sabato 20 dicembre 2014
UN BEL GIARDINO VICINO CASA
A TUTTI GLI AMICI DEL BLOG E DI FB I MIEI PIU' CALOROSI AUGURI PER LE PROSSIME FESTIVITA'. aldo
giovedì 13 novembre 2014
SONO POCHE RIGHE, IL TITOLO NON SERVE
Per quello
che a volte mi succede mi sono fatto una domanda e mi sono dato
questa risposta.
Parlo di
quando una semplice piccola idea (pomposamente la chiamo
ispirazione) si insinua nella mia mente. Prima inizia lentamente e
poi vi si stabilisce definitivamente e non se ne va, quasi una
persecuzione. Con i loro tempi le tesserine per comporre il mosaico
di detta idea fanno breccia nella mia testa. Quello che mi sorprende
è che arriva prima la tesserina del titolo del futuro scritto. Come
se mi indicasse la via da seguire ma, trattandosi soltanto del
titolo, man mano che altre tesserine si fanno strada capita che quel
titolo non va bene e allora ne compongo uno che ritengo sia migliore,
sempre che io ci azzecchi. In realtà dovrei prendere nota sulla
carta di quelle tesserine come in una sorta di diario, ma non l'ho
mai fatto e non lo faccio. Le deposito lì, nella mia mente, le
lascio crescere, con la speranza che non cambino strada e spariscano.
I luoghi e i tempi dove maggiormente si fanno vive sono nella mia
stanza, a letto, quando mi accingo a riposare o a dormire e, strano a
dirsi, nel bagno. Una volta riunitesi, loro, le tesserine, si
radunano dove man mano le avevo depositate e, finalmente libere,
scorrono abbastanza velocemente dalla mente alle dita delle mie mani
che cliccano sulla tastiera del pc. Da quel momento non riesco più a
fermarle. Neppure se, come mi è capitato recentemente, è l'ora di
pranzo e mi dicono che è pronto a tavola. Dopo un paio d'ore metto
il punto allo scritto e soltanto allora vado a mangiare. Tanto poi
lo andrò a rileggere per la correzione di qualche refuso o per
metterlo nel dimenticatoio.
QUANTO SOPRA
DETTO SOLTANTO SE MI BALLA IN MENTE QUALCHE PICCOLA IDEA DI
FANTASIA. PER FATTI REALI E RICORDI L'ITER È DIVERSO, DI MOLTO.
lunedì 10 novembre 2014
IL NOME
Nonno Tito viene
dall’ospedale dove la sua unica figlia, soltanto due ore fa, ha
dato alla luce una bambina.
Non è nulla di sensazionale
considerato che di bambini ne nascono tutti i giorni anzi tutte le
ore
, ma lo è invece per lui ed è una notizia che vuole far sapere
subito ad amici e parenti e quindi si precipita a casa.
Non è stato il solo ad attendere
questa nascita, però lui, camminando su e giù per il corridoio, si
è sentito molto agitato, anche se non c’era di che preoccuparsi…ed
anche eccitato…sarà perché è la prima volta che diventa…
nonno!.
E poi anche perché sua figlia,
appena uscita dalla sala parto, gli fa “conoscere” la dolce
creatura
e gli chiede una cosa…che deve pure sbrigarsi a fare.
Lei, appunto sua figlia e lui, suo marito e quindi la mamma ed il
papà, hanno deciso di comune accordo che è lui, suo nonno, a dover
scegliere il nome da dare alla loro bambina.
Una bella responsabilità perché non
è affatto una cosa semplice.
Quindi, appena giunto a casa, dopo
aver fatto numerose telefonate per far sapere la lieta novella a
tutti, si mette a pensare quale nome dare alla sua…nipotina…Già,
adesso ha una nipotina!
Riflette a lungo ma tutti i nomi che
gli vengono in mente, per un motivo o per altro, non sono di suo
gradimento e pensa che non lo sarebbero neppure per i novelli
genitori.
Prende un calendario e lo scorre dal
mese di gennaio a quello di dicembre:di nomi ve ne sono una infinità
però… non lo soddisfano, con tutto il rispetto per chi si chiama
Albina,Bibiana,Cunegonda, Ermenegilda o Genoveffa.
Si dice:
“adesso elenco tanti nomi per ordine alfabetico, qualcuno lo
troverò certamente”. Inizia con
Alessandra…Barbara…Cristina…Donatella…Eleonora…Federica…niente
da fare…Tutti bei
nomi per carità ma…non sa il
perché…non gli sembrano appropriati.
Eppure soltanto due ore fa era così
contento che quasi scoppiava per tanta felicità e tanta…un
momento!!!…eccolo trovato!…basta
ricordare quello che ha provato…un’immensa GIOIA!…Ha
deciso!…questo è il nome che darà
alla sua nipotina.
Se quando sarà grande vorrà sapere
come mai porta quel nome vorrebbe essere lui a spiegarle perché.
giovedì 6 novembre 2014
PIOVEVA FORTE QUEL GIOVEDI' DI MARZO
Sandro non aveva con sé
un ombrello ma per fortuna la fermata della metro che doveva
portarlo al capolinea della metro A di Roma si trovava proprio sotto
l'ufficio. Giunto a destinazione, dove aveva parcheggiata la macchina
per rientrare a casa a Rocca Priora, la pioggia non aveva smesso anzi
era diventata quasi una tempesta con tanto di grandine. Vicino
l'uscita della metro Sandro, che era venuto a trovarsi tra gli ultimi
passeggeri, notò una giovane donna che tentava di aprire uno di
quegli ombrelli che si allungano premendo un tasto, che saranno anche
comodi a portarli con sé ma capita molto spesso che si rompano.
Niente da fare malgrado i numerosi tentativi. Le si avvicinò,
chiese il permesso e ci provò anche lui ma fallì, si scusò, le
disse che aveva la macchina nel vicino parcheggio e aggiunse che le
avrebbe volentieri dato un passaggio. Lei lo ringraziò e l'informò
che non abitava vicino ma a Monte Porzio Catone, un altro dei
Castelli Romani. Sandro, sorridendo, le precisò che anche lui doveva
andare da quelle parti cioè appena quattro o cinque chilometri dopo
quel paese, quindi non gli costava nulla darle un passaggio. La vide
titubare per qualche istante poi con un lieve sorriso gli tese la
mano e si presentò. Si chiamava Diana. Appena entrati in macchina
lui mise in moto e iniziarono a scambiarsi quattro chiacchiere. Senza
che glielo chiedesse, Diana gli disse la sua età, trentadue anni e
lui le precisò la sua, trentasei. Aggiunse di aver accettato
l'invito a salire in macchina ma volle precisare che era stata
indotta a farlo soltanto per le cattive condizioni del tempo e perché
la fermata del bus che doveva prendere era troppo lontana. Il
traffico intenso consentì loro di parlare molto ma Sandro non
perdeva l'occasione di osservarla minuziosamente anche se con
discrezione. Non si poteva proprio definire una gran bella donna ma
aveva lineamenti regolari, capelli ed occhi castani, pochissimo
truccata. Inoltre aveva un bellissimo sorriso con tanto di fossette
sulle guance. Quando arrivarono dove viveva Diana, scesero e, nel
salutarsi, decisero di comune accordo di rivedersi il giorno dopo,
alla stessa ora, nello stesso luogo. Iniziò per entrambi un periodo
d'amicizia piuttosto sereno e tranquillo ma non si andava oltre anche
se Sandro aveva fatto più volte dei tentativi per un approccio più
concreto. Solo che Diana non era d'accordo. Ad eccezione della
domenica, si incontravano tutti i giorni e man mano che il tempo
passava aumentava la reciproca conoscenza. Entrambi occupati, Sandro
contabile presso un'azienda, Diana quale infermiera professionale
presso un ospedale, erano altresì single e vivevano da soli in
minuscole case di loro proprietà. Gli altri loro parenti vivevano a
Roma ai quali entrambi dedicavano le giornate festive. Ogni tanto
cenavano a casa ora dell'uno ora dell'altro a seconda delle
rispettive disponibilità. Praticamente si trattavano molto
affettuosamente da amici nulla di più. In alcuni casi sia Diana sia
Sandro mostravano segnali inequivocabili di voler modificare il loro
rapporto e tramutarlo in qualcosa che entrambi desideravano ma quel
passo in avanti tardava ad arrivare. Trascorsero quasi due mesi da
quel primo incontro al capolinea della metro A ed un giorno, era un
sabato, fermi in macchina dinanzi casa di Diana lei raccontò a
Sandro che a 22 anni era stata fidanzata con un suo coetaneo collega
di lavoro con il quale ebbe una relazione durata circa quattro anni
ma, un giorno, per una troppo accentuata diversità di caratteri
decisero entrambi di smettere e di lasciarsi. Da quella volta Diana
non volle più avere rapporti di alcun genere con altri uomini.
Col trascorrere del
tempo, con Sandro le cose stavano andando diversamente. Infatti il
loro rapporto cambiò notevolmente. Diana si trasferì a casa di
Sandro e la loro convivenza iniziò a dare i suoi frutti. Uno dopo
l'altro nacquero tre figli maschi e quando il primo stava per
compiere sette anni decisero di sposarsi in Comune esattamente il
giorno del suo compleanno. Fu una gran bella festa alla quale
parteciparono amici, conoscenti e parenti comuni. Quando l'Assessore
preposto a celebrare le nozze vide i loro tre figli schierati accanto
ai genitori, chiese chi erano quei tre "signorini" Sandro
rispose che erano i loro veri testimoni rispettivamente di 5, 6 e 7
anni. La sera, rientrati casa, stanchi ma felici, si misero a letto
guardandosi negli occhi e, sorridendo, Sandro eloquentemente chiese a
Diana =che ne dici, siamo ancora capaci di mettere al mondo un altro
bambino?=. Lei, con un sorriso malizioso, parafrasando il titolo di
un vecchio film,rispose =sì, ma SPERIAMO CHE SIA FEMMINA=.
lunedì 3 novembre 2014
SOGNO DI UN GIORNO DI MEZZO AUTUNNO
Per dare una "sistematina"
ad uno dei miei "poblemini" fisici devo osservare una dieta
molto particolare che definire crudele non rende appieno l'idea. La
lista contiene dodici "consigliucci". Inizia dal pane e
prosegue con le minestre, la carne, i salumi, il pesce, i formaggi e
derivati, le uova, la verdura, la frutta, le bevande, i dolci e gli
aromi. In ciascuno di essi ci sono le seguenti "avvertenze"
CONSIGLIATO - SCONSIGLIATO. In due dei dodici METODO DI COTTURA e
in altri due CONDIMENTO CONSIGLIATO. Quando è il momento di
stabilire il menu del giorno nella mia mente non ci sono gioie ma
dolori.
L'altro giorno però ho
preso una decisione.Verso le dodici, di nascosto, sono sgaiattolato
fuori di casa e sono andato al ristorante vicino gestito da un mio
vecchio amico al quale ho chiesto di farmi leggere la lista del
giorno. Poi ho ordinato e poscia divorato quanto segue
- spaghetti con le cozze
- sette tra gamberoni e
mazzancolle al forno
- un piattino con due
ostriche e sette vongole veraci
- due bicchieri di vino
bianco
- un caffé.
Il tutto rigorosamente
"SCONSIGLIATO" come specificato nella sopracitata lista
della dieta.
Fino ad oggi ancora la
racconto, poi si vedrà.
lunedì 27 ottobre 2014
TE LO RACCONTO A VOCE
Vieni vieni bella di nonno,
sono contento che sei venuta perché, vedi, questo fatto che mi è
accaduto se tu l'avessi letto come solitamente fai ogni volta che ti
capita tra le mani qualcosa che scribacchio, penso che avrebbe perso
molto rispetto a quanto ti sto raccontando. Inoltre desidero che tu
sappia che non è una favola, perché il tempo delle favole per te è
già passato da un pezzo. Adesso siediti qui di fronte a me, così
inizio. Sarò un pochino pignolo nel narrarti i dettagli ma lo faccio
per cercare di spiegare meglio la singolare situazione in cui mi
sono trovato.
"""Tre giorni
fa, dopo una nottata trascorsa così così, mi sveglio, mi alzo e
sbrigo tutte le attività mattutine, colazione compresa. Alle 6.30
precise mi siedo alla mia scrivania dinanzi al pcPasquale,
accendo la lampada da tavolo
perché l'alba non è ancora spuntata del tutto e,improvvisamente,
una specie di cinguettio talmente sonoro, arrabbiato, insistente
quasi mi stordisce e mi rimbomba nelle orecchie - diciamo una,
perché da quella sinistra non ci sento più da anni. Che succede mi
chiedo?
Apro gli sportelli della
finestra della mia stanza, attraverso il vetro cerco di dare
un'occhiata in giro e chi vedo seminascosto nell'angolo a destra del
davanzale che affaccia sulla via dove abito? Un volatile pennuto, un
passero (solitario proprio come recita la poesia di G. Leopardi) che
mi guarda e seguita ancora a cinguettare magari più lentamente, per
nulla intimorito dalla mia quasi presenza. Come tutto il mondo sa
(forse esagero), io e gli animali bipedi e pennuti non siamo mai
andati d'accordo. Sarà soltanto colpa mia e mi dispiace ma così
stanno le cose. Mi rivolgo al pennuto il quale continua a fare cing
cing cing (pio pio pio se non sbaglio lo fanno soltanto i pulcini
delle galline) e gli dico == amico mio stammi a sentire e, quando ti
parlo guardami, non girare la tua testolina di qua e di là. Io
desidero sapere sempre con chi ho a che fare, ad esempio qual è il
tuo nome tanto per cominciare. Io mi chiamo Aldo e tu?...Già, con il
solo cing cing cing non si capisce. Facciamo così, te lo do io un
nome... Potrei chiamarti Francesco come il Fraticello di Assisi -
lui parlava con gli uccelli credo, ma il paragone non regge. Al
Vaticano attualmente risiede un Papa che si chiama Francesco, e poi
si chiamava così il mio primo nipote che mia nuora dette alla luce
in un ospedale dopo il parto cesareo. Non ho fatto in tempo a vederlo
perché, appena nato, lo portarono all'ospedale pediatrico Bambin
Gesù qui a Roma, al Gianicolo per metterlo nell'incubatrice, dove
rimase poco più di due giorni e poi ci lasciò. Mio figlio stette
sempre con lui. Al suo funerale, per il gran dolore che provavo, non
ci andai. Mia nuora sì, credo fuggendo dall'ospedale dove era
ricoverata. Provo ancora dolore, dopo 27 anni...Andiamo avanti. Dove
eravamo rimasti? Ah sì,,, tu Franceschiello mio, più ti guardo e
più mi viene il sospetto che sei scappato da una gabbia. Poiché io
una gabbia non ce l'ho e non ho voglia di tenerti tra le mani anche
se sei un passerotto non più alto di 15 cm, come la mettiamo? Non
posso mica andare in giro a chiedere a chicchessia se gli è scappato
un passerotto o una passerotta, mi prenderebbero a calci. A
proposito... ma tu sei maschio o femmina? Vabbe', lascia perdere, non
ha importanza. Tiriamo le somme e smettila col tuo cing cing. Entrare
qui in casa da me non se ne parla, ma rimanere fuori a te non
conviene e ti spiego perché. Vedi questo grande edificio qui di
fronte, a circa 15 metri? Quello è un istituto tecnico
professionale. Da questa parte è alto circa venti metri ed è
coperto da quel tetto a tegole sulla cui cima sono sempre appollaiati
almeno un paio di gabbiani, i quali per cibarsi dovrebbero stare
nei pressi di fiumi, laghi o mare ma siccome là trovano soltanto
plastica e immondizia di vario tipo sono emigrati qui in citta. Da
quando sono arrivati, sono spariti almeno una dozzina di piccioni
quindi, appena quelli ti vedono ti adoperano subito come aperitivo.
Io posso soltanto prepararti una specie di nido: prendo una scatola
di cartone, nell'angolo a sinistra metto un pezzo di stoffa che tu
adopererai come letto e a destra l'angolo pranzo con un po' di
briciole di pane - chicchi di grano non ne ho - e una tazzina con
l'acqua. Però ci vai da solo dentro il nido perché io non ti prendo
in braccio. Fai un salto, capito Franceschie'? Per precauzione
accosto anche le persiane, così i due gabbiani non si accorgono di
te. Basta, ho parlato troppo. Ci vediamo dopo== L'indomani mattina,
alla stessa ora del giorno precedente, Franceschiello ha fatto cing
cing cing appena tre o quattro volte e a bassa voce, quasi
sussurrando. L'ho salutato tenendomi a debita distanza, l'ho
rifocillato e mi sono messo a giocherellare col pcPasquale."""
OGGI, BELLA DI NONNO,
FRANCESCHIELLO NON C'È E NON HA CINGUETTATO.
martedì 14 ottobre 2014
GIORNI COSI'...
...possono
capitare quando problemini fisici di qualche tipo ti impediscono di
fare quello che vorresti fare.
In attesa
di giorni migliori decidi quindi di dedicare il tuo tempo libero alla
meditazione.
Nella
speranza che arrivino presto io attendo e medito.
lunedì 6 ottobre 2014
INVITATO AD UNA FESTA DI COMPLEANNO
Mi è
tornato in mente un ricordo di circa 20 anni fa.
Insieme ad
altri comuni amici coetanei ed anche ex compagni di scuola, in
totale circa una quindicina, venimmo invitati da Libera una ancor
bella single - la più corteggiata dall'intera classe - benestante,
brilante, ex dirigente statale.
L'occasione
era il suo compleanno - 65 anni - e il suo ingresso nella "shiera
dei pensionati di lusso".
Libera era
stata sempre una persona indipendente, intraprendente, appunto libera
di nome e di fatto, non si era mai sposata e i suoi "periodi
amorosi" duravano...quanto bastavano alle sue esigenze
personali. Anche durante il prosieguo della sua vita non aveva mai
cambiato il suo spirito libero, perché lo voleva così e se lo
poteva permettere.
Per la
verità avevamo festeggiato insieme anche altri suoi compleanni, ma
questo era particolare.
Libera
aveva fissato l'appuntamento alle 20.30 in un ristorante di lusso del
quartiere aristocratico di Roma, Parioli, nei pressi della sua
lussuosa abitazione.
Naturalmente
quando ci vedemmo ci furono abbracci, saluti, scambi di effusioni a
base di pacche sulle spalle mentre Libera che ci osservava
compiaciuta aveva il suo daffare nell'aprire i regali che ognuno di
noi aveva portato per lei.
Fortunatamente
ci eravamo sentiti telefonicamente in modo da evitare di fare regali
simili o quasi.
Subito
dopo Libera ci fece strada per condurci in una piccola saletta
riservata dove era apparecchiato un tavolo con ottimi vini e spumanti
italiani, bicchieri di cristallo e un enorme piatto contenente olive
e stuzzichini vari.
Parlammo a
lungo ricordando numerosi episodi del nostro comune periodo
giovanile, scolastico e per alcuni anche universitario.
Un
bicchiere tira l'altro arrivammo a mezanotte inoltrata senza neppure
rendercene conto.
Io però
sentivo un languorino che man mano era cresciuto fino a diventare
languorone e, osservando gli altri, non ero il solo. Libera invece
farfalleggiava da uno all'altro di noi senza mostrare alcun segno di
stanchezza o di altro.
Ad un
certo momento si affacciò alla porta della saletta il proprietario
del ristorante che fece un segno a Libera la quale rivolgendosi a noi
si scusò dicendoci che doveva andare a saldare il conto.
Appena
voltatasi noi ci guardammo un po' sbalorditi e ci interrogammo solo
con gli occhi senza pronunciare alcuna parola.
Libera
ritornò in mezzo a noi e iniziarono i saluti di commiato e il
reciproco scambio di promesse di rivedersi al più presto.
Uscito dal
ristorante mi precipitai di corsa alla mia macchina, partii
velocemente alla ricerca disperata di una bancarella, banchetto,
banco o negozio per cercare di mettere qualcosa sotto i denti ma
soprattutto nello stomaco.
Una
mezz'ora dopo vidi un "pizza a taglio" ancora aperto,
velocemente entrai e acquistai un pezzo di pizza enorme, non ricodo
il suo peso.
Con la
pizza in mano alzai gli occhi al cielo e urlai "AUGURI LIBERA".
mercoledì 1 ottobre 2014
BOLOGNA
Frecciarossa, proprio questo
il treno che in meno di tre ore ci ha portato me, mio figlio e mia
nuora da Roma a Bologna. Alle 22 siamo andati all'albergo dove io
pernotterò questa notte, mentre lui e sua moglie saranno ospiti di
un loro trentennale amico e della sua famiglia.
Domani mattina, alle 10, ci
dovremo trovare in una clinica al cospetto di un primario che ci è
stato consigliato da un caro amico di mio figlio. Mi devo sottoporre
ad una visita medica molto delicata.
Entro nell'albergo e domando
all'addetto alla reception il numero della camera che ho prenotato
ieri l'altro da Roma ed esibisco il mio documento di riconoscimento.
Molto gentilmente mi dice il numero, mi fornisce le chiavi, mi
augura la buonanotte poi, quasi sussurrando,
= le chiedo scusa
signore può darmi un minuto d'ascolto?
= certamente, dica
pure...
= se deve cenare avrei
da proporle...
= no grazie, a causa
di una visita medica che devo affrontare domattina dovrò stare
digiuno...
= peccato...le avrei
suggerito il nome di un ottimo ristorante che si trova poco fuori
Bologna ma l'avrei fatta accompagnare in macchina da una signora di
mia conoscenza sia all'andata che al ritorno...
= la ringrazio per la
sua gentilezza ma come le ho appena detto non posso cenare e...
= scusi se
l'interrompo ma, se mi permette il suggerimento, la compagnia della
signora può essere sempre utile se lei lo ritiene opportuno...
= in che senso
scusi...
= nel senso cioè che
la signora può...come dire...tenerle compagnia per mezz'ora oppure
un'ora oppure ancora per tutta la notte...
= mi ascolti...dalla
sua strizzatina d'occhio si comprende benissimo il messaggio che mi
sta inviando ma lei ritiene che alla mia veneranda età possa
permettermi di...
= non c'è problema
signore dato che le mansioni della signora possono limitarsi ad
assisterla per le sue necessità...
= praticamente come un
assistente domiciliare?
=
esattamente...bravo...
= e questa,
chiamiamola assistenza, penso abbia un suo costo
= sì ma è veramente
poca cosa. Allora: mezz'ora 25 euro, un'ora 50 euro, tutta la notte
100 euro...
= certo che
potrebbe...Sono io che decido la durata vero?
= naturalmente e...non
solo... lei ha la possibilità di scegliere la persona che le farà
compagnia...
= questa cosa non mi
piace...non sto al mercato...mi mandi chi crede ma tenga presente la
mia situazione...
= non dubiti, vedrà
che rimarrà pienamente soddisfatto...
= lo spero. Io adesso
salgo in camera, ci penso un po', poi la richiamo e le faccio sapere
la mia decisione. Se dovessi decidere per il sì la persona che
eventualmente verrebbe non la faccia salire prima di una mezz'ora...
= stia tranquillo
signore.
Sono le 23 ed ho terminato
da due minuti di sbrigare alcune faccende personali.
Bussano alla porta della
camera, apro e
= buonasera, posso?
= prego...
= mi chiamo Deri e...
= Deri cos'è il
cognome?
= no, è il
vezzeggiativo di Ulderica, il mio nome
= salve, io mi chiamo
Aldo.
È
una giovane signora tra i 35 e i 40 anni, bruna, occhi chiari, viso
ovale, labbra piene, personalino attraente, abbigliata con eleganza.
=
Fa molto caldo anche stasera...
= vero...io non posso
bere niente ma lì c'è un frigorifero ben fornito...
= no grazie, sto bene
così
= d'accordo...ci
sediamo?
= sì sì...ecco
fatto.
Iniziamo
a conversare raccontandoci qualcosa del nostro passato e del nostro
presente. Mi accorgo che anche Deri è un'ascoltatrice attenta, mi
lascia parlare a lungo senza interrompermi ed io faccio altrettanto.
Senza che ce ne accorgiamo superiamo la mezzanotte di qualche minuto
e allora le chiedo se può trattenersi fino al mattino precisandole
che alle sette potrà consumare la prima colazione qui in camera. Io
no per la faccenda del digiuno. Mi sono ricordato che poco dopo le
otto verrà mio figlio per accompagnarmi in clinica. Chiedo a Deri se
desidera avere adesso quanto le spetta ma lei mi risponde di non
preoccuparni, se ne parlerà al mattino. Mi dice che vuole farsi una
doccia e si reca in bagno. Nel frattempo mi preparo per la notte,
indosso un pigiama ma, anche se è molto leggero, sento un caldo
tremendo. Pazienza. Sollevo la sopracoperta dal letto abbastanza
ampio e mi infilo sotto il solo lenzuolo rimanendo mezzo seduto. Poco
dopo esce Deri dal bagno con un grosso asciugamano bianco avvolto
intorno al corpo. Continua ad asciugarsi ancora un po' poi mi dice
che, a causa del caldo, preferisce introdursi nel letto così...e si
toglie l'asciugamano rimanendo nuda completamente. Poi, osservandomi,
mi suggerisce di togliermi il pigiama per stare un po' più fresco.
Poggiamo le nostre teste sui nostri rispettivi cuscini con il viso
rivolto l'uno verso l'altro. Ci guardiamo negli occhi e riprendiamo a
parlare. Nessuno di noi due sembra avere sonno. Ad un certo punto
Deri mi carezza con dolcezza il volto, mi guarda ancora più
intensamente di prima, poi mi chiede se può darmi un bacio - non
alla francese precisa - e io annuisco. Lei poggia castamente le sue
labbra piene sulle mie mentre continua a carezzarmi. Mi chiede quindi
di poggiare la mia mano sul suo seno nudo, la trattiene con la sua
mano e. senza toglierla, lentamente socchiude gli occhi. Io,
purtroppo, fermo, freddo, immobile come ...una statua. Non posso
anzi non riesco ad andare oltre.
Alle 8,10 ecco che arriva mio figlio il quale mi chiede subito
=
hai dormito bene papà?
= come il neonato tra
le braccia della mamma. Peccato che ieri, sul Frecciarossa, nel
tirare fuori dalla tasca dei pantaloni il fazzoletto mi deve essere
caduta in terra l'unica banconota da 100 euro che avevo e quindi...
= papà io te lo
ripeto da anni ma tu non mi dai retta, i soldi non li devi tenere
sciolti in tasca ma vanno tenuti nel portafoglio...
= sì hai ragione,
adesso andiamo. Tu che dici quel primario ci chiederà di tornare una
seconda volta magari tra un mese?
= speriamo di no...
Fra
me e me "SPERO DI SI'".
lunedì 15 settembre 2014
TEATRO
Era l’anno 1931 e per sessant’anni
fino al 1991 ne ho fatte, viste e vissute di cose nell’ambito di
quello che Peter Brook, famoso regista
britannico, definiva così: “Il Teatro è la vita”.
Silvio D’Amico,
critico teatrale, giornalista, docente di storia del teatro e
direttore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica che porta il
suo nome, affermava, convinto, che non è “teatro” il
cinema. Personalmente penso che non lo sia neppure la TV con
le sue fiction, i suoi sceneggiati e spettacoli, registrati o meno,
con gli spettatori retribuiti che applaudono e ridono a comando.
“Perché il Teatro vuole l’attore “ vivo”, e che parla
e che agisce scaldandosi al fiato del pubblico, vuole lo spettacolo
senza la quarta parete e che può avvenire anche in spazi aperti”.
Premesso quanto sopra
nel 1931 mio padre lavorava al Teatro Galleria di Roma con le
mansioni di macchinista e in quel periodo calcava il palcoscenico la
Compagnia di riviste Guido Riccioli comico e Nanda Primavera
soubrette (già soprano nelle operette diventata in seguito attrice
di teatro, cinema e TV). In uno sketch dello spettacolo la soubrette
doveva entrare in scena tenendo tra le braccia un neonato. Sembra
che, così come me lo ha raccontato mio padre, il capocomico chiese
agli elementi della sua compagnia e al personale del teatro se c’era
qualche genitore appunto di un neonato e mio padre si offrì lui di
portare un bambino di poco più di un anno: in altre parole io. Altri
particolari, se anche mi sono stati raccontati non li ricordo, ma
credo che proprio quell’episodio fece scattare in me la molla della
mia futura passione per le tavole del palcoscenico. Sarà per un
puro caso, ma la soubrette Primavera è deceduta a 97 anni: hai visto
mai che il Teatro allunga la vita? Negli anni a venire questa mia
passione s’intensificò sempre di più ma con scarsi risultati. Mi
dilettai, part-time, a fare del “teatro” (con la lettera
minuscola) a livello amatoriale; mi è capitato pure qualcosa di
semi-professionale, sporadicamente e soltanto perché mi capitava di
guadagnarmi la “mille” (nel senso di mille lire) prendendo parte
a spettacoli d’arte varia in occasione di feste o sagre in molti
paesi della provincia di Roma, di sera e all’aperto, in ospedali di
vario tipo ed in altri posti. Negli anni '46, '47, '48 sempre al
Teatro Galleria dove mio padre lavorava, io facevo l’aiuto
macchinista di scena. Nel primo periodo si esibì la Compagnia di
Riviste Renato Rascel, comico e Tina De Mola, sua moglie, soubrette.
L’ultima sera della loro tournèe, poco prima dell’inizio dello
spettacolo, Rascel mi disse che quando nel corso della scenetta
finale gettava dietro le quinte il suo esile bastoncino da passeggio,
io dovevo fare in modo di creare un bel po’ di rumore. Ci pensai
un po’e decisi di preparare una grossa catasta di cantinelle di
legno, spezzati di scena e altro materiale. Arrivò il momento del
lancio del bastoncino e quando mi giunse ai piedi dietro le quinte
feci cadere tutto quello che avevo preparato. Il boato fu enorme.
Sembrava che fosse caduta una bomba, il pubblicò s’impaurì un
poco ma quando vide che anche Rascel rideva sbottarono a ridere tutti
e ci fu un grande applauso.Dopo qualche tempo tornai ancora a
lavorare in quello stesso teatro come aiuto dell’aiuto
dell’elettricista ufficiale: praticamente eravamo in tre ad
occuparci di quel settore e combinazione tutti con il nome Aldo. Pur
non avendo mai frequentato scuola di teatro, di recitazione o
Accademia d’Arte Drammatica ed essendo quello un periodo nero per
me in quanto non riuscivo a trovare un lavoro, decisi di voler
realizzare il mio sogno: diventare un vero attore di teatro. Appena
ne parlai con mia madre e con la mia fidanzata - oggi mia moglie -
come se si fossero messe d’accordo fecero di tutto per dissuadermi
e, purtroppo, ci riuscirono.Svanita così ogni mia speranza continuai
a fare teatro, saltuariamente, sempre a livello semi-professionale e
a partecipare a spettacoli d’arte varia dovunque capitava
l’occasione, alcune volte insieme ad attori professionisti come i
fratelli De Vico e alla cantante di Radio Campidoglio Maria Boni.
Avrei potuto parlare
più dettagliatamente di molti altri “episodi teatrali” ma
suppongo che sia stato meglio non prolungarmi troppo.
Adesso sul mio
“teatro” è calato il sipario dove ho scritto la parola FINE.
lunedì 8 settembre 2014
CHE BELLO STA CO' TE
La canzone con Nino Manfredi di cui al video quì sopra e che ho
riascoltato in questi giorni mi ha fatto tornare in mente una breve
storia di tanto tempo fa.
Dario un giovane
ventiduenne era un appassionato di canzoni romane e, benché di
dischi di questo genere ne possedesse una bella collezione, non
appena veniva a conoscenza che era in programma da qualche parte di
Roma, città in cui era nato e abitava, un concerto di tali canzoni,
si può dire che era tra i primi a prenotare un biglietto. Infatti
appena apprese la notizia che un giorno, più precisamente una
domenica pomeriggio, in un piccolo teatro al centro della città, si
sarebbe esibito un noto cantante romano acquistò subito il
biglietto per un posto nella poltrona di platea in quinta fila.
Quella domenica si presentò al teatro mezz'ora prima dell'inizio e
si sedette sulla poltrona segnata col numero stampato nel biglietto
d'ingresso. Accanto, sulla sua destra, c'erano due poltrone ancora
vuote mentre il resto era già tutto occupato. Qualche minuto prima
dell'inizio si presentarono due donne tutte trafelate le quali
sedettero nelle due poltrone ancora vuote. Una era giovane,
sicuramente della sua stessa età mentre l'altra, che si accomodò
proprio accanto al corridoio di transito, poteva avere all'incirca
una cinquantina di anni. La giovane poggiandosi sul bracciolo della
propria poltrona lo sfiorava appena ma Dario spostò ugualmente il
suo di braccio per una sorta di malcelata timidezza. Venne ricambiato
dalla giovane con un sorriso appena accennato. Ebbe inizio lo
spettacolo ed il cantante non sembrava stancarsi di intonare una
serie di belle canzoni romane tra le quali "Che bello sta' co'
te", molto applaudita dal pubblico. Dario, guardando di
sottecchi la sua giovane vicina si accorse che si stava passando un
fazzoletto sugli occhi. Quasi nello stesso istante terminò la prima
parte dello spettacolo, si accesero le luci in sala e la signora
cinquantenne si alzò dalla poltrona e disse alla giovane che andava
a prendere un caffè e se voleva poteva andare con lei ma la giovane
preferì non farlo. Dario, incuriosito da quello che aveva visto
prima, prese coraggio e, dicendo il proprio nome, si presentò alla
giovane e le chiese se si era commossa nell'ascoltare l'ultima
canzone. Lei gli disse il suo di nome, Flaminia, e che la canzone era
legata a un avvenimento di qualche anno prima. I due giovani
continuarono a parlarsi per tutto l'intervallo e così Dario venne a
conoscenza che la signora più anziana era la madre di lei, che
abitavano in un paesino poco distante da Rona e che Flaminia
frequentava un'università romana. Continuarono a scambiarsi
reciproche confidenze su loro stessi e poi si scambiarono anche i
rispettivi numeri telefonici. Era nata tra loro una simpatia che
magari non si aspettavano così a prima vista. Si rividero ancora,
molto spesso, tanto che l'amicizia si trasformò abbastanza
rapidamente in amore che durò due anni e poco più e che si dovette
interrompere perché il padre di Flaminia si era stabilito
all'estero per lavoro e quindi lei e la madre dovevano raggiungerlo.
La sera prima della
partenza i due giovani, Dario e Flaminia, abbracciandosi forte
cantarono tra le lacrime "Che bello sta' co' te, me sembra de
vola', che bello quanno attero e tu sei qua..."
lunedì 1 settembre 2014
CONVERSANDO
Sabato scorso mio figlio mi ha chiesto di andare a vedere una
partita di pallacanestro piuttosto particolare nel senso che si
tratta di una di quelle partite tra "scapoli e ammogliati"
tra soggetti cioè la cui età va dai 45 ai 55 anni appassionatissimi
di quello sport da tutti loro praticato sin da bambini. Il campo
all'aperto situato nella scuola confinante con il fabbricato dove
abito ha i requisiti dei campi idonei per tutte le varie gare dei
campionati ufficiali che lì hanno luogo ma, per alcune ore della
settimana, viene messo a disposizione di qualche gara amichevole tipo
quella appena descritta. Uno dei bordi esterni di quel campo è
contiguo alla parete esterna della palestra coperta. Lungo tale
parete ci sono alcune lastre di pietra rettangolari ove si siedono i
giocatori quando vengono effettuati dei cambi durante il corso delle
partite ed anche parenti, mogli, fidanzate e figli dei giocatori in
campo per assistere alle dispute. Arrivo quando la partita è
iniziata da poco e mio figlio, 55 anni che sta giocando, si distrae
un attimo, mi fa un cenno di saluto e io riesco a trovare un posto in
una di quella specie di panchine stracolma di zaini, zainetti e borse
di tela. Nonostante il tono amichevole della disputa io mi
appassiono ugualmente anche perché il basket è uno sport che mi
piace ed ho sempre seguito il "pupo" sin da quando aveva
14 anni. Dopo qualche minuto si avvicina un ragazzino e mi chiede se
può sedersi lì accanto, gli rispondo di sì se riesce a farlo
spostando qualcosa. Si siede e mi chiede qual è il punteggio della
partita. Io lo informo e gli chiedo se suo padre è uno di quelli che
stanno giocando insieme a mio figlio
= No,
mio padre sta a casa...= Come mai non è qui se il sabato non lavora?
= Lui non lavora da due anni perché sta in cassa integrazione. Mio
padre dice che è quella corta, che finisce presto e che dopo non
gli daranno più soldi. Prima veniva pure lui a giocare...=
Rimango un po' interdetto ma poi gli chiedo se posso domandargli
qualche altra cosa e lui annuisce
=
Quanti anni hai? = Dieci. Ho finito la quinta elementare che
frequentavo qui e sono stato promosso in prima media... = E il tuo
papà che lavoro faceva? = Operaio... = Tua madre lavora?
= Va a
fare le pulizie in certe case... = Sei figlio unico? = No, ho una
sorella di due anni, ci pensa mio padre a lei. Loro volevano metterla
al nido ma costa e i soldi non ci sono... = Abitate qui vicino? =
Sì, prima avevamo una casa poi i soldi sono finiti e allora... =
Allora? = Una signora molto anziana ci ha dato una camera e dormiamo
tutti lì. Non ci fa pagare però mamma fa tutte le cose di casa e
papà cucina... = Parlate di tutto questo a casa? = No, sento papà e
mamma che la sera prima d'addormentarsi ne parlano tutti i giorni
fino a tardi, ecco perché so tutte queste cose. Sento pure che papà
tante volte piange... = Te che fai quando succede questo... = Sto
sveglio, non riesco più a dormire... = Una brutta situazione... = Io
ho cercato di lavorare, di fare qualsiasi cosa, ma dicono tutti che
sono troppo piccolo. Allora ho scritto tante lettere e l'ho mandate a
tanti ma non mi ha risposto mai nessuno, eppure l'indirizzo nostro
ce l'ho messo. Ogni giorno guardo nella cassetta della posta ma ci
trovo solo pubblicità e qualche altra cosa indirizzata alla
signora... = Ma non hai nonni o zii? = Gli zii hanno pochi soldi
anche loro e i nonni non li ho mai avuti... = Brutti momenti... =
Sì. Adesso vado a casa, ciao=.
UNA CONVERSAZIONE CHE
MI HA LASCIATO L'AMARO IN BOCCA
mercoledì 27 agosto 2014
SE POTESSI AVERE...
Una
banconota da 1.000 lire che io, tredicenne, vidi per la prima volta
nel 1943 era così grande che, forse esagero un po', mi pareva un
lenzuolo magari da culla per neonati. Naturalmente io la vedevo, come
si usa dire, "da lontano" nel senso che non l'avevo nelle
mie mani ma era custodita gelosamente nel primo cassetto del comò
nella camera da letto dei miei genitori. Quando venimmo
"liberati"dagli angloamericani circolavano invece le
AMLIRE. Un biglietto da 100 era rettangolare, se non ricordo male valeva quanto un
dollaro americano e aveva le stesse misure.
In
quei primi anni quaranta era molto in voga una canzonetta il cui
ritornello diceva pressappoco"Se potessi avere
mille lire al mese senza esagerare, sarei certo di trovare tutta la
felicità...".
Già perché con quella cifra ognuno poteva considerarsi veramente
felice e contento.
Cerco
di fare un paragone con quello che ha dichiarato al riguardo un
politico il quale ha affermato che "con
8.000 (ottomila) euro al mese" lui
non riesce a campare cercando di giusticarsi per sostenere quanto
andava dicendo.
Certamente a distanza di settanta anni il costo della vita è
aumentato ma non fino a questo punto, vero politico incontentabile?
Ho provato a sognare di avere io 8.000 euro ogni mese e mi sono
accorto che sono tanti e che non riuscirei mai a spenderli tutti. E'
vero potrei cambiare la vecchia lavatrice che sta esalando gli ultimi
respiri, come pure la vecchia macchina del gas e altri ruderi che ho
in casa ma si tratterebbe di spese una tantum e quindi?
Vedi caro (?) politico, perché non provi a campare con un ottavo
di quello che percepisci come riesco a farlo a stento io? Sai
benissimo che ce sono altri che percepiscono anche meno di 1.000 euro
al mese e quindi sarebbe meglio che te lo chiedessi tu come fanno a
campare così come altrettanto faccio io.
I
tempi sono cambiati e allora canticchio anch'io aggiornando la
canzonetta di cui sopra "Se potessi avere
ottomila euro al mese..."
oltre trovare la serenità farei felice me ed anche altri che
conosco.
lunedì 18 agosto 2014
REMINISCENZE
(Adamo ed Eva (1528) -
olio su legno di Lucas Cranach detto il Vecchio - Galleria degli
Uffizi - FI)
PREMESSA: sono nato a Roma nel 1930 e poi, sempre a Roma, battezzato
nel Battistero (ottagonale) del Laterano - Basilica di San Giovanni;
cresimato e comunicato presso la Chiesa parrocchiale di Madonna dei
Monti; prestato servizio come chierichetto presso la Basilica di San
Pietro in Vincoli; convolato a nozze nella Basilica di Santa Maria
Maggiore (intervento di mia madre e delle 5 sorelle paterne di mia
moglie delle quali 4 suore di clausura ed una suora laica).
Tanto premesso penso di avere tutte le carte in regola per poter
disquisire su un certo argomento.
*****************************************************************************
L'Essere Superiore creò l'uomo (a sua immagine e somiglianza come si può notare osservando il
dipinto) raccogliendo e impastando con le proprie mani un pugno di
polvere. Dopo averlo creato gli dette il nome Adamo ma gli tolse una
costola per creare una donna che chiamò Eva. Quasi subito
intervenne qualcuno che colse una mela da un albero e la mise in mano
alla donna. Quando Adamo la vide disse ad Eva: "me-la dai?"
Lei, Eva, molto più intelligente di Adamo, finse di non capire e non
gli dette la mela ma gli fece una proposta che lui non rifiutò anche
se, come si nota bene nel dipinto di Lucas Cranach detto il Vecchio,
Adamo, per comprendere meglio la situazione, si dette una grattatina
nei capelli come spesso si suole fare.
Dalla coppia nacquero molti figli tra i quali Caino e Abele. Vabbé
non tutte le ciambelle riescono bene.
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LA CONTEMPLAZIONE DI QUEL MAGNIFICO DIPINTO MI HA FATTO BALENARE IN
MENTE LA FOLLE IDEA DI SCRIBACCHIARE LA MIA SUPERIORE VERSIONE DEI
FATTI
domenica 10 agosto 2014
COMICHE DISAVVENTURE?...non direi proprio.
Certo che quando ti
assalgono i ricordi tornano in mente episodi a volte piacevoli e
altre volte no.Qualcuno potrà dire: ma tutte a te capitano? Che ci
posso fare se così vanno certe cose. Il 25 aprile è festa
nazionale perché, come tutti sanno, è l'Anniversario della
Liberazione d'Italia dall'occupazione nazifascista. Il 25 aprile del
1953, io ero libero, come gli altri, dal lavoro di quel periodo e,
sin dal mattino, mi trovavo dalla mia ragazza nella casa dove abitava
a Centocelle, un quartiere periferico della zona est di Roma. La casa
in realtà era in affitto a suo fratello più grande che vi risiedeva
insieme a un figlio di tre anni, alla moglie, mia cognata la quale
era incinta già da parecchio tempo, alla mia ragazza, a una gallina
che starnazzava nel bagno in attesa di essere messa in pentola e ad
un cucciolo, incrocio di tre razze di cani diverse, che circolava per
casa. Per la Festa del 1953 ero stato invitato a pranzo e, mentre la
mia ragazza si trovava in cucina, io andai in bagno ma non appena
aprii la porta la gallina si mise a starnazzare ancora più forte e a
cercare di beccarmi. Io che di pollame non ne voglio neppure sentir
parlare chiamai il mio futuro nipotino di tre anni il quale la prese,
se la mise tra le braccia e, carezzandola la portò non so dove.
Bastava che mi stesse lontano. Però non capii una cosa: come mai a
lui non lo beccava mentre a me voleva farlo? Chissà, forse aveva
capito che tra di noi non esisteva alcuna possibilità di diventare
amici. Dopo pranzo, al quale non aveva partecipato il mio futuro
cognato per impegni fuori casa, ognuno di noi, si occupò delle
proprie faccende. Verso le quattro di pomeriggio sentimmo la mia
futura cognata urlare a più non posso "aiuto, aiuto, chiamate
la sora Nanda, me se so' rotte l'acque, aiutateme, sbrigateve...".
Ci prese a tutti il panico. La mia ragazza si andò a nascondere in
cucina insieme al nipotino e alla gallina, il cane correva di qua e
di là abbaiando spaventato, io, in preda al terrore e completamente
all'oscuro di quello che si doveva fare, cercai di placare mia
cognata, andai dalla sora Nanda la quale, al corrente della
situazione, corse subito da noi, chiuse la porta e cominciò la sua
opera. Poco dopo le urla cessarono, la sora Nanda tutta soddisfatta
riaprì la porta e ci chiamò "venite, venite a vede' che ber
pupo...". Infatti era proprio un bel neonato, cicciottello, che
già stava facendo merenda al seno della madre. Dentro la camera da
letto c'era un bel po' di confusione e un secchio da una parte quasi
pieno di qualcosa. Non capii che roba fosse. La disavventura
successiva guarda caso, mi capitò proprio quello stesso giorno.
Erano passate da poco le 20, quando la mia ragazza mi chiese se
potevo portare a spasso per un po' il cucciolo, forse ne aveva
bisogno. Le risposi che l'avrei fatto volentieri e allora scesi in
strada col cucciolo al guinzaglio.Fatti un centinaio di metri passai
davanti ad un gruppo di signore che stavano parlottando accanto ad un
basso muretto dal quale, con uno scatto improvviso saltò un gatto
tigrato per aggredire il cucciolo ma lui, più rapido, si staccò con
tutto il guinzaglio dalla mia mano e corse via all'impazzata guaendo
come un diperato. Il gatto tigrato, sbagliando la traiettoria, aveva
nel frattempo aggredito la mia gamba destra con tanto di unghie ben
acuminate. Oltre a lacerarmi i pantaloni mi aveva graffiato la gamba
sotto il ginocchio. Una di quelle signore accortasi dell'accaduto
urlò il nome del gatto-tigre e lo chiamò a se.Mentre stavo
rientrando subito a casa per disinfettarmi mi accorsi che sul
marciapiede opposto il cucciolo, al piccolo trotto e con molta
calma, stava pure lui rientrando.
QUEL 25 APRILE DI
OLTRE 61 ANNI FA ME LO RICORDO ANCORA OGGI E, PER ME, NON FU AFFATTO
FESTA
venerdì 1 agosto 2014
LA FANTASIA E' VOLATA VIA
Inseguita
a passi veloci dalla memoria che se ne sta andando ed anche il tempo
non è da meno. Non che me ne sia accorto improvvisamente ma col
procedere inesorabilmente dei giorni, dei mesi e quindi degli anni è
ovvio che le cose possono soltanto peggiorare. La prova è che
quando mi accingo a scrivere qualcosa perché la cassaforte dei
ricordi sembra si stia aprendo non faccio in tempo a catturarne uno
che già lo sportello si richiude. E allora tento, tento ancora di
aprirla ma pare che tutte le combinazioni di cui mi è rimasta
traccia non funzionino più. Per la verità m'infastidisce il non
rammentare più ricordi se non per una fortuita coincidenza con
qualche avvenimento del tempo attuale. Però il "volo"
della fantasia mi secca ancora di più. Mi sono reso conto che la mia
fantasia dipende – sembrerà strano – da chi e che cosa incontro
durante la giornata poiché anche un piccolissimo accadimento – a
me è capitato spesso – può dare alla stessa fantasia la capacità
di fantasticare. Ma proprio questo è il mio problema. Per quanto mi
sforzi è un po' di tempo che si è bloccata. Ne ho preso atto e mi
sono rassegnato. D'altra parte arrivato a quest'età non poso
pretendere di più dalla mia mente e, ovviamente dal mio fisico in
generale.
Belli però
i giorni della giovane età. Mi consolo con il fatto che ogni giorno
è un giorno in più che resto QUI in contatto col medico di
famiglia, con il cardiologo. con il gastroenterologo, con il
reumatologo.
CON LO
PSICOLOGO ANCORA NO, ALMENO FINO AD OGGI.
lunedì 28 luglio 2014
IL FURBASTRO
Tra la fine del 1949 e
l'inizio del 1950 un commerciante romano in vista del Giubileo di
quell'anno pensò bene di ampliare il proprio negozio di
abbigliamento aggiungendo, oltre al reparto femminile anche uno più
piccolo per quello maschile. Aveva previsto, giustamente, che
l'enorme afflusso di pellegrini e turisti a Roma, gli avrebbe
consentito di fare ottimi guadagni e, per l'occasione, oltre alle due
commesse che già lavoravano nel suo negozio, ne aveva assunto altre
due, più giovani. Assunse anche un uomo pratico del ramo per il
reparto maschile ed anche per agire come una sorta di direttore. Il
"direttore" assunto aveva trentadue anni, di statura media
e di aspetto comune, non poteva effettivamente definirsi un bel
ragazzo ma neppure brutto. Scapolo, sempre elegante, attirava
soprattutto la clientela femminile poiché ciò che lo faceva
apparire abbastanza piacevole era il suo carattere, il suo modo di
agire e quello di essere oltre che un discreto parlatore anche un
attento ascoltatore. A volte si compiaceva del suo savoir-faire
quando soprattutto riusciva a raggiungere quanto si era prefisso. Con
il trascorrere dei giorni il proprietario si sentiva abbastanza
soddisfatto di come procedevano le cose nel suo negozio sia dal punto
di vista commerciale sia da quello della perfetta armonia che
regnava tra il personale. Il "direttore" se la cavava
egregiamente nei rapporti con le colleghe sulle quali, quelle più
giovani, una biondo-cenere e l'altra bruna, aveva già messo gli
occhi. Il problema era quello di quale scegliere per le "manovre
di accerchiamento" poiché entrambe non avevano nessun pari età
con il quale mantenere alcun tipo di rapporto, erano molto carine se
non di più e apparentemente disponibili almeno per un primo
approccio. Studiò un piano, apparentemente molto semplice. Doveva
accompagnarle alla loro casa, una alla volta naturalmente e quindi,
prima qualche parolina per conoscere meglio i loro caratteri e le
loro personalità poi man mano comprendere chi avrebbe gradito le
sue avances. Lo scopo era quello di sapere chi delle due si sarebbe
lasciata convincere ad avere con lui una relazione breve o di più
lunga durata. Per questo, almeno per il momento, non si era posto il
problema. Come prima volta, una sera, dopo che erano usciti tutti dal
lavoro si avvicinò alla bionda e, con molta circospezione, si
autoinvitò per accompagnarla e si accorse che lei gradiva questo suo
interessamento. Ripeterono la passeggiata insieme ancora altre volte
e tutto procedeva abbastanza bene ma non come lui avrebbe
desiderato. Sempre pregandola di mantenere il "segreto"
seguitarono a vedersi frequentandosi però ancora platonicamente. Lui
allora decise di procedere con la bruna adottando lo stesso metodo.
Volendo seguitare a vedere anche la bionda calendarizzò le serate in
questa maniera: il lunedì assegnò il turno alla bionda mentre alla
bruna assegnò quello del sabato.Una sera, era un lunedi, aveva dato
appuntamento alla bionda davanti ad un bar che frequentava tutte le
volte in cui si incontrava con le sue due giovani colleghe,
abbastanza lontano dal negozio in cui lavoravano, ma erano le 21
passate e la bionda non si vedeva. Dopo circa dieci minuti lei arrivò
ma non era sola, insieme a lei c'era anche la bruna. Entrambe avevavo
stampato sulla bocca un sorriso beffardo e, andandogli incontro, la
bionda lo apostrofò così
= direttore dei
miei stivali ti vogliamo dire in coro che sei uno sciocco presuntuoso
e che hai commesso dei grossi errori uno dei quali è quello,
piuttosto infantile, di usare le stesse identiche parole e le
identiche frasi ad entrambe. È bastato raccontarci quello che ci hai
detto allorquando ci vedevamo con te, sia pure a giornate alterne,
per capire che credevi di fare il furbo con noi ma sei soltanto un
maldestro furbastro. Buona nottata" e se ne andarono
lasciandolo a bocca aperta.
La mattina del lunedi
successivo lui telefonò al proprietario del negozio nel quale
lavorava e gli disse che doveva partire quel giorno stesso per
raggiungere il proprio fratello in Australia.
lunedì 21 luglio 2014
IL GERMANICO
In una
piazza vicino casa dove io transito all'incirca quasi tutti i giorni
m'incuriosì tempo fa uno strano caso. Una panda blu scuro Fiat lì
parcheggiata regolarmente a spina di pesce non aveva né il ticket
pagato per la sosta e neppure autorizzazioni quale residente del
Rione o disabile. Erano molte cose che incuriosivano di quell'auto:
la targa automobilistica della Germania, i finestrini e il
parabrezza completamente oscurati dall'interno con pezzi di cartone
d'imballaggio perfettamente sagomati, alcuni oggetti sistemati
all'aperto di fronte all'auto quali coperte, cuscini, tavolino e
sedia pieghevole da campeggio, insomma c'era di tutto un po'. Qualche
giorno prima avevo visto un signore di una settantina d'anni il quale
seduto sul sedile anteriore, metà dentro e l'altra metà fuori,
prelevava da una specie di zuppiera che teneva fra le mani qualcosa
che mangiava lui e che in parte dava a gatti e piccioni i quali lo
avevano attorniato.Venni a sapere da un mio amico residente a non più
di venti metri dalla panda blu e da tutto il resto, che si trattava
di una persona che viveva o sopravviveva in quelle condizioni da
cinque o sei anni. Per mangiare andava negli orari prefissati ad un
convento di suore poco distante, bussava e otteneva il tutto gratis.
Per dormire quando faceva freddo si sistemava dentro l'auto e quando
faceva caldo fuori all'aperto sul marciapiede dove si era attrezzato
a dovere. Per il bagno invece poteva liberamente accedere ai WC di
due bar nei pressi della piazza. Non aveva mai chiesto soldi a
nessuno, né la polizia del vicino commissariato e neppure i vigili
urbani o gli ausiliari del traffico avevano chiesto qualcosa a lui.
Convivenza pacifica. Forse per distrazione o forse preso da altri
pensieri, pur passando da quella piazza molto spesso, mi
disinteressai completamente della strana storia anche perché non
avevo più visto la panda parcheggiata e neppure il suo proprietario.
Due giorni fa però, passeggiando vicino il giardino che si trova
nella piazza, vidi il "germanico" che conversava con un
anziano suo coetaneo il quale portava a spasso due barboncini muniti
di regolare guinzaglio. Guarda guarda chi si vede mi dissi. Spinto
dalla curiosità, visto che i due erano seduti in una panchina di
quel giardino, andai a vedere se la panda era tornata ed invece,
nello stesso posto di prima, era parcheggiata una "opel"
bianca, mezza auto e mezza furgone, con i vetri schermati da carta di
giornale, la targa germanica – non so se la stessa della panda
precedente – stracolma di masserizia, oggetti d'ogni genere, varie
pentole di tutte le misure poggiate sul sedile anteriore del
passeggero ed altro ancora. Sul marciapiede, di fronte all'auto, in
misura inferiore rispetto la volta scorsa, qualche altro oggetto
coperto da un telo impermeabile di plastica scura. Girando intorno a
questa nuova "casa del germanico" notai che sui vetri degli
sportelli anteriori c'erano incollati due cartelli con la scritta a
caratteri cubitali "NON SOSTATE TROPPO VICINO ALTRIMENTI NON
POSSO ENTRARE O USCIRE". Inoltre, attraverso il parabrezza,
notai anche che sul cruscotto era incollato un foglio formato A4 e
vidi che si trattava di un verbale della Polizia municipale molto
lungo dove c'erano frasi che non mi riusciva di leggere perchè
scritte a caratteri minuscoli. Ero intento a cercare di leggere il
contenuto di quel foglio ma mi accorsi che si stava avvicinando il
"germanico" modestamente abbigliato e con sulla testa
canuta uno zucchetto di lana da sciatore. In un italiano accentuato
dal dialetto romanesco mi disse
= Ahò, che te voi
compra' la machina? Guarda che te faccio fa' 'n'affare, nun costa
tanto...
= Veramente stavo
soltanto dando un'occhiata...
= Nun te proccupa', io
ce abbito qua drento perché devi da sape' che so' stato a lavora' in
Germania pe' un sacco d'anni, me so' comprato casa qui a Roma ma
quanno so' tornato dalla Germania l'ho trovata occupata, nun me
riesce manna' vvia la ggente che ce stà e a me me tocca vive così,
te pare giusto?
= Direi proprio di no.
Ad ogni modo le faccio i miei migliori auguri e scusi per
l'intromissione...
= Ma de che? Anzi si
aripassi de qua fatte vede, magara se pjiamo un caffé...
Il
suo amico con i due cani lo chiamò
=Aristode' nun venghi?
= Arivo... Allora te
saluto sor mae', statte bene.
= Grazie,
arrivederci...=
E restai lì a bocca aperta per lo stupore.
Il
"germanico" non era per niente germanico però aveva una
nuova "casa".
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