lunedì 15 settembre 2014

TEATRO

Era l’anno 1931 e per sessant’anni fino al 1991 ne ho fatte, viste e vissute di cose nell’ambito di
quello che Peter Brook, famoso regista britannico, definiva così: “Il Teatro è la vita”.
Silvio D’Amico, critico teatrale, giornalista, docente di storia del teatro e direttore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica che porta il suo nome, affermava, convinto, che non è “teatro” il cinema. Personalmente penso che non lo sia neppure la TV con le sue fiction, i suoi sceneggiati e spettacoli, registrati o meno, con gli spettatori retribuiti che applaudono e ridono a comando. “Perché il Teatro vuole l’attore “ vivo”, e che parla e che agisce scaldandosi al fiato del pubblico, vuole lo spettacolo senza la quarta parete e che può avvenire anche in spazi aperti”.
Premesso quanto sopra nel 1931 mio padre lavorava al Teatro Galleria di Roma con le mansioni di macchinista e in quel periodo calcava il palcoscenico la Compagnia di riviste Guido Riccioli comico e Nanda Primavera soubrette (già soprano nelle operette diventata in seguito attrice di teatro, cinema e TV). In uno sketch dello spettacolo la soubrette doveva entrare in scena tenendo tra le braccia un neonato. Sembra che, così come me lo ha raccontato mio padre, il capocomico chiese agli elementi della sua compagnia e al personale del teatro se c’era qualche genitore appunto di un neonato e mio padre si offrì lui di portare un bambino di poco più di un anno: in altre parole io. Altri particolari, se anche mi sono stati raccontati non li ricordo, ma credo che proprio quell’episodio fece scattare in me la molla della mia futura passione per le tavole del palcoscenico. Sarà per un puro caso, ma la soubrette Primavera è deceduta a 97 anni: hai visto mai che il Teatro allunga la vita? Negli anni a venire questa mia passione s’intensificò sempre di più ma con scarsi risultati. Mi dilettai, part-time, a fare del “teatro” (con la lettera minuscola) a livello amatoriale; mi è capitato pure qualcosa di semi-professionale, sporadicamente e soltanto perché mi capitava di guadagnarmi la “mille” (nel senso di mille lire) prendendo parte a spettacoli d’arte varia in occasione di feste o sagre in molti paesi della provincia di Roma, di sera e all’aperto, in ospedali di vario tipo ed in altri posti. Negli anni '46, '47, '48 sempre al Teatro Galleria dove mio padre lavorava, io facevo l’aiuto macchinista di scena. Nel primo periodo si esibì la Compagnia di Riviste Renato Rascel, comico e Tina De Mola, sua moglie, soubrette. L’ultima sera della loro tournèe, poco prima dell’inizio dello spettacolo, Rascel mi disse che quando nel corso della scenetta finale gettava dietro le quinte il suo esile bastoncino da passeggio, io dovevo fare in modo di creare un bel po’ di rumore. Ci pensai un po’e decisi di preparare una grossa catasta di cantinelle di legno, spezzati di scena e altro materiale. Arrivò il momento del lancio del bastoncino e quando mi giunse ai piedi dietro le quinte feci cadere tutto quello che avevo preparato. Il boato fu enorme. Sembrava che fosse caduta una bomba, il pubblicò s’impaurì un poco ma quando vide che anche Rascel rideva sbottarono a ridere tutti e ci fu un grande applauso.Dopo qualche tempo tornai ancora a lavorare in quello stesso teatro come aiuto dell’aiuto dell’elettricista ufficiale: praticamente eravamo in tre ad occuparci di quel settore e combinazione tutti con il nome Aldo. Pur non avendo mai frequentato scuola di teatro, di recitazione o Accademia d’Arte Drammatica ed essendo quello un periodo nero per me in quanto non riuscivo a trovare un lavoro, decisi di voler realizzare il mio sogno: diventare un vero attore di teatro. Appena ne parlai con mia madre e con la mia fidanzata - oggi mia moglie - come se si fossero messe d’accordo fecero di tutto per dissuadermi e, purtroppo, ci riuscirono.Svanita così ogni mia speranza continuai a fare teatro, saltuariamente, sempre a livello semi-professionale e a partecipare a spettacoli d’arte varia dovunque capitava l’occasione, alcune volte insieme ad attori professionisti come i fratelli De Vico e alla cantante di Radio Campidoglio Maria Boni.
Avrei potuto parlare più dettagliatamente di molti altri “episodi teatrali” ma suppongo che sia stato meglio non prolungarmi troppo.
Adesso sul mio “teatro” è calato il sipario dove ho scritto la parola FINE.

lunedì 8 settembre 2014

CHE BELLO STA CO' TE


La canzone con Nino Manfredi di cui al video quì sopra e che ho riascoltato in questi giorni mi ha fatto tornare in mente una breve storia di tanto tempo fa.
Dario un giovane ventiduenne era un appassionato di canzoni romane e, benché di dischi di questo genere ne possedesse una bella collezione, non appena veniva a conoscenza che era in programma da qualche parte di Roma, città in cui era nato e abitava, un concerto di tali canzoni, si può dire che era tra i primi a prenotare un biglietto. Infatti appena apprese la notizia che un giorno, più precisamente una domenica pomeriggio, in un piccolo teatro al centro della città, si sarebbe esibito un noto cantante romano acquistò subito il biglietto per un posto nella poltrona di platea in quinta fila. Quella domenica si presentò al teatro mezz'ora prima dell'inizio e si sedette sulla poltrona segnata col numero stampato nel biglietto d'ingresso. Accanto, sulla sua destra, c'erano due poltrone ancora vuote mentre il resto era già tutto occupato. Qualche minuto prima dell'inizio si presentarono due donne tutte trafelate le quali sedettero nelle due poltrone ancora vuote. Una era giovane, sicuramente della sua stessa età mentre l'altra, che si accomodò proprio accanto al corridoio di transito, poteva avere all'incirca una cinquantina di anni. La giovane poggiandosi sul bracciolo della propria poltrona lo sfiorava appena ma Dario spostò ugualmente il suo di braccio per una sorta di malcelata timidezza. Venne ricambiato dalla giovane con un sorriso appena accennato. Ebbe inizio lo spettacolo ed il cantante non sembrava stancarsi di intonare una serie di belle canzoni romane tra le quali "Che bello sta' co' te", molto applaudita dal pubblico. Dario, guardando di sottecchi la sua giovane vicina si accorse che si stava passando un fazzoletto sugli occhi. Quasi nello stesso istante terminò la prima parte dello spettacolo, si accesero le luci in sala e la signora cinquantenne si alzò dalla poltrona e disse alla giovane che andava a prendere un caffè e se voleva poteva andare con lei ma la giovane preferì non farlo. Dario, incuriosito da quello che aveva visto prima, prese coraggio e, dicendo il proprio nome, si presentò alla giovane e le chiese se si era commossa nell'ascoltare l'ultima canzone. Lei gli disse il suo di nome, Flaminia, e che la canzone era legata a un avvenimento di qualche anno prima. I due giovani continuarono a parlarsi per tutto l'intervallo e così Dario venne a conoscenza che la signora più anziana era la madre di lei, che abitavano in un paesino poco distante da Rona e che Flaminia frequentava un'università romana. Continuarono a scambiarsi reciproche confidenze su loro stessi e poi si scambiarono anche i rispettivi numeri telefonici. Era nata tra loro una simpatia che magari non si aspettavano così a prima vista. Si rividero ancora, molto spesso, tanto che l'amicizia si trasformò abbastanza rapidamente in amore che durò due anni e poco più e che si dovette interrompere perché il padre di Flaminia si era stabilito all'estero per lavoro e quindi lei e la madre dovevano raggiungerlo.
La sera prima della partenza i due giovani, Dario e Flaminia, abbracciandosi forte cantarono tra le lacrime "Che bello sta' co' te, me sembra de vola', che bello quanno attero e tu sei qua..."




lunedì 1 settembre 2014

CONVERSANDO

Sabato scorso mio figlio mi ha chiesto di andare a vedere una partita di pallacanestro piuttosto particolare nel senso che si tratta di una di quelle partite tra "scapoli e ammogliati" tra soggetti cioè la cui età va dai 45 ai 55 anni appassionatissimi di quello sport da tutti loro praticato sin da bambini. Il campo all'aperto situato nella scuola confinante con il fabbricato dove abito ha i requisiti dei campi idonei per tutte le varie gare dei campionati ufficiali che lì hanno luogo ma, per alcune ore della settimana, viene messo a disposizione di qualche gara amichevole tipo quella appena descritta. Uno dei bordi esterni di quel campo è contiguo alla parete esterna della palestra coperta. Lungo tale parete ci sono alcune lastre di pietra rettangolari ove si siedono i giocatori quando vengono effettuati dei cambi durante il corso delle partite ed anche parenti, mogli, fidanzate e figli dei giocatori in campo per assistere alle dispute. Arrivo quando la partita è iniziata da poco e mio figlio, 55 anni che sta giocando, si distrae un attimo, mi fa un cenno di saluto e io riesco a trovare un posto in una di quella specie di panchine stracolma di zaini, zainetti e borse di tela. Nonostante il tono amichevole della disputa io mi appassiono ugualmente anche perché il basket è uno sport che mi piace ed ho sempre seguito il "pupo" sin da quando aveva 14 anni. Dopo qualche minuto si avvicina un ragazzino e mi chiede se può sedersi lì accanto, gli rispondo di sì se riesce a farlo spostando qualcosa. Si siede e mi chiede qual è il punteggio della partita. Io lo informo e gli chiedo se suo padre è uno di quelli che stanno giocando insieme a mio figlio
= No, mio padre sta a casa...= Come mai non è qui se il sabato non lavora? = Lui non lavora da due anni perché sta in cassa integrazione. Mio padre dice che è quella corta, che finisce presto e che dopo non gli daranno più soldi. Prima veniva pure lui a giocare...=
Rimango un po' interdetto ma poi gli chiedo se posso domandargli qualche altra cosa e lui annuisce
= Quanti anni hai? = Dieci. Ho finito la quinta elementare che frequentavo qui e sono stato promosso in prima media... = E il tuo papà che lavoro faceva? = Operaio... = Tua madre lavora?
= Va a fare le pulizie in certe case... = Sei figlio unico? = No, ho una sorella di due anni, ci pensa mio padre a lei. Loro volevano metterla al nido ma costa e i soldi non ci sono... = Abitate qui vicino? = Sì, prima avevamo una casa poi i soldi sono finiti e allora... = Allora? = Una signora molto anziana ci ha dato una camera e dormiamo tutti lì. Non ci fa pagare però mamma fa tutte le cose di casa e papà cucina... = Parlate di tutto questo a casa? = No, sento papà e mamma che la sera prima d'addormentarsi ne parlano tutti i giorni fino a tardi, ecco perché so tutte queste cose. Sento pure che papà tante volte piange... = Te che fai quando succede questo... = Sto sveglio, non riesco più a dormire... = Una brutta situazione... = Io ho cercato di lavorare, di fare qualsiasi cosa, ma dicono tutti che sono troppo piccolo. Allora ho scritto tante lettere e l'ho mandate a tanti ma non mi ha risposto mai nessuno, eppure l'indirizzo nostro ce l'ho messo. Ogni giorno guardo nella cassetta della posta ma ci trovo solo pubblicità e qualche altra cosa indirizzata alla signora... = Ma non hai nonni o zii? = Gli zii hanno pochi soldi anche loro e i nonni non li ho mai avuti... = Brutti momenti... = Sì. Adesso vado a casa, ciao=.
UNA CONVERSAZIONE CHE MI HA LASCIATO L'AMARO IN BOCCA