venerdì 1 gennaio 2016

L'OROLOGIO

Se ricordo bene, e penso proprio di sì, portai un orologio da polso al braccio destro quando avevo 25 anni fino ai 40. Poi iniziai ad usare una specie di padellino, un orologio da gilet o gilé, insomma da panciotto, dato che per un lungo periodo andavo al lavoro o altrove, anche con tale indumento sotto la giacca. Chissà chi me lo avrà regalato il padellino. Potrei averlo ricevuto in eredità, ma non credo. Rammento invece quando smisi di portare orologi, da polso o da tasca. Almeno 20 anni fa. Non percepivo più la necessità di averli. Però ne ho addirittura sei nella mia stanza. Meglio essere più precisi. Intendo dire che ove volessi sapere che ore sono in qualsiasi momento del giorno e della notte, basta che volgo lo sguardo in giro e osservo le lancette: 1) di una sveglia azzurrina, 2) di una sveglietta verdina, 3) di un orologio della squadra del cuore, 4), 5), 6) delle ore scandite sul cordless del telefono fisso, sul telefonino e sul pc-Pasquale. Ma a che mi servono? Gli orari del lavoro li ho sepolti da un bel pezzo, quelli di pranzo e cena non sono di mia competenza, appuntamenti non ne ho in agenda, pertanto lascio in pace orologi e quant'altro. Dimenticavo. In casa esistono altri tre orologi: uno piccolo in cucina e, in due stanze, altri 2 orologi grandi come padelle per frittate con patate o con zucchine, a scelta. Sarà forse una mania la mia? Quando ogni anno cambia l'ora da legale a solare e viceversa, è una faticata.
A mezzanotte di ieri, 31 dicembre 2015, nessuno dei 9 orologi ha segnato l'ora esatta, qualcuno uno o due minuti in più, qualcuno l'opposto. Va a capire.



 

lunedì 14 dicembre 2015

GLI AUGURI

AUGURO BUONE FESTE A TUTTI,

aldo.

domenica 18 ottobre 2015

VILLEGGIATURE ESTIVE

Ricordo una particolare villeggiatura che facemmo io e la mia famiglia nel 1977. La sorella di una mia collega di lavoro con la sua famiglia, desiderava tanto fare un viaggio in un camper girando per mezza Europa. Abitavano in un centro residenziale sulla via Flaminia, a circa trenta chilometri da Roma. Era loro intenzione viaggiare per poco meno di un mese, ma per molte ragioni lasciare la loro residenza senza qualcuno in casa non lo potevano fare. La mia collega sapendo che ancora non avevo preso una decisione circa il luogo dove trascorrere le mie ferie mi girò la proposta che le aveva fatto la propria sorella. In poche parole ecco di cosa si trattava. La famiglia di sua sorella era composta oltre che da lei, dal marito e da tre figli ancora minorenni. Il giorno della loro partenza, di prima mattina, io e la mia famiglia, gatta Micia compresa, andammo da loro perché ci avrebbero dato le chiavi di casa e le indicazioni per il nostro soggiorno. Non volevano nulla per quanto riguardava l'affitto. A loro bastava che qualcuno abitasse in casa durante tutta la loro assenza. L'offerta era alquanto allettante perciò accettai. Quella mattina rimanemmo di stucco. Ci trovammo di fronte una grande villa e davanti il cancello, un lussuoso camper adatto almeno per una dozzina di persone. Ci fecero visitare la villa da cima a fondo. Era composta da un ampio locale al piano seminterrato adibito a garage e a locale magazzino con tanto di rampa d'accesso. C'era poi un piano a livello strada composto da ingresso, cucina, bagno, soggiorno e una scala interna che conduceva al piano superiore dove c'erano quattro camere delle quali tre da letto, due bagni e un'altra scala per accedere ad una grande mansarda. Nella villa, circondata da un giardino con piante e prato all'inglese, c'era una piscina all'aperto, un altro prato ed un piccolo appezzamento di terreno con un orto pieno di piante di pomodoro, piselli, zucchine, melanzane, insalata, odori vari, nonché un pollaio con una ventina tra galli e galline. Dimenticavo: passeggiava indisturbata nel prato anche una grossa tartaruga e bighellonavano in quell'Eden due cani, uno alto e grosso simile ad un lupo e l'altro, un cucciolo, entrambi frutto di vari incroci. Senza guinzagli e neppure museruole. I "camperisti", impazienti, appena terminata la visita della dimora e dopo averci segnalato la presenza di un congelatore grande come due maxi- frigoriferi, pieno fino all'orlo di verdure, ortaggi e altri cibi congelati; due armadi di cucina stracolmi l'uno di cibo per cani e mangime per il pollame e l'altro di pasta, olio, aceto, salumi vari, legumi, scatolette di tonno e altro, ci hanno fornito alcune indicazioni, ci hanno invitato a far uso di quello che più gradivamo e ci hanno salutato molto cordialmente. Ho fatto in tempo ad augurargli buon viaggio? Non me lo ricordo, ma nella fretta può darsi anche di no. Riuscii a riprendermi da quell'incontro abbastanza in fretta, chiamai le truppe a raccolta – mia moglie e mio figlio – e decidemmo di comune accordo i reciproci incarichi. La mia metà intendeva occuparsi soltanto del riordino della villa, mio figlio dopo un tuffo in piscina si mise subito in contatto con amici coetanei e cugini informandoli delle attrattive residenziali, a me rimase il resto: preparazione prima colazione, pranzo e cena per i cani e per noi; irrigazione verde e orto; raccolta ortaggi e verdure pronti per la tavola; visita al pollaio per fornire ai suoi occupanti il mangime necessario. Questa fu un'operazione direi a dir poco pericolosa poiché galli e galline percependo forse la mia antipatia per loro volevano prendermi a beccate ma feci in tempo a squagliarmi. Il mangime lo lanciavo loro dall'alto del recinto. Tutto andò per il meglio per quasi l'intera durata del nostro soggiorno fino a quattro giorni prima del previsto rientro dei "camperisti". Il tempo si era mantenuto splendido fino ad allora, poi venne giù il diluvio: i cani, ma anche noi, spaventatissmi e, dal pollaio, silenzio assoluto. Verso le diciotto sentimmo arrivare il camper e, sotto la pioggia, scesero sette od otto persone che ci salutarono con entusiasmo infilandosi di corsa in casa. Malgrado il loro invito a rimanere ancora ed i loro sinceri ringraziamenti noi raccogliemmo le nostre cose, Micia compresa, la quale durante il nostro soggiorno era dovuta stare rinchiusa nella mansarda causa la non perfetta identità di vedute con i due cani peraltro buoni e affettuosi, quasi umani. Ci siamo salutati cordialmente e quindi abbiamo intrapreso il nostro ritorno a casa . Per mia moglie e mio figlio mestamente mentre io invece mi son sentito molto più rinfrancato.

lunedì 12 ottobre 2015

RICORDI D'INFANZIA E ADOLESCENZA

Quarcheduno sa che er blogghe mio l'ho chiamato VIA DELLA POLVERIERA che sarebbe quela via a du' passi dar Colosseo, indove io e antri tre fratelli mia semo nati dar '928 ar '937. E cche vor di' direte voi? Gnente, tanto pe' favve sape' e vede' sia quer portone der palazzo che, seconno me, c'avrà più de cent'anni. e anche li strumenti che mi madre adoperava pe facce aritrova' er lume de la raggione (mettemola così). Io' l'ariconfesso, so' stato quello che, armeno fino a diciott'anni, la perdevo spesso.

mercoledì 7 ottobre 2015

IL LATINO SI STA VENDICANDO

Quando oltre 70 anni fa andavo a scuola, oltre alla matematica, l'altra materia che non gradivo affatto era per l'appunto il latino, tanto che l'insegnante era indecisa se affibbiarmi il 2 o al massimo il 3 come voto. Ricordo che non ho mai superato il 3., questo è sicuro. Da un pò di tempo mi ronzano nella testa citazioni, frasi, locuzioni, motti e proverbi, tutti in latino. Ma da dove vengono? Chi li manda? Ne cito solo una parte senza aggiungere traduzione dato che sono abbastanza noti. = Ad maiora. Alea iacta est. Alter ego. Ante litteram. Ave Caesar morituri te salutant (io non ero ancora nato ma comunque il saluto a Cesare non glielo avrei fatto); = Carpe diem. Cave canem (sopra un bianco cartoncino ed a lettere cubitali in rosso ho scritto questo due parole. Quando Pasquale mi fa incavolare, chiudo la porta della mia stanza e fuori attacco il cartoncino perché non voglio essere disturbato); = Deus ex machina. De gustibus non est disputandum. Dies irae. Do ut des; = In vino veritas; = Memento audere semper; = Noli me tangere; = Obtorto collo; = Pecunia non olet; = Si vis pacem, para bellum; = Semel in anno licet insanire (mi pare giusto).

sabato 12 settembre 2015

A COLLOQUIO CON PASQUALE (oppure COME PRENDERE UN ABBAGLIO)

Per la verità più che un colloquio c'è stata tra me e lui, il mio PC, una conversazuine piuttosto animata nella quale io parlavo e lui no, ascoltava in silenzio, muto come un PC. Il fatto è questo. Ieri l'altro mi è successo qualcosa a causa della quale, benché siano trascorse 48 ore, non riesco ancora a riprendermi. Cercherò di essere breve ma non ci riuscirò. Sopra la mia scrivania, davanti la quale sono seduto svariate ore del giorno e, qualche volta, anche della notte, c'è un caos calmo, piatto, silenzioso ma piuttosto ingombrato. Eppure un tempo ero fin troppo ordinato, direi meglio, pignolo. Ormai non più. Alla destra di dove mi metto seduto ci sono tre gruppi di fogli,foglioni e foglietti di carta sui quali scrivo appunti riguardo esigenze di casa e mie personali, nonché ciò che devo ricordarmi di fare nei giorni che si susseguono o di dire cose a mio figlio quando effettua le sue visite quotidiane. Puntualmente non lo ricordo mai. È il bello della memoria che lentamente ma inesorabilmente sta svanendo. Però mi piace farlo anche perché uso quello che resta di una delle risme di carta protocollo uso bollo da me acquistate nei primi mesi del 1973 per la mia attività lavorativa (questo lo ricordo). Al centro della scrivania lo schermo-monitor-display del PC con ai lati due piccole casse-audio. A sinistra il PC, il modem, una lampada da tavolo, un aggeggio per ricaricare batterie ricaricabili, un paio di foto, un portapenne-matite, una piccola stampante e varie prese di corrente con spine annesse che uso soltanto in parte. Le rimanenti a che servono? Boh. E veniamo al perché del colloquio con Pasquale-PC. Sul piano della scrivania, sulla destra, oltre ad un orologio-sveglia che non uso mai, un piccolo misuratore di ossigeno nel sangue, un cordless per il telefono fisso, un cellulare di antica data, il telecomando del televisore con tasti a iosa (la maggior parte dei quali mai usati) e, sotto lo schermo del PC, la tastiera e il topo-mouse. Terminate le mie attività mattutine, dopo colazione, accendo il PC. Lo schermo si illumina, appare completo il contenuto del desktop, cerco di manovrare il topo-mouse ma non appare la freccina, né la clessidra e neppure la manina. Oh perbacco, che succede? Premo con delicatezza, con forza, con rabbia. Blandisco Pasquale dapprima con gentilezza poi sempre più con grida e minacce ma il PC non dà segni di vita. Cerco di intavolare con lui una discussione ma non ottengo alcun risultato. Chiamare il tecnico costa e allora decido di suicidarmi. Ma come? Gettarmi dalla finestra è inutile perché abito al primo piano, quindi al massimo,con la mia testa dura,rovinerei un po' il marciapiede. All'improvviso ho l'impressione di udire una specie di vocina proveniente dal PC. Per la miseria, è Pasquale che mi sussurra sottovoce "cretinetto, guarda che stai premendo i tasti del telecomando del televisore. Svegliati, oppure fatti ricoverare presso qualche casa di riposo per lungodegenti". LA SERA, PER VEDERE IL TG E POI UN FILM, LOTTA CRUENTA COL TELECOMANDO.

domenica 6 settembre 2015

SUPERSTITI METROPOLITANI

La giornata del 12 agosto la devo proprio raccontare perché ha dell’incredibile, ma è la pura verità. Nei 22 appartamenti in sette piani che fanno parte del fabbricato in cui abito devo ritenere di essere rimasto l’unico superstite o quasi visto quanto è accaduto. La categoria custodi-portieri è estinta. Sono le 9.00, qualcuno suona alla porta, domando chi è e mi sento rispondere che è la figlia del vicino la quale viene a portarmi le chiavi di casa sua. Già, l’avevo dimenticato, come ogni estate mi danno le loro chiavi perché io pensi al loro gatto di casa, durante l’assenza di tutta la famiglia. Io questo gatto non l’ho mai visto. Ogni giorno che sono entrato per le sue necessità lui non c’è. Ma esiste oppure no? Invece esiste e me n’accorgo dal fatto che mangia quello che gli preparo aprendo varie scatolette, beve l’acqua e lascia nella sua sabbietta parte di quello che ha mangiato e bevuto. Chicco – così si chiama – si nasconde, oppure dorme, oppure è un fantasma che finge di essere un gatto. Verso le 11 suona il citofono, domando chi è e mi rispondono “la postaaa”. Quindi apro il portone e tutto sembra sistemato salvo il fatto che per me non c'è posta e neppure bollette da pagare (almeno 'sto mese) ma solo qualche depliant pubblicitario per vacanze in località esotiche. Grazie tante, questa pubblicità mi è molto utile (!). Alle 14.30 mentre sto facendo una pennichella sento suonare alla porta di casa. E mò chi è? Lo domando e un’altra vicina, single, abbastanza giovane, che non sta quasi mai in casa, mi dice che deve chiedermi un favore. Le dico di accomodarsi, ma non può perché ha lasciato la porta di casa aperta. Mi espone un suo problema. Cade acqua nel suo bagno proveniente dall’appartamento del piano di sopra. Embè? E io che c’entro? Mi prega di andare da lei a dare un’occhiata. Io da buon vicino aderisco, entro, vedo che sta piovendo un poco sopra il suo water benché fuori il sole spacca le pietre e mi rendo conto del problema. Le suggerisco di andare da quelli di sopra: sono in vacanza, allora dall’amministratore del condominio: idem c.s. E’ inutile chiamare un idraulico perché il danno va riparato dall’appartamento soprastante E allora? Le suggerisco alcuni provvisori ridicoli rimedi come se io ne capissi qualcosa e la saluto augurandole buon ferragosto! E arriviamo alle 16.30. Anche questa volta suonano alla porta. La solita domanda “chi è?” e mi risponde una voce maschile, accento veneto per quello che capisco io, che mi richiede cortesemente un favore! Ancora? Ma che succede? Con precauzione gli apro la porta, prima si presenta, poi mi afferma che abita al quarto piano – io non l’ho mai visto – e mi racconta che una sua domestica nel fare le pulizie ha acceso contemporaneamente troppi apparecchi e quindi le è saltata tutta la corrente elettrica. Gli preciso subito che non sono un elettricista così come alla precedente visitatrice avevo precisato di non essere un idraulico, ma lui mi assicura che ha soltanto bisogno delle chiavi della cantina dove si trovano tutti i contatori dell’intero fabbricato custoditi in una sorta di armadio di ferro e vetro con tanto di serratura tipo cassaforte. Aggiunge che purtroppo le chiavi della cantina le ha la propria moglie la quale trovasi in questo periodo in vacanza al mare e quindi mi chiede se gliele posso prestare. Io invece mi presto ad accompagnarlo, lui accetta e allora scendiamo insieme. Gli faccio vedere tutte le operazioni necessarie da compiere dato che lui non ci ha mai messo piede, gli dico di rientrare in casa e di avvisarmi se tutto è andato a posto. Riscende e mi conferma il ripristino della corrente. Risaliamo, mi ringrazia molto presentandosi – come il solito non ho capito né nome e neppure il cognome – mi saluta e se ne va. Passano appena trenta minuti e il campanello della porta torna a suonare. Ho capito, forse non devo rispondere a suonate di qualsiasi tipo. Ecco invece altra suonatina del campanello. Ripeto la stessa domanda e mi risponde la voce del veneto del quarto piano. Povero me, la corrente elettrica gli è scomparsa un’altra volta. E invece??? Lui mi porge sorridendo una capace busta di carta con dentro cinque bottiglie di vino accompagnate da un largo sorriso e da numerosi altri ringraziamenti. Io resto imbambolato, cerco di dirgli che non è il caso, che mi sento imbarazzato, ma lui non sente ragioni. Insiste dicendo che lui è un commerciante in questo ramo, mi porge la mano e mi saluta ancora più calorosamente di prima. Poggio le cinque bottiglie sul ripiano della credenza, ne leggo le etichette, non ne capisco granché dato che “parlano” francese e le metto in attesa. Però, hai capito il veneto che bravo, tre rossi e due bianchi, un po’ elevati di grado ma pazienza soffrirò in silenzio. DULCIS IN FUNDO: poco dopo le 18 la suonata al citofono di mio figlio che è solito passare quasi quotidianamente per una visitina. Dà un’occhiata in giro, incrocia le cinque bottiglie e le squadra. “Papà”, mi dice, “questo è vino di alta qualità”. Lui afferma di essere un discreto intenditore e un buon bevitore. Neppure gli interessa sapere da dove sono piovute quelle bottiglie, le scruta attentamente e tre di loro s’involano verso casa sua, Poi, di quello rimasto, mi raccomanda di berlo con parsimonia dato che è vino d’alta gradazione. Con tanti ringraziamenti al gentile signore del quarto piano e alle chiavi della cantina in vacanza.

martedì 1 settembre 2015

SUL TARDI DI UNA CALDA MATTINA DI LUGLIO

Il tempo passa e, come al solito, l'ansia mi assale sempre di più. Ma, dopo qualche minuto, suonano alla porta di casa. Aprono e introducono nella mia stanza una signora, non molto giovane, aspetto piacevolissimo, sorridente, capelli corti chiari e occhialetti da vista simpatici. Un vestito a pois leggerissimo, quasi un velo, lungo dalle spalle alle caviglie. Non osservo altro perchè resto sdraiato nel mio letto mentre lei si siede accanto in una poltroncina. Nel farlo, accavalla le gambe e...op là...il velo si apre. Non indossa calze o reggicalze - capisco, fa caldo - e la sua epidermide, dalla caviglia sino a tre quarti della gamba accavallante, mi appare dorata. Cerco di distrarmi sollevando il mio sguardo più in alto ed ella, piegandosi in avanti più di una volta, grazie ad una scollatura piuttosto generosa - capisco, fa caldo - mi offre l'opportunità di ammirare un bel panorama. La citata ampia scollatura mi consente inoltre di osservare che indossa una sottoveste merlettata di colore nero, sicuramente minigonnata, retta appena da due sottilissime spalline e forse anche da qualcosa che si intravede. Reggiseno no -capisco, fa caldo. Dall'interno del decolletè riesco anche a vedere le scarpe. Basse, senza tacco. Mi dovevo bendare gli occhi? No, un gesto ineducato. Durante tutto il tempo mi è risuonata nelle orecchie l'aria di una romanza della TOSCA di Giacomo Puccini "LE BELLE FORME DISCIOGLIEAN DAI VELI". Causa una botta di caldo? Mah.Forse.

venerdì 28 agosto 2015

A DOMANDE HO RISPOSTO

Che scuole hai frequentato? Scuole pubbliche fino alla "conquista" della licenza della terza media inferiore inclusa (che ho ripetuto tre volte). Poi non ho voluto più studiare. Che tipi di mestieri hai intrapreso in gioventù?Apprendista presso una filiale di Società italo-americana che si occupava di riparazione e installazione di macchine calcolatrici. Avevo 14 anni. Dopo qualche mese andai a fare una specie di fattorino su dei piccoli autocarri in sostituzione dei mezzi pubblici che subito dopo l'occupazione di Roma da parte dei tedeschi (luglio 1943-giugno 1944)  non erano in grado di funzionare. In seguito aiuto macchinista al Teatro Galleria sotto la Galleria Colonna di fronte Palazzo Chigi. Poi terzo aiuto elettricista sempre al Teatro Galleria. Ho fatto anche qualche giorno di manovale-cementista. Purtroppo in quegli anni (1944-1948) il lavoro scarseggiava. Sul finire del 1948 riuscii ad essere assunto presso uno studio notarile come dattilografo. Nel 1950 un anno di militare in Piemonte (Casale Monferrato e Asti). Durante tale periodo il Notaio dove lavoravo morì e al mio ritorno venni assunto da suo figlio architetto che mi affidò l'incarico di assistente (contrario) ai lavori di un fabbricato sulla via Cristoforo Colombo da lui progettato e del quale dirigeva i lavori stessi. Nel 1956, dopo sposato, tramite un annuncio su un quotidiano romano venni assunto da un altro Notaio e da allora seguitai la mia "carriera" di dipendente di vari studi notarili, fino ai primi anni novanta. Non sono mai stato un dipendente pubblico. Durante il periodo della mia disoccupazione mi veniva chiesto se avevo fatto il servizio militare, oppure se avevo la patente, oppure ancora se potevo accompagnare la mia richiesta di assunzione presso un'azienda pubblica da una raccomandazione di un monsignore(???). A volte mi guadagnavo le "mille lire" prendendo parte come teatrante amatoriale (presentatore, spalla del comico ecc.) ad alcuni spettacoli teatrali nelle sagre paesane vicino Roma. Come mai ti fai chiamare “Il Monticiano”? Perché sono nato a Via della Polveriera, di fronte al Colosseo, che fa parte del Rione I° di Roma, il Monti. Racconta di quando da ragazzo hai deciso di scappare di casa , arrivando fino a Napoli.  Ero il secondo dei quattro figli maschi dei miei genitori e quella volta toccava a me lavare i piatti (se non ricordo male era il 1945). Non mi andava per niente. Quella è stata la seconda mia fuga da casa,delle tre complessive. Descriviti in 3 aggettivi. Forse un po' pignolo (retaggio del mio lavoro ultratrentennale presso studi notarili), paziente e, perché no, a volte anche rompiscatole. Il tuo motto? Cercare di dare meno fastidio al prossimo. Che messaggio vorresti lanciare ai giovani di oggi?  Non seguite il mio esempio ma studiate e istruitevi al massimo.

mercoledì 26 agosto 2015

MI DILETTO, diciamo così

ad apprendere quotidianamente dai media (stampa e TV) della dipartita di persone più o meno note, dell'età media tra i circa 80 e i quasi 90 anni. Naturalmente a loro ci sono da aggiungere i perfetti sconosciuti che non credo siano pochi. Dovrei dedurne pertanto che con i miei quasi 85 molto probabilmente e quasi di diritto, entrerò a far parte di questo secondo gruppo tra non troppo tempo. Sono pronto. Testamento non lo devo fare dato che non possiedo nulla da lasciare, soltanto parole.