giovedì 30 giugno 2011

BUROCRATICA STORIA DI UNA CARD e non solo

Questa mattina devo sbrigare una pratica presso l'ASL di mia pertinenza la cui sede si trova dopo la Stazione Termini, tra Piazza dei Cinquecento e la Biblioteca Nazionale.

Le previsioni informano che sarà una giornata piuttosto calda quindi esco di casa presto, 8.30 a.m,

e vado alla fermata vicino casa di uno dei due bus che fanno il percorso che m'interessa. Per mia fortuna ho la possibilità di scegliere. Solita prolungata attesa, arriva il bus, salgo insieme ad altre cinque persone e, alla successiva fermata, salgono 3 – diconsi tre – controllori molto giovani, due donne e un uomo. Salutano educatamente e chiedono a tutti di mostrare il biglietto o la tessera

per viaggiare sui mezzi pubblici. Alla giovane che mi si avvicina mostro la Card Over 70 – una tessera che già da qualche anno Comune e Azienda di trasporto concedono gratuitamente alle persone oltre quell'età e col reddito basso. Benchè scaduta il 28 febbraio del corrente anno la "controllora" sa benissimo che è tuttora valida anche se siamo nel mese di giugno. Il perchè è presto detto. Per i primi due anni bisognava recarsi di persona alla sede dell'Azienda, in seguito il rinnovo poteva essere fatto presso le principali fermate della Metro, infine, da due anni, la tessera rinnovata, valida sino alla fine dell'anno di scadenza, arrivava a casa. Quest'anno è arrivata sì la Card ma con la durata limitata al 28 febbraio, valida quindi solo per due mesi e non per l'intero anno 2011. Leggermente preoccupato, verso i primi di febbraio di questo anno, telefonicamente chiedo spiegazioni all'Azienda e mi rispondono dicendo di stare tranquillo perché il termine sarebbe stato prorogato. Infatti con una lettera datata aprile 2011 mi informano che quella card scadrà il 30 giugno. Per ottenere però il titolo che mi consentirà di continuare a viaggiare gratuitamente fino al 31 dicembre 2011 mi precisano che la nuova Card Over 70 "elettronica" sarà ricaricabile negli anni successivi quindi da conservare anche dopo la scadenza presentando, per questo scopo, alcuni documenti presso il Municipio di appartenenza dal 20 aprile fino al 16 maggio. Essendo troppo vicina questo scadenza telefono per saperne di più e, ancora una volta, mi dicono che questo termine è stato allungato fino al 14 giugno. Tranquillamente, adesso sì, il 14 giugno mio figlio si presenta al Municipio con tutti i documenti necessari e viene informato che per ritirare questa "benedetta" tessera dovrà tornare il 14 luglio 2011. Cinque mesi circa per sistemare la faccenda. La "controllora" molto comprensiva addirittura chiede scusa e mi saluta. La burocrazia vince su tutto. Per il mio ritorno a casa scelgo di prendere un bus diverso da quello dell'andata. Ancora un'attesa prolungata alla fermata che è senza pensilina e c'è un sole che picchia ferocemente. Mi sistemo all'ombra di un signore molto alto – circa due metri – e quindi godo di un certo sollievo. Ecco finalmente il bus sul quale, dopo nemmeno due fermate, sale il trio dei "controllori". Ci salutiamo come se ci conoscessimo da chissà quanto tempo e scambio un sorriso con la "controllora" del bus che avevo preso all'andata.

Fuori tema, ciliegina sulla torta. Ritorno a casa, scendo dal bus alla fermata accanto alla quale c'è un bar con una dozzina di tavolini all'aperto, attorno ad uno di questi è seduta una coppia di giovani giapponesi – sicuramente tali perché hanno tre macchine fotografiche di ogni tipo, la giovane ne ha nelle mani una con la quale sta fotografando la schiuma del cappuccino fumante contenuto nella tazza.

In fondo che c'è di strano.

lunedì 27 giugno 2011

MICIA



A volte ci sono ricordi che improvvisamente, senza un motivo particolare, ti tornano in mente e allora cerchi di riandare indietro nel tempo per cercare di rammentarne il più possibile.

La micia in questione si chiamava appunto semplicemente MICIA.

Su questo nome in realtà c'era stata una piccola disputa in famiglia. Mia moglie voleva darle uno che piaceva a lei, mio figlio un altro ed io un altro ancora ma poi alla fine firmammo un armistizio e quindi all'unanimità decidemmo di chiamarla MICIA. Per un elefante non sarebbe stato adatto ma per una micia sì.

Il suo anno di nascita è stato senz'altro il 1971 poiché proprio nelle vacanze scolastiche di quell'anno che mio figlio dodicenne le fece fare il suo ingresso in casa. In realtà era un suo compagno di classe che teneva MICIA in una mano. Io ero al lavoro e quindi non c'ero ma mia moglie, per accontentare il pargolo, dette il suo benestare. Quando rientrai la sera vidi gironzolare per casa una specie di topo peloso e dissi "questo coso da dove è uscito?" Allora giunse la risposta all'interrogativo. Mio figlio e il suo amico recandosi come ogni giorno al vicino Parco del Colle Oppio avevano sentito alcuni lievi miagolii che provenivano da una minuscola grotta ricavata, non si sa da chi, in una delle antichissime mura della Domus Aurea di Nerone, nei pressi del Colosseo. L'amico introdusse le braccia nella grotta – praticamente un buco – e le ritrasse con nelle mani due gattini piccolissimi, un maschio ed una femmina. Lui, evidentemente pratico, ne indicò il rispettivo sesso. Mio figlio si innamorò della femmina che quindi approdò in casa nostra. Anche lei una vera Monticiana essendo nata nel Rione I – Monti di Roma a qualche centinaio di metri da via della Polveriera. Poiché anch'io voglio molto bene ai gatti – ne ho avuto una in casa quando ero giovanottello – mi rimisi alla volontà della maggioranza composta da mia moglie, da mio figlio e da MICIA, la quale, interpellata, votò anche lei favorevolmente esprimendo per di più il suo compiacimento per essere entrata a far parte della nostra famiglia a pieno titolo.

Dimostrò abbastanza in fretta i lati del suo carattere, attaccata soltanto a noi tre. Se si presentava chiunque altro anche se parente vicino o lontano non importa,lei soffiava e mostrava i denti aguzzi.

Capitò che un anno noi andammo in vacanza al mare e allora, per accudirla, consegnammo le chiavi di casa alla portinaia e la pregammo di passare ogni giorno per le necessità di MICIA. Quando tornammo lei, la portinaia, ci disse che era stato un problema accudire quella "tigre" ogni volta che entrava in casa.

Soltanto nei periodi in cui sentiva la mancanza di un "fidanzato", non importa se ufficiale o meno, lei amava "abbracciare" letteralmente le gambe di chiunque le capitava a tiro, amici, parenti etc.

Gli atteggiamenti di MICIA verso noi tre erano i seguenti: le piaceva intraprendere finte "battaglie" con mio figlio saltando da una parete all'altra di casa con tanto di graffi e finti morsi; quando aveva fame andava a strofinarsi alle gambe di mia moglie la quale non le faceva mancare niente, anche bistecche, pollo e prosciutto; quando doveva fare un pisolino veniva da me e si accoccolava sul mio petto, se ero sdraiato sul divano a vedere la TV oppure, se ero davanti la scrivania, gradiva molto il fatto di potersi stendere languidamente sul piano della scrivania stessa magari guardando quello che ero intento a fare io. Un particolare curioso: quando aveva sete amava saltare sul lavello e, assecondata da mia moglie, bere dal rubinetto. Forse avrebbe voluto anche lei un bicchiere personale.

Nel mese di dicembre del 1984, un anno dopo il matrimonio di mio figlio, MICIA, sofferente già da tempo malgrado le cure continue di un veterinario, ci dette il dispiacere di lasciarci per sempre.

Fu un grande dolore soprattutto per mio figlio il quale, carezzandola, l'avvolse in un panno, la mise dentro una scatola di scarpe ben sigillata e andò a seppellirla in aperta campagna, all'estrema periferia di Roma, poco distante la casa dove risiedevano lui e sua moglie.

Ogni tanto andava a salutarla e una volta, passando vicino quel luogo, mi volle indicare il posto preciso dove MICIA riposava. Non mi è dispiaciuto, m'è sembrato il posto ideale per una "tigre".








giovedì 23 giugno 2011

RISERVATA PERSONALE

GENTILE SIGNORA

Con la presente desidero ringraziarLa per aver accolto l' invito che Le rivolsi nel mese di gennaio del 2010 ma credo opportuno rinnovarlo con le stesse identiche parole della volta precedente. Spero di non venirLe a noia. Non per niente esiste quel detto latino “repetita iuvant”.

Le scrivo per rammentarle ancora, chiedendole scusa se Le creo disturbo, quando Lei venne a trovarmi una prima volta oltre 58 anni fa, ricorda?

Poi, lo ammetto, queste Sue veloci e brevi visite si sono ripetute nel corso degli anni ancora altre volte, ma sono state soltanto rapidissime apparizioni risoltesi, diciamo così, nel migliore dei modi.

Comprendo benissimo che Lei ha svolto validamente la sua attività presso tantissimi altri, anche tra persone di mia intima conoscenza specie di recente e che quindi ha deciso, Lei o altri non lo so, per i troppi impegni che ha avuto e che ha in questo periodo, di lasciar passare ancora un po’ di tempo prima di venirmi a trovare nuovamente.

Benissimo, d’accordo e La ringrazio, anche se - spero che Lei ne convenga - un lasso di tempo così lungo non è che mi conforta molto nel senso che più la “cosa” va per le lunghe e più mi affligge.

Cerco di spiegarle meglio il mio pensiero.

Forse si starà già chiedendo se io non veda l’ora che Lei arrivi?

No, non è così, al contrario.

Mi rendo perfettamente conto che Lei un giorno dovrà pure venirmi a trovare ma proprio per questo Le sto scrivendo questa lettera.

Le spiego.

Quando nei Suoi ritagli di tempo libero deciderà di venirmi a trovare - come avrà già notato ripeto più volte le stesse parole - non dico che deve avvisarmi prima ma, se le decisioni in questo campo dipendono da Lei o da qualcuno dei Suoi capi, be’ La prego di fare in modo di presentarsi da me nei momenti in cui io sarò presente il meno possibile.

Voglio dire che, quando questo avverrà, fisicamente io dovrò esserci ma sarebbe meglio che la mia mente si trovi altrove, diciamo nel mondo dei sogni.

Per esempio l’orario migliore, anzi gli orari migliori, sono quelli tra le 13:00 e le 14:00 e tra le 24:00 e le 5:00 del mattino seguente.

Lei può scegliere tranquillamente uno qualsiasi tra i giorni feriali e quelli festivi, per me non fa alcuna differenza, mi troverà sempre a Sua completa disposizione pregandola però di tenere in debito conto gli orari che in precedenza ho definito come i più agevoli, almeno per me.

Mi rendo conto che questa Le può sembrare una pretesa un po’ non dico assurda ma quasi e che può creare un precedente piuttosto pericoloso sotto molti punti di vista anche per altri che sono in attesa come me, però, mi creda, questo renderà la cosa più facile sia per Lei sia per tutti quelli che dovranno riceverLa.

La prego di ritenersi dispensata dal farmi avere una Sua risposta in merito a quanto da me richiesto tramite la presente.

Le sono profondamente grato sin da ora per tutto quello che Lei si premurerà di fare nei miei confronti.

Ritengo superfluo, come Lei può ben comprendere, sottoscrivere questa lettera.

L'educazione esige che, terminata questa missiva, io debba porgerLe i miei cordiali saluti e lo faccio ben volentieri, ma nello stesso tempo La invito ancora una volta a passare da queste parti il più tardi possibile. Grazie.

Nel frattempo Le chiedo per favore di riporre la falce e di prendersi un lunghissimo periodo di riposo, non può che farle bene.



lunedì 20 giugno 2011

MI FACCIO LA DOMANDA MA NON SO DARMI LA RISPOSTA

...e quindi potrei anche non pormela però la curiosità è forte.
Inizio da questa mattina.
Sono le sei, poco dopo l'alba, mi sveglio, mi alzo dal letto e, nelle orecchie, nella capoccia, insomma in qualche punto dentro di me mi ronzano continuamente questi versi "L'albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno da' bei vermigli flor".......e basta.
Ora io a scuola non è che ero una cima, al contrario ero un autentico asinello ma questi versi e credo solo questi, li ricordo benissimo. So persino che sono di una poesia di Giosuè Carducci ma non ricordo altro. Per precauzione sono andato a controllare e ne ho avuto conferma. Meno male.
Il fatto è che da questa mattina non riesco a togliermeli dalla mente.
Ed ho solo parlato di oggi.
Invece da un bel po' di tempo, sempre quando mi alzo al mattino, si alternano al mio udito vari motivi musicali e, ultimamente, tre canzoni, un giorno una e il giorno appresso l'altra e così via: "Minuetto" cantata da Mia Martini, "Come pioveva" cantata, diciamo così, da Gigi Proetti in una versione scanzonata con l'ausilio di Renzo Arbore, "Girotondo contro la guerra" cantata da Fabrizio De André.
Ora è vero che specialmente noi maschietti quando ci facciamo la barba canticchiamo qualche canzoncina, almeno una strofetta poi magari ripetiamo sempre quella, ma io quelle canzoni non le canticchio le sento nitidamente, proprio così. E poi non mi faccio più la barba da almeno vent'anni.
Non mi dispiacciono no, al contrario, però mi distraggono questo sì.
Infatti un giorno, terminato di farmi la doccia, presi l'accappattoio di spugna con tanto di cappuccio, cercai di infilare il braccio destro nella manica ma questa si rifiutava di farlo entrare nonostante ogni mio sforzo.
Era d'inverno e in bagno faceva pure freddo malgrado il riscaldamento, quindi nudo come mammeta m'aveva fatto stavo quasi per chiamare aiuto quando mi sono accorto che stavo infilando testardamente il braccio destro nel cappuccio anziché nella manica sempre accompagnato da una di quelle canzoni.
A volte chiedo a me stesso: come mai mi succede questo? Boh!
Ho capito, devo farmi visitare da uno specialista del ramo "suonati" e simili.

giovedì 16 giugno 2011

RICORDO BUTTERFLY

Io e Maurizio ci sposammo il 10 giugno 1940, avevo 25 anni e lui 31.

Dopo la cerimonia mattutina del matrimonio, solo a pomeriggio inoltrato terminammo il pranzo nuziale insieme, naturalmente, a parenti e amici. Nel rientrare a casa per cambiarsi d'abito e poi recarsi alla stazione ferroviaria per prendere il treno e iniziare il viaggio di nozze, apprendemmo con sgomento che l'Italia era entrata in guerra. La cosa ci sconvolse non poco giacché Maurizio era comandante di una motovedetta della Capitaneria di Porto a Napoli, aveva poco più di cinque giorni di licenza e soltanto al termine di questa avrebbe dovuto riprendere il lavoro.Mentre eravamo intenti a preparare i bagagli squillò il telefono. Maurizio andò a rispondere e poi m'informò che aveva ricevuto l'ordine da un ufficiale del Ministero della Marina di presentarsi immediatamente a Napoli perché era stato richiamato in servizio. Avevamo progettato di fare il nostro viaggio di nozze prima a Firenze, poi a Venezia e infine a Trieste e invece decidemmo di andare a Napoli e di fermarci a dormire in un albergo per dar modo a Maurizio di presentarsi il mattino dopo alla Capitaneria. Almeno così avremmo potuto trascorrere insieme la prima notte di nozze. L'indomani, alle otto in punto, Maurizio era già pronto e fece per svegliarmi ma io lo ero già da oltre un'ora e avevo preferito starmene ancora un po' a letto mentre lui si preparava per uscire. Ci salutammo con passione e non riuscivo a smettere di piangere per il troppo breve tempo in cui eravamo stati insieme. Avevamo concordato che io mi sarei dovuta mettere subito in cerca di un'abitazione possibilmente vicino al porto. Fui fortunata e la trovai, anche se piccola, con due finestre che davano proprio sul molo per l'attracco e l'ormeggio delle motovedette.

Ogni giorno facevo in modo di stare affacciata alla finestra per vedere la partenza ed il rientro della motovedetta sulla quale Maurizio si trovava imbarcato. Se il rientro veniva differito e la navigazione doveva durare più a lungo venivo puntualmente avvisata dalla Capitaneria senza sapere però verso quale destinazione era salpato. A me, che avevo studiato flauto al Conservatorio ed ero appassionata di lirica,, onde far trascorrere il tempo libero più velocemente, sarebbe piaciuto assistere al Teatro San Carlo di Napoli alla rappresentazione di alcune opere ma, dato il periodo di guerra, il Teatro era stato chiuso per precauzione e chissà quando sarebbe stato riaperto..

A maggio del 1941 nacque nostra figlia e Maurizio, che era riuscito ad ottenere una brevissima licenza, volle chiamarla Azzurra, come il nome della propria motovedetta. La guerra intanto andava avanti a fasi alterne ma verso la fine del 1942 e l'inizio del 1943 le sorti della guerra andarono sempre peggio per l'Italia e proprio per questo motivo Maurizio si doveva assentare da casa più spesso e più a lungo.

Intanto a Napoli i bombardamenti non ci davano tregua.

Tutti provammo gran sollievo quando l'8 settembre del 1943 l'Italia chiese ed ottenne l'armistizio e quindi pensavamo che la guerra fosse finita. In realtà i nazisti cominciarono a farla da padroni in città, ma quando venti giorni dopo gli stessi fucilarono alcuni marinai italiani il popolo napoletano scese in strada e si ribellò riuscendo a liberare Napoli dopo quattro giornate terribili di scontri con morti e feriti. Sin dalla liberazione di Napoli e malgrado la guerra non fosse ancora terminata io speravo sempre che Maurizio tornasse a casa il più presto possibile mentre invece era già da troppo tempo che io e Azzurra non lo vedevamo e non ricevevo neppure sue notizie. Era inutile rivolgersi alla Capitaneria perchè nessuno poteva darmene di precise. Passarono giorni e mesi invano ma di Maurizio e della sua motovedetta non si riusciva a sapere nulla.

Infine un giorno, lo ricordo ancora poiché avevo cercato di festeggiare il terzo compleanno della nostra bambina, si presentarono in casa due ufficiali di Marina i quali, anche se con molta precauzione, mi comunicarono che Maurizio e l'intero equipaggio della sua motovedetta erano ormai da considerare dispersi. Fu un colpo tremendo per me, non riuscivo a rassegnarmi perciò seguitavo a sperare ancora.

Quando possibile mi mettevo in finestra con Azzurra accanto e allora le canticchiavo sottovoce l'inizio della romanza dal secondo atto di Madama Butterfly di G.Puccini "E poi la nave appare. È venuto. Io non gli scendo incontro, io no. Mi metto qui......e aspetto. Aspetto gran tempo e non mi pesa la lunga attesa".

Maurizio non fece più ritorno a casa.



venerdì 10 giugno 2011

LA VISITA

Bongiorno…bongiorn'…trasite…trasit'…Scusate signor tenente, ogni tanto mi scordo e mi metto a parlà in dialetto…E che volete, mi sto invecchiando…Voi piuttosto, per la pucchiacca di catarina, ma come avete fatto a restare giovanotto?…Beh! Voi me lo dovete spiegare ‘sto mistero. O v’à fatta ‘a grazia San Gennaro?…Eppure voi non siete napoletano…mah!…San Gennaro o sape lui chell' cadda  fà…Nun ve pozz' manco dicere assettateve perché mia moglie, quella santa donna, s’è portata via ‘a seggiola…Sissignore…Lei tutti i giorni, matina e sera, si riunisce con tre o quattro cummarelle e si dicono il rosario, ma non uno, perlomeno ‘na ventina…E va buò, non fanno male a nisciuno anzi, c’è chi ci guadagna,cioè propriamente io, sissignore. Adesso vi conto il miracolo, voi però non lo dovete dire a nessuno…me lo giurate?…E sì signor tenente, me lo dovete giurare. Magari ditemi sì o no…No, anche senza parlà, basta che fate così con la testa…ecco così, bravo…n’atra vota…ecco, grazie…fatelo ancora ‘na vota e poi basta…ecco…così…oh!…Mi fate proprio piacere. Allora dove ero rimasto?…Di San Gennaro ve l’ho detto…Il giuramento l’avite fatto…Ah, sì…Ma perché state all’inpiedi?… Ecco non cè la seggiola! E già, quella è mia moglie che…Ma che vi ho già parlato del fatto del rosario?…Ah! ecco dove ero rimasto! Dunque, quando le cummarelle dicono il rosario io sento suonare e cantare…Ma non canzoni napoletane che io asinnò esco pazzo, no…Ssss!…Venite più vicino che ve lo dico in una recchia…Ecco, così. Più propriamente sento tutta la Cavalleria Rusticana, si,si, avete capito bene, l’intera opera, pensate. Se volete ve la posso anche cantare perché ce l’ho tutta cà in capo…Però io mi sono addimannato tante vote: ma che ci cape la Cavalleria cu’mme? E anche con voi, noi stavamo in fanteria!…Vi ricordate eh?…Bei tempi. Io per esempio avess' preferito quella del Piave che mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio ma…Venite, venite più vicino…Mi hanno detto che non si può cambiare!…Ormai lassù…sì, sì, lassù, guardate pure voi, lassù in alto, accussì è stato deciso . E sì caro signor tenente, quando lassù viene presa una decisione quella è e quella deve arrimanere per secoli dei secoli e così sia!…Proprio così!…Pensate che una volta invece della Cavalleria ho sentito cantare grazie dei fiori. Propriamente quella cantata da Nizza Pillii. Apriti cielo! Guardate che m’è successo. Le gambe, le vedete?…Non si sanno più muovere!…Io glielo dico:fateme ‘sto sfaccimme 'e favore…Fetenti, muvitev', muvitev'…Ma loro nient' manco pe’ ll’anima di chi gliè stramuorto…E che maniere!…Manco v’avesse chiesto che so na cinquina uscente sulla ruota di Napoli, perché io l’avess' iucata subbito. Avrei incarricato a mia moglie…Mò nun ce stà perché lei e le cummarelle dicono il rosario, tutti i giorni. E va buo’, vuole dire che quando ritorna si prende i denari e se ne scenne abbascio, va là e se la gioca. Scusate, vi volevo addimannare signor tenente, per caso vui venite pure addimani?…No no, non vi disturbate a parlà, basta che fate così con la testa sempre se dite sì…ecco così…E bravo il signor tenente!…Ma anche doppe riman'?…sii? E ma allora voi gli volete veramente bene al qui presente vostro maresciallo Nannarone…Grazie, grazie assai…Sempre agli ordini signor tenente, sempre agli ordini…Ma che dovete andare via? E va buono tanto ci vediamo domani. Io non vi accompagno perché ‘ste fetenzie di gambe non ne vonno sapè…A rimane signor tenente, a rimane…
=…infermiera?…
=Eccomi dottore…
=Ma il paziente della stanza 7 che…
=Ha capito perché le ho chiesto di togliersi il camice? Quel signore quando vede un camice bianco comincia a strillare dicendo che lui non vuole fantasmi in camera sua…Pensi che una volta ha preso la sedia che aveva vicino al letto e me l’ha tirata addosso…Per poco non mi prendeva in testa…
=Mi scusi, ma da quanto tempo è ricoverato in questa clinica…
=Ha ragione…Lei è al suo primo giorno di visita e non può saperlo…Ecco, questa è la sua cartella. Sono già tre anni che sta da noi…
=Va bene…Voglio parlare con sua moglie…
=Quale moglie? E’ morta proprio tre anni fa…Aveva 83 anni…
=E lui quanti ne ha?…
=Ottantotto ed ha una salute di ferro…A parte naturalmente la …la…
=Allora parlerò con un figlio, una figlia…
=Non ne ha mai avuti e non ha un parente neppure alla lontana, così almeno io ho sempre saputo…
=A chi devo riferire com’è andata la visita?
=Lo riferisca pure a me perché tanto lui crede che sia io sua moglie.

lunedì 6 giugno 2011

UN POSTO IN FILA ALLA POSTA

È venerdì 3 giugno ed è una calda e bella mattinata. Allora, tanto per usare una frase fatta, prendo il coraggio a due mani – ma come si fa a prenderlo? boh! - esco da casa poco prima delle 8.30 a.m. che è l'orario di apertura dell'Ufficio Postale.
Non era assolutamente previsto da me e forse non solo da me, che ci fossero già una trentina di persone in fila in attesa dell'apertura della porta e prelevare quindi il numeretto alla macchinetta. Pazienza, mi metto alla fine della coda.
Tra i primi si fanno notare due persone, molto anziane, un uomo e una donna, che stanno dicendosele di cotte e di crude perché ognuno di loro afferma di essere arrivato prima dell'altro:
= ahò, ma che te spigni co' 'sto gomito...
= spigno quanto me pare perché si sei un omo armeno pe' cavalleria me dovresti lassa' inpace...
= a me nun me ne pò fregà de meno perché nun so' cavaliere...
= però nun sei manco un cavallo sei un somaro...
= a chi l'hai detto somaro? Guarda che anche se sei 'na donna du' schiaffoni te l'ammollo uguale...
= te n'approfitti perché mi marito è morto e...
= pe' me po pure resuscita' che me fa un baffo...
Non sono il solo a cercare di calmare i due litiganti anche perché non danno retta agli inviti che vengono loro rivolti.
Finalmente la porta viene aperta e si può procedere.
Il diverbio tra i due non l'ho più seguito dato che la mia attenzione è andata in un'altra direzione.
Una persona indossa una maglietta nera con una scritta enorme NO PONTE e, sotto queste due parole, uno strana immagine raffigurante un branco di pesciolini che insegue un grosso pescecane, non il contrario. Il tutto di colore bianco che spicca vistosamente su quella maglietta .
Chissà cosa significa mi chiedo.
Appena le prime sette persone hanno terminato le loro operazioni allo sportello malaguratamente i computer dei cinque sportelli si bloccano.
Attraverso il vetro degli sportelli vediamo il direttore dell'Ufficio che si da' un gran daffare per risolvere la situazione senza peraltro riuscirci.
Per far passare il tempo mi guardo intorno e torno a vedere quella maglietta nera.
Dopo poco il direttore prepara un cartello , lo attacca alla macchinetta distributrice dei numeri e ci informa a voce alta che per il momento tutte le operazioni sono sospese. Previsioni per la ripresa non è in grado di farne.
Non ho alcun impegno urgente e quindi decido di attendere anche per non perdere il posto.
Improvvisamente mi si fa luce nella testa e, forse, riesco a capire il significato di quella scritta e di quel disegno su quella maglietta nera. Mi avvicino e dico:
= scusa, per caso alludi al ponte sullo stretto Messina-Reggio Calabria?...
= certo e sta tranquillo che i pesci piccoli si mangerrano quello grosso...
= grazie, sono contento di averlo capito...
= spero che lo capiscano in molti.
Per fortuna i computer riprendono a funzionare e dopo un'ora circa anch'io termino quello che avevo da fare e me ne torno lentamente a casa. Sono le undici passate.
Un breve inciso: da tre mesi vengo in questo Ufficio Postale e, per pura combinazione, mi capita sempre lo stesso sportello e la stessa impiegata abbastanza in carne la quale oggi ha risposto al mio saluto facendo ciao ciao con la sua manina cicciottella.
Dimenticavo: la persona con indosso la maglietta era una fiorente giovane ragazza con tanto di originali occhiali da vista che le donavano moltissimo.
Ecco spiegato perché mi risuonavano nelle orecchie le parole di una nota vecchia canzone di Claudio Baglioni "quella sua maglietta fina tanto stretta al punto che mi immaginavo tutto......."

venerdì 3 giugno 2011

RICORDI VAGHI

Due giorni fa, di mattina, esco dal barbiere vicinissimo casa mia e, fatti alcuni passi, all’incrocio tra via Emanuele Filiberto, Via Galilei e Via Bixio, mi ferma una signora: attempatella, grassottella, elegantella (non si dice ma trattasi di licenza “patetica”), bel viso tondo, begli occhi celesti, bel sorriso.
Mi apostrofa e mi fa:
= Per favore sa indicarmi Via Nino Bixio?
Io la guardo stupito sia perché la via l’abbiamo di fronte gli occhi e sia perché è la via dove abito ed è quella che sto iniziando a percorrere per andare al mercato di Piazza Vittorio a comperare qualcosa.
= Ecco signora è proprio questa davanti a noi e…
= Uh! Che sbadata…non ricordavo più dov’era…sa ci venivo negli anni cinquanta per frequentare la scuola elementare…c’è ancora la scuola?...a quei tempi io stavo con la maestra Taddei…era anziana, ma le volevo bene e lei altrettanto…(così, tutto d’un fiato)
Interrompo il flusso e dico:
= La scuola c’è sempre, anzi adesso c’è anche l’asilo-nido che è piuttosto recente…
= Davvero?...Mi piacerebbe rivederla…
= Se viene con me ci passiamo proprio davanti…Mi segua io poi proseguo per il mercato di Piazza Vittorio…
= Anche quello c’è ancora?...
= Sì ma adesso c’è quello nuovo, al coperto…
= Vorrei tanto andarci…(sempre tutto d’un fiato)…io sono nata al campo profughi di Piazza Santa Croce in Gerusalemme dove c’era il Museo dei Granatieri…i miei genitori son dovuti scappare dalla Libia subito dopo la guerra, loro erano contadini friulani e si andò nelle campagne vicino Latina. Con noi anche i miei tre fratelli e…
Torno a frenarla e la informo:
= No, il campo profughi non c’è più, il museo invece sì, vicino la Basilica di Santa Croce, se facciamo pochi passi gliela indico…
= Volentieri…
= Ecco, questo è l’asilo-nido e questo è l’ingresso della scuola…
= Sì, sì…adesso ricordo perfettamente…che bei tempi…ricordo persino i miei compagni di scuola, come ci divertivamo…e quante risate…poi le custodi…ne ricordo una che mi abbracciava sempre perché mi diceva che le ricordavo una sua nipotina…quando venivo qui c’era la maestra Taddei…(ancora tutto d’un fiato)…
= (cercando di essere il più cortese possibile sforzandomi un po) Ormai credo non insegni più…
= Lo penso anch’io…
= Be'…io adesso vado al mercato…
= Le dispiace se vengo anch’io?...
= No e perché…
Camminando camminando, parlando parlando, arriviamo dopo poco all’ingresso del mercato e lei, porgendomi la mano mi fa:
= Ciao, io mi chiamo Anita…
= (per fare lo spiritoso) Garibaldi?...
= (spiritosa anche lei)…bé…sono un po’ più giovane…non trovi?...
= Certo, scusami…io mi chiamo Aldo…ciao… (e ce ne andiamo ognuno per la sua strada, sorridendo entrambi).