lunedì 24 settembre 2012
COME UN PRIMO APPUNTAMENTO
lunedì 17 settembre 2012
LA ZIA CANDIDA
Non era un soprannome quello ma il suo vero nome come sono veri questi fatti. Ormai ne posso parlare perché lei non c'è più da oltre 40 anni e si è, come dire, trasferita al Verano. Questo è a Roma uno dei luoghi per il riposo. Lo dico più chiaro, quello eterno.Mi si dirà allora perché ne parlo dal momento che la protagonista ci ha lasciato. Per vari motivi e tra loro scelgo quelli più interessanti, certamente per me. In realtà lei non era una mia zia consaguinea ma acquisita in quanto ero marito di sua nipote figlia di un suo fratello. La Zia faceva parte di una famiglia che, tra fratelli e sorelle erano, credo, sette od otto, dei quali cinque femmine, tutti nati a Roma e residenti in un appartamento all'ultimo piano di un palazzo nella famosa Piazza Navona. Zia Candida era nubile e sempre lo era stata mentre le altre quattro sue sorelle erano addirittura monache di clausura ospiti di altrettanti conventi sparsi per Roma. La conobbi sin dai primi anni cinquanta alla quale venni presentato dalla mia attuale moglie, a quell'epoca fidanzata, figlia appunto di uno dei suoi fratelli. La Zia era impiegata presso un grosso Ente ed era socia di un'Associazione di impiegate che ospitava donne single o vedove anche in pensione, piuttosto benestanti. Ognuna delle socie aveva a sua disposizione una camera singola facente parte di un paio di grandissimi appartamenti di un fabbricato in Piazza Navona attualmente sede dell'Ambasciata del Brasile. Le ospiti avevano vitto e alloggio non gratuitamente ma dietro pagamento di una retta mensile. A quei tempi era rimasta sola in quanto, a parte tre delle quattro monache di clausura, gli altri fratelli e sorella erano tutti passati a miglior vita. Essendo molto religiosa faceva parte di una Congregazione laica. Lei era molto legata a mia moglie, anzi era l'unica dei nipoti che frequentava e con la quale andava molto d'accordo. Naturalmente io venni coinvolto in questa situazione di reciproco affetto tra loro due tanto che man mano anche la Zia si affezionò a me. Quando nel 1956 ci sposammo lei ci fece un piccolo dono in denaro e, scritta a mano, anche una pergamena dove ci faceva gli auguri e si complimentava con entrambi elogiandoci. Conservo ancora quella pergamena inserita in una cornice munita di vetro come un quadro che ho appeso alla parete del corridoio.Quando lei andò in pensione io e mia moglie le facevamo visita molto spesso e qualche volta, da solo, la invitavo in una trattoria vicino dove abitava. Col passare degli anni i suoi malanni aumentarono finché un giorno una sua vicina di stanza mi telefonò in ufficio per dirmi che avrebbero portato la Zia al Policlinico Gemelli, un ospedale di Roma in via della Pineta Sacchetti. Andai di corsa dove abitava e vidi che la stavano portando via in ambulanza. In macchina la seguii, attesi che la visitavano e la ricoveravano in una stanza singola. Presi accordi con una infermiera capo-sala, le diedi i miei numeri telefonici di casa e dell'ufficio e le tenni compagnia fin quando mi fu permesso. Uno dei primi giorni di ottobre del 1968, io avevo in casa oltre mia moglie e mio figlio di neppure 10 anni, anche mia suocera, anziana, vedova e piuttosto sofferente. Non ricordo esattamente il giorno ma verso le ventuno mi telefonarono dal Policlinico per dirmi che la Zia stava lasciando questa terra. Salutai i miei, presi la macchina in garage e arrivai all'ospedale più in fretta che potei. Lei mi riconobbe e vidi sul suo volto sereno un piccolo cenno di sorriso. Tre brevi note a margine di questo ricordo: 1) qualche tempo prima di lasciarci mi aveva confidato che quando arrivava la sua ora non voleva essere sepolta nella sua tomba di famiglia ma desiderava lasciare il posto agli eredi successivi in quanto lei aveva acquistato un sito in un settore del Verano di proprietà della Congregazione religiosa della quale aveva fatto parte quando era in vita; 2) era romana puro sangue ed amava molto le poesie romanesche dei grandi poeti romani Belli, Trilussa e Pascarella. Quando ci o m'incontrava ne declamava una sempre diversa dalle altre e senza doverla leggere; 3) la notte che scomparve io ero da solo in quell'ospedale e quando verso le due dopo mezzanotte feci ritorno a casa non riuscii ad entrare in quanto i miei avevano dimenticato di togliere il catenaccio cioè l'asta di ferro scorrevole dietro la porta. Quindi, malgrado varie suonate di campanello e colpi con le mani nessuno mi aprì. Rassegnatomi mi recai nello studio professionale dove lavoravo del quale possedevo le chiavi e dormii, per modo di dire, in un divano del salotto d'attesa.
domenica 9 settembre 2012
LA CAREZZA
Ormai era giunto alle soglie della quinta età però da una ventina d'anni si stava struggendo per la mancanza di una carezza.
Non di chissà cosa, gli bastava solo la carezza di una mano femminile.
Aveva soltanto il ricordo di molto tempo prima quando un lieve tocco di una mano di donna lo aveva risvegliato da un sonno artificiale.
Sentiva proprio la necessità di un gesto così affettuoso, dolce, tenero.
Però aveva il timore di chiederlo a chi lo conosceva e a chi lo frequentava, poteva apparire una richiesta poco rispettosa verso di loro perché forse potevano pure pensare che lui nascondesse qualche altro strano desiderio.
Lui invece cercava di prestare molta attenzione ai propri comportamenti durante gli incontri e i dialoghi con amiche e amici e si sforzava nel tentativo di mostrare il suo vero essere: naturale e spontaneo il più possibile ma controllato.
Stranamente nei pochi sogni che faceva non appariva il quadro di "donna che carezza un uomo sul volto".
Però gli piaceva spesso figurarsi la scena fantasticandoci sopra per un po' di tempo.
Ciò che lo meravigliava era il fatto che non aveva mai pensato o desiderato che quella carezza dovesse "arrivare" soltanto dalle mani di una donna giovane; era un dettaglio di poca importanza ma che fosse di mano femminile questo sì.
Considerava quel lieve tocco di mano femminile, quella carezza, come un cenno che gli dava la certezza di essere ancora vivo.
D'altra parte anche un cane, un gatto desiderano spesso essere carezzati.
mercoledì 5 settembre 2012
I NONNI
Molti film, libri, racconti sia scritti che a voce, iniziano con le parole "mia nonna – oppure mio nonno – mi diceva che, mi raccontava che...".
Invece io a voce o in qualsiasi tipo di cosa che scribacchio, vero, verosimile o di fantasia, non ho usato mai un tale inizio non perché non volessi farlo, ma soltanto perchè non ho conosciuto nonni materni o paterni salvo una nonna paterna il giorno prima che morisse. Evidentemente aveva fretta di raggiungere i suoi tre mariti che aveva seppellito nel corso della sua vita.
Però poteva almeno aspettare qualche altro giorno per narrarmi qualcosa.
Mi sarebbe piaciuto poter ascoltare a suo tempo i loro racconti, i loro ricordi, le loro esperienze ed anche, perché no, qualche loro marachella giovanile come esempio da non seguire.
Per quello che ricordo non mi sembra che i miei genitori mi abbiano raccontato qualcosa riguardo i loro nonni, ma forse mi sbaglio in quanto la mia memoria va limitandosi ogni giorno di più.
Oggi l'età della "esistenza-resistenza" in vita delle persone va aumentando e quindi di nonni se ne vedono in giro sempre di più.
Io ho avuto la fortuna e la gioia di diventare nonno la prima volta a 58 anni e la seconda a 66 e non mi sono sottratto al mio dovere di fare il "nonno-sitter" per entrambe le mie due nipoti.
E confermo "sitter" perché l'ho fatto includendovi ogni mansione: cambio dei pannolini, prima colazione e pranzo, lunghe camminate con passeggini, ninne-nanne tra le mie braccia, entrata e uscita dall'asilo nido fino alle medie e via dicendo.
Non ricordo se ne ho già parlato ma quando la prima nipote frequentava la scuola materna, per due anni di seguito le maestre, d'accordo con i genitori degli altri bambini, mi chiesero di fare il "babbo natale" procurandomi per l'occasione costume e barba bianca. Fu per me un gran divertimento anche perchè i bambini erano alquanto timorosi quando li chiamavo uno per uno e dicevo loro qualcosa. Prelevavo dal sacco che portavo sulle spalle i regali preparati dalle loro famiglie e glieli consegnavo.
Qualche anno dopo la nipote mi disse che mi aveva riconosciuto dalla voce soltanto la seconda volta.
Chissà se qualche volta anche le mie nipoti parlando ai propri figli diranno loro "mio nonno mi raccontava che...".
sabato 1 settembre 2012
SUSPENSE
Da un bel po' di tempo qui sul mio pc-Pasquale – grazie ad una dritta di mia nipote – riesco a collegarmi con un sito tramite il quale posso vedere un discreto numero di film d'ogni genere, basta che scelgo. Appassionato di gialli, come ho già scritto in precedenza, nonché di polizieschi, thriller e legal thriller vedo almeno uno di questi film ogni giorno. Fantascienza ed horror li ho esclusi. Due giorni fa, di pomeriggio, ho visto, scaricandolo in download (finalmente qualcosa ho iniziato ad imparare), un film giallo anzi thriller che prometteva, dal titolo, una notevole dose appunto di suspense, di attesa spasmodica, di ansia e via dicendo. Ma - e mi ripeto - gli americani sono molto bravi nel campo cinematografico, siamo d'accordo, però sbagliano anche loro o esagerano e non poche volte sono anche ripetitivi e un po' ingenui.Il film che ho visto me ne ha dato la conferma. Ometto di dire sia il titolo del film che i nomi dei protagonisti per una specie di riguardo verso le persone che vi hanno preso parte.
L'inizio della pellicola che fa scorrere il titolo, i nomi dei componenti il cast, quelli dei vari direttori, dei produttori e dei tecnici è accompagnato da una colonna sonora che dovrebbe dare i brividi. Poi ecco la prima scena: è piena notte, una bella ragazza cammina per strada e sembra che sia di ritorno da una festa per un suo compleanno poiché porta tra le mani tre o quattro pacchi incartati e infiocchettati con carta e nastri da regalo.La strada è bagnata , evidentemente a causa di una recente pioggia ma la ragazza non ha ombrelli con se, e naturalmente la strada è anche semibuia e deserta. Sorride – la ragazza non la strada – e cammina normalmente, senza fretta, come passeggiando; si sta avvicinando a casa, poi la macchina da presa inquadra le scarpe – da ginnastica, da tennis, da corsa o da calcetto, non si capisce bene – ai piedi di qualcuno nascosto dietro un muro e coperto dal buio del quale si intravedono appunto solo scarpe, piedi e metà degli arti inferiori. Si comprende chiaramente che sta seguendo la ragazza e chiunque capisce benissimo che non lo fa per chiederle di poter accendere una sigaretta o per sapere dov'è una qualsiasi strada nei paraggi. Le sequenze successive fanno vedere che la ragazza, dopo aver aperto con una chiave, entra dentro casa quasi al buio, procede verso l'interno senza chiudere la porta che è di quelle con ritorno automatico al loro posto. E chi è che ferma la porta senza farla chiudere? Il postino? La vicina di casa che vuole chiedere del sale o dello zucchero in prestito? Mi sembra molto facile capirlo: è "scarpe da tennis", l'aspirante killer che fa fuori la ragazza tagliandole la gola con un coltello che più affilato non si può. Poi la sequenza dell'arrivo dei detective – chi li ha avvisati non si sa, si viene a sapere sempre dopo – ed ecco che iniziano le investigazioni. Combinazione, il killer che non è aspirante ma un serial-killer con precedenti simili che non è stato mai catturato invece in quel film, guarda un po', si lascia catturare piuttosto banalmente.
La frase ricorrente del detective protagonista principale è sempre la stessa "...prima o poi il killer farà un passo falso e allora...".
Una mia considerazione forse un po' sciocca: ma possibile che in quel tipo di film un killer non riesce mai a farla franca?