lunedì 30 gennaio 2012

LI AVEVO DIMENTICATI

Sono stato rimproverato!
E il rimprovero me lo merito tutto poiché ho saputo che, a causa o grazie ad internet, alcuni miei scritti riguardanti certi trascorsi di quando ero un bambino, un ragazzo, poi un adolescente e vivevo a Roma, Via della Polveriera, mio luogo natio, sono stati e vengono letti dai miei coetanei di allora e di oggi. E non solo da quelli che vivono a Roma ma anche da coloro che per ragioni personali si sono trasferiti da questa città in altri luoghi d'Italia oppure in Danimarca, Germania e California. Questo però ha fatto nascere un problema per me in quanto ho dimenticato qualcuno e qualcosa di quando vivevo lì, nell'Isola del zibibbo la zona di cui parlo nel mio precedente scritto del 13 gennaio corrente.
Andiamo sul concreto. Questa mattina ho incontrato uno di quegli amici, miei coetanei o quasi, anche lui ex abitante nel mio stesso fabbricato di Via della Polveriera ed ora invece residente nel Rione Esquilino a 500 metri da dove abito io.
Per la verità c'incontriamo spesso e scambiano ricordi di quei tempi andati però oggi m'ha messo al corrente che ogni sabato mattina, verso le 10, lui s'incontra con una parte dei componenti della nostra "banda" in un bar dell'Isola. Perlomeno quelli che sono rimasti.
Da lì sono nati i problemi perché si sono chiesti leggendo i miei scritti su ER MONETA e gli altri:
= Ma come, Aldo "er ficozza" si è dimenticato di questo e di quest'altro nonchè di quello che erano e che facevano?
Ecco perché sento quasi il dovere di parlare un poco anche di qualcuno di quelli dimenticati.
Qualche giorno fa ho ricevuto una telefonata attraverso la quale una voce femminile mi saluta e mi chiede, senza dirmi il nome, se la riconosco. Io rispondo no e le chiedo a mia volta chi è lei. Invece di dirmi come si chiama mi dice che la dovrei riconoscere in quanto a suo tempo abitava accanto a casa mia in Via della Polveriera. Dopo qualche altro tira e molla mi fa capire di essere la figlia femmina facente parte della famiglia che abitava sullo stesso pianerottolo, all'interno 10 – noi stavamo all'11 – e telefonava dalla Liguria per parlarmi di ciò che avevo scritto e che lei aveva letto. Come potevo riconoscerla dopo oltre sessant'anni?
Pertanto è meglio se parlo anche di alcuni altri amici e dei loro soprannomi:
su "er cammina" devo precisare che le sue lunghe camminate giornaliere – dal Colosseo alla Basilica di San Paolo fuori le mura - circa 7-8 chilometri – diceva che gli erano necessarie non solo per pensare ma anche perchè soltanto lì, in un laboratorio di pasticceria di quella zona, poteva trovare una ciambella più grande, più buona e meno cara di altri posti;
- poi "er ciulecchia" il quale si era fabbricato una mazzafionda e, affacciato alla finestra di casa sua, si divertiva a "sparare" fiondate ai passeri e ad altri volatili facendo quasi sempre cilecca. Una volta però prese di mira un tale che alla fontanella al Largo della Polveriera stava riempiendo d'acqua un fiasco di vetro. Lo centrò in pieno e glielo frantumò in mano. Si dileguò dalla finestra e per giorni e giorni non fece che vantarsi della sua bravata.
- "er palletta" piccolo e rotondo sembrava proprio una palla;
- ed infine "er nasone", poi diventato notaio presso il quale ho lavorato fino alla mia pensione, il quale giocava molto bene a calcio nella squadretta amatoriale dell'Isola che avevamo formato e di cui io non facevo parte perché non sapevo giocare mentre lo sapeva fare il terzo dei miei fratelli.
Una mail è arrivata da mio fratello il quale mi precisa che lui e gli altri due nostri fratelli non avevano soprannomi perché il più grande lavorava e loro, terzo e quarto, sempre a studiare fino al termine degli studi universitari mentre io, il secondo, ero lo "stradarolo" giacché stavo più per strada che in casa e non avevo voglia di studiare.

Spero di non averne dimenticato altri. Eventualmente mi scuso e metto la parola FINE

giovedì 26 gennaio 2012

UNA DORMITINA SOLITAMENTE LA FACCIO

Da circa tre anni mi succede che ad una certa ora del pomeriggio, verso le 14, mi cala il sonno per cui mi preparo una specie di divano – assente in camera mia - dove potermi spaparanzare e farmi la quotidiana pennichella.
In pratica sistemo sul mio letto single una serie di cuscini che formano quasi una poltrona-sdraio, una sedia imbottita davanti per poggiarvi le gambe ed ecco pronto lo pseudo divano.
Occorrendo mi preparo un plaid di lana di colore rosso, soltanto d'inverno però, almeno per ora.
Non appena le palpebre mi danno il primo segnale interrompo quello che sto facendo, di solito al pc - con la speranza che Pasquale non si dispiaccia – e mi sdraio soddisfatto.
Certe volte arrivo persino a sognare.
La durata della "pennica" - traduzione romanesca della dormitina – raramente supera un'ora ma questo dipende da quello che ho mangiato a pranzo e quanto ho mangiato poiché non bevendo vino o birra la causa dovrebbe essere quella.
Certo anche l'età incide, altroché.
Però la sera se non prendo una compressa soporifera a "nanna" non riesco ad andarci.
In tutta questa situazione c'è però una piccola questioncella. A volte quando domo resto con la "boccuccia" sempiaperta e sembro un neonato. Io non me ne accorgo però mi è stato riferito ed in seguito ne parlo. La colpa principale è da attribuire a qualche difficoltà che ho a respirare a causa delle adenoidi le quali, benché me le abbiano tolte da piccolo, sono ritornate.
Così pure le tonsille che sono tornate malgrado mi siano state tolte, sempre da piccolo, ben tre volte.
Ricordo che la mia consolazione successiva a tali interventini consisteva nel fatto che mia madre mi comprava sempre un cono gelato. Dopo però.
Nel vedermi appisolato così con l'aggiunta che pendo leggermente da una parte – come la Torre di Pisa – la signora che assiste mia moglie nel passare davanti la mia stanza entra e viene vicino al "letto-divano" per controllare se respiro! Me lo ha raccontato giorni fa perché la "pennica" si era protratta dopo l'ora abituale.
Domenica scorsa però, trovandosi in casa mio figlio e vedendomi in quello stato "semicomatoso" mi ha svegliato dolcemente scuotendomi una spalla e con un tono di voce un poco preoccupata mi ha chiamato un paio di volte: "papà, papà...".
Questi fatti non mi piacciono e allora ho deciso: quando sarò bello appisolato lo farò tenendo almeno un occhio aperto, anzi spalancato.



domenica 22 gennaio 2012

HO I NEMICI IN CASA

Principalmente sarebbero tre ma dalla lista tolgo Pasquale, il mio pc, con il quale ho un rapporto particolare di amicizia-inimicizia e quindi per ora mi limito a elencarne due e cioè:
1) Il pavimento di tutta la casa e così pure quello del corridoio è composto da mattonelle quadrate 20x20 di cemento a due colori. Devo obbligatoriamente transitare nel tratto di corridoio antistante tra la cucina e il bagno sia per entrare e sia per uscire dalla porta di casa e da quelle appunto della cucina e del bagno nonché della stanza da me "vissuta" 24 ore al giorno trovandosi in essa tutte le cose che mi necessitano. L'ho battezzata "il nido dell'Aquila" per vari motivi. Inoltre, sempre quel tratto è privo di finestre e quindi per transitarvi occorre accendere la luce tramite un interruttore piuttosto scomodo da raggiungere per tale scopo. Quanto detto si riferisce alla notte e se è inverno, se invece è estate oppure è giorno pieno tutto procede bene La prolissità di questa descrizione serve per spiegare meglio possibile le piccole difficoltà che affronto quando devo passare in quel preciso punto per motivi vari, alcuni impellenti.
Ed ecco la dolente nota. Per non disturbare gli altri famigliari, specialmente in orari poco opportuni, sono costretto, alcune volte al buio, a fare una specie di "salto della quaglia" per evitare di calpestare una dispettosa mattonella che, sconnessa da molto tempo, produce un rumore fastidioso.
Lei, la mattonella, è una delle sei che compongono la fila da parete a parete, proprio in quel tratto del corridoio che ho prima indicato, le altre cinque sono un po' meno sconnesse. Quindi mi domando sempre quando transito da lì, primo se ci azzecco o meno ad evitare la "dispettosa" e, secondo, perchè non mi decido a farla sistemare insieme alle altre essendo io incapace di qualsiasi lavoro che abbia a che fare con l'edilizia. Per dire la verità anche di altri lavori "fai da te".
Riesco raramente ad evitare quella mattonella ma quando avviene lo faccio con un piccolo salto per sorpassarla, poi mi volto e la spernacchio sottovoce. Speriamo non se ne accorga perché altrimenti riesce a coinvolgere anche le altre della stessa fila e allora so' dolori.
2) Quando nel 1969 traslocammo in questa casa uno degli operai addetti mi installò, tra molte altre cose, anche quattro pensili della cucina che a quell'epoca veniva chiamata "all'americana" tenendo conto, per la loro installazione, della mia statura: mt.1,65 e quella di mia moglie: mt.1,50 – senza tacchi - così da poter usare i pensili senza necessità di doversi arrampicare su qualcosa. Succede così, sin dai primi anni, che se io ho sbrigare qualcosa in cucina batto regolarmente la testa su quei "pensili ostili" sia se l'abbasso e sia se la alzo. La testa intendo. Non parliamo poi di quando, per un motivo qualsiasi, si lascia aperto uno dei nove sportelli di detti pensili: i botti di capodanno! Lo strano è, ma forse no, che a mia moglie non è mai successo. Eppure, anche se di poco, li sfiora.
È vero anche che qualche volta hanno delle proprietà terapeutiche nel senso cioè che procurano un benessere fisico. Uno di detti pensili è collocato sopra il tavolo in cucina dove normalmente si fa colazione e ci si pone a sedere lateralmente o davanti per altri motivi. Io ormai al corrente del rischio che posso correre quando mi alzo da seduto compio gesti con il collo e la testa che servono benissimo ad evitare il botto e a curare la cervicale, ma qualche giorno fa la più grande delle nostre due nipoti che è venuta a trovarci, non ricordando il problema, quando si è alzata dalla sedia ha sbattuto la testa nella parte inferiore del pensile. La sera stessa vengo a sapere che la cefalea di cui sofriva in precedenza e che le dava molto fastidio era miracolosamente scomparsa.
Sarà a causa di quelle "capocciate" che a volte la testa non mi funziona troppo bene?

mercoledì 18 gennaio 2012

A SETTEMBRE APPENA INIZIATO

Sabato pomeriggio mio figlio mi ha invitato a vedere una partita di pallacanestro piuttosto
particolare nel senso che si tratta di una di quelle partite tra "scapoli e ammogliati" tra soggetti cioè la cui età va dai 45 ai 55 anni appassionatissimi di quello sport da tutti loro praticato sin da bambini e fino ai quarant'anni, non credo di più.
Il campo all'aperto situato nella scuola confinante con il fabbricato dove abito ha i requisiti dei campi idonei per tutte le varie gare dei campionati ufficiali che lì hanno luogo ma, per alcune ore della settimana, viene messo a disposizione di qualche gara amichevole tipo quella appena descritta.
Uno dei bordi esterni di quel campo è contiguo alla parete esterna della palestra coperta. Lungo tale parete ci sono alcune lastre di pietra rettangolari ove si siedono i giocatori quando vengono effettuati dei cambi durante il corso delle partite ed anche parenti, mogli, fidanzate e figli dei giocatori in campo per assistere alle dispute.
Arrivo quando la partita è iniziata da poco e mio figlio, quasi 53 anni, si distrae un attimo, mi fa un cenno di saluto e io riesco a trovare un posto in una di quella specie di panchine stracolma di zaini, zainetti e borse di tela.
Nonostante il tono amichevole della disputa io mi appassiono ugualmente anche perché il basket è uno sport che mi piace ed io ho sempre seguito il "pupo" sin da quando aveva 14 anni.
Dopo qualche minuto si avvicina una ragazzino e mi chiede se può sedersi lì accanto, gli rispondo di sì se riesce a farlo scostando qualcosa. Si siede e mi chiede qual'è il punteggio della partita. Io lo informo e gli chiedo se suo padre è uno di quelli che giocano
= No, mio padre sta a casa...
= Il sabato non lavora?
= Lui non lavora da circa due anni perché sta in cassa integrazione. Mio padre dice che è quella corta, che finisce presto e che dopo non gli daranno più soldi. Prima veniva pure lui a giocare...
Rimango un po' interdetto ma poi gli chiedo se posso domandargli qualche altra cosa e lui annuisce
= Quanti anni hai?
= Dieci. Ho finito la quinta elementare che frequentavo qui e sono stato promosso in prima media...
= E il tuo papà che lavoro faceva?
= Operaio
= Tua madre lavora?
= Va a fare le pulizie in certe case
= Sei figlio unico?
= No, ho una sorella di due anni, ci pensa mio padre a lei. Loro volevano metterla al nido ma costa e i soldi non li hanno
= Abitate qui vicino?
= Sì, prima avevamo una casa poi i soldi non c'erano più e allora...
= Allora?
= Una signora molto anziana ci ha dato una camera e dormiamo tutti lì. Non ci fa pagare però mamma fa tutte le cose di casa e papà cucina...
= Parlate di tutto questo a casa?
= No, sento papà e mamma che la sera prima d'addormentarsi ne parlano tutti i giorni fino a tardi, ecco perché so tutte queste cose. Sento pure che papà tante volte piange
= Te che fai quando succede questo
= Sto sveglio, non riesco più a dormire...
= Una brutta situazione...
= Io ho cercato di lavorare, di fare qualsiasi cosa, ma dicono tutti che sono troppo piccolo. Allora ho scritto una lettera e l'ho mandata al governo, anzi ce l'ho portata io, ma non mi ha risposto mai nessuno, eppure l'indirizzo nostro ce l'ho messo. Ogni giorno guardo nella cassetta della posta ma ci trovo solo pubblicità e qualche altra cosa indirizzata alla signora...
= Ma non hai nonni o zii?
= Gli zii hanno pochi soldi anche loro e i nonni non li ho mai avuti. Adesso vado a casa, ciao.

venerdì 13 gennaio 2012

DAL BAULE DEI RICORDI - ER MONETA E ALTRI ANCORA

Avevo tra i 15 e i 16 anni – fine 1945 inizio 1946 – e facevo parte di una "banda" di ragazzetti tutti nati e cresciuti nell'Isola del zibibbo, così chiamavamo la zona dei palazzi in cui abitavamo nel Rione Monti, il primo di Roma, proprio in faccia al Colosseo. L'Isola era una specie di quadrilatero, tra via della Polveriera, il Largo omonimo, via delle Terme di Tito comprendente via del Monte Oppio e poi via Nicola Salvi e via del Fagutale. (*) La nostra attività vespertina, sempre dopo aver ottenuto la libera uscita da parte dei nostri rispettivi genitori, consisteva nel giro delle tre osterie e dell'unico bar esistenti nell'Isola per la solita partita a carte – senza soldi in ballo – e per la bevuta di gazzose. Quest'unico bar dell'Isola in angolo tra via delle Terme di Tito e via Nicola Salvi era frequentato da noi quasi tutti i giorni come pure da un "soggetto" particolare che arrivava sempre nel tardo pomeriggio e se ne andava verso le venti. Ci diceva quello che aveva combinato durante la giornata e di essere un attore ma non precisava se di cinema o di teatro e se era un protagonista, un generico o una comparsa. Abbastanza semplice la descrizione di questo personaggio: età tra i 45 e i 50 anni, altezza media, piuttosto magro, capelli e baffetti neri alla Clark Gable, abbigliato sempre con lo stesso elegante completo scuro un po' liso e con tanto di camicia e cravatta, scarpe nere. Così lo ricordo io. C'erà però qualcosa di particolare nel suo abbigliamento quotidiano: aveva sempre una camicia e una cravatta ogni giorno diverse da quelle del giorno prima. E sembravano "nuove di zecca ". La cosa non ci convinceva tanto poiché andava sempre alla ricerca di qualcuno che gli offrisse qualcosa a "sbafo". Forse era questo il motivo per cui lo chiamavamo "er moneta" in quanto, per quello che se ne sapeva, era sempre senza nemmeno una lira. Un giorno, però non ricordo chi tra di noi prese l'iniziativa, gli venne chiesto il come e il perché cambiasse camicia e cravatta tutti i giorni per di più fresche di negozio. "Er moneta", senza alcun imbarazzo si tolse la giacca e ci mostrò la camicia o quello che sembrava una camicia: colletto, polsini, una piccola parte di stoffa davanti e nessuna dietro, niente maniche, praticamente una camicia parziale, finta. Guardando quello "spettacolo" scoppiammo tutti a ridere ma lui imperterrito ci disse che non c'era alcuna ragione di farlo in quanto aveva adottato lo stesso criterio di un attore comico di fama mondiale del quale però non ci disse il nome. A partire dalla metà degli anni cinquanta non lo vedemmo più. Chi pensava che forse era emigrato in America o chissà dove, chi invece riteneva che avesse fatto fortuna e avesse fatto perdere le sue tracce, chi mormorava che forse era andato a fare la sua ultima "tourneè" su questa terra. Divenuti giovanotti, un giorno, ricordando "er moneta", ragionammo un pò sopra il mistero delle camicie e delle cravatte e allora non so chi disse che "lui" non era mai stato un attore ma lavorava in un magazzino di noleggio di costumi cinematografici e teatrali e quindi da quì la possibilità di poter cambiare ogni giorno. Però un dubbio è sempre rimasto. Perché, già che c'era, non cambiava anche il vestito e le scarpe?
L'abitudine di attribuirci rispettivamente dei soprannomi non cambiò mai. Un altro esempio. Nel fabbricato di fronte al mio,io stavo al numero civico 40 di via della Polveriera,ne esisteva e ne esiste tuttora un altro, molto più grande con l'ingresso per le abitazioni dai numeri civici 10, 14 e 17. Al numero 14 vi abitava una famiglia composta da genitori e da quattro figli maschi, proprio come noi quattro fratelli e, se non sbaglio, quasi nostri coetanei. Come me che ero stato soprannominato "er ficozza" a causa di un bozzo che mi era stato fatto sulla nuca da una "serciata" involontariamente tirata da un amico, anche ai quattro quasi nostri coetanei vennero affibbiati dei soprannomi. Al primo, il più grande, "er cammina" per la sua abitudine ad andarsene a spasso da solo fino a sera inoltrata. Quando usciva di casa, vestito elegantemente, scambiava appena un paio di parole con noi immersi nelle nostre "caciarate" poi si avviava per chi sa dove. Sembrava avesse chissà quale cosa per la testa, un libero pensatore probabilmente. Il secondo di quei quattro lo chiamavamo credo "er pinzetta" probabilmente perché lavorava in una officina elettromeccanica situata nella stessa nostra via; il terzo "er purcetta" e il quarto "garibaldi": Di loro due non ricordo il perché li chiamassimo così e neppure quando mi è capitato d'incontrarli gli ho chiesto il motivo circa i loro soprannomi i quali tuttora resistono. Stranamente non ricordo e non ho mai domandato loro se anche i miei tre fratelli erano stati "insigniti" da particolari soprannomi. Ci penserò sopra ed eventualmente ne inventerò qualcuno io.
(*)Zona divenuta recentemente più famosa per l'acquisto di appartamenti da parte di ministri

domenica 8 gennaio 2012

QUELLO CHE NON POTRO' MAI DIMENTICARE...

...sono le cordiali e gentili parole d'incitamento che i blogger amici hanno scritto perché io tenessi in piedi questa baracca .
E allora ecco un altro post

ROSAMUNDA
Quasi tutte le mattine, al mio risveglio, sento risuonarmi nell'orecchio sinistro un motivo musicale che poi rimane a girarmi nella testa per tutto il giorno. All'incirca.
Ieri mattina è stata la volta di "Rosamunda" una vecchia canzone del 1927 che col passare degli anni diventò una polka e successivamente un successo musicale pezzo forte del repertorio di Glenn Miller, Benny Goodman e Billie Holiday soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. (fonte Wikipedia).
Ricordo un episodio legato a questa canzone e m'è venuta voglia di raccontarlo.
Avevo quindici anni nel 1945, dopo la "liberazione" di Roma da parte degli alleati i quali, soprattutto gli americani, avevano requisito quasi tutti gli alberghi e i luoghi di svago dove trascorrere il breve periodo delle loro licenze dalla guerra che, riguardo l'Italia, doveva ancora terminare.
In quel periodo lavoravo al Teatro Galleria – sotto la Galleria Colonna - saltuariamente e "in nero", come aiuto dell'aiuto dell'elettricista capo.
Il mio compito consisteva nel manovrare il grosso riflettore sistemato nella prima fila della galleria del teatro in modo da illuminare la scena col fascio di luce bianca e per intero, oppure a colori e col fascio ridotto quando il palcoscenico era calcato dal corpo di ballo: il momento da me più atteso perchè mi divertivo ad illuminare ora l'una ora l'altra delle ragazze che facevano parte del balletto. Con loro sommo gaudio.
L'orchestra dava inizio allo spettacolo con un travolgente boogie boogie mentre invece alla fine il motivo musicale di chiusura era sempre "Rosamunda" cantato a squarciagola soprattutto dai soldati yankee ebbri non soltanto di gioia e, sottovoce anche da me.
Una ventina di anni dopo, credo nel 1965, oltre a sentire canzonette e musica varia mi venne un certo doloretto proprio all'orecchio sinistro. Decisi di farmi visitare e il medico otorinolaringoiatra di uno degli ospedali di Roma mi disse che era meglio procedere ad un piccolo intervento. Partecipato mio malgrado a questa piccola operazione il medico nell'accomiatarsi mi disse che potevo avere dei piccoli fastidi di udito solo se ero musicista oppure se suonavo qualche strumento musicale. Gli risposi che al massimo sapevo suonare il campanello di casa o quello del citofono al portone. Bene, rispose e io ribattei: grazie e arrivederci.Fra me e me sperai proprio di no. Anche se dall'orecchio sinistro ci sento poco.
Però, a pensarci bene, una domanda avrei dovuto fargliela al dottore anche se il paragone era a dir poco blasfemo: ma Ludwig van Beethoven non era completamente sordo?