È l'anno 1966 e, sposati
da circa 10 anni, io e mia moglie abbiamo un figlio che ha 7 anni.
Lui ha preso da me e, come si usa dire, “tale padre, tale figlio”.
Mi somiglia infatti per quanto riguarda le fughe. Io ne feci tre
intorno ai 14 e i 15 anni, lui invece è stato più precoce.
Fortunatamente le sue mini-fughe si sono interrotte all’età di 9
anni. La prima mini-fuga la esegue a poco più di 4 anni. Un giorno
mia moglie va a prenderlo all’uscita dalla scuola materna quando
lui, improvvisamente, si divincola dalla sua mano e corre
velocemente incontro a chissà quali avventure. La scena è questa:
mamma urlante a perdifiato cerca d’inseguire il pargolo ormai
distante. Un brav’uomo, captato il SOS, blocca il fuggitivo mentre
lo stesso sta scendendo dal lungo marciapiede diretto verso il
traffico cittadino. Madre disperata, brav’uomo consolante, bimbetto
sghignazzante. Rientrano a casa e che fa la madre? Informa subito il
figlio che telefonerà al genitore in ufficio per informarlo di tutto
l’accaduto e gli dice queste precise parole: “adesso telefono a
papà così viene a casa e vedrai quello che ti succede”. Questa
frase, scolpita a chiare lettere sia nella mente della mamma, sia in
quella del pargolo, sia infine negli annali della storia, verrà
ripetuta credo fino alla maggiore età del bimbo. In definitiva io
sono il bau-bau, l’orco nero, il mangiabambini e invece lei che
cosa è se non la mammina adorata che non ha mai rimproverato o
sgridato la sua creatura?. All’età di 7 anni il pargolo frequenta
la II^ elementare di una scuola distante oltre un chilometro da casa.
Andata e ritorno, all’entrata (ore 8) e all’uscita (ore 16), lui
e un suo compagno di scuola abitante nella nostra stessa via - amici
per la pelle - vengono accompagnati dalle rispettive mammine. Un
giorno alle 15.10 circa ricevo una telefonata in ufficio. E’ la
mammina la quale, quasi piangendo, mi dice - “sai che ha fatto TUO
FIGLIO?” - A questo proposito io ho sempre saputo che: “la madre
è certa, il padre non si sa”. Perché allora in certi casi è mio
figlio ed in altri è nostro ed in altri ancora è suo? Misteri della
psiche. Comunque il misfatto compiuto dai due amiconi è stato quello
di fuggire dalla scuola alle 15 anzichè attendere l’arrivo delle
mamme alle 16, di prendere armi e bagagli e, saltellando
allegramente, di tornarsene ognuno a casa propria. Anzi no - mio,
tuo, suo, insomma nostro figlio ci ha messo il carico da undici. Se
ne va a casa dall’amico, fanno prendere anche alla di lui mamma un
grosso spavento e, giocando con la sorellina dell’amico, vedendole
sul visetto due guanciotte rosse e molto paffute, esclama: “la
pesca”! E le dà un morso sulla guancia. Eccolo chi è il
mangiabambini! Fortuna che padre e madre sono nostri amici e, bontà
loro, perdonano. Quindi l’ultima mini-fuga. La mammina e il
pargoletto sono soliti trascorrere i pomeriggi all’aria aperta,
tempo permettendo, nei parchi che distano poco da casa. Questa volta
tocca al Parco del Colle Oppio sovrastante la Domus Aurea – Casa
di Nerone di fronte al Colosseo. Camminano entrambi, mano nella mano,
lungo il vialone che arriva fino al Largo della Polveriera, mia
moglie distraendosi nell’ammirare il panorama, mio figlio rovinando
le scarpe per prendere a calci i sassolini della ghiàia che copre i
vialetti del giardino. Improvvisamente uno di questi sassolini,
calciato in aria dal pargolo, nel ricadere va a colpire esattamente
un puntino qualsiasi del parabrezza di un’auto che passa proprio
nello stesso istante e, scheggiandolo, lo fa diventare una ragnatela.
In quest’ulteriore scena, descrittami in seguito, i personaggi si
muovono così: l’automobilista infuriato frena bruscamente e scende
dall’auto, si avvia verso la mammina che con le mani nei capelli
sta quasi per piangere mentre del pargolo-colpevole non c’è
traccia alcuna. I due si mettono alla ricerca del fuggitivo, lo
scovano nascosto chissà dove – forse a casa Nerone – parlano del
fatto che il danno va riparato (e pagato), decidono prima di passare
da un meccanico per conoscerne l’entità e poi, dato che la mammina
esce da casa sempre con poche lire, di venire da me in ufficio poco
distante dal luogo del misfatto. Durante il tragitto il pargolo
assilla l’automobilista con la descrizione che fa del proprio
genitore, forse gli avrà anche detto che se mi girano posso anche
uccidere, chi lo sa. Quello che io vedo quando mi appaiono in ufficio
i tre…beh diciamo i due e qualcosa perché il pargolo è
completamente nascosto dalla gonna della madre, è una scena da film
lacrimevole. Compunti e quasi silènti riescono a stento a dirmi
dell’accaduto. Prendo atto, dico poche parole e mollo le lire. I
conti con l’automobilista li ho regolati, quelli con i demolitori
di macchine altrui lo farò a casa.
***Questi furono
alcuni degli episodi che mi indùssero a prendere la patente d’auto
e fanno parte del “prima” in quanto ogni volta che il bimbo
fuggiva, la mamma chiamava e io con la macchina accorrevo. Dovevo
dire e fare qualcosa e invece lo guardavo soltanto. L’episodio
però più convincente quello cioè della goccia che fece traboccare
il vaso fu il seguente:
È il 10 luglio 1966 una
caldissima giornata d’estate ed io, il pargolo e la mammina
dovremmo iniziare a pranzare ma lei è ancora indaffarata con
qualcosa che improvvisamente le cade di mano e si va ad infrangere
sulla parte superiore del suo piede destro. Una caraffa di vetro
colma d’acqua le produce un brutto taglio. Perde sangue. Non so
perché non mi viene in testa di chiamare l’ambulanza. Cerco
qualcuno nel palazzo che ha la macchina e che ci possa portare me e
mia moglie al più vicino pronto soccorso. Non trovo nessuno. Mi
ricordo di quel nostro amico, il padre della “pesca”. Di corsa
vado su, loro pure stanno mangiando ma lui smette subito ed esce con
me. Lascio lì mio figlio sperando che non si mangi la “pesca”.
Di corsa all’ospedale ed in poco tempo tutto sistemato. Prendo
l’estrema decisione. L’indomani mi iscrivo ad una vicinissima
scuola guida e seguo tutte le lezioni teoriche con molta attenzione.
Un istruttore mi fa fare anche ore di pratica e arriva il giorno
dell’esame alla presenza, nella macchina da me guidata, di un
funzionario credo della Prefettura. Accanto a me siede l’istruttore.
Via, si parte, magari a singhiozzo ma si parte. Dopo una buona
mezz’ora di varie grattate nel cambiare le marce, di fanali e
marciapiedi evitati per puro miracolo, di inutili tentativi di
parcheggio - avanti e indrè non ricordo per quante volte – il
funzionario, lui sudatissimo, noi pure, esplode e mi ordina di
fermarmi. Tre giorni dopo mi telefona l’istruttore e m’informa
che posso andare a ritirare il foglio rosa, anteprima della patente.
Ancora oggi mi chiedo: se le patenti vengono concesse ad un incapace
come me chissà se è meglio non girare tanto per le strade. Il
giorno stesso del “rosa” parlo con un cliente dello studio dove
lavoro, proprietario di una società di vendita d’auto usate e a
rate. Prendo appuntamento per l’indomani e ci vado accompagnato da
mio fratello più piccolo (di 7 anni) lui sì patentato doc. Col
“rosa” si può guidare col patentato accanto. Acquisto una 600
che sembra abbastanza in forma e mio fratello mi dice che devo
guidare io. Da lì a casa sono circa 10 chilometri e, quando
finalmente arriviamo, lui scende mi augura buona fortuna e se ne va
credo maledicendo il giorno in cui m’ha detto che m’avrebbe
accompagnato. La giornata fatidica arriva. Precisamente il 19 agosto
1966 mi viene consegnata dalla Prefettura di Roma la Patente con la P
maiuscola, quella vera.. Domenica prossima si va ai pranzare ad uno
dei Castelli Romani. Partiamo verso le 10 a.m., non si sa mai.
Allegri come una Pasqua, mammina e il rampollo, tetro come il 2
novembre io. Sto attentissimo a non superare i 20 Km.l’ora benchè
i cartelli indichino un numero maggiore, ma non mi riguarda.
Riguarda però chi si azzarda a starmi dietro. Tre ore di viaggio
senza alcun incidente. Per un percorso di un’ora e non di più
credo sia un record, negativo forse. Tutti felici e contenti, meno io
che già sto pensando al ritorno.
***Negli anni a
seguire non è che la mia guida cambiò di molto. Certo camminavo
molto più veloce ma osservavo scrupolosamente il codice della strada
come, ad esempio, cedere il passo ai pedoni sulle loro strisce,
fermarsi ai semafori quando inizia il giallo e attendere
scrupolosamente il riapparire del rosso, non investire animali di
qualsiasi tipo e cose del genere. Solo che io frenavo bruscamente
tanto che colui o colei che mi seguiva inevitabilmente mi tamponava.
Sono stato per un lungo periodo l’incubo degli automobilisti, delle
loro case assicuratrici, ma il più apprezzato dai carrozzieri.
Almeno una volta ogni 15 giorni ero da loro a rifarmi il paraurti
posteriore nuovo o un’altra riparazione qualsiasi. Prima che
mandassi la mia cara 600 in pensione, dopo tre anni, nel 1969 ebbi
anch’io il mio momento di celebrità tamponando una macchina. Solo
che era quella di mio fratello più grande che guidava la sua davanti
a me in una strada provinciale. Ci mettemmo tutti a ridere per la
stranezza del caso. Lui si era diligentemente fermato allo stop. E
gli agenti delle due nostre rispettive società assicuratrici si
resero conto della nostra assoluta buona fede e ci rimborsarono il
costo delle riparazioni. Sorridendo: chissà perché? Ne avrei
altre da raccontare sulle mie doti da automobilista, ma non le
rammento più così dettagliatamente come quelle sopradescritte.***
TRANQUILLI,
DA 20 ANNI NON HO PIU' RINNOVATO LA PATENTE E NON HO AUTO.