Era l’anno 1931 e per sessant’anni
fino al 1991 ne ho fatte, viste e vissute di cose nell’ambito di
quello che Peter Brook, famoso regista
britannico, definiva così: “Il Teatro è la vita”.
Silvio D’Amico,
critico teatrale, giornalista, docente di storia del teatro e
direttore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica che porta il
suo nome, affermava, convinto, che non è “teatro” il
cinema. Personalmente penso che non lo sia neppure la TV con
le sue fiction, i suoi sceneggiati e spettacoli, registrati o meno,
con gli spettatori retribuiti che applaudono e ridono a comando.
“Perché il Teatro vuole l’attore “ vivo”, e che parla
e che agisce scaldandosi al fiato del pubblico, vuole lo spettacolo
senza la quarta parete e che può avvenire anche in spazi aperti”.
Premesso quanto sopra
nel 1931 mio padre lavorava al Teatro Galleria di Roma con le
mansioni di macchinista e in quel periodo calcava il palcoscenico la
Compagnia di riviste Guido Riccioli comico e Nanda Primavera
soubrette (già soprano nelle operette diventata in seguito attrice
di teatro, cinema e TV). In uno sketch dello spettacolo la soubrette
doveva entrare in scena tenendo tra le braccia un neonato. Sembra
che, così come me lo ha raccontato mio padre, il capocomico chiese
agli elementi della sua compagnia e al personale del teatro se c’era
qualche genitore appunto di un neonato e mio padre si offrì lui di
portare un bambino di poco più di un anno: in altre parole io. Altri
particolari, se anche mi sono stati raccontati non li ricordo, ma
credo che proprio quell’episodio fece scattare in me la molla della
mia futura passione per le tavole del palcoscenico. Sarà per un
puro caso, ma la soubrette Primavera è deceduta a 97 anni: hai visto
mai che il Teatro allunga la vita? Negli anni a venire questa mia
passione s’intensificò sempre di più ma con scarsi risultati. Mi
dilettai, part-time, a fare del “teatro” (con la lettera
minuscola) a livello amatoriale; mi è capitato pure qualcosa di
semi-professionale, sporadicamente e soltanto perché mi capitava di
guadagnarmi la “mille” (nel senso di mille lire) prendendo parte
a spettacoli d’arte varia in occasione di feste o sagre in molti
paesi della provincia di Roma, di sera e all’aperto, in ospedali di
vario tipo ed in altri posti. Negli anni '46, '47, '48 sempre al
Teatro Galleria dove mio padre lavorava, io facevo l’aiuto
macchinista di scena. Nel primo periodo si esibì la Compagnia di
Riviste Renato Rascel, comico e Tina De Mola, sua moglie, soubrette.
L’ultima sera della loro tournèe, poco prima dell’inizio dello
spettacolo, Rascel mi disse che quando nel corso della scenetta
finale gettava dietro le quinte il suo esile bastoncino da passeggio,
io dovevo fare in modo di creare un bel po’ di rumore. Ci pensai
un po’e decisi di preparare una grossa catasta di cantinelle di
legno, spezzati di scena e altro materiale. Arrivò il momento del
lancio del bastoncino e quando mi giunse ai piedi dietro le quinte
feci cadere tutto quello che avevo preparato. Il boato fu enorme.
Sembrava che fosse caduta una bomba, il pubblicò s’impaurì un
poco ma quando vide che anche Rascel rideva sbottarono a ridere tutti
e ci fu un grande applauso.Dopo qualche tempo tornai ancora a
lavorare in quello stesso teatro come aiuto dell’aiuto
dell’elettricista ufficiale: praticamente eravamo in tre ad
occuparci di quel settore e combinazione tutti con il nome Aldo. Pur
non avendo mai frequentato scuola di teatro, di recitazione o
Accademia d’Arte Drammatica ed essendo quello un periodo nero per
me in quanto non riuscivo a trovare un lavoro, decisi di voler
realizzare il mio sogno: diventare un vero attore di teatro. Appena
ne parlai con mia madre e con la mia fidanzata - oggi mia moglie -
come se si fossero messe d’accordo fecero di tutto per dissuadermi
e, purtroppo, ci riuscirono.Svanita così ogni mia speranza continuai
a fare teatro, saltuariamente, sempre a livello semi-professionale e
a partecipare a spettacoli d’arte varia dovunque capitava
l’occasione, alcune volte insieme ad attori professionisti come i
fratelli De Vico e alla cantante di Radio Campidoglio Maria Boni.
Avrei potuto parlare
più dettagliatamente di molti altri “episodi teatrali” ma
suppongo che sia stato meglio non prolungarmi troppo.
Adesso sul mio
“teatro” è calato il sipario dove ho scritto la parola FINE.