lunedì 30 giugno 2014

METAMORFOSI DI UNA FIGLIA

Una ventina di anni fa feci conoscenza con una signora più anziana di me, vedova, di corporatura abbondante, non vedente e claudicante la quale essendo venuta a sapere della mia precedente attività lavorativa mi aveva chiesto alcune informazioni alle quali feci in modo di dare una risposta soddisfacente.
Così avvenne e sin da allora, risiedendo nello stesso mio Rione, la incontravo spesso sottobraccio alla sua unica figlia che le faceva da accompagnatrice e le sussurrava il nome delle persone che incontrava.
La figlia, per nulla attraente, era una venticinquenne anche lei abbastanza robusta, di bassa statura, capelli castani e occhiali da vista. Non appena c'incrociavamo entrambe mi salutavano con un sorriso e, quando possibile, si faceva anche un po' di conversazione.
Naturalmente c'erano dei lunghi periodi in cui non ci s'incontrava, soprattutto d'inverno o durante certe giornate d'estate troppo calde.
Da qualche tempo però mi capitava d'incontrare soltanto la figlia con la quale ci scambiavamo il solito sorriso.
Giusto il mese scorso incontrai di nuovo solo la figlia e allora le chiesi notizie di sua madre e lei mi rispose con un sorriso amaro "mamma non c'è più". La scomparsa era avvenuta appena dieci giorni prima. Mi disse allora che si sentiva molto sola e che, ormai quarantacinquenne, alle soglie della mezza età, vedeva il suo futuro molto incerto. Cercai di fare del mio meglio per consolarla e darle coraggio, poi ci salutammo.
La settimana scorsa mi stavo incamminando verso il parco vicino casa quando vidi venirmi incontro una persona che da lontano salutava e sorrideva. Mi voltai pensando che stava salutando qualcuno dietro di me ma non c'era neppure un cane. Quando fummo abbastanza vicini mi accorsi che era la figlia di quella signora più anziana di me che era scomparsa di recente.
Feci fatica a riconoscerla perché era elegantemente abbigliata con una gonna di colore blu e una camicetta bianca merlettata, volto rubizzo, capelli corti biondissimi - prima li aveva castano scuro - occhiali da vista alla moda e un ampio sorriso.
Ricambiai sorriso e saluto e procedetti oltre.
Completamente trasformata - ed in meglio - tanto che mi sto ancora chiedendo se era la "lei" che conoscevo sia pure di vista.
Poi mi sono detto "Aldo ma a te che te ne frega se è così diversa da prima?".
Mi detti ragione da solo.

giovedì 26 giugno 2014

IL CAVALIER SERVENTE

= Buongiorno, posso sedermi quì?
= ma certo mia cara, lei è arrivata oggi?
= sì, questa mattina presto. Ho fatto un giro per visitare l'ambiente e la camera assegnatami
= soddisfatta?
= sì, anche perché corrisponde a ciò che avevo saputo al riguardo
= tutte le signore che si trovano in questa casa di riposo provano piacere ad abitarci. Siamo tutte single, pensionate ex dipendenti di banca ed ex funzionarie di alto livello di enti pubblici quindi ci possiamo permettere di essere qui quali ospiti. Ormai siamo diventate amiche, quasi sorelle e trascorriamo tutto il tempo a scambiarci ricordi, almeno fin quando la memoria ci assiste
= e qual'è l'età media?
= varia dai 70 agli 80 anni ma qualcuna ne ha anche di più. Noi ci diamo tutte del tu, vuoi farlo anche te se non ti dispiace?
= certamente, io ne ho circa 70
= ed io due più di te
= allora siamo quasi coetanee
= evviva!
= soltanto donne qui, vero?
= anche la direttrice ed il personale che vi lavora all'infuori di un bel giovane quarantenne tuttofare
= cioé di cosa si occupa?
= praticamente di tutto, ma adesso non c'è
= è in vacanza?
= no, adesso ti spiego. Anche lui è alloggiato qui e sin da oltre un anno. Pensa che al mattino si alza prestissimo e lavora fino a notte inoltrata. È una persona speciale. Gli vogliamo tutte un gran bene. A dire la verità non tutte. Vedi quella là seduta a quel tavolo? Sì proprio quella, ha circa novanta anni. Bene anzi male perché lei odia il nostro bel giovane quarantenne!
= come mai?
= innanzi tutto perché lei è una persona odiosa, gelosa e invidiosa. Una donna ricchissima che si dà tante arie. Ce l'ha con noi perchè il nostro cavaliere, veramente tale, è una persona affidabile, servizievole e comprensiva e lo era anche con lei, poi ad un certo punto è diventata come una belva feroce proprio verso il nostro amato cavaliere che noi invece difendiamo
= quale certo punto?
= lunedì della scorsa ettimana. Era circa l'una dopo mezzanotte quando tutte quante noi abbiamo sentito urlare la vipera a gran voce, una discussione animatissima e, dopo circa mezz'ora lei, la vipera, è andata a svegliare la direttrice e lì con voce alterata si è sfogata
= ma voi non sapete il perché?
= sì, vagamente
= qualche accenno?
= lui sia il mattino all'alba sia dopo la mezzanotte gira per tutte le nostre camere, si accerta se stiamo dormendo e se invece stiamo sveglie ci chiede premurosamente se abbiamo bisogno di qualcosa
= beh mi pare un atteggiamento molto affettuoso
= certo! Ora però ci mancherà chissà per quanto tempo
= il motivo?
= non sappiamo nulla di preciso ma sembra che la vipera gli abbia mosso un'accusa secondo noi completamente inventata perché noi gli abbiamo data completa fiducia, sempre. Entrava e usciva dalle nostre camere liberamente senza che ci preoccupassimo di nulla e senza che ci creasse dei problemi
= scusami ma adesso questa sorta di cavalier servente dov'é?
= mi fa una pena poverino. Pensa che sta in prigione, in attesa del processo per direttissima con l'accusa, secondo me infondata, di furto aggravato e continuato.
Però ci penseremo noi a pagare l'avvocato che lo difenderà.


lunedì 23 giugno 2014

TRATTO DA UN EPISODIO VERO

Nel 1952 avevo 22 anni ed ero disoccupato. Non avevo nessuna colpa di questa stato di cose perché quando l'anno prima, il 1951, tornai dal servizio militare che mi ero "cibato" tra Casale Monferrato ed Asti, lo studio professionale dove avevo lavorato, in nero, era stato chiuso dagli eredi dal mio datore di lavoro causa il suo decesso.Avevo trovato altri lavori, sempre in nero e part-time, ma percepivo una misera paga pur adattandomi a fare o a tentare di fare qualsiasi mestiere. Di questo stato di cose ricordo un piccolo episodio. A quell'epoca facevo parte di una compagnia teatrale amatoriale che metteva in scena spettacoli di prosa ma non disdegnava di fare anche spettacoli di varietà che si andavano a rappresentare in genere presso altri paesi o piccole cittadine intorno a Roma in occasione di locali sagre o feste del patrono.Per questa attività si percepiva il solito biglietto da mille lire che ciascuno di noi componenti gradiva molto.Tornando al 1952, un giorno del mese di settembre il capocomico della nostra compagnia ci disse che per la seconda domenica di quello stesso mese dovevamo andare a Campoleone, una località sulla strada statale Nettunense che da Roma, passando vicino ad Aprilia e a Lanuvio, arriva fino ad Anzio e Nettuno. Era riuscito ad organizzare tutto con i proprietari del piccolo cinema-teatro dove dovevamo esibirci: due agricoltori, una sorta di colossi da mettere in soggezione chiunque, i quali possedevano anche un esteso appezzamento di terreno agricolo nonché un bar e un negozio di articoli vari posti ai fianchi del cinema. I tre locali erano compresi in un piccolo fabbricato di un solo piano che affacciava proprio sulla statale Nettunense. Di questa nostra compagnia, per certi spettacoli, specialmente fuori Roma, facevano parte anche due dei tre fratelli De Vico, Mario e Antonio, napoletani generazione Scarpetta, noti nell'ambiente dell'avanspettacolo come Trio De Vico insieme al terzo fratello Pietro, nonché Maria Boni cantante della sede regionale romana della RAI Radio Campidoglio. Pure loro parteciparono a questa nostra "trasferta" per lo spettacolo a Campoleone, Naturalmente per un compenso maggiore di quello di noi "dilettanti". Pubblicizzato dai due "colossi" in tutto il circondario con numerose locandine teatrali, il flusso dei spettatori fu notevole e noi ottenemmo un discreto successo. Alla fine dello spettacolo gli spettatori ci chiesero persino l'autografo, anche a me che ero stato soltanto il "bravo presentatore" per modo di dire. Erano ormai le 23 e, sistemato tutto quello che c'era da sistemare, il nostro capocomico andò a casa dei due "colossi" per farsi dare la somma concordata. E qui avvenne il fatto. I due iniziarono a lamentarsi per le troppe spese sostenute sia per l'allestimento del palco e della sala, sia per il noleggio dell'attrezzatura microfonica, sia infine per la pubblicità e il pagamento dei diritti alla Società Autori ed Editori – S.I.A.E. A mezzanotte circa noi, non vedendo ritornare il "capo", cominciammo a preoccuparci ma dopo pochi minuti eccolo ritornare con la classica coda tra le gambe: i "colossi" non gli avevano dato una lira! Gli avevano dato però due grosse buste con dentro frutta, ortaggi e un salamino.Ci fu una reazione fortissima specialmente da parte dei tre "professionisti" ma nessuno di noi se la sentì di affrontare quei due "soggetti" in una discussione.
Tristemente questa volta tornammo a Roma tutti con la coda tra le gambe.

giovedì 19 giugno 2014

PEZZI DI UNA FOTO

Stava per sedersi su di una panchina del parco vicino casa quando si accorse che in terra, proprio sotto la stessa panchina, c'erano i resti di quella che una volta era stata un fotografia, a colori, ed anche piuttosto grande, forse una 12x18. La cosa che maggiormente lo incuriosì fu che la foto era stata ridotta in quattro pezzi uguali come se chi l'avesse rotta avesse curato che i quattro pezzi fossero della stessa identica misura. Si guardò intorno poi li raccolse, cercò di unirli tra di loro e restò a fissare a lungo l'immagine contenuta nella foto. Una donna giovane, forse della sua stessa età, intorno ai trent'anni, di una bellezza particolare, non appariscente, capelli e occhi nerissimi, corpo moderatamente in carne, vestita elegantemente ma con sobrietà. Dall'abbigliamento s'intuiva facilmente che la foto era stata scattata durante il periodo estivo, ma in quale anno? Dietro la donna, sullo sfondo, il Colosseo. Lei sorrideva visibilmente contenta, sembrava quasi di vedere gli occhi che le brillavano. Data l'ora, era il primo pomeriggio, il parco era scarsamente frequentato ma a lui venne l'istinto di alzarsi dalla panchina e andare in giro per vedere se poteva rintracciare la donna della foto ed anche la persona che gliela aveva scattata. Un tentativo inutile lo sapeva però voleva tentare ugualmente. Di tempo ne aveva quel giorno e poi era tutto così splendido, parco e tempo inclusi.Trascorsero circa due ore ma, all'infuori di una bella e confortevole passeggiata nient'altro era accaduto. Nessuna traccia della donna nella foto né della persona che l'aveva fotografata. Rientrato in casa si mise di buzzo buono per cercare di ricomporre la foto per intero e nel farlo si accorse che a tergo c'era scritta una frase: "al mio adorato Diego, con tutto il mio amore, perché mi tenga sempre con sé, Eleonora". Fu molto colpito da queste parole e si convinse ancora di più di voler cercare quella giovane donna che sapeva amare così, anche soltanto per vederla, sia pure da lontano. Aveva venti giorni di ferie e lui non fece altro che cercarla in ogni dove ma purtroppo senza alcun risultato. Mostrando sempre la fotografia si era rivolto anche ad altri colleghi, cronisti come lui e persino a funzionari di PS, Carabinieri, Guardie di Finanza, Vigili Urbani, ma senza alcun risultato, al contrario era arrivato al punto che molti finirono col deriderlo.Riprese la sua vita monotona, casa e redazione di un quotidiano, e ciò produsse in lui l'effetto di farlo desistere da quella sorta di sciocca ossessione. Ad aiutarlo se ne occupò anche il redattore capo il quale due giorni dopo il rientro lo chiamò e gli riferì che un suo amico, commissario PS, gli aveva telefonato per dirgli che quella mattina, sul marciapiede davan ti ad un albergo di Piazza Euclide, era stato rinvenuto il corpo di un uomo che si era gettato dal settimo piano dello stesso albergo . Si stavano già svolgendo le indagini e quindi lui andò di corsa in quella piazza. Vide in terra il suicida il quale aveva nella mano destra semiaperta una pistola di grosso calibro. Disse agli agenti in servizio che era stato chiamato dal commissario tal dei tali, riferì la stessa cosa al portiere dell'albergo al quale chiese se il cadavere in terra era quello di un cliente dell'albergo e si fece dare il numero della stanza. Giunto al piano vide la porta della stanza spalancata e, facendosi notare il meno possibile, si mise alle spalle dei funzionari che stavano facendo il loro lavoro. Sul letto matrimoniale giaceva una donna seminuda con un grosso foro in piena fronte dal quale era uscito molto sangue. Stava quasi per gridare perché quella donna era Eleonora, senza alcun dubbio. Fuggì da quella stanza imprecando. Volle seguire le indagini di quell'inchiesta e venne a conoscenza di altri particolari: la conferma che la donna si chiamava Eleonora, che il nome dell'uomo era Diego il quale aveva ucciso prima lei e poi si era gettato dalla finestra morendo sul colpo, che erano sposati ma non tra di loro.
Svanita la speranza di trovare Eleonora gli era rimasta la sua foto.

lunedì 16 giugno 2014

UN POSTO IN FILA ALLA POSTA

È mercoledì 4 giugno ed è una calda e bella mattinata. Allora, tanto per usare una frase fatta, prendo il coraggio a due mani (ma come si fa a prenderlo? boh!) esco da casa poco prima delle 8.30 a.m. che è l'orario di apertura dell'Ufficio Postale.Non era assolutamente previsto da me e forse non solo da me, che ci fossero già una trentina di persone in fila in attesa dell'apertura della porta e prelevare quindi il numeretto alla macchinetta. Pazienza, mi metto alla fine della coda.Tra i primi si fanno notare due persone, molto anziane, un uomo e una donna, che stanno dicendosele di cotte e di crude perché ognuno di loro afferma di essere arrivato prima dell'altro:
= ahò, ma che te spigni co' 'sto gomito...
= spigno quanto me pare perché si sei un omo armeno pe' cavalleria me dovresti lassa'...
= a me nun me ne pò fregà de meno perché nun so' cavaliere...
= però nun sei manco un cavallo sei un somaro...
= a chi l'hai detto somaro? Guarda che anche se sei 'na donna du' schiaffoni te l'ammollo uguale...
= te n'approfitti perché mi marito è morto e...
= pe' me po pure resuscita' che me fa un baffo...
Non sono il solo a cercare di calmare i due litiganti anche perché non danno retta agli inviti che vengono loro rivolti. Finalmente la porta viene aperta e si può procedere.Il diverbio tra i due non l'ho più seguito dato che la mia attenzione è andata in un'altra direzione.Una persona indossa una maglietta nera con una scritta enorme NO PONTE e, sotto queste due parole, uno strana immagine raffigurante un branco di pesciolini che insegue un grosso pescecane, non il contrario. Il tutto di colore bianco che spicca vistosamente su quella maglietta .Chissà cosa significa mi chiedo.
Appena le prime sette persone hanno terminato le loro operazioni allo sportello malaguratamente i computer dei cinque sportelli si bloccano.Attraverso il vetro degli sportelli vediamo il direttore dell'Ufficio che si da' un gran daffare per risolvere la situazione senza peraltro riuscirci. Per far passare il tempo mi guardo intorno e torno a vedere quella maglietta nera.Improvvisamente mi si fa luce nella testa e, forse, riesco a capire il significato di quella scritta e di quel disegno su quella maglietta nera. Mi avvicino e dico:
= scusa, per caso alludi al ponte sullo stretto Messina-Reggio Calabria?...
= certo e sta tranquillo che i pesci piccoli si mangerrano quello grosso...
= grazie, sono contento di averlo capito...
= spero che lo capiscano in molti.
Per fortuna i computer riprendono a funzionare e dopo un'ora circa anch'io termino quello che avevo da fare e me ne torno lentamente a casa. Sono le undici passate.
Dimenticavo: la persona con indosso la maglietta era una fiorente giovane ragazza con tanto di originali occhiali da vista che le donavano moltissimo.
Ecco spiegato perché mi risuonavano nelle orecchie le parole di una vecchia canzone "quella sua maglietta fina tanto stretta al punto che mi immaginavo tutto......."

giovedì 12 giugno 2014

BRICIOLE

A volte qualcuno mi prende in giro, altre volte sbuffano ad un mio accenno di disapprovazione, altre volte ancora sorvolano sul comprendere il perchè di quello che vado dicendo riguardo il pane.
Mi viene detto "guarda che diventi paranoico con questa tua fissazione sul pane, sul suo uso e sul suo spreco".
Ebbene io conservo ancora oggi un ricordo molto amaro circa questo alimento.
A gennaio del 1940 cinque mesi prima dell'entrata in guerra dell'Italia il governo fascista dette il via alla distribuzione della carta annonaria per il razionamento di molti prodotti alimentari tra i quali appunto il pane.
Alcuni di tali prodotti tipo caffè, carne, zucchero e altro o erano introvabili oppure appannaggio soltanto di persone agiate e "borsari neri" che potevano permetterselo insieme ai contadini con i quali nostro padre barattava minuscoli oggetti d'oro di proprietà di nostra madre per patate, cicerchie, carrube etc.
Qui a Roma come tipo di pane era di largo consumo la ciriola o "cirioletta" ognuna del peso di circa 100 grammi che era poi la razione giornaliera pro capite di ogni componente della famiglia.
Il nostro panettiere di fiducia a due passi da casa era il Sor Giggetto che, come testimone, figura tra l'altro nel mio estratto di nascita – 1930.
Ogni mattina si andava da lui , si esibiva la carta annonaria dalla quale prelevava i bollini relativi e si tornava a casa con i 600 grammi spettanti alla nostra famiglia composta dai genitori e da quattro figli.
Con il procedere della guerra le scorte di farina andavano esaurendosi e di conseguenza anche il pane diventava quasi un genere di lusso.
A volte capitava che il Sor Giggetto riusciva a rimediare non so come un po' di pane extra e allora ci avvisava di tornare il pomeriggio, fare la fila e sperare di ottenere qualche cirioletta in più di quella del razionamento.
Quelle volte in cui riuscivamo a rimediarne un paio anche noi naturalmente eravamo contenti ma tra noi fratelli sorgevano sempre delle discussioni perché nostra madre doveva dividere le ciriolette esattamente in parti uguali e non sempre le riusciva.
Noi fratelli litigavamo persino per un pezzetto di mollica di pane in più o in meno. I primi due anni eravamo io e mio fratello più grande i partecipanti al dibattito poi si aggiunsero gli altri due, nel frattempo cresciuti.
Mio padre si stancò di quelle discussoni piuttosto animate e allora un giorno portò a casa una bilancia da farmacista o da orafo, che poteva pesare soltanto cose leggerissime. Briciole appunto.
Rammento ancora oggi la scena mentre, seduti intorno al tavolo in cucina, guardavamo con occhi attenti nostra madre che cercava di pesare e suddividere con precisione le due ciriolette.
Un ricordo che m'è rimasto impresso nella mente e che non ho mai dimenticato.


lunedì 9 giugno 2014

CURIOSITA' IN GIRO PER ROMA

Basta osservare.
Certo poi uno si fa delle domande ma le risposte? Non importa, la vita va avanti ugualmente.
-1) La settimana scorsa ero all'ufficio postale e stavo aspettando il mio turno ormai da una buona mezz'ora quando entra uno strano personaggio. Alto, magro, intorno ai quaranta anni, bardato dalla testa ai piedi con una completa tenuta da ciclista: casco regolamentare sulla testa, maglietta, pantaloncini aderenti, scarpette sportive. Senza bicicletta. Forse l'ha lasciata fuori la porta. Non ritira il numeretto dall'apposito apparecchio e va direttamente ad uno sportello. Qualcuno strepita, lui si guarda intorno, non capisce o fa finta, acquista una ventina di francobolli e viene a posizionarsi proprio vicino dove sono seduto in attesa. Poggia su un ripiano di marmo un bel numero di cartoline di Roma ed inizia ad attaccare francobolli sulle medesime previa leccatina. Poi fa una cosa curiosa: stacca alcuni francobolli precedentemente attaccati su alcune cartoline e poi cerca di riattaccarli su altre. Sgrano un po' gli occhi, ma viene il mio turno, vado allo sportello, compio le operazioni che dovevo fare ed esco dall'ufficio postale.
Fuori dalla porta e nei dintorni nessuna traccia di bicicletta,di tandem o di triciclo.
-2) Due giorni fa di buon mattino stavo camminando verso un bar-latteria quando vengo sorpassato da quattro persone, due uomini e due donne, forse coppie, con tanto di zaini sulle spalle. Di una certa età, sicuramente turisti stranieri considerato il loro discorrere in una lingua a me sconosciuta. Ad un certo punto si fermano, si tolgono le scarpe da ginnastica che calzavano e mettono al loro posto delle infradito di gomma. Tutti e quattro. Incuranti di chi passava loro accanto e della scia di un olezzo che non era certamente di verbena. Hanno poi ripreso il loro peregrinare ciascuno con le proprie scarpe in mano. -3) L'impulso a mettere giù questo scritto mi è arrivato ieri mattina dopo aver assistito ad un incontro ravvicinato non so neppure io di quale tipo. Due signore attempatelle, grassottelle e acciaccatelle, sicuramente tedesche dato che ho alcuni parenti germanici e semi-germanici, si sono fermate quasi accanto a me e, nella loro lingua, hanno fatto dei gesti a un giovane cinese di passaggio, occhialuto, magrissimo, alto almeno trenta centimetri più delle due fraulein e gli hanno chiesto, credo, qualche indicazione stradale. Il bello è che il cinese nella sua lingua e le signore nella loro sembra che si siano intesi perfettamente tanto che si sono poi divisi sorridendo ed annuendo tutti in maniera evidente.
Si sono salutati facendo un inchino il cinese e ciao ciao con le manine le tedesche.





mercoledì 4 giugno 2014

BETTY

Lei si chiamava Betty e nei primi anni cinquanta conobbe Paolo in occasione di un pomeriggio danzante in casa di una propria parente. Avevano entrambi tra i diciannove e i venti anni ed erano fidanzati con amici comuni. Lei con un giovane coetaneo in procinto di essere assunto presso una grossa ditta, invece Paolo, in attesa di occupazione, con un'amica di Betty. Loro quattro facevano parte di una comitiva piuttosto numerosa e quasi tutte le sere si incontravano in una sorta di osteria-trattoria situata nei pressi delle loro abitazioni per scambiare quattro chiacchiere. L'oste era il padre di uno di loro e quindi si potevano trattenere senza alcun ostacolo dalle tre alle quattro ore ogni volta. Colei o colui che se lo potevano permettere ordinavano una bibita e mangiavano un "cappone". Non era il noto gallo castrato bensì mezzo sfilatino di pane leggermente scottato sulla griglia, condito con una goccia d'olio e un pizzico di sale. Come si usa dire i tempi erano magri e quello era ciò che passava il convento. Nel corso di tali incontri si rideva, si scherzava e si passava il tempo discutendo di vari argomenti. Una di quelle sere, Betty e Paolo, seduti insieme agli altri amici, si accorsero reciprocamente che stavano guardandosi con intensità senza che nessuno di loro ne conoscesse il perché. Non dissero una parola, appena qualche secondo e volsero altrove i loro sguardi. Entrambi cercarono di evitarsi per il resto della serata. Due giorni dopo, quando insieme agli altri si ritrovarono all'ingresso della solita osteria, Betty prese da parte Paolo e rapidamente gli sussurrò
=Devo parlarti da solo
=Anch'io.
Senza che nessuno se ne accorgesse riuscirono a concordare un appuntamento per il tardo pomeriggio del sabato successivo. Quando si videro nel giorno e nel luogo concordati si salutarono non senza imbarazzo poi Paolo chiese:
=Va bene per te se prendiamo il bus e scendiamo al capolinea che si trova all'inizio dell'Appia Antica?
=Sì, va benissimo.
Saliti sul bus e lungo tutto il percorso scambiarono tra loro poche parole. Si stavano chiedendo entrambi come affrontare la situazione che si era venuta a creare. Giunti a destinazione si diressero camminando lentamente verso il prato antistante il Mausoleo di Cecilia Metella, non c'erano panchine e quindi si sedettero sopra i resti di una colonna marmorea proveniente da vecchi scavi archeologici della zona
=Paolo...te l'ho chiesto io quest'incontro
=Lo so Betty e sentivo anch'io la necessità di vederci da soli
=Sai anche il perche?
=Sì. Vedi Betty a volte certi sguardi sono più espliciti delle parole e di certi comportamenti
=Sono così trasparente per cui si nota subito quello che sento dentro di me?
=Dal momento che siamo qui, insieme, noi due soli, non credi che lo sia anch'io?
=Vero. Il fatto è che non dovremmo esserci qui e tu conosci benissimo il motivo
=Perché ti sposi a fine mese
=Giusto. E non è corretto e neppure onesto questo mio comportamento, ma...
=Ma?
=Penso che abbiamo sbagliato i tempi dei nostri reciproci fidanzamenti. Te lo dico con sincerità
=Che intendi fare
=Nulla. Anche se vorrei dirti quello che provo per te. Ho fatto una promessa e intendo mantenerla.
=Ti vuole bene come...
=Come?
=Come e quanto te ne voglio io?
=Credo di sì, a modo suo. E poi io e te non abbiamo fatto mai trapelare quello che sentivamo l'uno per l'altro
=Abbiamo commesso un grosso errore
=Già. Torniamo adesso, ti prego.
Paolo prese per mano Betty gliela strinse con delicatezza e si avviarono lentamente verso il bus. Si stava facendo buio, ma giunti a pochi passi si fermarono si guardarono e si scambiarono un lungo ed appassionato bacio, incuranti di tutto. Poi, senza dire una parola, salirono sul bus e tornarono nelle loro rispettive case.
Il dolce intenso sapore di quel bacio e di quelle labbra rimase a lungo nei ricordi di Paolo. Non lo dimenticò mai..