Il post
che precede ha permesso il ritorno nella mia mente di quei fatti di
molti anni fa e pertanto potrei definire questo post la seconda parte
del precedente.
Leggevo
da qualche parte qualcosa sulle osterie e allora mi sono ricordato
che fino all'età di 26 anni, ero ancora single, frequentavo anch'io
quei locali così caratteristici. Le osterie in questione si
trovavano al piano strada di un gruppo di fabbricati che praticamente
circondavano quello di Via della Polveriera dove ero nato e in cui
risiedevo. Ma questo l'ho già detto molte volte.
Tre erano
le osterie a quei tempi:
- la prima al Largo
della Polveriera in angolo con la detta via, era annessa ad un
“orzarolo”, soprannome di negozio senza forno, che vendeva generi
alimentari vari all’infuori di carne, pesce, frutta e verdura. I
proprietari erano il sor Salvatore detto er gricio, la moglie sora
Nunziata e un loro figlio Ennio detto er gricetto. L’osteria apriva
soltanto nei giorni feriali, dopo le 17.00. Noi bevevamo gazzose
perché il vino costava troppo e la birra non andava di moda. Chi
l’aveva fumava qualche sigaretta magari passandola poi a chi gli
chiedeva 'che me fai fa’ ‘na
tirata?' e si giocava a carte –
quelle napoletane - senza circolazione di soldi perché non girava
‘na lira. Questo fino a quando er gricio non ci buttava fuori.
Avendo possibilità di scegliere la frequentavamo poco;
- la seconda, a via
delle Terme di Tito angolo Largo della Polveriera, era osteria con
possibilità di consumare cibi propri portati da casa dai clienti,
ovvero da coloro che erano chiamati “fagottari”. Il proprietario
era il sor Felice il quale era aiutato da tre figlie femmine. Per
questo fatto, forse, era la più frequentata da mezzogiorno fino a
sera inoltrata sia da noi sia da operai edili e non solo. In questo
locale c’era anche la possibilità di aggiungere al vino, per chi
lo beveva, anche una o due spruzzatine di seltz contenuto dentro un
sifone con un becco di metallo in cima. Partite interminabili a
briscola, scopa, scopetta e tressette “cor morto” o senza ci
aiutavano a farci arrivare all’ora di cena;
- la terza, sempre a
via delle Terme di Tito verso via Nicola Salvi, era quella meno
frequentata forse perché poco accogliente. Un unico locale, buio e
con un cesso poco idoneo. Il figlio del proprietario, sempre
nell’attesa di clienti, si chiamava Nestore ed era un nostro
amico. Tranquillo, silenzioso, si faceva i fatti suoi, non dava
fastidio a nessuno e se ne stava seduto davanti al suo locale.
Confinava con un
bar-latteria-tabacchi in angolo tra via Nicola Salvi e via Terme di
Tito che aveva una vista stupenda sul Colosseo che quasi si poteva
toccare con mano. Esagero d’accordo, però era vicinissimo, sempre
frequentato da grosse comitive di turisti. Anche questo bar aveva un
piccolissimo locale dove si poteva giocare a carte ma dove però si
doveva consumare qualcosa che aveva un costo al di sopra delle nostre
possibilità. Il proprietario, piuttosto bonaccione, era il Sor
Augusto. Lui e il Sor Giggetto, fornaio di via Monte Oppio, figurano
con tanto di nome e cognome nel mio Estratto dal Registro degli Atti
di Nascita, quali testimoni della mia nascita. Erano entrambi
conoscenti di mio padre e la nostra famiglia faceva parte della loro
clientela. Bei tempi quelli. Tuttora, quando capita d'incontrarci tra
noi sopravvissuti ci salutiamo appellandoci anziché con i nomi
propri con i soprannomi che ci eravamo reciprocamente affibbiati
molti anni prima.
Mi torna in mente
che nel ’49 o nel’50 fu presentata una bibita in concorrenza con
la coca cola. Si chiamava Chinotto Neri e non era male. Andava a ruba
specialmente nelle osterie.
Poiché io non sono
un bevitore di vino dopo quegli anni di cui ho scritto non ho più
frequentato tali locali e dico purtroppo, in considerazione del
fatto che quei tempi erano di una spensieratezza totale.