domenica 26 febbraio 2012

L'AVANSPETTACOLO (e dintorni)

Proprio ieri stavo vedendo, dico meglio rivedendo, "DITEGLI SEMPRE DI SI'" una commedia di Eduardo De Filippo scritta molti anni fa poi portata in teatro varie volte e riprodotta televisamente nel 1962. Ciò è stato possibile grazie a mio figlio il quale il giorno prima mi ha fatto avere parecchi DVD di vario genere tra i quali sette commedie di Eduardo che io adoro.
Tra i vari interpreti c'è Enzo Petito un attore caratterista napoletano quasi sempre presente nelle commedie di Eduardo che ho conosciuto personalmente tra il 1954 e il 1955 – avevo 24 anni – in una particolare occasione. Come per incanto mi si illumina la capoccia e mi riaffiorano i ricordi.
In quegli anni nell'intervallo tra un lavoricchio e l'altro, sempre in nero, ed alla ricerca di una occupazione più stabile, mi arrangiavo anche con il prendere parte ad alcuni spettacoli in teatri all'aperto, soprattutto avanspettacolo, varietà e arte varia. Lo facevo con un gruppo di amici per guadagnarmi le mille lire ogni volta che venivamo "ingaggiati" da qualcuno per le Feste Patronali in alcuni paesi nei dintorni di Roma. La mia partecipazione consisteva nel fare il presentatore o la "spalla" per il comico di turno. Mi sembra di averne già parlato in qualche mio scritto precedente.
In alcune occasione nel "cast" c'era la presenza oltre che di Maria Boni, nota cantante romana assidua alle trasmissioni di Radio Campidoglio di quell'epoca, anche due dei tre fratelli De Vico, Mario e Antonio che con il loro più famoso fratello Pietro, attore di cinema, teatro e TV, avevano formato il TRIO DE VICO facente parte di una compagnia di riviste di alcuni anni prima.
Mario De Vico era il più "vivace" di tutti noi e gli piaceva molto fare scherzi a chiunque, non guardava in faccia nessuno. Una volta, in uno di quei paesi, piuttosto lontano da Roma, dopo lo spettacolo serale ci ospitarono in un albergo di nuovissima costruzione, in alcuni punti ancora da terminare. Ci suddividemmo in quattro camere con tanta umidità sulle pareti – fortuna che era estate – e ci mettemmo a dormire. Alle tre di notte venimmo tutti svegliati da Mario che, in mutande, girava per tutte le camere cantando a squarciagola. Fummo costretti ad alzarci e a fare baldoria con lui tanto c'eravamo soltanto noi come ospiti di quell'albergo.
Poche sere dopo, di ritorno da uno di quei paesi dove avevamo presentato il nostro spettacolo, era l'una di notte, sempre Mario ci disse che ci avrebbe portato con sé a trovare un amico che abitava nei pressi di Cinecittà. Hai voglia a fargli notare che non era il caso data l'ora tarda ma lui ci disse di non preoccuparsi perché l'amico ne sarebbe stato contento. E chi era quest'amico? Proprio l'Enzo Petito di cui ho parlato prima il quale appena aperta la porta di casa, spaventato dalla forte scampanellata, quasi si accasciò in terra dallo spavento. Appena ripresosi molto gentilmente ci fece accomodare, ci pregò di parlare sottovoce perché la moglie stava dormendo.Mario fece le presentazioni – avevano lavorato insieme in qualche commedia teatrale – e, dopo un breve e ironico scambio di battute, ci fece un verò caffé alla napoletana, ci fumammo qualche sigaretta e quindi lo lasciammo andare a dormire.
Un mese più tardi, rientrati a Roma verso mezzanotte dopo uno spettacolo, mi accompagnarono in macchina fino al portone di casa. Alle due di notte fui svegliato improvvisamente da gente che gridava a perdifiato il mio cognome proprio sotto le finestre di casa, mi alzai dal letto mi affacciai e vidi sporgere dai finestrini di tre macchine le braccia di quei fetenti dei miei amici con a capo Mario il quale se la rideva a crepapelle.
Insomma ecco le nostre "zingarate" ma poco o niente da poter essere equiparate a quelle della serie dei film "AMICI MIEI

giovedì 23 febbraio 2012

IL FASCINO DELLA MUSICA

Devo averla letta da qualche parte la frase "la musica non dev'essere capita deve essere sentita".
Ed io sono perfettamente d'accordo poiché non essendo un esperto, un intenditore e neppure uno del ramo, sono però un innamorato, un assaggiatore direi come quei servi che erano obbligati dal loro padrone ad assaggiare il cibo prima di lui per timore che fosse avvelenato. Il paragone è forse eccessivo? Va bene ma lo faccio ugualmente. Anche perché io "assaggio" tanti generi musicali e quando "sento" qualche motivo di qualsia tipo: leggera, classica, lirica, quello lo faccio mio e lo ascolto e riascolto
Ammetto però che la musica lirica – se non tutta almeno una parte – mi attrae di più. Vuol dire allora che la "sento"? Credo proprio di sì. Mi affascina così come gli strumenti musicali. Quando un tempo assistevo ad un concerto o alla rappresentazione di un'opera lirica, purtroppo ora non più se non in TV, per radio o musicassette, mi piaceva e mi piace ancora sentire gli accordi musicali che l'orchestra esegue prima dell'arrivo del maestro-direttore. Ed allora oltre che sentire osservo i vari strumenti che vengono approntati per l'inizio. Durante l'esecuzione poi m'incuriosisce molto un piccolo triangolino metallico sostenuto da un orchestrale che viene colpito con una piccola asticella metallica ed emette una sorta di trillo, breve, come quello di un campanello.
Un trentina di anni fa mi venne l'idea di iniziare ad imparare a suonare con uno strumento musicale e, anziché la chitarra, decisi per una tastiera stereo elettronica munita di altoparlanti e cuffia con annesso un corso "Suono Subito" in dispense. Acquistai il tutto presso un negozio Ricordi che allora stava a Piazza Venezia. Adesso c'è una banca...e te pareva? Cominciai lo stesso giorno che portai a casa quanto acquistato e proseguii per un certo periodo di tempo. Mi esercitavo durante le ore libere dal lavoro o da altri impegni ma l'unica cosa che imparai a strimpellare fu la canzoncina "Fra Martino campanaro suona tu suona tu, suona le campane, suona le campane, din don dan...". Insomma un fiasco completo. Che ingenuo sono stato. In seguito regalai la tastiera ad una nipote della famiglia di mia moglie che aveva predisposizione per quello strumento tanto che poi imparò a suonare il pianoforte. Io sono tornato a suonare sì, ma solo il campanello della porta di casa quando dimentico le chiavi chissà dove.
A non più di sedici anni mi recai in una biblioteca americana della USIS di fronte all'Ambasciata Americana in Via Veneto, qui a Roma, dove si poteva chiedere anche di ascoltare un disco. Mi fecero entrare in una specie di cabina telefonica, mi dettero una cuffia e il disco da me richiesto "La Polonaise" di Chopin. Il perché non lo so o non me lo ricordo ma me ne innamorai subito.
In quegli anni mio padre lavorò per un certo periodo come "maschera-staccabiglietti" ad uno degli ingressi delle Terme di Caracalla - Teatro dell'Opera all'aperto - dove venivano rappresentate molte opere liriche. A sbafo riuscii a vedere Aida di Verdi con gli elefanti in scena, Cavalleria Rusticana di Mascagni e i Pagliacci di Leoncavallo insieme perchè opere corte, il Barbiere di Siviglia di Rossini e la Bohéme di Puccini, la mia preferita. Quest'ultima opera è rimasta talmente dentro di me che l'avrò vista non so quante volte e anche riascoltata per radio o in musicassetta. Adesso la rivedo tramite Youtube, però soltanto i primi tre atti, il quarto no, m'immedesimo troppo in quella scena drammatica finale.
Personalmente e con convinzione io penso che la maggior parte della musica di qualsiasi genere, sia italiana che straniera, affascina e coinvolge.
Sembrerà argomento di poco conto quello della musica ma a me, come a molti altri, interessa, mentre quello che non mi interessa è che si pensi che abbia scribacchiato quanto sopra con l'intento vanitoso di dimostrare quello che NON sono: un esperto di musica.

domenica 19 febbraio 2012

LO SPETTATORE COL FIATO CORTO

= Scusi non si sente bene?

= no...no...aspetta un po'...mo te dico...

= abbassi però la voce per non disturbare gli altri...

= famme riprenne...er fiato...

= ancora più sottovoce...

= ma te...me senti?

= sì, sì, tranquillo...

= che firme è 'sto firm?

= come che film è, vuole sapere il titolo?

= si...e de che se tratta

= è un film psicologico

= da quanno è cominciato?

= da circa venti minuti

= com'è intitolato?

= Il cigno nero

= e chi so' l'attori?

= Natalie Portman, Vincent Cassel e...

= nun fa gnente tanto nu' li conosco...

= va bene vediamoci ugualmente il film...

= ma questo che cinema è?

= il Metropolitan...scusi ma lei dove e quando è entrato non lo sa?

= er fatto è che annavo de prescia, sa dovevo da core...

= perché doveva correre?

= so' sceso de corsa dar bus dove c'avevo da fa' un certo lavoretto e poi c'hò pure 'na cert'età...

= ho capito...lei li fa spesso questi lavoretti?

= e certo, e so' pure bravo, li faccio su tram, bus, metropolitana, insomma indove capita...

= benissimo e...le dispiacerebbe venire con me?

= pe' anna' indove?

= quì vicino, c'è una stazione dei...

= e mica devo da pija' er treno...

= lo capisco, ma qui si tratta di un altro tipo di stazione...

= stazione de' purman?

= no, no, venga con me, sono un brigadiere dei carabinieri

= porca pupazza, da la padella ne la brace. Me so' sarvato da li vigili e dai PS ce manca solo la Finanza pe ' esse' circonnato. E sippoi volete chiama' l'Esercito accomodateve. Manco fossi er capo de 'a banda de 'a Majiana.


giovedì 16 febbraio 2012

A VOLTE LE PAROLE NON SERVONO

Avevamo entrambi la stessa età, circa 19 anni, lavoravamo nello stesso studio professionale, in nero, lei dattilografa io addetto a tutto il resto.

Ero stato assunto in quello studio nel mese di ottobre del 1949, qualche mese prima di lei ma sin da quando venne assunta comprendemmo presto che si poteva andare d'accordo.

Anche il nostro capo era abbastanza soddisfatto per come il lavoro dello studio risentiva di quell'atmosfera di collaborazione tra noi due dipendenti.

Con il trascorrere dei giorni quella collaborazione si trasformò in amicizia tanto che ci narravano reciprocamente le vicende della nostra vita personale.

Lei era impegnata con un giovane ed io con una ragazza perciò avevamo di che parlare.

Ad un certo punto ci accorgemmo, lei per prima, che i nostri dialoghi stavano prendendo una certa piega.

Non avevamo bisogno di dirci nulla perché parlavano i nostri occhi. Lei ogni tanto arrossiva e abbassava lo sguardo, io, parlando, m'impappinavo.

Malgrado ciò seguitammo nelle nostre amichevoli conversazioni però man mano ci rendemmo conto, senza neppure dircelo esplicitamente, che avremmo dovuto porre un freno alla situazione.

Presi io l'iniziativa, ricordo ancora era un sabato, e le dissi che si doveva trovare una soluzione a quello stato di cose. Lei mi fece presente che lasciava a me la decisione e qualsiasi essa fosse stata l'avrebbe accettata. Mi disse ciò senza guardarmi negli occhi ma si capiva anche così che non occoreva parlare per mettere la parola fine a qualcosa che invece noi non avremmo voluto finire.

La mattina dopo, domenica, le telefonai a casa e le dissi che era meglio per entrambi di non fare un passo in più. Lei disse che era d'accordo e mi salutò.

Il lunedi seguente, appena entrò in ufficio, un ciao, poi andò nella stanza del capo e, quando ne uscì, mi disse che si era licenziata adducendo un motivo che, mi confidò, era completamente non vero.

Trascorso un breve periodo di preavviso lasciò lo studio.

Durante quei giorni cercammo, sforzandoci,di evitare di tornare sull'argomento che a noi premeva.

La sera del suo ultimo giorno di lavoro mi salutò dicendomi "telefonami quando vuoi oppure vieni

a trovarmi".

Così feci per un certo periodo di tempo finché un giorno mi telefonò dicendomi che da lì a qualche mese si sarebbe sposata con lo stesso fidanzato di quando la conobbi.

Rimanemmo amici anche quando io mi sposai e qualche volta ci vedemmo tutti e quattro insieme, ma noi due, tacitamente, solo guardandoci, comprendemmo che era meglio non ripetere più quegli incontri.

E così facemmo.

Non ci rivedemmo più.

Però ogni tanto, come mi è capitato adesso, il ricordo di quei momenti ritorna.

Chissà se anche lei.......


domenica 12 febbraio 2012

NEGLI ANNI CINQUANTA HO FATTO ANCHE QUESTO

Era settembre del 1951 ed ero appena tornato a casa dal servizio militare però rimasi disoccupato poichè il professionista dove lavoravo – in nero - era deceduto e lo studio era stato chiuso. Feci vari lavori – sempre in nero – e tra questi quello di una sottospecie di cronista sportivo di partite di calcio tra le squadre di prima divisione dell'epoca. Tramite una conoscenza che lavorava al quotidiano di Roma il Messaggero mi venne affidato l'incarico di scrivere brevissimi resoconti delle partite alle quali assistevo tutte le domeniche. Il compenso era tra le 300 e 500 lire per ogni resoconto ed io seguivo minimo due partite ogni domenica. Seguivo soprattutto la squadra del mio rione Monti che raggruppava anche il rione contiguo Esquilino. Infatti la squadra si chiamava "Exquilia" dove giocò agli inizi della propria carriera come portiere uno dei più famosi giocatori italiani, romano, Fulvio Bernardini detto Fuffo. Mi dilettavo, guadagnavo qualcosa e non facevo lo sfaccendato. Riuscii a scrivere resoconti di calcio anche per l'altro quotidiano di Roma Il Tempo e per il Corriere dello Sport. I tre quotidiani mi fornirono del tesserino per il libero ingresso nei campi sportivi. Una volta la redazione sportiva di uno dei tre mi affidò l'incarico di "resocontare" una partita di Serie C tra la S.S. Chinotto Neri e non ricordo quale altra squadra, qui a Roma allo stadio Flaminio, ex Torino, ex Nazionale. Sedere in Tribuna Stampa nel posto riservato per il quotidiano che mi affidò l'incarico e tra veri giornalisti e pubblicisti debbo dire che mi fece un certo effetto. Decisi di smettere quando alcuni giocatori che criticavo perché secondo me non avevano giocato bene, quando mi rivedevano in campo nelle partite successive avvenivano continue discussioni "a brutto grugno". Allora iniziai la mia nuova attività, gratuita, di una specie di direttore sportivo di quella stessa mia squadra rionale appunto l'Exquilia. Nel 1956 dopo aver trovato un discreto impiego,sempre come dipendente privato di uno studio professionale,mi sposai,continuai a seguire quella squadra e veniva anche mia moglie alla quale avevo affidato l'incarico di preparare il the caldo che portavamo con noi in un thermos. Così i giocatori si rifocillavano nell'intervallo tra il primo tempo e il secondo. Nel 1959 nacque mio figlio e quindi smisi di fare il dirigente sportivo ma la domenica mattina me ne andavo col "pupo" nel passeggino a vedere sempre le partite di quella squadra che aveva il proprio campo sportivo nel quartiere di Torpignattara dove allora abitavo.

Fu quella la "scuola" dove mio figlio, naturalmente imitando me, imparò a dire paroline "dolci" rivolte verso gli arbitri in genere.

Certo non sono avvenimenti eccezionali questi ma, ricordandomeli, mi è venuto molto da ridere.

giovedì 9 febbraio 2012

ROSE SCARLATTE

= Elisabetta?

= sì?...

= dove sei?

= in cucina dove vuoi che stia a quest'ora...

= stai preparando la cena?

= certo l'ora è quella

= bene, allora vieni che ti presento un amico

= un attimo, aspetta...

= scusami, sai mia moglie quando sta in cucina è tutta presa da...

= eccomi

= Elisabetta ti presento uno dei miei più cari amici, Felice

= piacere

= il piacere è mio

= ho pensato di invitare Felice a cena qui da noi

= va bene. Di chi sono queste ?

= queste sono per lei signora, una dozzina di rose scarlatte...

= allora manca l'altra dozzina

= è vero, lei è molto simpatica signora, ha ragione, avrei dovuto ricordarmi del titolo di quel libro che ho letto anni fa "Due dozzine di rose scarlatte". Lo ha letto anche lei?

= certo l'ho letto insieme a molti altri poiché passo il tempo libero così. Quando questo mio marito rientra a casa a notte inoltrata dicendo tante scuse io...

= Elisabetta che vuoi dire?

= lo so benissimo quello che voglio dire, dici che hai tanto da fare, che qui, che là, mentre invece vai dalla tua amica ...

= ma quale amica?

= senti, non fare il furbo con me, sei sveglissimo e pieno di energie il giorno ma la notte...

= la notte?

= MA LA NOTTE –

MA LA NOTTE –

MA LA NOTTE –

MA LA NOTTE –

MA LA NOTTE -

MA LA NOTTE NO (video canzone fonte youtube)

= ah, così fai? Te la canti? E allora sai che faccio? Esco e ti saluto...

= certo, come al solito, vai pure...

= vado vado e non aspettarmi sveglia...

= non ci penso proprio

= se ne andato vero?

= sì Felice, lo sai ormai, ogni volta che lo faccio arrabbiare lui esce e se ne va al cinema, ah ah...

= sei sicura che non ritorna presto?

= al cento per cento

= allora possiamo...?

= ma certo che possiamo, ceneremo dopo, vieni caro...

lunedì 6 febbraio 2012

VOLA DAVVERO IL TEMPO

Bella scoperta che ho fatto. Certo che vola, è così.

L'anno scorso proprio di questi tempi scrissi qualcosa proprio su questo argomento. Mi chiedo però come mai ne parlo durante il mese di febbraio. A causa di freddo, neve e pioggia? Certo, uno della mia età se ne sta a casa e qualche riflessioncella gli viene da fare durante il giorno e non solo. Ad esempio proprio ieri mi dicevo: possibile? Sì a volte parlo anche da solo ma non c'è da meravigliarsi. E allora mi domando: già è lunedi, martedi, mercoledì...etc? Già siamo a...? Ma come vola 'sto tempo!

Però devo ammettere che quando il calendario porta la data del 20 del mese – di ciascun mese -

mi dico: ma quando arriva il 1° del mese che segue? Mi si dira: perchè? Beh, perchè è la stessa domanda che mi facevo quando aspettavo il 27 e se ne capisce bene il motivo specialmente da qualche anno. Allora sì che spero che il tempo voli anche più velocemente. Così come mi farebbe molto piacere che arrivasse, ancor più veloce, la primavera considerato che quasi in tutta Italia ma specialmente qui a Roma, almeno per quanto mi riguarda, dopo i "Giorni della Merla" sono arrivati i "Giorni dell'Orso Polare"

Resta però il fatto che la vita si è allungata - non è colpa mia, lo giuro – ma la memoria è sempre più corta e temo inoltre l'avvicinarsi di un certo giorno.

Possibile che non esiste un rimedio, una soluzione?

Forse sì, solo che devo chiederlo a un tale che dovrei evitare d'incontrare ma non per qualche paura per me ma per la sua incolumità.

Già perché si tratta di quel tale di cui non rammento il nome ma che affermò molto convintamente che quel certo giorno per lui sarebbe arrivato non prima di 150 anni.

Perchè lui sì e io no?

giovedì 2 febbraio 2012

UNA RELAZIONE INIZIATA PER CASO

Entrambi non sposati avevano un partner ciascuno. Lei Alba, una trentenne piuttosto avvenente stava con Marco, trentaduenne, lui, Dario quarantunenne conviveva invece con Gina una bella trentottenne.
Si erano incontrati la prima volta ad una cerimonia di nozze per il matrimonio di un loro comune amico che li aveva invitati insieme ai loro partner.
Alba e Gina avevano stretto quasi subito una simpatica amicizia, si erano scambiate i rispettivi numeri telefonici e tutti si erano ripromessi di rivedersi ancora.
Il che avvenne piuttosto rapidamente dopo appena una settimana e seguitarono a vedersi ancora per un lungo periodo.
Una sera Alba ricevette una telefonata da Dario per informarla che il giorno dopo, mercoledi, la sua compagna Gina sarebbe partita per Bologna per una questione di lavoro e quindi dovevano annullare la loro presenza alla cena che Alba aveva fissato proprio per l'indomani sera. Alba gli replicò che poteva venire anche solo lui. Alle 20 precise di quel mercoledì i tre amici Alba, Marco e Dario era seduti a tavola gustando alcuni ottimi piatti preparati personalmente da Alba stessa e sorseggiando anche un ottimo vino portato da Dario. Circa un'ora dopo, mentre con un caffé e una sigaretta stavano concludendo la cena squillò il cellulare di Marco: era l'ospedale dove lui lavorava come medico-anestesista da dove lo chiamavano perché in sala operatoria era necessaria la sua presenza per un intervento urgente. Salutando scappò di corsa per recarsi al lavoro. Loro, Alba e Dario, continuarono la conversazione che si andava man mano facendo più interessante trattando vari argomenti. Oltrepassata la mezzanotte Dario, che in un primo momento aveva pensato di trattenersi per aspettare Marco, disse che doveva tornare a casa in quanto l'indomani mattina, per il suo lavoro di tenente dei carabinieri, doveva alzarsi molto presto. Salutò cordialmente Alba e la ringraziò per l'ottima cena.
Tre giorni dopo Alba telefonò a Dario per invitarlo a cena insieme a Gina la quale però si trovava ancora in giro su al nord per la propria attività di rappresentante di commercio. Gli chiese allora se potevano prendere un caffè insieme quello stesso pomeriggio. Si diedero appuntamento in un bar del centro dove, circa mezz'ora dopo, s'incontrarono e si sedettero. Iniziò tra di loro una particolare conversazione tramite le quale compresero che erano attratti l'uno dall'altra. Decisero di fare una pausa di riflessione prima di andare oltre. Ma non trascorse neppure un giorno: Dario telefonò ad Alba, le chiese se poteva passare a prenderla in macchina. Lei senza chiedere il perché accettò. Si recarono poco fuori città, presero una camera in un discreto albergo dove, appena entrati, senza alcun preliminare si abbracciarono come travolti da un'autentica passione. Tra loro ebbe inizio così qualcosa che non bastava definire soltanto una relazione ma qualcosa di più intenso. Usando vari sotterfugi riuscirono ad incontrarsi almeno una volta la settimana e per circa un anno. Un giorno però, quasi come un tacito accordo, decisero che era giunto il momento di prendere una decisione.
Entrambi affezionati e legati ai loro rispettivi partner che nessuno di loro due voleva lasciare, seduti
in un caffé, si guardono negli occhi e, commuovendosi, stabilirono di dover assolutamente troncare questa che era certamente una relazione iniziata per un caso dall'apparenza banale ma che stava
procedendo in una direzione che entrambi ritenevano sbagliata per troppi motivi. Non volevano che altre persone soffrissero per questo loro invaghirsi come due adolescenti.
Ripresero con più assiduità i loro incontri a quattro ma quando Alba e Dario incrociavano i loro occhi solo con lo sguardo esprimevano quello che nutrivano dentro di sé, l'una per l'altro.
Era qualcosa che non sarebbe stata mai dimenticata e definitivamente annullata.
Ventiquattr'ore dopo, a notte inoltrata, fermi in macchina presero insieme una decisione: Dario con la sua semiautomatica d'ordinanza sparò un solo colpo alla tempia di Alba uccidendola poi fece lo stesso contro di sè.