, ottenuto il suo assenso, glielo aveva prima debitamente presentato. Un uomo alto, robusto, capelli bianchi, un settantenne pensionato così come lui stesso le aveva detto. Molto educato, riservato, non parlava quasi mai, mangiava con parsimonia e non beveva né vino e neppure birra, solo acqua normale. Terminava di mangiare sempre prima lui, salutava, saldava il conto e usciva. Un giorno lei prese l'iniziativa e, in attesa che le servissero il pranzo, chiese al taciturno commensale se voleva scambiare qualche parola. Lui aderì gentilmente ma si trattò soltanto di una sorta di monologo poiché lo stesso raramente aprì bocca. Lei si sorprese a pensare così senza una ragione precisa, che il modo di agire di quest'uomo la incuriosiva molto e quindi ogni giorno che passava lo incitava sempre a colloquiare con lei. Spontaneamente gli raccontò le vicende della propria vita e allora anche lui si vide come costretto a raccontarle le proprie. Era vissuto sin dalla nascita in un orfanotrofio, non aveva mai conosciuto i propri genitori e non aveva neppure fratelli o parenti alla lontana. A 14 anni, uscito dall'Istituto, iniziò a lavorare come aiuto manovale e poi, col passare del tempo, essendo molto capace, aveva fatto "carriera" nel ramo fino al punto che l'impresa nella quale lavorava da sempre, gli aveva pagato gli studi e diventò geometra. Era stato sposato ma aveva divorziato perché sia sua moglie sia lui volevano dei figli ma, dopo accurate visite mediche, gli dissero che non poteva averne in quanto sterile. Non si era risposato, viveva da solo in un residence e, andato in pensione, frequentava soltanto un gruppo di amici operai suoi ex colleghi. Le cose procedettero così per un lungo periodo di tempo. Continuarono a vedersi anche fuori dal ristorante, una volta a casa dell'uno e la successiva a casa dell'altro, ma sempre così da semplici amici magari fraterni. Un giorno vennero a conoscenza che il sabato successivo ci sarebbe stata una bellissima mostra a Firenze e, di comune accordo, decisero di andarci sia pure per quel solo sabato, arrivato il quale dalla stazione lei telefonò alle figlie dicendo che per quel giorno non si sarebbero viste e disse loro che sarebbe partita in treno per Firenze ma che sarebbe tornata la sera stessa sul tardi. Malgrado le rimostranze delle figlie che volevano sapere più particolari, lei partì e, con il suo amico, arrivati a Firenze, andarono a visitare la mostra. Non fecero in tempo a visitarla tutta ed allora lei propose di rimanere ancora in quella splendida città. Lui accettò. Trovarono per puro caso una sola camera libera a due letti in un discreto albergo. Si procurarono presso un supermercato il necessario per la notte e, dopo una lauta cena in un ristorante poco distante, fecero ritorno in albergo, dove rimasero a parlare per quasi l'intera notte. La mattina dopo tornarono a visitare la mostra ed era quasi sera quando decisero di pernottare sempre nello stesso albergo. Ma non andò come la prima notte perché ad un certo punto sentirono il desiderio di abbracciarsi. Quasi di slancio lo fecero e poi...dopo...finirono entrambi col..."commuoversi". Dopo anni di astinenza non avevano perduto la loro naturale vitalità. Era ormai lunedì, tornarono a Roma con il primo treno e quando lei s'incontrò con le figlie e i rispettivi mariti confidò loro e per intero il suo "segreto" con il logico sbalordimento di tutti. Ma lei, alle loro naturali rimostranze, annunciò che tre mesi dopo si sarebbe sposata con questo suo amico certa che la "commozione reciproca" non li avrebbe abbandonati.
E così fu.
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Tempo fa lessi da qualche parte che quando si è vecchi la vita dei sensi e dei sentimenti è morta e sepolta, consumata fino in fondo, MA PUO’ NON ESSERE COSI’.

lunedì 14 novembre 2011

UNA ROM

Quasi ogni mattina, tempo e temperatura permettendo, passo vicino ad un semaforo di una strada piuttosto ampia vicino casa dove abito e, proprio accanto al semaforo, c'è da sempre una giovane ragazza, bruna di capelli, carina e sorridente con una specie di spazzolone già pronto all'uso che chiede ai conducenti delle auto che sostano in attesa dello scatto del colore verde, se le permettono di dare una pulitina ai vetri ed al parabrezza.

È fornita degli attrezzi opportuni per interventi più adeguati nonché di un secchio di plastica colmo d'acqua che, alla bisogna, può riempire alla fontanella – a Roma diciamo nasone - che si trova nel marciapiede opposto.

A volte, molto discretamente, mi fermo ad osservarla e noto che si è fatta ormai una certa clientela.

Una paio di giorni fa ho visto che due vigili addetti ad una più rapida circolazione del traffico in quell'incrocio, coversavano amabilmente con la giovane in questione facendosi anzi qualche risata. Ormai, "lavorando" accanto a quel semaforo almeno da due o tre anni, deve essere diventata una specie di istituzione.

La giovane donna tempo fa mentre ero fermo al semaforo in attesa che scattasse per me il colore che mi consentisse l'attraversamento mi disse, in un italiano quasi perfetto, che lei era una rom – non ci avevo mai fatto caso – benchè ìl suo abbigliamento quotidiano, pantaloni e maglietta, dimostrasse tutt'altro, aggiungendo inoltre che faceva parte di una famiglia piuttosto numerosa e che lei era la più grande di sette figli. Diceva di avere circa ventidue anni ma ne dimostrava molti di meno e quando le dissi che le rom di solito eramo vestite con abiti molto diversi e adornate da parecchi monili d'oro lei mi rispose che aveva altro da pensare come ad esempio portare soldi a casa la sera per migliorare le condizioni di vita sue e della sua famiglia. Eravamo diventati quasi amici e a lei piaceva scherzare e chiacchierare nelle pause del suo lavoro.

Io non ho la macchina almeno da vent'anni e pertanto non mi è mai capitato né mai mi capiterà di

incrociarla al semaforo come automobilista, ma come pedone si.

Aveva preso l'abitudine, quando cominciava ad individuarmi tra i passanti che si avvicinavano al semaforo, di nascondersi dietro le macchine parcheggiate e di spuntarne fuori all'improvviso facendomi "bau!", sorridendo. Forse era il suo modo di dirmi "buongiorno" ed invece mi faceva "bau!"

Ma non il solito "bau bau" che certe mamme minacciano ai loro bambini se non smettono di fare i capricci, ma uno quasi affettuoso.

Proprio ieri mattina me l'ha ripetuto. Forse perché sono vecchio, freddoloso e vesto come un esquimese e posso sembrare per lei il suo "bau bau".

Si diverte a farlo anche con altri? Non lo so ma penso di sì.

Io non gli ho mai chiesto il suo nome e lei non mi ha mai chiesto il mio, ci salutiamo e basta.

Il tutto può apparire inverosimile ma le cose stanno così.

lunedì 7 novembre 2011

TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE...

"...la donna mia quand'ella altrui saluta, ch'ogni lingua deven, tremando, muta e gli occhi non l'ardiscon di guardare..."

Non voglio fare sfoggio di un sapere che non ho ma mi è venuta voglia di dare una ripassatina ad un sonetto di messer Dante Alighieri per parlare della mia Beatrice.

Purtroppo lei è l'esatto contrario della Beatrice di Dante.

È gentile sì ma onesta no, lo ammetto dispiacendomene. Mi si potrebbe dire "perché non la molli?" ma non posso farlo, l'amo troppo e vivo della sua bellezza che sembra si rifletta su di me che sono appena appena passabile.

Dante poi dice "benignamente d'umiltà vestuta" ma la mia Beatrice non è affatto umile, al contrario.

Quando usciamo per passeggiare o per fare acquisti lei cammina altezzosa beandosi degli sguardi

che tutti gli uomini indistintamente le rivolgono.

Le sue forme procaci le sfoggia come un voler provocare nel prossimo – maschile ma anche femminile – reazioni di ogni tipo. E poi i suoi lunghi capelli neri, i suoi occhi verdi e le sue autentiche lunghe ciglia che socchiude sensualmente e maliziosamente fanno il resto.

M'innamorai di lei pazzamente quando avevamo entrambi circa trent'anni. Ora ne abbiamo circa quaranta, siamo regolarmente sposati ma lei accettò di farlo soltanto se avessi rispettato le sue condizioni che per qualsiasi altro uomo sarebbero state da considerare piuttosto umilianti. Ma non da me perché avevo gettato via la lucidità dalla mia mente. Supinamente dissi sì.

Ed ancora oggi malgrado le sollecitazioni di persone a me care non riesco a decidermi di troncare un matrimonio che non ha più alcuna ragion d'essere.

Persino i dipendenti della mia azienda, piuttosto florida grazie alle mie e alle loro fatiche, i quali mi vogliono molto bene in virtù anche della mia generosità, con molta delicatezza mi consigliano di divorziare ma non gli posso dare retta.

È più forte di me l'attaccamento a questa magnifica donna che mi vive accanto.

So di dire una gran fesseria ma lei mi ha come stregato tanto da farmi perdere ogni mia dignità. Subisco umiliazioni a getto continuo ma non m'importa.

Però a volte mi faccio scioccamente questa domanda: anche se io ho accettato in toto le condizioni che mi ha dettato per dire sì al matrimonio, lei perchè mai mi ha sposato?

Una risposta non riesco a trovarla.

Non so se e quanto potrà durare questo stato di cose ma penso che finirò con l'impazzire poiché credo di stare perdendo il lume della ragione.

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Rassegna stampa - Cronaca:


"Con un ferro da stiro uccide il marito ricco imprenditore perché lui le aveva chiesto il divorzio"


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FATTI E PERSONAGGI DI QUESTO SCRITO SONO PURAMENTE IMMAGINARI
















giovedì 3 novembre 2011

IO E VERONICA

In realtà l'ho sempre chiamata Verni; ormai tutti i nomi li abbrevio anche per fare prima.

Adesso si trova in camera mia e quando la sera, meglio la notte, vado a letto, lei mi sta vicina, a portata di mano cioé.

Fino all'inizio degli anni novanta, allorquando ancora lavoravo, mi è stata sempre accanto ma in camera da letto.

Da circa nove anni invece sono da solo in camera mia e lei è sempre con me.

Ormai ha una certa età ed è forse per questo che comincia ad avere qualche problema. Il fatto è che li procura anche a me i problemi.

Questa mattina ad esempio, non s'era fatto ancora giorno, quando mi sveglio convinto di aver dormito almeno cinque o sei ore. Al buio cerco conferma da Verni ma non riesco a trovarla. Per la miseria e come mai? Allora mi alzo, faccio un po' di luce ma di lei nessuna traccia. Dov'è andata a finire? Eppure a mezzanotte passata quando mi sono infilato nel letto c'era. Mi sono armato di tanta pazienza e finalmente l'ho trovata: era scivolata tra una pila di libri e documenti vari che tengo a portata di mano accanto al mio divano-letto.

Verni è piccola, ha una forma quadrata di circa 6 cm. per ogni lato......ehi un momento perbacco ho dimenticato di dire che Veronica-Verni è una sveglietta alla quale sono molto affezionato. Le ho anche dedidato due canzoncine: la prima che cantava il Trio Lescano nel 1936 "Quando suona Veronica...", la seconda che cantava Modugno nel 1956 in dialetto "Io tegno na, sveglietta ca, quannu cammina fa tic ta tic ta tic ta..."

Precisato quanto detto torno a scrivere di quello che è successo questa mattina al mio risveglio.

Ritrovata Verni la guardo per sapere che ore sono e resto sbalordito: le due e un quarto! Ma come è possibile? Mi sento riposato a differenza della notte prima a causa del fatto che non avevo quasi chiuso occhio ed invece...Mi alzo, inforco gli occhiali, vado accanto la scrivania – un tempo appannaggio di mio figlio studente – accendo la lampada alla quale ho attaccato il mio orologio da polso che non porto mai – tanto a che mi serve sapere l'ora quando esco - e noto che sono le sei meno un quarto. Verni s'è bloccata! Come mai? Sarà la batteria? No è carica, e allora? A forza di studiarla riesco a capire cosa è accaduto. Di solito al mattino sono leggermente più fresco di mente.

Solitamente le sveglie, compresa Guendalina-Guen che ho confinata in cucina, hanno quattro lancette: una di colore giallo che scandisce i secondi, due nere una piccola e l'altra più grande che segnalano le ore ed infine una rossa che si utilizza quando occorre fissare un'ora per essere svegliati con una sorta di suoneria.

Fino a quando lavoravo mettevo in funzione la suoneria, andato in pensione niente più suono.

In pratica la lancetta rossa s'era distaccata dal centro dove era fissata insieme alle altre e ha bloccato le due lancette nere. Si sarà offesa perchè non l'ho messa più in movimento? Forse. Non sapendo come aprire il vetrino le do una scrollatina e la rossa si degna di mettersi da parte facendo ripartire il funzionamento di Veronica.

Nel frattempo le luci del giorno si sono fatte vive.