giovedì 29 maggio 2014

L'ATTESA

Io e Maurizio ci sposammo il 10 giugno 1940, avevo 25 anni e lui 31.
Dopo la cerimonia mattutina del matrimonio, solo a pomeriggio inoltrato terminammo il pranzo nuziale insieme, naturalmente, a parenti e amici. Nel rientrare a casa per cambiarsi d'abito e poi recarsi alla stazione ferroviaria per prendere il treno e iniziare il viaggio di nozze, apprendemmo con sgomento che l'Italia era entrata in guerra. La cosa ci sconvolse non poco giacché Maurizio era comandante di una motovedetta della Capitaneria di Porto a Napoli, aveva poco più di cinque giorni di licenza e soltanto al termine di questa avrebbe dovuto riprendere il lavoro.Mentre eravamo intenti a preparare i bagagli squillò il telefono. Maurizio andò a rispondere e poi m'informò che aveva ricevuto l'ordine da un ufficiale del Ministero della Marina di presentarsi immediatamente a Napoli perché era stato richiamato in servizio. Avevamo progettato di fare il nostro viaggio di nozze prima a Firenze, poi a Venezia e infine a Trieste e invece decidemmo di andare a Napoli e di fermarci a dormire in un albergo per dar modo a Maurizio di presentarsi il mattino dopo alla Capitaneria. Almeno così avremmo potuto trascorrere insieme la prima notte di nozze. L'indomani, alle otto in punto, Maurizio era già pronto e fece per svegliarmi ma io lo ero già da oltre un'ora e avevo preferito starmene ancora un po' a letto mentre lui si preparava per uscire. Ci salutammo con passione e non riuscivo a smettere di piangere per il troppo breve tempo in cui eravamo stati insieme. Avevamo concordato che io mi sarei dovuta mettere subito in cerca di un'abitazione possibilmente vicino al porto. Fui fortunata e la trovai, anche se piccola, con due finestre che davano proprio sul molo per l'attracco e l'ormeggio delle motovedette. Ogni giorno facevo in modo di stare affacciata alla finestra per vedere la partenza ed il rientro della motovedetta sulla quale Maurizio si trovava imbarcato. Se il rientro veniva differito e la navigazione doveva durare più a lungo venivo puntualmente avvisata dalla Capitaneria senza sapere però verso quale destinazione era salpato. A me, che avevo studiato flauto al Conservatorio ed ero appassionata di lirica,, onde far trascorrere il tempo libero più velocemente, sarebbe piaciuto assistere al Teatro San Carlo di Napoli alla rappresentazione di alcune opere ma, dato il periodo di guerra, il Teatro era stato chiuso per precauzione e chissà quando sarebbe stato riaperto. A maggio del 1941 nacque nostra figlia e Maurizio, che era riuscito ad ottenere una brevissima licenza, volle chiamarla Azzurra, come il nome della propria motovedetta. La guerra intanto andava avanti a fasi alterne ma verso la fine del 1942 e l'inizio del 1943 le sorti della guerra andarono sempre peggio per l'Italia e proprio per questo motivo Maurizio si doveva assentare da casa più spesso e più a lungo. Intanto a Napoli i bombardamenti non ci davano tregua. Tutti provammo gran sollievo quando l'8 settembre del 1943 l'Italia chiese ed ottenne l'armistizio e quindi pensavamo che la guerra fosse finita. In realtà i nazisti cominciarono a farla da padroni in città, ma quando venti giorni dopo gli stessi fucilarono alcuni marinai italiani il popolo napoletano scese in strada e si ribellò riuscendo a liberare Napoli dopo quattro giornate terribili di scontri con morti e feriti. Sin dalla liberazione di Napoli e malgrado la guerra non fosse ancora terminata io speravo sempre che Maurizio tornasse a casa il più presto possibile mentre invece era già da troppo tempo che io e Azzurra non lo vedevamo e non ricevevo neppure sue notizie. Era inutile rivolgersi alla Capitaneria perchè nessuno poteva darmene di precise. Passarono giorni e mesi invano ma di Maurizio e della sua motovedetta non si riusciva a sapere nulla. Infine un giorno, lo ricordo ancora poiché avevo cercato di festeggiare il terzo compleanno della nostra bambina, si presentarono in casa due ufficiali di Marina i quali, anche se con molta precauzione, mi comunicarono che Maurizio e l'intero equipaggio della sua motovedetta erano ormai da considerare dispersi. Fu un colpo tremendo per me, non riuscivo a rassegnarmi perciò seguitavo a sperare ancora. Quando possibile mi mettevo in finestra con Azzurra accanto e allora le canticchiavo sottovoce l'inizio della romanza dal secondo atto di Madama Butterfly di G.Puccini "E poi la nave appare. È venuto. Io non gli scendo incontro, io no. Mi metto qui......e aspetto. Aspetto gran tempo e non mi pesa la lunga attesa".
Maurizio non fece più ritorno a casa.



lunedì 26 maggio 2014

EPPURE ANDO' COSI'

Forse se ne parlo riuscirò una volta per tutte a dimenticare una mia brevissima storia quando avevo poco più di trentanove anni.
Dove lavoravo prestava saltuariamente la sua opera un mio coetaneo il quale ci aveva presentato una mezza parente di appena quindici anni anche se ne mostrava qualcuno di più. Lei aveva una sorella più grande ma erano orfane di entrambi i genitori, di qui la necessità e la voglia di lavorare. Le avevo affidato un compito non difficile, ma lei, molto intelligente, sin dai primi giorni dimostrò di apprendere facilmente e quindi nel breve arco di un mese riuscì a cavarsela da sola senza che io o chiunque altro dovesse fornirle ulteriori istruzioni. Ogni giorno poi dovevamo svolgere insieme una certa pratica per cui era molto semplice verificare come procedeva il compito che le avevo assegnato. Con l'avanzare del tempo la ragazza mostrava dei miglioramenti notevoli ed inoltre, il suo carattere sereno e socievole l'aiutava molto nei contatti con le altre ragazze, anche con quelle molto più grandi. Era la mascotte dell'ufficio benvoluta da tutti. Piuttosto bene in carne aveva un viso tondo con due occhi azzurri che brillavano e sempre un lieve sorriso sulle labbra. Sin dai primi giorni le dissi di usare con me lo stesso tono confidenziale così come faceva con le altre ragazze. D'altronde eravamo tutti colleghi e dipendenti, non c'era nessun caporeparto, c'era soltanto il nostro comune datore di lavoro. In breve lei diventò molto pratica del suo incarico tanto che si era resa quasi indispensabile. Si lavorava tutti insieme con molta cordialità e, tra di noi, si scherzava continuamente. Sembrava che la ventata di gioventù che quella ragazzina aveva con se avesse fatto diventare tutti noi quasi come suoi coetanei. I giorni, le settimane, i mesi passavano in questa atmosfera di fatica affrontata con giovialità.Trascorso un anno, forse anche di più, iniziai ad accorgermi che la giovanissima collega quando veniva da me per il quotidiano incontro di lavoro, arrossiva fin sopra i capelli e la vedevo emozionarsi. Rimanevo molto sconcertato e non riuscivo a capire da cosa era causato questo suo strano comportamento. Lei indugiava più del dovuto e io sentivo il suo sguardo che mi fissava pur senza osservarne il volto. Nessuna parola, nessuna frase fuori dal contesto del lavoro d'ufficio. Non volli mai chiederle il perché di questo modo di comportarsi e repressi più volte la mia voglia di conoscerne i motivi. Dopo due mesi decisi di comunicare al mio nuovo datore di lavoro che era subentrato al precedente, la mia volontà di licenziarmi da quell'impiego in quanto non mi riusciva andare d'accordo con lui. Aveva un atteggiamente padronale verso me e le ragazze. Con i clienti dialogava con frasi infarcite di politica nostalgica del vecchio regime – aveva peraltro il cranio pelato – e, cosa che non digerivo assolutamente, mi rinfacciava il fatto che io avevo uno stipendio più alto di sua moglie professoressa di liceo. E allora? In pratica lavoravo in quell'ufficio almeno dodici ore al giorno, per sei giorni, esclusa la domenica e come ferie, benché mi spettassero venticinque giorni, ne utilizzavo la metà. Quando informai le ragazze delle mie dimissioni rimasero molto dispiaciute. Tutte meno la giovanissima la quale se ne tornò nella sua stanza senza dire una parola. La sera stessa, al momento di uscire, mi chiese se potevo accompagnarla a casa. In ufficio si sapeva che venivo al lavoro con la mia 1100 celestina che parcheggiavo nelle vicinanze. Non ebbi i riflessi pronti per dirle che non avrei potuto farlo in quanto dovevo recarmi di corsa in un qualsiasi altro posto e allora le dissi di sì. Entrammo in macchina, lei prese posto sul sedile del passeggero accanto a me e stavo per mettere in moto quando mi poggiò la sua mano sulla mia e mi disse
= aspetta per favore
= perché?
Mi prese il viso fra le mani, poggiò le sue labbra sopra le mie e mi dette un bacio talmente lieve e casto che sentii appena il suo profumo e mi sussurrò...
= tu sai benissimo che ti voglio bene e sin dal primo giorno
Riuscii a farfugliare soltanto qualche parola di scarso significato, ma mi ripresi subito e le dissi
= e tu lo sai che è impossibile qualsiasi cosa fra di noi.
Le spuntarono piccole lacrime su quegli occhi splendenti ma non disse altro e così feci anch'io. L'accompagnai a casa e tutto finì lì. Circa cinque anni dopo le due sorelle vennero a trovarmi nel mio nuovo luogo di lavoro. Come avevavo fatto a sapere dove ero impiegato? Non glielo chiesi. La sorella più grande si era sposata ma LEI no ed era ancora più bella di prima. Prima di andarsene la sorella sposata mi prese da una parte e, fissandomi negli occhi, mi disse: "Grazie per il tuo comportamento", nient'altro.
Non mi sono mai pentito di aver agito come agii cinque anni prima.

lunedì 19 maggio 2014

SAREBBE STATO MEJO SI NUN L'AVESSI VISTA

Giorni fa, era 'na bella giornata stracorma de sole, le mi nipoti me dissero si volevo anna co' la loro comitiva ar mare, alla spiaggia libera di Ostia, a du passi da Roma. Io dissi de sì perchè era da un ber po' de tempo che in fatto de salute me girava tutto storto e poi se trattava de sta lì giusto quarche ora, tre o quattro ar massimo. Arivati me dissero de metteme all'ombra, dentro un bareristorante co' tanto de veranda coperta. M'ero portato un libbro da legge, ma appena seduto la comitiva intera sparì de botto. Me misi a guardamme un po' intorno poi presi er libbro in mano ma nun l'aprii subbito perchè 'na coppia giovane, una lei e un lui, forse venticinquenni e co' l'accappatoio addosso, se misero a sede ar tavolo vicino ar mio.
Lei 'na sventola mora co' due occhi accalappiamaschi, lui un fusto che nun finiva mai, du' vorte più arto de me.
Lui nun se mise a sede subbito, susurò quarcosa all'orecchio de lei, se levò l'accappatoio, lo lasciò su la sedia e se ne anno' drento ar locale. Du seconni doppo anche lei s'arzò da la sedia, se levò l'accappatoio e io...quasi quasi svenni.
Sognavo oppure ero svejo? Prima era 'na sventola , ma me so' dovuto ricrede perché invece era 'na bomba atomica!
A 'n certo punto me so' fatto coraggio, me so'avvicinato alla sventola e j'ho detto
"scusa me sa c'hai lassato er bikini lì alla doccia" e lei "grazie caro, ti sbagli, non vedi che l'indosso" e io "indosso te vedo solo du fazzolettini che copreno a malappena li giojelli de famija, come se l'avessi messi in vetrina dar gioielliere" e lei "nonnetto sei un vero simpaticone. Grazie. Perchè non ti siedi un attimo qui accanto a me,tra poco viene il mio ragazzo e ci beviamo un bel caffé o quello che ti va" e io "è mejo de no perché se er tu regazzo è svejo come te me legge nella capoccia tutto quello che me sta a girà compresi li pensieri passati, presenti e futuri Vado a cercamme un posto meno agitato. Ciao bellezza" e lei "grazie di cuore".
Me so' annato a nisconne sotto 'na tettoia de canne secche che in caso de pioggia avrebbe dovuto protegge le machine che sostaveno lì.
Me misi su 'na sdraia ad aspetta' l'artri ma nun presi er libbro in mano, avevo da pensa' a quarch'artra cosa.

lunedì 12 maggio 2014

LA CENA, IL CAFFE' E L'AMMAZZACAFFE'

=Allora Nico' che te ne sembra?
=Ti dirò Peppi' sono stato veramente bene
=Seriamente?
=Ci mancherebbe altro. Ho passato una serata stupenda
=Hai visto? E tu che non volevi venire
=Peppi' ma lo dicevo per non darvi troppo disturbo sia a te che a tua moglie
=Ma quale disturbo. Con la tua presenza ci hai onorato
=Adesso non esagerare.
=Sei stato male qui da noi? Le cena non ti è piaciuta?
=Vuoi scherzare, è stata una cena meravigliosa
=Caro mio, mia moglie è bravissima. In cucina poi non ha avversari
=Effettivamente ho mangiato benissimo
=E dopo il caffé ci vuole l'ammazzacaffé
=Volentieri, però è passata mezzanotte e dovrei rientrare a casa
=Altri due minuti...Che ne dici di Dora?
=Sei stato veramente fortunato a sposarti con una donna così: giovane, bella, brava, affettuosa
=Ci sono arrivato tardi al matrimonio ma adesso sono veramente felice
=In effetti fino a poco tempo fa tu eri ancora scapolo poi improvvisamente...Hai fatto tutto di nascosto, nessuno ha saputo niente di quello che stavi per fare
=Abbiamo voluto fare una cosa discreta, senza dirlo ad estranei, soltanto ai parenti
=Non ti biasimo per questo anzi sono d'accordo con la decisione che avete preso...Ma dimmi Peppi' come mai tua moglie va a nanna così presto? Sono già due ore che è andata a dormire...
=Dora è fatta così, ogni sera verso le nove, le nove e mezza al massimo le viene un sonno tremendo ed è costretta ad andare subito a letto anche se abbiamo ospiti com'è accaduto questa volta con te
=Però che strano...E non avete provato a chiedere a qualche medico?...
=Certo che l'abbiamo fatto, ma non c'è nulla da fare. Mia moglie ha un piccolo difetto: è sonnambula
=Per la miseria...
=Sì, ma non è pericolosa
=Lo capisco ma può essere pericoloso per lei
=No, no, io poi sto molto attento...Zitto, zitto...Dora sta venendo qui...Tu stai calmo, non devi avere paura, stai fermo immobile dove sei...e parla piano...non bisogna svegliarla...
=Peppi' ma con un pigiamino così ridotto non prende freddo?
=Ssss...c'è abituata...
=Peppi' si è avvicinata a me e mi sta frugando in tasca...
= Sssss...fermo...non aver paura...
=Peppi' m' ha preso il portafoglio e se n'è andata...
=Nico' non preoccuparti, domattina alle otto te lo ridò..
=Peppi' è ritornata e m'ha preso l'orologio, è un Rolex...
=Nico' tranquillo, domattina alle otto te lo ridò...
=Peppi' mi ha preso pure l'accendino d'oro...
=Nico' anche quello domattina alle otto te lo rido'...
=Peppi' ...ma che sta facendo?... Dora mi ha preso per il braccio e mi porta con sé...
=Nico' ... adesso dove vai?...che fai?...sta attento...
=Peppi' calmo, vado di là per l'ammazzacaffé e non preoccuparti, domattina alle otto te la rido'.

lunedì 5 maggio 2014

MI SON MESSO A RIFLETTERE

Era il 1975, mese di giugno, due giorni prima o dopo di quello che si dice dia inizio all'estate. Ed era sabato pomeriggio.Libero dal lavoro decisi di andare con mia moglie a vedere un film che proiettavano in un cinema nei pressi di via Veneto, verso Villa Borghese. Che strano. Nebbia completa circa il titolo del film, il nome del cinema e quello della via. Tutto il resto invece mi è rimasto impresso. Nell'intervallo tra il primo e il secondo tempo, mi alzai e andai a fumarmi una sigaretta all'ingresso del cinema dato che in sala era proibito. Quando rientrammo in casa, ora di cena, io mi misi seduto in una poltrona del soggiorno davanti la TV mangiando due panini con altrettante salsicce. Poco dopo le ventitre, stavo per mettermi a letto quando iniziai a sentire dei dolori al petto e al braccio sinistro che aumentavano rapidamente d'intensità. Svegliai mia moglie, chiamai mio figlio allora sedicenne e decisi di telefonare subito al 118. Spiegai la situazione a chi stava rispondendo al telefono e, dopo una ventina di minuti arrivò l'ambulanza. Il medico, preso atto dell'urgenza della cosa, disse subito agli ausiliari del pronto soccorso di caricarmi e portarmi al vicino Ospedale di San Giovanni. Il medico di turno, per fortuna cardiologo, ancora lo ricordo per varie ragioni. Intanto credo per avermi salvato la pelle in quanto diede subito il via alle manovre per questo tipo di ricovero. Iniziai a non vedere più niente e, credo, ad addormentarmi. Mi risvegliai a notte inoltrata del terzo giorno dopo il mio ingresso, in una camera a sei letti. Il mio letto era circondato da medici ed infermieri e mio figlio passeggiava su e giù nel corridoio in conpagnia di un suo coetaneo Mi informarono della diagnosi: infarto posteriore del miocardio al 3°-4° stadio; danno miocardico ischemico anteriore. Prognosi: trenta giorni immobile nel letto e una terapia buona per un cavallo.Nonostante tutto trascorsi un bel mesetto tra chiacchiere, risate e avvenimenti sia comici, sia tragici, sia preoccupanti. A prescindere dagli arrivi e partenze continui di un bel numero di "ospiti" chi sulle proprie gambe chi invece coperto da un lenzuolo in posizione orizzontale e in barella – lì ci voleva poco a passare da degente a deceduto - ho stretto una bella amicizia con due miei compagni di sventura e di stanza. Stavano entrambi nei loro letti alla parete opposta la mia quindi avevamo tutti una chiara visione di come eravamo. Quando nella nostra stanza arrivava qualche nuovo "inquilino" noi cercavamo subito d'inquadrarlo e gli facevamo "barba, capelli, shampoo, manicure e pedicure" sempre senza far capire nulla all'indagato di turno. Poi passavamo ai dottori, alle infermiere, ai parenti, nostri e quelli degli altri. Eravamo tre "ragazzi" terribili. Dopo quel primo infarto riflettei sulla mia situazione e scrissi:

 Puoi dire ad un cuore sia pure ferito di stare immobile di stare impassibile? Dovresti mio povero cuore ferito restare impassibile perchè io devo restare impassibile. Dovresti mio fragile cuore ferito restare lì immobile perché io devo restare sì immobile. Mi chiedi allora: sempre? Sempre rispondo, anche quando la donna da me tanto amata di me non s'appena e ride felice e beata in gaia brigata. Vorresti mio stupido cuore ferito gioire di cose giocose e di fatti felici, ma non puoi. Vorresti mio illuso cuore ferito godere dei sensi goduti e di notti tra amici, ma non puoi. Mi dici allora: ormai.. Ormai ti chiedo? Ormai rispondi l'hai capito povero fragile stupido illuso cuore ferito, per sempre ormai tu sei finito. 

           MA NONOSTANTE TUTTO INVECE ANCORA RESISTO