lunedì 21 aprile 2014

LE MIE PRIGIONI tra SALUTI, SCOPERTE, SOFFERENZE, SORRISI, SOSPETTI E SOSPIRI

Profittando della visita della mia cara nipote Lorenza, lei scrive e io dico:
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1^ prigione: il 24 Febbraio 2014 alle ore 9 e 20 circa, accompagnato da mio figlio, mi presento in ospedale. Il professore che mi dovrà operare, dopo una breve visita, mi consegna un foglio su carta intestata da portare al pronto soccorso, dove arrivo e dove vengo internato in uno stanzone con molti altri pazienti già presenti. Rimango in quella bolgia circa 12 ore su una barella, senza assistenza medica, terapia né vitto. La mattina dopo vengo trasferito alla
2^ prigione (altro pronto soccorso): mi introducono in una "cella" dove ci sono altri tre pazienti, qui però con vitto, dall'alba al tramonto. In tarda serata mio figlio per avere notizie circa il mio trasferimento, nel reparto dove fare l'intervento chirurgico, si rivolge ad una caposala, la quale gli suggerisce di chiederlo alla dottoressa caporeparto di turno. La dott.ssa in quel momento è impegnata al computer e proprio quando mio figlio le sta raccontando quanto sta accadendo, lei esclama di aver trovato un posto libero per me e chiama l'ambulanza interna per portarmi alla
3^ prigione (reparto): sono quasi le 22. Ci fanno entrare, me e mio figlio, in medicheria dove ci attendono due medici entrambi molto gentili, lui un po' calvo, lei una bella e giovane dott.ssa, ed inizia l'interrogatorio di terzo grado. Mi viene il sospetto che, oltre tutto quello che ho passato dalla mia nascita in poi, vogliano anche sapere se nel III e II secolo a.c. - guerre romano-puniche - io abbia subito qualche danno al cervello, il che può darsi anche se, se ben rammento, non ero ancora nato. Dopo questo interrogatorio, veniamo a sapere che, per motivi a noi sconosciuti, il letto in teoria a me assegnato ancora non è pronto. Mi metto a sedere nel corridoio, ma vengo colto da dolori addominali, da tremore e brividi di freddo. I dottori di cui prima intervengono e si accorgono della mia pressione che sta calando di molto. Decidono perciò di trasferirmi in un nuovo reparto, la
4^ prigione : che definirei un "4 stelle lusso", perché restaurata di recente, e mi "posteggiano" in una cella modernissima, per due persone con tanto di bagno in cella. I miei dolori proseguono per quasi tutta la notte e i dottori ogni tanto passano per misurarmi la pressione, mentre mio figlio cerca di non dormire sulla sedia al fianco del mio letto. All'alba del giorno dopo, quei dolori improvvisamente spariscono e quindi i dottori, sempre con l'ambulanza interna, mi ritrasferiscono alla 3^ prigione. Qui giunto, mi assegnano la cella: due pazienti, io il numero 12, e un giovane magro e baffuto di 30 anni, il numero 13. Ci salutiamo, ci presentiamo, vado nel bagno riservato a noi due e appena rientro in cella trovo mia nuora che ha dato il cambio a mio figlio, la quale mi avvolge il collo con una strana sciarpa molto leggera ma calda, lunga circa 5 metri. Accanto al giovane baffuto c'è la sua compagna-fidanzata-ragazza- sposa-non so, molto graziosa e sorridente. Improvvisamente entra nella cella una giovane infermiera belloccia, grassoccia, capelli neri corti, occhiali con la montatura nera e con, per lo meno, mezzo chilo di rossetto sulle labbra, la quale appena mi vede, a voce alta esclama: "Aldo! Sono Stefania tua! Di qualunque cosa hai bisogno basta che chiami me" e mi abbraccia. Mi volto tutto spaventato verso i due giovani, facendo capire loro che io questa "Stefania" non l'ho mai vista né conosciuta. Stefania poi, insieme a mia nuora, si diverte a mettermi la sciarpa di cui prima intorno al collo, alla testa e agli occhi, come un burqa, e si mettono a ridere, ovviamente insieme ai due giovani. Io a quel punto non so che pesci prendere e, quindi, accenno a un amaro sorriso insieme a loro. L'indomani mattina, l'equipe medica di questa prigione mi interroga di nuovo, mi visita usando, come al solito, i loro stetoscopi gelati, al che suggerisco di inventarne almeno uno caldo. Il secondo giorno del mio internamento in questa prigione, vengono a trovare il giovane baffuto, mio compagno di cella, alcuni suoi parenti da fuori Roma. Poiché dal mio letto all'angolo della cella, attraverso una finestra del corridoio riesco a vedere degli alberi, chiedo alla mamma del giovane baffuto il nome di questi. Lei mi risponde "Sono pini marini", io allora aggiungo "Meno male che non sono cipressi". Tutti sbottano a ridere e io mi chiedo che cosa possa aver detto di tanto comico. La mattina del 1° Marzo 2014, dopo essere stato abbracciato da "Stefania tua, mia, o di chi sa chi", vengo trasferito nella
5^ prigione (reparto): mi assegnano una cella enorme, dove trovo altri tre pazienti. Ognuno di noi ha un numero ed il mio è il 17. Chiedo subito alle infermiere se si può modificare in 16 bis, ma pare che non sia possibile. In questa cella ci sono tre Garibaldi e un Nino Bixio, in quanto io, il 18 e il 19 abbiamo tutti la stessa identica barba, mentre Nino Bixio, oltre a essere il più giovane di tutti noi, non ha la barba ed è parzialmente muto. Il Garibaldi 19 dorme tutto il giorno, lo svegliano la sera tardi per cambiarlo, ma lui litiga con tutto il personale medico, poi si mette seduto nel letto e non dice una parola (evidentemente riflette sullo sbarco dei Mille a Marsala, ritenendolo sbagliato). Il Garibaldi 18 è in continuo alzarsi dal letto, infilarsi i pantaloni e farsi un giro, dove non so (forse fra i Due Mondi). Il Garibaldi 16 bis (alias 17, cioè io) pensa ad Anita. Il giorno 10 Marzo 2014 arriva l'esecuzione della pena: tre ore in sala operatoria per l'espianto del vecchio defibrillatore a sinistra del torace e l'impianto del nuovo a destra.
Mio figlio, sempre presente, fa la nottata insieme a me.
Improvvisamente, tra il 27 e 28 Marzo, alle 7 del mattino avvertono tutti che saremo spostati di prigione e, quindi, chi in sedia a rotelle, chi sul letto, chi in barella, ci trasferiamo alla
6^ prigione (reparto): la mia cella è la 102, il numero del mio letto 203. Rimango in loco per altri pochi giorni, giusto il tempo di fare una TAC, controlli del defibrillatore, medicazioni ed esami vari, tra i quali numerosi prelievi e flebo di antibiotici e soluzioni fisiologiche. Il 3 Aprile 2014, due ore circa prima di essere rilasciato, altro controllo, ma qui succede il patatrac: per mettermi su di una barella alta, un infermiere mi prende in braccio e per poco non cadiamo entrambi a terra. Lui per non crearmi danni resiste, mi stringe talmente forte tra le sue braccia tanto da incrinarmi non so se costole, vertebre o quant'altro.
Le sofferenze continuano.
I sospiri sono per quattro speciali giovani donne dell'equipe del reparto e i loro splendidi sorrisi: una dottoressa, due specializzande e un'allieva infermiera all'ultimo anno della Facoltà di Scienza Infermieristica.
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Non potrò mai dimenticare la continua assitenza morale e materiale nonchè l'abnegazione e lo spirito di sacrificio di mio figlio, di mia nuora, delle loro due figlie,mie nipoti; le assidue e costanti telefonate di mio fratello dalla Germania; l'affetto dei nipoti Accardo e congiunti; dei nipoti Rossi, dei nipoti Giannotti, di Luigi Russo, di Emilia e Angelo e di tutti gli amici blogger's GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!!
Chiedo scusa ai blogger's amici ma per impedimento fisico non potrò, per ora, dar segno concreto del mio giostrare nella blogosfera.

giovedì 3 aprile 2014

DOPO TIC TOC e TAC (chete) ore 18 circa...

...la fuga da Alcatraz è riuscita e al più presto possibile qualvhe ricordino e anche qualche ricordone.
Un caro satuto ed un abbraccio  a tutti..
aldo.