lunedì 30 marzo 2015

LA PATENTE A 36 ANNI, UNA 600 USATA e poco altro ancora

È l'anno 1966 e, sposati da circa 10 anni, io e mia moglie abbiamo un figlio che ha 7 anni. Lui ha preso da me e, come si usa dire, “tale padre, tale figlio”. Mi somiglia infatti per quanto riguarda le fughe. Io ne feci tre intorno ai 14 e i 15 anni, lui invece è stato più precoce. Fortunatamente le sue mini-fughe si sono interrotte all’età di 9 anni. La prima mini-fuga la esegue a poco più di 4 anni. Un giorno mia moglie va a prenderlo all’uscita dalla scuola materna quando lui, improvvisamente, si divincola dalla sua mano e corre velocemente incontro a chissà quali avventure. La scena è questa: mamma urlante a perdifiato cerca d’inseguire il pargolo ormai distante. Un brav’uomo, captato il SOS, blocca il fuggitivo mentre lo stesso sta scendendo dal lungo marciapiede diretto verso il traffico cittadino. Madre disperata, brav’uomo consolante, bimbetto sghignazzante. Rientrano a casa e che fa la madre? Informa subito il figlio che telefonerà al genitore in ufficio per informarlo di tutto l’accaduto e gli dice queste precise parole: “adesso telefono a papà così viene a casa e vedrai quello che ti succede”. Questa frase, scolpita a chiare lettere sia nella mente della mamma, sia in quella del pargolo, sia infine negli annali della storia, verrà ripetuta credo fino alla maggiore età del bimbo. In definitiva io sono il bau-bau, l’orco nero, il mangiabambini e invece lei che cosa è se non la mammina adorata che non ha mai rimproverato o sgridato la sua creatura?. All’età di 7 anni il pargolo frequenta la II^ elementare di una scuola distante oltre un chilometro da casa. Andata e ritorno, all’entrata (ore 8) e all’uscita (ore 16), lui e un suo compagno di scuola abitante nella nostra stessa via - amici per la pelle - vengono accompagnati dalle rispettive mammine. Un giorno alle 15.10 circa ricevo una telefonata in ufficio. E’ la mammina la quale, quasi piangendo, mi dice - “sai che ha fatto TUO FIGLIO?” - A questo proposito io ho sempre saputo che: “la madre è certa, il padre non si sa”. Perché allora in certi casi è mio figlio ed in altri è nostro ed in altri ancora è suo? Misteri della psiche. Comunque il misfatto compiuto dai due amiconi è stato quello di fuggire dalla scuola alle 15 anzichè attendere l’arrivo delle mamme alle 16, di prendere armi e bagagli e, saltellando allegramente, di tornarsene ognuno a casa propria. Anzi no - mio, tuo, suo, insomma nostro figlio ci ha messo il carico da undici. Se ne va a casa dall’amico, fanno prendere anche alla di lui mamma un grosso spavento e, giocando con la sorellina dell’amico, vedendole sul visetto due guanciotte rosse e molto paffute, esclama: “la pesca”! E le dà un morso sulla guancia. Eccolo chi è il mangiabambini! Fortuna che padre e madre sono nostri amici e, bontà loro, perdonano. Quindi l’ultima mini-fuga. La mammina e il pargoletto sono soliti trascorrere i pomeriggi all’aria aperta, tempo permettendo, nei parchi che distano poco da casa. Questa volta tocca al Parco del Colle Oppio sovrastante la Domus Aurea – Casa di Nerone di fronte al Colosseo. Camminano entrambi, mano nella mano, lungo il vialone che arriva fino al Largo della Polveriera, mia moglie distraendosi nell’ammirare il panorama, mio figlio rovinando le scarpe per prendere a calci i sassolini della ghiàia che copre i vialetti del giardino. Improvvisamente uno di questi sassolini, calciato in aria dal pargolo, nel ricadere va a colpire esattamente un puntino qualsiasi del parabrezza di un’auto che passa proprio nello stesso istante e, scheggiandolo, lo fa diventare una ragnatela. In quest’ulteriore scena, descrittami in seguito, i personaggi si muovono così: l’automobilista infuriato frena bruscamente e scende dall’auto, si avvia verso la mammina che con le mani nei capelli sta quasi per piangere mentre del pargolo-colpevole non c’è traccia alcuna. I due si mettono alla ricerca del fuggitivo, lo scovano nascosto chissà dove – forse a casa Nerone – parlano del fatto che il danno va riparato (e pagato), decidono prima di passare da un meccanico per conoscerne l’entità e poi, dato che la mammina esce da casa sempre con poche lire, di venire da me in ufficio poco distante dal luogo del misfatto. Durante il tragitto il pargolo assilla l’automobilista con la descrizione che fa del proprio genitore, forse gli avrà anche detto che se mi girano posso anche uccidere, chi lo sa. Quello che io vedo quando mi appaiono in ufficio i tre…beh diciamo i due e qualcosa perché il pargolo è completamente nascosto dalla gonna della madre, è una scena da film lacrimevole. Compunti e quasi silènti riescono a stento a dirmi dell’accaduto. Prendo atto, dico poche parole e mollo le lire. I conti con l’automobilista li ho regolati, quelli con i demolitori di macchine altrui lo farò a casa.
***Questi furono alcuni degli episodi che mi indùssero a prendere la patente d’auto e fanno parte del “prima” in quanto ogni volta che il bimbo fuggiva, la mamma chiamava e io con la macchina accorrevo. Dovevo dire e fare qualcosa e invece lo guardavo soltanto. L’episodio però più convincente quello cioè della goccia che fece traboccare il vaso fu il seguente:
È il 10 luglio 1966 una caldissima giornata d’estate ed io, il pargolo e la mammina dovremmo iniziare a pranzare ma lei è ancora indaffarata con qualcosa che improvvisamente le cade di mano e si va ad infrangere sulla parte superiore del suo piede destro. Una caraffa di vetro colma d’acqua le produce un brutto taglio. Perde sangue. Non so perché non mi viene in testa di chiamare l’ambulanza. Cerco qualcuno nel palazzo che ha la macchina e che ci possa portare me e mia moglie al più vicino pronto soccorso. Non trovo nessuno. Mi ricordo di quel nostro amico, il padre della “pesca”. Di corsa vado su, loro pure stanno mangiando ma lui smette subito ed esce con me. Lascio lì mio figlio sperando che non si mangi la “pesca”. Di corsa all’ospedale ed in poco tempo tutto sistemato. Prendo l’estrema decisione. L’indomani mi iscrivo ad una vicinissima scuola guida e seguo tutte le lezioni teoriche con molta attenzione. Un istruttore mi fa fare anche ore di pratica e arriva il giorno dell’esame alla presenza, nella macchina da me guidata, di un funzionario credo della Prefettura. Accanto a me siede l’istruttore. Via, si parte, magari a singhiozzo ma si parte. Dopo una buona mezz’ora di varie grattate nel cambiare le marce, di fanali e marciapiedi evitati per puro miracolo, di inutili tentativi di parcheggio - avanti e indrè non ricordo per quante volte – il funzionario, lui sudatissimo, noi pure, esplode e mi ordina di fermarmi. Tre giorni dopo mi telefona l’istruttore e m’informa che posso andare a ritirare il foglio rosa, anteprima della patente. Ancora oggi mi chiedo: se le patenti vengono concesse ad un incapace come me chissà se è meglio non girare tanto per le strade. Il giorno stesso del “rosa” parlo con un cliente dello studio dove lavoro, proprietario di una società di vendita d’auto usate e a rate. Prendo appuntamento per l’indomani e ci vado accompagnato da mio fratello più piccolo (di 7 anni) lui sì patentato doc. Col “rosa” si può guidare col patentato accanto. Acquisto una 600 che sembra abbastanza in forma e mio fratello mi dice che devo guidare io. Da lì a casa sono circa 10 chilometri e, quando finalmente arriviamo, lui scende mi augura buona fortuna e se ne va credo maledicendo il giorno in cui m’ha detto che m’avrebbe accompagnato. La giornata fatidica arriva. Precisamente il 19 agosto 1966 mi viene consegnata dalla Prefettura di Roma la Patente con la P maiuscola, quella vera.. Domenica prossima si va ai pranzare ad uno dei Castelli Romani. Partiamo verso le 10 a.m., non si sa mai. Allegri come una Pasqua, mammina e il rampollo, tetro come il 2 novembre io. Sto attentissimo a non superare i 20 Km.l’ora benchè i cartelli indichino un numero maggiore, ma non mi riguarda. Riguarda però chi si azzarda a starmi dietro. Tre ore di viaggio senza alcun incidente. Per un percorso di un’ora e non di più credo sia un record, negativo forse. Tutti felici e contenti, meno io che già sto pensando al ritorno.
***Negli anni a seguire non è che la mia guida cambiò di molto. Certo camminavo molto più veloce ma osservavo scrupolosamente il codice della strada come, ad esempio, cedere il passo ai pedoni sulle loro strisce, fermarsi ai semafori quando inizia il giallo e attendere scrupolosamente il riapparire del rosso, non investire animali di qualsiasi tipo e cose del genere. Solo che io frenavo bruscamente tanto che colui o colei che mi seguiva inevitabilmente mi tamponava. Sono stato per un lungo periodo l’incubo degli automobilisti, delle loro case assicuratrici, ma il più apprezzato dai carrozzieri. Almeno una volta ogni 15 giorni ero da loro a rifarmi il paraurti posteriore nuovo o un’altra riparazione qualsiasi. Prima che mandassi la mia cara 600 in pensione, dopo tre anni, nel 1969 ebbi anch’io il mio momento di celebrità tamponando una macchina. Solo che era quella di mio fratello più grande che guidava la sua davanti a me in una strada provinciale. Ci mettemmo tutti a ridere per la stranezza del caso. Lui si era diligentemente fermato allo stop. E gli agenti delle due nostre rispettive società assicuratrici si resero conto della nostra assoluta buona fede e ci rimborsarono il costo delle riparazioni. Sorridendo: chissà perché? Ne avrei altre da raccontare sulle mie doti da automobilista, ma non le rammento più così dettagliatamente come quelle sopradescritte.***
TRANQUILLI, DA 20 ANNI NON HO PIU' RINNOVATO LA PATENTE E NON HO AUTO.

lunedì 23 marzo 2015

IMPROVVISAMENTE UN RICORDO

Se devo dire la verità non so spiegare neppure il motivo per cui mi sia tornato in mente l'episodio che sto per tentare di scrivere. ma è successo come se, d'un botto, si fosse accesa una piccola lampadina nella mia mente. Perchè poi, ad essere sinceri, non è niente di clamoroso. O forse sì dato che risale ai tempi che furono, circa 66 anni fa.
Una calda sera di primavera romana del 1949 ero andato dove lavorava la mia fidanzata, attuale mia consorte, per accompagnarla a casa facendo prima una breve sosta e così trascorrere un po' di tempo insieme. Ma quella sera, anzichè al Lungotevere, dove ci recavamo tutte le sere, chiesi io a lei di venire dalle mie parti, più precisamente al Parco del Colle Oppio, vicino Via della Polveriera dove abitavo a quell'epoca.
Entrambi adolescenti naturalmente non vedevamo l'ora di starsene tranquillamente da soli, anche se soltanto per poco tempo.
Data l'ora, era sceso il buio ed il Parco era quasi deserto. Ci sedemmo su una panchina e, da cosa nasce cosa, c'eravamo abbracciati per scambiarci le più innocenti delle effusioni.
Trascorso qualche minuto sento che qualcuno mi bussa sulle spalle, alzo la testa e, a stento, vedo il sorriso beffardo sul volto di un vigile urbano il quale mi/ci chiede i documenti di riconoscimento, annota qualcosa su un foglio di carta, saluta e se ne va.
Piuttosto dispiaciuti fummo costretti ad interrompere la nostra serata.
Circa una settimana dopo, rientrando a casa, mi aprì la porta mia madre (a me e ai miei fratelli le chiavi di casa ci vennero date molto tardi) la quale, sogghignando, mi sventolò dinanzi gli occhi un foglio di carta. Era il verbale della contravvenzione che il vigile mi aveva fatto al Parco con sopra citata l'ammenda da pagare e la causale: "...sorpresi nel Parco del Colle Oppio mentre erano intenti a BAGIARSI (testuale)".
Altri tempi quelli.
Se le forze dell'ordine dovessero usare attualmente lo stesso metodo, con le ammende pagate si risanerebbero i conti dello Stato.
SENZA INVIDIA, INTENDIAMOCI.

giovedì 19 marzo 2015

TRE DOMANDE

La prima domanda che mi faccio quando esco per una breve passeggiata mattutina, è semplice semplice. La mia uscita da casa varia secondo la situazione meteorologica, non quella mia perché non sempre tende al bello, parlo del tempo che fa.
Ecco quindi la prima domanda che rivolgo a chi fa le previsioni: ma è possibile che ogni canale televisivo dice la sua che poi è sempre diversa l’una dall’altra? Mettiamo da parte, per carità di patria le previsioni a lungo termine, il fatto è che non azzeccano nemmeno quelle del giorno dopo. Lo so è una storia vecchia detta e ridetta ma per carità astenetevi dal farle ‘ste previsioni. Mi complicano la vita poiché la sera mi preparo un certo abbigliamento per l’indomani ed è molto facile che non sia quello adatto.
La seconda domanda concerne i quadrupedi amici degli esseri umani. A questo proposito mi capita spesso di assistere a degli episodi veri. Cito il più recente. Molto spesso incrocio una signora non più giovane, ben vestita, dal fare distinto, quasi aristocratico, che esce dal portone del fabbricato dove abita, a poche centinaia di metri da quello dove abito io, sempre alla stessa ora del mattino. La particolarità di quest’incontro da cui la domanda, è la seguente. La gentildonna in questione porta con sé, al guinzaglio, tre cani differenti l’uno dall’altro, e non sto parlando se maschi o femmine ma solo delle loro diverse proporzioni, minuscola, media, grossa e della varietà dei loro antenati. Ieri si è verificato qualcosa che mi ha incuriosito e che non ho potuto fare a meno di notare. Insieme a questa signora, lei davanti io leggermente più indietro, abbiamo fatto lo stesso percorso fino al cancello del parco di Piazza Vittorio. Proprio al centro dell’accesso al parco era tranquillamente disteso sulle sue quattro zampe un felino (gatto o gatta?) di mia vecchia conoscenza: il protagonista principale di una simpatica scena alla quale ebbi modo di assistere nel febbraio di quest’anno, sempre in questo parco. Ho avuto la netta impressione che il gatto/a (?) stava come in attesa dell’arrivo di quei tre cani giacché non appena varcato il cancello del parco la signora ha tolto loro il guinzaglio e, tutti insieme in compagnia del micio/a (?), calmi e tranquilli se ne sono andati passeggiando nell’ampio spazio erboso loro riservato. Credo si siano persino scambiati un loro reciproco saluto di buongiorno. Quando però la gentildonna ha iniziato a tirar fuori da una busta di plastica qualcosa avviandosi quindi verso un lato dello spazio erboso dove era accoccolato un altro felino/a (?) il “compare” (o “la comare”) dei tre cani ha lasciato la loro compagnia ed ha pensato bene di accodarsi alla signora. Era arrivata la colazione! Be’…ma allora l’attesa era per l’”accoglienza” o per il cibo in arrivo?
L’ultima domanda per quel giorno l’avrei voluta rivolgere ad una persona, una giovane donna, molto probabilmente dell’Europa dell’Est, una ragazzona alta, piuttosto formosa, priva di trucco, capelli biondi, occhi azzurri ma arrossati per via che mentre camminava, da sola, senza nessuno accanto, piangeva senza alcun ritegno. L’ho incrociata, insieme con altre persone, lei camminando in un senso io invece al contrario. Non le ho chiesto il perché del suo pianto ma ho pensato di non farlo per non intromettermi in una situazione molto privata. Ho agito bene?

lunedì 16 marzo 2015

LA CROCIERA

Sin da ragazzo ho cercato di far diventare realtà un sogno e, dopo aver chiesto qua e là per Roma, ci sono riuscito. Ho avuto fortuna, non posso negarlo.
Sono le 12:20 e mi sto avviando con passo veloce all'agenzia di crociere di una famosa Società di navigazione che le organizza per il Mediterraneo con partenze anche da Civitavecchia in provincia di Roma. Quindici giorni da trascorrere sull'Autostrada del Mare e a bordo di una nave bellissima munita di tutti i comfort. Una coppia di coniugi, miei conoscenti con i quali mi sono confidato mi ha "raccomandato" alla loro unica figlia dipendente di quella Società di navigazione. Mi sono informato a dovere presso l'agenzia ed anzi la gentilissima nonché affascinante figlia della coppia dei miei conoscenti - Milena, questo il suo nome – proprio stamane mi ha telefonato e mi ha messo al corrente di qualcosa di meraviglioso. Lei, quale dipendente della Società, ha diritto ogni anno ad un premio di produzione che consiste in una crociera al costo ridotto del 50%, senza alcun altro esborso. Per l'intera durata della crociera - quindici giorni – usufruisce gratuitamente di tutte le comodità e i servizi offerti. C'è un piccolo problema però, quello cioè che la cabina di prima classe messa a sua disposizione è per due persone che devono occuparla. Milena, quando mi ha telefonato questa mattina, mi ha messo al corrente di un suo piano riguardo questo viaggio e me ne ha riferito tutti i particolari. Entrambi i suoi genitori sono partiti per altri lidi e lei avrebbe dovuto occuparsi della nonna materna durante la loro assenza. La nonna, che ha sempre desiderato fare un viaggio in mare, è una vedova perfettamente autosufficiente ed in buona salute, per carità, ma ha comunque una certa età e Milena e i suoi genitori non vogliono lasciarla sola. Milena inoltre ha tutto un altro programma di vacanze da trascorrere con il suo ragazzo in giro per l'Europa. Quindi come si fa a rinunciare ad una tale occasione? Allora mi ha fatto una proposta. Me la sarei sentita di fare quel viaggio da me tanto sognato facendo compagnia a sua nonna al costo del prezzo vantaggiosissimo e cioè metà di quello reale complessivo? Dopo alcuni chiarimenti chiesti a Milena e dalla stessa ottenuti ho detto sì. Mi ha fornito ulteriori dettagli e adesso sono in Agenzia a perfezionare la "scenetta" , già tra noi concordata, a voce alta, a beneficio dell'intero uditorio:
= buongiorno signorina, sono passato per sapere se ci sono novità per la crociera Mediterranea
= buongiorno anche a lei, aspetti che controllo perché forse c'è qualcosa che le può interessare (e inizia a spiegarmi tutti i dettagli della faccenda) = benissimo, d'accordo su tutto. Dove posso accomodarmi per attendere l'altro passeggero? = è una passeggera ed è già lì seduta su quel divano, se vuole andare a parlarle = certo, con permesso allora... (mi dirigo verso il divano, lì giunto faccio un mezzo inchino e chiedo alla signora seduta che so essere la nonna di Milena) posso sedermi?
= er posto c'è = grazie. (nel frattempo la osservo: è piuttosto in carne, capelli bianchissimi, neppure un filo di trucco, due occhi vispi di un colore incerto, senza occhiali, vestita molto sobriamente) =Sento dall'accento che lei è romana = da na marea de generazzioni = anch'io sono nato a Roma ma da antenati siciliani. Mi chiamo Calogero, il nome del mio nonno materno = io me chiamo Nanda e nun è er nome de nessuno de' li parenti =grazioso nome. È il diminutivo di Fernanda vero? =macché me chiamo proprio Nanda = sono un pensionato e... = te credo che voleva ancora lavora'? = no, certo. Lei invece lavora?= all'età mia? No, no, sto in pensione, prima facevo la fruttarola, c'avevo er banco a Campo de' Fiori. Puro mi padre prima de me e mi nonno prima de lui,tutti fruttaroli armeno da cent'anni...= a proposito di anni io ne ho 67 = e io 63. In due famo più de 'n secolo pensa un po' = cambiamo argomento... = sì, si è mejo= quella bellissima impiegata che vede lì a quel bancone... = chi quella? È mi nipote, la fja de mi fja = benissimo...= mica tanto. Pensi che noi tre c'avemo tutte lo stesso carattere e nun riuscimo a anna' d'accordo. Però se volemo bene e sa perché? Mica perché vivemo nella stessa casa, ma pe' er fatto che io so' vedova da sette anni e mi' genero c'è e nun c'è, nu' lo vedi e nu' lo senti, quinni...= quindi ecco spiegato perchè vi volete bene = già. Senti un po', m'hai fatto parlà solo a me ma de te nun hai detto gnente = ti ringrazio per essere passata ad un tono un po' più confidenziale, ma di me c'è poco da dire: sono vedovo anch'io, ho due figli, sposati, che hanno le loro famiglie però quest'anno ho deciso di fare una crociera senza di loro = e puro io. So' anni che me la sto a sogna'. Siccome mi nipote m'ha dato la cabbina sua che però è pe du' persone sto aspetta' che quarcheduno...ma dimme un po', ma che gnente gnente annamo su la stessa nave? = non solo, anche nella stessa cabina così in due risparmiamo= e vabbe' ho capito però famo a capisse pure noiartri due. Te rendi conto che dovemo da passa' quinnici giorni drento la stessa cabina? = certo, soltanto la notte però = e lo so però nun te mette gnente in testa che... = non porto cappelli = nun fa' la spiritoso, sai che voijo di'= tranquilla so benissimo come comportarmi = ecco bravo, comportate da ragazzo educato. Adesso annamo da mi nipote a sistemà l'urtime cose = sì, vedrai che sarò un perfetto gentiluomo= e sinnò 'na ciavattata su li denti nun te la leva nissuno = grazie, ti ringrazio per la tua bontà.=
Tre giorni dopo, di domenica, alle 9:00 a.m. in punto io e Nanda dalla nave salutiamo la cara Milena diretti verso la meta agognata, l'inizo della realizzazione del nostro sogno.Siamo sulla nave e guardando Nanda che saluta la nipote col fazzoletto in mano mi accorgo che le sta spuntando qualche lacrima e allora
= Nanda, che fai piangi? = ma chi piagne, chi piagne me dev'esse' entrato quarche bruscolino nell'occhi...= fammi vedere, te lo tolgo io...= ma che te faccio vede, lassa perde. Piuttosto annamo a vede' sta cabbina.=
Rimaniamo veramente estasiati nel visitare la cabina che ci è stata assegnata: ampia, arieggiata, ammobiliata ottimamente, un bagno-doccia completo di tutti gli accessori, due eleganti comodini e
due ampi letti singoli.
= a Calo'... ammazza che robba...sembra de sta' ar grandhotel = Nanda qui siamo in prima classe quindi...= e vabbè però tutto sto gran lusso... = non preoccuparti. Dimmi piuttosto quale letto preferisci tu, quello più vicino al bagno o l'altro sotto l'oblò?= er seconno che hai detto = bene. Io suggerirei di sistemare le nostre cose nell'armadio e poi di andare a fare un giro,che ne pensi?= sì, famo così.=
Dopo una trentina di minuti usciamo dalla cabina e visitiamo gran parte della nave .Giunta l'ora di pranzo ci indirizzano verso un bel salone e ci accompagnano al tavolo che sarà riservato a noi per l'intera durata della crociera. Pensavo che ci avrebbero fatto accomodare in un tavolo con più persone ed invece il nostro è soltanto per noi due.Finito il pranzo facciamo una breve passeggiata in coperta parlando del più e del meno, poi ci sistemiano su due comode sedie a sdraio, ammiriamo il panorama marino e scambiamo qualche parola con i vicini.
= Calo', ho sentito di' che stasera dopo cena se balla = se vuoi possiamo partecipare anche noi però ti avverto che non so muovere un piede = sei de coccio allora...vabbe' te ne stai seduto su quarche cosa e te metti a chiacchierà co' quarche vecchietta. Hai visto quante ce ne so' in giro? = Nanda, scusa la domanda impertinente, ma tu sei forse una giovanetta? = ma che vor di', io so' regazza drento. Sapessi quanno c'avevo diciotto-vent'anni come spirolavo e quanti spiroloni me ronzavano intorno. Poi un giorno, uno de questi - er mejo te l'assicuro - me comincio' a ronza' attorno più spesso dell'artri e così siccome due più due fa sempre quattro è annata a fini' che me lo so sposato
= e avete vissuto felici e contenti. Ne sono certo... = questo è poco ma sicuro. Solo però fino a quanno quer brutto malaccio me l'ha portato via.Era un pacioccone, 'n'omo bono, venneva er pesce accanto ar banco mio. Calo' adesso però piantamola e vestimose pe' anna' a cena' e poi se gettamo ner vortice de le danze...=
Siamo così riusciti a creare tra di noi un'atmosfera cordiale e simpatica. La sera quando ci prepariamo per andare a dormire lascio a Nanda la precedenza per il bagno e quella per mettersi a letto. Quando a mia volta esco dal bagno vedo che già dorme e non sente nulla degli eventuali rumori che faccio. Anche perché sin dalla prima sera le ho detto che mentre dormo io russo e lei allora si è premunita tappandosi le orecchie con dell'ovatta. Oggi è già il quinto giorno di navigazione e siamo andati a dormire subito dopo cena poiché abbiamo voluto partecipare a qualche attività dell'animatrice di bordo e così ci siamo stancati. E' quasi mezzanotte ma ancora non riesco ad addomentarmi. Ad un certo punto, benché al buio, mi accorgo che Nanda accanto al mio letto sta sollevando la mia coperta
= scusame Calo', nun dormo e sento freddo. Me metto drento al letto co' te. Sta' tranquillo nun ammollo carci quanno che dormo = anch'io non dormivo perciò non russavo e quindi non ti ho svegliata io= lo so, lo so, nun è corpa tua, adesso dormi, conta le pecorelle= è un metodo che non funziona = Calo'...ehm...se io t'abbraccio tu che fai? = educatamente ricambio il tuo abbraccio
= sai che c'è Calo'? Famo l'educati e strignemose forte.
A quel punto il "fatto" è finito come speravamo entrambi che finisse.
Il mattino successivo, quando mi sveglio, mi accorgo che Nanda, sdraiata accanto a me, mi sta guardando con uno strano sguardo, un incrocio tra il dolce e il tenero
= Calò, me vergogno pure, ma te devo da confessa' 'na cosa. Stanotte, quann'è successa quella cosa che m'ero scordata da un sacco de tempo, me so' fatta li comprimenti da sola = grazie a te Nanda anche per me è stato uguale. Non lo credevo proprio = e allora chi ce impedisce de comprimentasse quarch'artra vorta? Armeno provamoce.=
La nostra crociera è terminata, quindici giorni bellissimi trascorsi felicemente. Scendiamo dalla nave e Milena è lì che ci attende. Ci viene incontro, ci abbraccia e ci chiede com'é andata
= 'na favola, bella de nonna tua, se semo pure fatti li comprimenti = cioé? = cioé, cioé, quante cose voi sape'. Quanno cresci n'artro po' te lo spiego. Anzi, datte da fa' perché io e Calo' fra un par de mesi se sposamo, tanto er viaggio de nozze già l'avemo fatto. Annamo Calo' =
Mi volto per guardare Milena che, attonita, ci fissa con gli occhi completamente spalancati.

lunedì 9 marzo 2015

LA TERZA MANO

Non credo di aver avuto più di 16 anni quando una volta io e tutta la mia famiglia, fummo invitati a cena a casa di una zia, sorella di nostra madre, la quale abitava con il marito e due figli nel quartiere Appio-Tuscolano di Roma. L’abitazione consisteva in un minuscolo ingresso che dava direttamente nel piccolo soggiorno, poi una camera da letto, avente funzione anche da sala da pranzo per le occasioni in cui erano presenti degli ospiti, un bagno e una cucina. l motivo per l’invito di quel giorno non lo ricordo proprio e comunque le nostre visite erano piuttosto ricorrenti. Ricordo però che in quelle occasioni, lo zio era solito approntare personalmente qualcosa di gustoso della sua terra natia: la Puglia. Infatti anche quel giorno aveva preparato un particolare dessert da consumare al termine della cena. Noi tutti, ed io fra questi, ignoravamo di cosa si sarebbe trattato perché lui voleva farci sempre una sorpresa ma intravidi il “piatto speciale” per pura combinazione. Ero stato incaricato dalla zia di aiutare ad apparecchiare la tavola e, mentre mi accingevo a prendere i piatti da portare in tavola che si trovavano nel piano inferiore della credenza in cucina, non mi feci sfuggire l’occasione di dare una sbirciatina alla “specialità”…ma soltanto un’occhiata, niente di più. Accosciato verso il basso stavo appunto prendendo le stoviglie necessarie per tutti quando vidi quello che avrebbe allietato la nostra cena. Mi venne l’acquolina in bocca.
Mentre ero intento a compiere questo innocente compitino vidi alla mia sinistra un braccio la cui mano ad esso “attaccata” s’infilava nel “piatto speciale” e prelevava una piccola parte di ciò che esso conteneva. Il movimento fu talmente rapido che non ebbi la possibilità di vedere il proprietario di quella mano: la “terza” oltre naturalmente le mie due che tenevano i piatti.
La cena iniziò regolarmente: primo, pietanza, contorno, bevande, il tutto in un’atmosfera abbastanza gradevole. Arrivò il momento del “piatto speciale” e lo zio si alzò dal suo posto a tavola è andò tutto allegro in cucina per prenderlo: lui non volle delegare questa mansione ad altri. Improvvisamente dalla cucina arrivò un’imprecazione piuttosto irata. Affacciandosi nella stanza dove eravamo seduti tutti lui mi indicò con una mano e mi urlò un ordine imperioso:
=Tu vieni qui= Lo zio, marescisllo P.S, in cucina con il “piatto speciale” tra le mani, m’indicava l’evidente parte mancante del suo contenuto. =Chi ti ha dato l’autorizzazione di mettere le mani qui dentro e prendere quello che non dovevi prendere prima degli altri?=
Io, anche un po’ terrorizzato poiché conoscevo il suo carattere autoritario e vessatorio sia nei confronti dei propri figli sia verso noi quattro nipoti, arrossii di vergogna e cominciai a farfugliare frasi sconnesse tra le quali tentavo di dire che avevo preso solo piatti e introducevo parole come “terza mano” che ripetei numerose volte suscitando naturalmente ancora più collera nello zio. Quando qualcuno s’intromise per cercare di calmarlo, lo zio ritornò infuriato a tavola insieme con gli altri ma io, invece, rimasi nel soggiorno, al buio, furibondo, quasi con le lacrime agli occhi sia per l’umiliazione subita sia per la rabbia giacché chi aveva commesso il “reato” non ero io. Dopo una ventina di minuti mi chiamarono mia madre e la zia dicendomi che avevo ragione e che era stato accertato che non ero io il “colpevole” del “misfatto” ma il mio cuginetto di sette anni il quale, molto candidamente ma prudentemente e sottovoce, aveva confessato alla propria madre di essere stato lui a compiere la “prodezza”.
Il despota non mi disse ne “a” ne “b”. Gli altri mi confortarono consolandomi ma l’episodio è stato ricordato per molti anni, ridendoci sopra…Soltanto io ridevo un po’ meno.
Come potevo dimenticarmi della “terza mano”?

lunedì 2 marzo 2015

UN AMICO CHE NON SAPEVO DI AVERE

Almeno fino a ieri mattina.
Il tempo me lo permette e allora alle 10.00 esco di casa e inizio il mio quotidiano giro per il Rione dove abito, non interamente certo sarebbe troppo, però abbastanza per completare il tempo della mia "libera uscita". Benché non abbia con me orologi né da polso e neppure da tasca – ho preso questa decisione a dir poco circa trent'anni fa. Perché? non lo so e non me lo domando, alle 11.00 sto già rientrando alla base. Attraverso la strada passando sulle strisce pedonali senza problemi grazie a tre auto che si fermano cortesemente tanto che io, come al solito, ringrazio togliendomi la coppola. Ho il timore che qualche volta ci sarà un/una automobilista che magari mi prenderà pure in giro, ma non importa. Per arrivare al portone di casa mancano ormai non più di cinquanta metri quando m'imbatto in uno stormo di piccioni che, sul marciapiede, stanno banchettando con numerose briciole forse di pane o di chissà cosa. Dal gruppo se ne stacca uno che, per nulla impaurito, si mette a zampettare accanto a me come un cucciolo. Mentre cammino lo osservo per un po' ma lui imperterrito continua a camminarmi a fianco. Penso fra me e me - adesso se ne andrà - ma lui niente, ogni tanto volge lo sguardo a destra e a sinistra sempre proseguendo la sua passeggiata in mia compagnia. Giunto sotto casa, mi fermo, si ferma anche lui e allora, rischiando di essere preso per scemo da chi transita facendo il mio stesso percorso, gli dico: "amico mio, cerchiamo di capirci, io non sono San Francesco e, per quanto ami gli animali – i bipedi no, mi dispiace, soltanto i quattro zampe - passeggiare con un piccione accanto non è che mi faccia molto piacere". Lui, l'amico piccione, resta fermo lì, ovviamente non parla però tuba e, forse sarà perchè inizio a dare i numeri, mi sembra che lo faccia dandomi l'impressione che si sia persino incavolato. Questa è la volta che mi rinchiudono perché gli rivolgo ancora la parola usando un tono di voce il più amichevole possibile e sottovoce gli dico: "facciamo così, io domattina alla stessa ora passerò su questa stessa strada, se non hai altri impegni ci vediamo domani va bene? Ciao caro". Senza voltarmi, raggiungo il mio portone, apro e volo – per modo di dire – a prendere l'ascensore. L'amico-piccione avrà capito? Spero di sì.
E se fosse la reincarnazione di qualche amico che non c'è più?
PERCHE' HO L'IMPRESSIONE CHE STO INIZIANDO A DARE I NUMERI?