lunedì 14 dicembre 2015

GLI AUGURI

AUGURO BUONE FESTE A TUTTI,

aldo.

domenica 18 ottobre 2015

VILLEGGIATURE ESTIVE

Ricordo una particolare villeggiatura che facemmo io e la mia famiglia nel 1977. La sorella di una mia collega di lavoro con la sua famiglia, desiderava tanto fare un viaggio in un camper girando per mezza Europa. Abitavano in un centro residenziale sulla via Flaminia, a circa trenta chilometri da Roma. Era loro intenzione viaggiare per poco meno di un mese, ma per molte ragioni lasciare la loro residenza senza qualcuno in casa non lo potevano fare. La mia collega sapendo che ancora non avevo preso una decisione circa il luogo dove trascorrere le mie ferie mi girò la proposta che le aveva fatto la propria sorella. In poche parole ecco di cosa si trattava. La famiglia di sua sorella era composta oltre che da lei, dal marito e da tre figli ancora minorenni. Il giorno della loro partenza, di prima mattina, io e la mia famiglia, gatta Micia compresa, andammo da loro perché ci avrebbero dato le chiavi di casa e le indicazioni per il nostro soggiorno. Non volevano nulla per quanto riguardava l'affitto. A loro bastava che qualcuno abitasse in casa durante tutta la loro assenza. L'offerta era alquanto allettante perciò accettai. Quella mattina rimanemmo di stucco. Ci trovammo di fronte una grande villa e davanti il cancello, un lussuoso camper adatto almeno per una dozzina di persone. Ci fecero visitare la villa da cima a fondo. Era composta da un ampio locale al piano seminterrato adibito a garage e a locale magazzino con tanto di rampa d'accesso. C'era poi un piano a livello strada composto da ingresso, cucina, bagno, soggiorno e una scala interna che conduceva al piano superiore dove c'erano quattro camere delle quali tre da letto, due bagni e un'altra scala per accedere ad una grande mansarda. Nella villa, circondata da un giardino con piante e prato all'inglese, c'era una piscina all'aperto, un altro prato ed un piccolo appezzamento di terreno con un orto pieno di piante di pomodoro, piselli, zucchine, melanzane, insalata, odori vari, nonché un pollaio con una ventina tra galli e galline. Dimenticavo: passeggiava indisturbata nel prato anche una grossa tartaruga e bighellonavano in quell'Eden due cani, uno alto e grosso simile ad un lupo e l'altro, un cucciolo, entrambi frutto di vari incroci. Senza guinzagli e neppure museruole. I "camperisti", impazienti, appena terminata la visita della dimora e dopo averci segnalato la presenza di un congelatore grande come due maxi- frigoriferi, pieno fino all'orlo di verdure, ortaggi e altri cibi congelati; due armadi di cucina stracolmi l'uno di cibo per cani e mangime per il pollame e l'altro di pasta, olio, aceto, salumi vari, legumi, scatolette di tonno e altro, ci hanno fornito alcune indicazioni, ci hanno invitato a far uso di quello che più gradivamo e ci hanno salutato molto cordialmente. Ho fatto in tempo ad augurargli buon viaggio? Non me lo ricordo, ma nella fretta può darsi anche di no. Riuscii a riprendermi da quell'incontro abbastanza in fretta, chiamai le truppe a raccolta – mia moglie e mio figlio – e decidemmo di comune accordo i reciproci incarichi. La mia metà intendeva occuparsi soltanto del riordino della villa, mio figlio dopo un tuffo in piscina si mise subito in contatto con amici coetanei e cugini informandoli delle attrattive residenziali, a me rimase il resto: preparazione prima colazione, pranzo e cena per i cani e per noi; irrigazione verde e orto; raccolta ortaggi e verdure pronti per la tavola; visita al pollaio per fornire ai suoi occupanti il mangime necessario. Questa fu un'operazione direi a dir poco pericolosa poiché galli e galline percependo forse la mia antipatia per loro volevano prendermi a beccate ma feci in tempo a squagliarmi. Il mangime lo lanciavo loro dall'alto del recinto. Tutto andò per il meglio per quasi l'intera durata del nostro soggiorno fino a quattro giorni prima del previsto rientro dei "camperisti". Il tempo si era mantenuto splendido fino ad allora, poi venne giù il diluvio: i cani, ma anche noi, spaventatissmi e, dal pollaio, silenzio assoluto. Verso le diciotto sentimmo arrivare il camper e, sotto la pioggia, scesero sette od otto persone che ci salutarono con entusiasmo infilandosi di corsa in casa. Malgrado il loro invito a rimanere ancora ed i loro sinceri ringraziamenti noi raccogliemmo le nostre cose, Micia compresa, la quale durante il nostro soggiorno era dovuta stare rinchiusa nella mansarda causa la non perfetta identità di vedute con i due cani peraltro buoni e affettuosi, quasi umani. Ci siamo salutati cordialmente e quindi abbiamo intrapreso il nostro ritorno a casa . Per mia moglie e mio figlio mestamente mentre io invece mi son sentito molto più rinfrancato.

lunedì 12 ottobre 2015

RICORDI D'INFANZIA E ADOLESCENZA

Quarcheduno sa che er blogghe mio l'ho chiamato VIA DELLA POLVERIERA che sarebbe quela via a du' passi dar Colosseo, indove io e antri tre fratelli mia semo nati dar '928 ar '937. E cche vor di' direte voi? Gnente, tanto pe' favve sape' e vede' sia quer portone der palazzo che, seconno me, c'avrà più de cent'anni. e anche li strumenti che mi madre adoperava pe facce aritrova' er lume de la raggione (mettemola così). Io' l'ariconfesso, so' stato quello che, armeno fino a diciott'anni, la perdevo spesso.

mercoledì 7 ottobre 2015

IL LATINO SI STA VENDICANDO

Quando oltre 70 anni fa andavo a scuola, oltre alla matematica, l'altra materia che non gradivo affatto era per l'appunto il latino, tanto che l'insegnante era indecisa se affibbiarmi il 2 o al massimo il 3 come voto. Ricordo che non ho mai superato il 3., questo è sicuro. Da un pò di tempo mi ronzano nella testa citazioni, frasi, locuzioni, motti e proverbi, tutti in latino. Ma da dove vengono? Chi li manda? Ne cito solo una parte senza aggiungere traduzione dato che sono abbastanza noti. = Ad maiora. Alea iacta est. Alter ego. Ante litteram. Ave Caesar morituri te salutant (io non ero ancora nato ma comunque il saluto a Cesare non glielo avrei fatto); = Carpe diem. Cave canem (sopra un bianco cartoncino ed a lettere cubitali in rosso ho scritto questo due parole. Quando Pasquale mi fa incavolare, chiudo la porta della mia stanza e fuori attacco il cartoncino perché non voglio essere disturbato); = Deus ex machina. De gustibus non est disputandum. Dies irae. Do ut des; = In vino veritas; = Memento audere semper; = Noli me tangere; = Obtorto collo; = Pecunia non olet; = Si vis pacem, para bellum; = Semel in anno licet insanire (mi pare giusto).

sabato 12 settembre 2015

A COLLOQUIO CON PASQUALE (oppure COME PRENDERE UN ABBAGLIO)

Per la verità più che un colloquio c'è stata tra me e lui, il mio PC, una conversazuine piuttosto animata nella quale io parlavo e lui no, ascoltava in silenzio, muto come un PC. Il fatto è questo. Ieri l'altro mi è successo qualcosa a causa della quale, benché siano trascorse 48 ore, non riesco ancora a riprendermi. Cercherò di essere breve ma non ci riuscirò. Sopra la mia scrivania, davanti la quale sono seduto svariate ore del giorno e, qualche volta, anche della notte, c'è un caos calmo, piatto, silenzioso ma piuttosto ingombrato. Eppure un tempo ero fin troppo ordinato, direi meglio, pignolo. Ormai non più. Alla destra di dove mi metto seduto ci sono tre gruppi di fogli,foglioni e foglietti di carta sui quali scrivo appunti riguardo esigenze di casa e mie personali, nonché ciò che devo ricordarmi di fare nei giorni che si susseguono o di dire cose a mio figlio quando effettua le sue visite quotidiane. Puntualmente non lo ricordo mai. È il bello della memoria che lentamente ma inesorabilmente sta svanendo. Però mi piace farlo anche perché uso quello che resta di una delle risme di carta protocollo uso bollo da me acquistate nei primi mesi del 1973 per la mia attività lavorativa (questo lo ricordo). Al centro della scrivania lo schermo-monitor-display del PC con ai lati due piccole casse-audio. A sinistra il PC, il modem, una lampada da tavolo, un aggeggio per ricaricare batterie ricaricabili, un paio di foto, un portapenne-matite, una piccola stampante e varie prese di corrente con spine annesse che uso soltanto in parte. Le rimanenti a che servono? Boh. E veniamo al perché del colloquio con Pasquale-PC. Sul piano della scrivania, sulla destra, oltre ad un orologio-sveglia che non uso mai, un piccolo misuratore di ossigeno nel sangue, un cordless per il telefono fisso, un cellulare di antica data, il telecomando del televisore con tasti a iosa (la maggior parte dei quali mai usati) e, sotto lo schermo del PC, la tastiera e il topo-mouse. Terminate le mie attività mattutine, dopo colazione, accendo il PC. Lo schermo si illumina, appare completo il contenuto del desktop, cerco di manovrare il topo-mouse ma non appare la freccina, né la clessidra e neppure la manina. Oh perbacco, che succede? Premo con delicatezza, con forza, con rabbia. Blandisco Pasquale dapprima con gentilezza poi sempre più con grida e minacce ma il PC non dà segni di vita. Cerco di intavolare con lui una discussione ma non ottengo alcun risultato. Chiamare il tecnico costa e allora decido di suicidarmi. Ma come? Gettarmi dalla finestra è inutile perché abito al primo piano, quindi al massimo,con la mia testa dura,rovinerei un po' il marciapiede. All'improvviso ho l'impressione di udire una specie di vocina proveniente dal PC. Per la miseria, è Pasquale che mi sussurra sottovoce "cretinetto, guarda che stai premendo i tasti del telecomando del televisore. Svegliati, oppure fatti ricoverare presso qualche casa di riposo per lungodegenti". LA SERA, PER VEDERE IL TG E POI UN FILM, LOTTA CRUENTA COL TELECOMANDO.

domenica 6 settembre 2015

SUPERSTITI METROPOLITANI

La giornata del 12 agosto la devo proprio raccontare perché ha dell’incredibile, ma è la pura verità. Nei 22 appartamenti in sette piani che fanno parte del fabbricato in cui abito devo ritenere di essere rimasto l’unico superstite o quasi visto quanto è accaduto. La categoria custodi-portieri è estinta. Sono le 9.00, qualcuno suona alla porta, domando chi è e mi sento rispondere che è la figlia del vicino la quale viene a portarmi le chiavi di casa sua. Già, l’avevo dimenticato, come ogni estate mi danno le loro chiavi perché io pensi al loro gatto di casa, durante l’assenza di tutta la famiglia. Io questo gatto non l’ho mai visto. Ogni giorno che sono entrato per le sue necessità lui non c’è. Ma esiste oppure no? Invece esiste e me n’accorgo dal fatto che mangia quello che gli preparo aprendo varie scatolette, beve l’acqua e lascia nella sua sabbietta parte di quello che ha mangiato e bevuto. Chicco – così si chiama – si nasconde, oppure dorme, oppure è un fantasma che finge di essere un gatto. Verso le 11 suona il citofono, domando chi è e mi rispondono “la postaaa”. Quindi apro il portone e tutto sembra sistemato salvo il fatto che per me non c'è posta e neppure bollette da pagare (almeno 'sto mese) ma solo qualche depliant pubblicitario per vacanze in località esotiche. Grazie tante, questa pubblicità mi è molto utile (!). Alle 14.30 mentre sto facendo una pennichella sento suonare alla porta di casa. E mò chi è? Lo domando e un’altra vicina, single, abbastanza giovane, che non sta quasi mai in casa, mi dice che deve chiedermi un favore. Le dico di accomodarsi, ma non può perché ha lasciato la porta di casa aperta. Mi espone un suo problema. Cade acqua nel suo bagno proveniente dall’appartamento del piano di sopra. Embè? E io che c’entro? Mi prega di andare da lei a dare un’occhiata. Io da buon vicino aderisco, entro, vedo che sta piovendo un poco sopra il suo water benché fuori il sole spacca le pietre e mi rendo conto del problema. Le suggerisco di andare da quelli di sopra: sono in vacanza, allora dall’amministratore del condominio: idem c.s. E’ inutile chiamare un idraulico perché il danno va riparato dall’appartamento soprastante E allora? Le suggerisco alcuni provvisori ridicoli rimedi come se io ne capissi qualcosa e la saluto augurandole buon ferragosto! E arriviamo alle 16.30. Anche questa volta suonano alla porta. La solita domanda “chi è?” e mi risponde una voce maschile, accento veneto per quello che capisco io, che mi richiede cortesemente un favore! Ancora? Ma che succede? Con precauzione gli apro la porta, prima si presenta, poi mi afferma che abita al quarto piano – io non l’ho mai visto – e mi racconta che una sua domestica nel fare le pulizie ha acceso contemporaneamente troppi apparecchi e quindi le è saltata tutta la corrente elettrica. Gli preciso subito che non sono un elettricista così come alla precedente visitatrice avevo precisato di non essere un idraulico, ma lui mi assicura che ha soltanto bisogno delle chiavi della cantina dove si trovano tutti i contatori dell’intero fabbricato custoditi in una sorta di armadio di ferro e vetro con tanto di serratura tipo cassaforte. Aggiunge che purtroppo le chiavi della cantina le ha la propria moglie la quale trovasi in questo periodo in vacanza al mare e quindi mi chiede se gliele posso prestare. Io invece mi presto ad accompagnarlo, lui accetta e allora scendiamo insieme. Gli faccio vedere tutte le operazioni necessarie da compiere dato che lui non ci ha mai messo piede, gli dico di rientrare in casa e di avvisarmi se tutto è andato a posto. Riscende e mi conferma il ripristino della corrente. Risaliamo, mi ringrazia molto presentandosi – come il solito non ho capito né nome e neppure il cognome – mi saluta e se ne va. Passano appena trenta minuti e il campanello della porta torna a suonare. Ho capito, forse non devo rispondere a suonate di qualsiasi tipo. Ecco invece altra suonatina del campanello. Ripeto la stessa domanda e mi risponde la voce del veneto del quarto piano. Povero me, la corrente elettrica gli è scomparsa un’altra volta. E invece??? Lui mi porge sorridendo una capace busta di carta con dentro cinque bottiglie di vino accompagnate da un largo sorriso e da numerosi altri ringraziamenti. Io resto imbambolato, cerco di dirgli che non è il caso, che mi sento imbarazzato, ma lui non sente ragioni. Insiste dicendo che lui è un commerciante in questo ramo, mi porge la mano e mi saluta ancora più calorosamente di prima. Poggio le cinque bottiglie sul ripiano della credenza, ne leggo le etichette, non ne capisco granché dato che “parlano” francese e le metto in attesa. Però, hai capito il veneto che bravo, tre rossi e due bianchi, un po’ elevati di grado ma pazienza soffrirò in silenzio. DULCIS IN FUNDO: poco dopo le 18 la suonata al citofono di mio figlio che è solito passare quasi quotidianamente per una visitina. Dà un’occhiata in giro, incrocia le cinque bottiglie e le squadra. “Papà”, mi dice, “questo è vino di alta qualità”. Lui afferma di essere un discreto intenditore e un buon bevitore. Neppure gli interessa sapere da dove sono piovute quelle bottiglie, le scruta attentamente e tre di loro s’involano verso casa sua, Poi, di quello rimasto, mi raccomanda di berlo con parsimonia dato che è vino d’alta gradazione. Con tanti ringraziamenti al gentile signore del quarto piano e alle chiavi della cantina in vacanza.

martedì 1 settembre 2015

SUL TARDI DI UNA CALDA MATTINA DI LUGLIO

Il tempo passa e, come al solito, l'ansia mi assale sempre di più. Ma, dopo qualche minuto, suonano alla porta di casa. Aprono e introducono nella mia stanza una signora, non molto giovane, aspetto piacevolissimo, sorridente, capelli corti chiari e occhialetti da vista simpatici. Un vestito a pois leggerissimo, quasi un velo, lungo dalle spalle alle caviglie. Non osservo altro perchè resto sdraiato nel mio letto mentre lei si siede accanto in una poltroncina. Nel farlo, accavalla le gambe e...op là...il velo si apre. Non indossa calze o reggicalze - capisco, fa caldo - e la sua epidermide, dalla caviglia sino a tre quarti della gamba accavallante, mi appare dorata. Cerco di distrarmi sollevando il mio sguardo più in alto ed ella, piegandosi in avanti più di una volta, grazie ad una scollatura piuttosto generosa - capisco, fa caldo - mi offre l'opportunità di ammirare un bel panorama. La citata ampia scollatura mi consente inoltre di osservare che indossa una sottoveste merlettata di colore nero, sicuramente minigonnata, retta appena da due sottilissime spalline e forse anche da qualcosa che si intravede. Reggiseno no -capisco, fa caldo. Dall'interno del decolletè riesco anche a vedere le scarpe. Basse, senza tacco. Mi dovevo bendare gli occhi? No, un gesto ineducato. Durante tutto il tempo mi è risuonata nelle orecchie l'aria di una romanza della TOSCA di Giacomo Puccini "LE BELLE FORME DISCIOGLIEAN DAI VELI". Causa una botta di caldo? Mah.Forse.

venerdì 28 agosto 2015

A DOMANDE HO RISPOSTO

Che scuole hai frequentato? Scuole pubbliche fino alla "conquista" della licenza della terza media inferiore inclusa (che ho ripetuto tre volte). Poi non ho voluto più studiare. Che tipi di mestieri hai intrapreso in gioventù?Apprendista presso una filiale di Società italo-americana che si occupava di riparazione e installazione di macchine calcolatrici. Avevo 14 anni. Dopo qualche mese andai a fare una specie di fattorino su dei piccoli autocarri in sostituzione dei mezzi pubblici che subito dopo l'occupazione di Roma da parte dei tedeschi (luglio 1943-giugno 1944)  non erano in grado di funzionare. In seguito aiuto macchinista al Teatro Galleria sotto la Galleria Colonna di fronte Palazzo Chigi. Poi terzo aiuto elettricista sempre al Teatro Galleria. Ho fatto anche qualche giorno di manovale-cementista. Purtroppo in quegli anni (1944-1948) il lavoro scarseggiava. Sul finire del 1948 riuscii ad essere assunto presso uno studio notarile come dattilografo. Nel 1950 un anno di militare in Piemonte (Casale Monferrato e Asti). Durante tale periodo il Notaio dove lavoravo morì e al mio ritorno venni assunto da suo figlio architetto che mi affidò l'incarico di assistente (contrario) ai lavori di un fabbricato sulla via Cristoforo Colombo da lui progettato e del quale dirigeva i lavori stessi. Nel 1956, dopo sposato, tramite un annuncio su un quotidiano romano venni assunto da un altro Notaio e da allora seguitai la mia "carriera" di dipendente di vari studi notarili, fino ai primi anni novanta. Non sono mai stato un dipendente pubblico. Durante il periodo della mia disoccupazione mi veniva chiesto se avevo fatto il servizio militare, oppure se avevo la patente, oppure ancora se potevo accompagnare la mia richiesta di assunzione presso un'azienda pubblica da una raccomandazione di un monsignore(???). A volte mi guadagnavo le "mille lire" prendendo parte come teatrante amatoriale (presentatore, spalla del comico ecc.) ad alcuni spettacoli teatrali nelle sagre paesane vicino Roma. Come mai ti fai chiamare “Il Monticiano”? Perché sono nato a Via della Polveriera, di fronte al Colosseo, che fa parte del Rione I° di Roma, il Monti. Racconta di quando da ragazzo hai deciso di scappare di casa , arrivando fino a Napoli.  Ero il secondo dei quattro figli maschi dei miei genitori e quella volta toccava a me lavare i piatti (se non ricordo male era il 1945). Non mi andava per niente. Quella è stata la seconda mia fuga da casa,delle tre complessive. Descriviti in 3 aggettivi. Forse un po' pignolo (retaggio del mio lavoro ultratrentennale presso studi notarili), paziente e, perché no, a volte anche rompiscatole. Il tuo motto? Cercare di dare meno fastidio al prossimo. Che messaggio vorresti lanciare ai giovani di oggi?  Non seguite il mio esempio ma studiate e istruitevi al massimo.

mercoledì 26 agosto 2015

MI DILETTO, diciamo così

ad apprendere quotidianamente dai media (stampa e TV) della dipartita di persone più o meno note, dell'età media tra i circa 80 e i quasi 90 anni. Naturalmente a loro ci sono da aggiungere i perfetti sconosciuti che non credo siano pochi. Dovrei dedurne pertanto che con i miei quasi 85 molto probabilmente e quasi di diritto, entrerò a far parte di questo secondo gruppo tra non troppo tempo. Sono pronto. Testamento non lo devo fare dato che non possiedo nulla da lasciare, soltanto parole.

sabato 11 luglio 2015

2 GIUGNO (scritto da mio figlio Massimo)

Ogni anno, quando si avvicina il momento di festeggiare questa storica giornata così importante per il nostro paese, mi torna in mente un intimo ricordo di quello che è stato il mio primo consapevole due giugno. Doveva essere il 1964 o il 1965, avevo o cinque o sei anni. Mio padre, come molti italiani, non aveva ancora la macchina - la mitica seicento arrivò solo nel '66. La giornata era bellissima,il cielo di un blu intenso e già da alcuni giorni faceva molto caldo per cui era naturalmente venuta a tutti, specialmente ai bambini, un'irrefrenabile voglia di mare. Sono quasi sicuro che già dal giorno prima avevo cominciato a fare la “lagna” ai miei per andare a Ostia. Come spesso succedeva, mi era stato detto che, per svariati motivi, non era possibile. Invece quella mattina, con grande sorpesa, mi svegliarono prima del solito e, armi e bagagli, si decise di andare tutti al mare.Non ricordo perchè ma avevamo una terribile fretta, non so se legata a motivo particolare o a una generica ansia di mio padre. Forse sapeva l'orario in cui partiva la metropolitana o immaginava che fossimo già in ritardo, fatto sta che la sensazione dominante che pervade tutto il ricordo di quel viaggio, da casa alla spiaggia, è quella di andare di corsa. Prendemmo l'autobus – credo il 90 – per arrivare al Circo Massimo, ma giunti a piazza Numa Pompilio, proprio sotto la casa del grande Albertone, l'autobus fu costretto a fermarsi e deviare la sua corsa.Quello che doveva essere il suo naturale percorso – cioè viale delle Terme di Caracalla – era tutto completamente occupato da una fila interminabile di carri armati, blindati, pezzi di artiglieria e tantissimi soldati. Mio padre a quel punto prese una decisione drastica. Avremmo comunque raggiunto il nostro obbiettivo, la fermata metro Circo Massimo, correndo a piedi in mezzo a tutta quella meraviglia. Naturalmente non era in corso nessuna guerra civile e neanche qualche tentativo di golpe. Tutto quell'armamentario era in attesa di sfilare per la tradizionale parata dei Fori Imperiali, ma io questo non potevo saperlo. Per me fu un'emozione di straordinaria intensità. Il ricordo è ancora vivo fin nei dettagli: correvamo zigzagando tra i carri armati con mio padre che mi tirava per mano, mentre io con l'altra tenevo mia madre con il suo vestito a fiori svolazzante e la borsa del mare. Credo che questa corsa non fosse completamente lecita, dato che qualche militare ci strillò di toglierci di mezzo. Mio padre riuscì però ad essere assolutamente convincente, correndo e sbracciandosi come per una reale e impellente urgenza. In realtà era solo per non perdere la metro. Di tutta questa catena umana in corsa, io ero in realtà l'anello frenante. Completamente rapito dagli enormi cingoli dei carri armati, il rumore assordante dei motori, la terra che tremava sotto i nostri piedi, vedevo per la prima volta concretizzarsi l'oggetto delle mie passioni, dei miei giochi infantili e non avevo alcuna voglia di lasciarmi scappare l'occasione di rimirarli, toccarli e magari anche montarci sopra. Adoravo tutto ciò che aveva a che fare con la guerra e con le armi, fossero giornalini, film o giochi. In particolare la seconda guerra mondiale, di cui avevo ascoltato molti racconti da chi l'aveva vissuta.Oggi mi viene da ridere al pensiero che, qualche anno più tardi, sarei stato un fiero e convinto obiettore di coscienza. La folle corsa terminò sotto il marmoreo edificio della FAO, risucchiati dai sotterranei metro della stazione Circo Massimo. Un turbine di vento ci rapì già dalle scale, annunciando l'arrivo della metro, che prendemmo al volo. Eravamo riusciti nel nostro intento e ora... solo mare.  

venerdì 3 luglio 2015

ESTIVO POST

I circa 35 gradi di calura qui a Roma mi solleticano per scrivere qualcosa di ridicolo e poiché in questo campo io sono un portento, affermo e confermo che fa un caldo boia. Lo so, non è una novità, ma se lo dico io che amo il caldo in quanto sono stato sempre e sin dalla nascita un gran freddoloso. giuro e arigiuro che l'Africa è più vicina a noi più di quanto non si creda. Ho sempre sentito dire che lì di notte fa addirittura freddo e allora ho deciso, m'imbarco su una nave della Guardia Costiera ed emigro in Libia.

lunedì 11 maggio 2015

IO SALUTO

Buongiorno, buonasera, buonanotte che sono usati normalmente come saluti augurali o di commiato, a volte possono anche non essere tali. Oppure essere male interpretati sia da chi li rivolge sia da chi li riceve. Allora come ci si deve comportare? Non lo so,posso soltanto cercare di capirne gli intendimenti. Io personalmente saluto, per esempio, amici, conoscenti, negozianti, commessi, commesse e cassiere dei supermercati e dei negozi dove abitualmente mi reco, gli operatori ecologici che cercano di mantenere pulite le strade, gli abitanti del fabbricato in cui risiedo anche se li vedo raramente. Gli incontri quasi quotidiani sono quelli che faccio casualmente da circa 45 anni nelle strade intorno alla zona dove risiedo con la mia famiglia. Il fabbricato che comprende la mia abitazione, suddiviso in quattro scale, è composto di circa 92 unità immobiliari - abitazioni, magazzini, negozi ed uffici - ed i proprietari si riuniscono ogni due o tre mesi nelle rituali assemblee condominiali alle quali partecipano però soltanto quella minima parte necessaria per arrivare alla maggioranza dei millesimi di proprietà. Io, pur non essendo un condomino ho partecipato, quale delegato del proprietario dell’abitazione che occupo, a numerose di queste assemblee in occasione delle quali ho avuto la possibilità di conoscere alcuni di questi condomini. Tra loro un tale, sempre taciturno, di cui non ricordo né il nome né il cognome, che partecipa sempre alle assemblee e che incontro spesso per strada. C’incrociamo, mi guarda, lo saluto e lui non risponde neppure con un cenno. Sarà muto? Sordo? No, perché una mattina l’ho visto che chiacchierava animatamente con un mio amico che conosco da oltre quindici anni, della stessa mia età e delle mie stesse idee politiche. Sono passato proprio vicino a loro, ho salutato: il mio amico ha risposto molto cordialmente, lui zitto, un pesce! Mi sono detto: vuoi vedere che lui, benché non so come ne sia a conoscenza, ha idee politiche completamente opposte alle mie? Neanche per sogno perché un giorno ha acquistato dallo stesso mio edicolante un quotidiano che va ancora più in là di come la penso io. Da me interpellato il medesimo edicolante mi ha informato che il “silente” acquista da anni sempre quello stesso giornale. E allora? Mah! Gli devo stare molto sulle cosiddette e non ne conosco il motivo. A volte percorro una strada dove affacciano numerosi fabbricati: uno solo di questi ha sempre il portone aperto davanti al quale sostano due settantenni, o giù di lì, i quali sono frequentemente immersi in animate ma pacifiche conversazioni. Quando sto per superarli uno dei due, il meno alto, il più rotondo, capello e pizzetto brizzolati, con gli occhi che brillano e con un ampio sorriso mi saluta cordialmente. Io nell’allontanarmi ricambio il saluto e mi chiedo: ma chi è? Non riesco a ricordarmi chi sia Eppure ogni volta che c’incontriamo, accade spesso perché anche lui dovrebbe abitare in zona, mi saluta ed io faccio altrettanto senza, però, riuscire a capire di chi si tratta. Perfino due giorni addietro nel salutarmi al “buongiorno” ha aggiunto “caro dottore”! Chissà per chi mi scambia. Io, posso quasi giurarlo, non lo conosco. Sarà qualcuno che si vuole divertire? Sempre durante il percorso di quelle strade vicino la mia abitazione incontro un altro amico, credo abbia più di 80 anni, il quale, unitamente alla moglie, viene spesso da queste parti per fare la spesa. Non appena mi vede, anche se è lontano, almeno la vista deve averla ottima, mentre per il resto è meglio tacere, si ferma, blocca la moglie accanto a sé, con fare autoritario mi fa cenno con la mano di avvicinarmi e appena mi trovo a portata di orecchie mi “ammolla” un monologo impetuoso cianciando tra i più svariati argomenti: dove ha lavorato, le opere che ha compiuto, la politica, il suo punto di vista opposto al mio, le sue altissime e molteplici conoscenze in ogni campo. Insomma un pozzo senza fine di scienza e conoscenza. Ho provato sempre ad interromperlo, ma non ci sono mai riuscito: le mie opinioni, il mio parere non gli interessano minimamente. Anche la moglie, che evidentemente lo conosce bene, cerca di fermarlo ma lui, dopo averle lanciato un’occhiata “fulminante”, la “stoppa” perentoriamente e prosegue nel suo soliloquio. Ad un certo punto, evidentemente per mancanza di fiato, si ferma e, con un filo di voce mi dice che: “ proseguiremo in un successivo incontro il nostro dialogo”. Ma se non mi ha mai fatto aprire bocca, io vorrei sapere: quando abbiamo “dialogato”? Adesso però, quando esco da casa e quindi dal portone, mi guardo bene intorno, mi munisco di un binocolo per poterlo scorgere anche a chilometri di distanza e, appena ne intravedo la sagoma, mi dirigo nella direzione opposta. Ecco quindi i motivi per cui: A) al “silente” non gli rivolgo il saluto; B) al “buontempone” glielo ricambio e al “logorroico”, poiché lo evito, glielo tolgo.

lunedì 4 maggio 2015

LA RAGAZZA CON I CAPELLI ROSSO FIAMMA

Ebbene sì, lo confesso, sono uno che s'incuriosisce specialmente quando fatti, persone e situazioni fanno aumentare il livello della mia innata curiosità. Faccio un esempio raccontando un ricordo di circa 4 anni fa.Una mattina, uscito di casa per recarmi alla vicinissima fermata del bus che dovevo prendere, il medesimo mi sfuggì proprio sotto il naso. Sapevo bene che il bus successivo sarebbe passato non prima di 15 minuti, almeno, ma pazienza .Mi guardai intorno e notai che ero solo. Dopo qualche minuto, vidi avvicinarsi una figura femminile che, forse a causa del sole,sembrava emanare bagliori di fuoco. Camminava lentamente parlando attraverso un telefonino poggiato sull'orecchio destro. Notai alcuni particolari della sua silhouette perché venne a fermarsi proprio davanti a me. Evidentemente anche lei aspettava il bus.Era una figurina magra, indossava una giacchetta blu di velluto rasato che non arrivava a coprirle il bacino. Le gambe snelle erano inguainate in jeans attillatissimi che terminavano in un paio di stivali neri alti fin sotto le ginocchia. Le mani erano piccole con le dita affusolate e le unghie smaltate di un colore scuro, quasi nero. Una delle mani stringeva il telefonino tramite il quale parlava sottovoce. I lineamenti del volto aggraziati e dolci erano circondati da una massa di capelli rossi, lisci e lunghi che le arrivavano oltre le spalle. Sulla fronte una frangetta.Notai il colore rosso vivo dei suoi capelli e, appena interruppe la conversazione telefonica, non riuscii a trattenermi e le dissi: = Mi scusi, non pensi che voglia infastidirla però vorrei chiederle se quei capelli sono suoi o se è una parrucca. Sa, il motivo per cui glielo chiedo è... = il colore vistoso, vero? = ecco, appunto...chiedo scusa ma... = stia tranquillo, non è la prima persona che me lo chiede... = lo credo bene, incuriosiscono molto = certo, ma questi sono veramente i miei capelli, tinti è ovvio. Mi piace che si notino... = mi scusi, ambisce forse a qualche ruolo in TV, al teatro o al cinema? = nemmeno per sogno, io faccio la parrucchiera ed è un mestiere che mi piace e che faccio bene... = peccato, ha tutti i requisiti adatti, mi permetta di dirglielo. È molto graziosa ed è giovane... = ho trentacinque anni e la gioventù ormai...Ma non mi lamento, sto bene così = le faccio i miei complimenti, sinceramente, mi creda, pensavo invece... = che fossi più giovane, la ringrazio...Ecco l'autobus, buon giorno...= Non feci in tempo a dire una sola parola che la "rossa" si avviò alla porta posteriore e salì. Io, stupito (o stupido?) salii da quella anteriore e dopo quattro fermate scesi. Malgrado mi fossi voltato più volte sbirciando tra i passeggeri del bus non riuscii a vederla. Circa un mese dopo, al termine della mia solita passeggiata, anziché iniziare il giro dalla via che imboccavo quando uscivo da casa e che facevo sempre, mi incamminai verso la via parallela arrivando quindi alla fermata del bus che comunque non dovevo prendere. E chi ti vidi alla fermata? La stessa giovane donna dai capelli rosso fiamma che avevo ammirato 30 giorni prima. Abbigliata come la volta precedente, lo stesso atteggiamento, il telefonino tenuto fermo all'orecchio destro con la mano dalle dita affusolate, gli stessi capelli di un bagliore accecante e il sole che sembrava illuminarglieli ancora di più. Mentre camminavo rasentando il ciglio del marciapiede la rossa si voltò leggermente e abbozzò un sorriso verso di me, sempre parlando al telefonino. Un po' sorpreso mi fermai e le feci un cenno con la testa a mo' di saluto, lei mi fece un cenno con la mano sinistra, piccola e affusolata come l'altra, facendomi intendere di aspettare un momento. Mi voltai per vedere se tutto ciò era rivolto a qualcun altro, ma c'ero soltanto io. Terminata la telefonata mi disse: = salve come va? = si ricorda di me? = certo l'altra volta abbiamo scambiato qualche parola e allora... = ti...ehm...posso usare il tu? = sì, tanto lo faccio anch'io = benissimo e...abiti da queste parti? = sì, non molto lontano da questa fermata = capito...vai al lavoro? = come sempre, almeno i giorni feriali = vorrei farti una domanda personale se me lo permetti... = sei un tipo curioso vero? = sì, lo ammetto = spara = al tuo lui, se lo hai, gli piacciono i tuoi capelli? = non sto con un lui ma con una lei = ah! = ti scandalizza? = a me? E perché? Ognuno è libero di stare con chi gli pare... = credevo di sì, i capelli bianchi che hai mi hanno... = oltre quelli ho anche un cervello che ancora funziona, poco ma quel poco mi basta = ad ogni modo ce l'ho avuto un uomo ma sarebbe stato meglio non averlo conosciuto. Adesso mi trovo benissimo con la mia ragazza. È più giovane di me ma siamo veramente innamorate l'una dell'altra. Viviamo insieme nella stessa casa = credo sia questo ciò che maggiormente conta = ci puoi giurare. Sta arrivando il bus. Devi salire anche te? = no abito qui a due passi e allora... = allora ciao, ci vediamo... = ciao...io mi chiamo Aldo e tu? = è importante per te? = beh, insomma... = te lo dirò quando c'incontreremo la prossima volta, ciao.= La guardai salire, restai fermo per un po' e mi chiesi: cosa avrà voluto dire con l'ultima frase?

sabato 25 aprile 2015

LA MIA PRIMA GATTA

Mucci il nome semplice con il quale noi quattro fratelli “battezzammo” la piccola gattina tigrata che nel ’48-’49 introdussi in casa nostra. Questa dolcissima felina me la ritrovai tra le gambe mentre una sera, seduto in tram, stavo rientrando a casa verso le 22. Pur immaginando la reazione negativa di mia madre, speravo invece nella “benevola fratellanza” dei miei germani…e così fu. Quella stessa sera Mucci fece il suo primo “dovere”. Era già da qualche tempo che un topolino, intrufolatosi attraverso il caminetto situato nel corridoio, gironzolava per casa. Ebbene visto che c’era il “topo” poteva mancare il “gatto”? O meglio la gatta?E allora occorreva preparare la “trappola”. La nostra camera da pranzo era arredata in quegli anni oltre che da un mobile dove erano riposti stoviglie e altre cose, anche da due letti ad una piazza, alcune sedie ed un tavolo quadrato abbastanza robusto, di quelli che si potevano allungare mediante alcune assi in esso contenute (ancora “vivente”, con nostra grande gioia, in casa del terzo fratello). Con quale espediente riuscimmo ad attirare the young mouse sotto il tavolo non lo ricordo proprio, ricordo soltanto che, appena entrato lui, recintammo immediatamente i quattro lati dello stesso tavolo poggiando le assi sulle sue gambe, in modo da creare una sorta di arena nella quale poi introducemmo la Mucci accingendoci quindi ad assistere al ludo gladiatorio. D’altronde casa nostra faceva parte di un fabbricato distante pochi metri dal Colosseo e perciò l’emulazione era più che giustificata. La battaglia, anzi la corsa, iniziò immediatamente ad una folle velocità ma Mucci ebbe presto la meglio. Quello che allora non compresi fu che anziché farlo fuori subito, prima lo stordì con una zampata, poi ci cominciò a giocherellare, ma non fece altro,lo lasciò lì, immobile rivolgendogli un’occhiata ogni tanto. Chissà, forse aspettava da noi spettatori lo storico segnale con la mano ed il pollice rivolto all’ingiù. Resta il fatto che da quel giorno topi in casa non ne girarono più. E’ stata una gatta bonacciona e socievole anche se un poco birichina. Quando le riusciva rubacchiava volentieri qualche bocconcino prelibato. Nostra madre, ogni volta che si recava al vicino mercato a fare la spesa, portava sempre per lei qualcosa che si procurava al banco dell’”abbacchiara” che tra l’altro abitava sul nostro stesso pianerottolo, noi all’interno 11, lei al 12. Sulle doti di bontà e socievolezza di Mucci ricordo quando, in inverno, la infilavo nel mio letto sotto le coperte e poi, per riscaldarmi, le piazzavo i miei piedi gelidi sulla sua calda e morbida pancia. Nessun segnale di ostilità da parte sua. E così pure quando cercavo di mascherarla infilandole un mio calzino sulla testa come cappello. L’unica sua reazione era quella di guardarmi come per chiedermi se fossi stato soddisfatto di come l’avevo combinata.Ricordo che un giorno, sempre d’inverno, evidentemente pire lei sentiva freddo,andò tranquilla nella piccola camera che un nostro zio, fratello di nostra madre, aveva adibito anche a laboratorio di sartoria. Le piaceva andare lì perché sul tavolo da lavoro di nostro zio c’era poggiato, tra le altre cose, anche un grosso ferro da stiro a carbone e quindi, se acceso, una bella fonte di calore, ma quella volta, confortata dal dolce tepore si addormentò finendo dritta sul ferro bollente. Un miagolio disperato che non aveva nulla di felino e subito una fuga precipitosa verso un posto più fresco. A volte, quando nostro padre si sedeva al tavolo in camera da pranzo per scrivere o leggere qualcosa, gli saliva sulla schiena e gli si accoccolava intorno al collo avvolta come una sciarpa. Papà e Mucci fermi e tranquilli come se fosse la situazione più normale di questo mondo. Quando invece rubacchiava qualcosa di commestibile non si riusciva a vederla girare per casa, andava a nascondersi sotto uno dei letti in camera da pranzo perché sapeva benissimo che le sarebbe spettata quanto meno una sgridata e, allorché io o qualcun altro riusciva a trovarla e cercava di farla uscire da lì, lei si ribellava miagolando come per dire che aveva avuto fame e quindi. Aveva anche l’abitudine, specialmente d’estate, di accucciarsi sul davanzale della finestra in camera da pranzo e di sbirciare, tra le persiane socchiuse, giù nella strada. Appena si accorgeva di nostra madre che faceva il suo rientro a casa dopo aver fatto la spesa al mercato, andava di corsa ad attenderla alla porta d’ingresso. Stava per arrivare il vitto. La sua vista doveva essere ottima perché noi abitavamo, in quel fabbricato, al secondo piano sul rialzato, praticamente al terzo.Tra una sbirciatina e l’altra aveva anche trovato il modo di amoreggiare con un gatto, piuttosto grosso, pelo di vari colori con prevalenza del “roscio”, enorme “capoccia” sulla quale spiccava un orecchio mozzato: il risultato di violente zuffe con gli altri gatti della nostra via e del circondario, i quali si erano come volatilizzati. Peppone, questo era il nome autentico che gli aveva appioppato la sua famiglia composta anche da tre nostri coetanei abitante al n. 41 in una casa posta al livello strada facente parte dello stesso nostro fabbricato. Praticamente viveva come un sultano nell’harem. Non si vedevano gatti maschi in giro. Perciò Mucci quando qualcuno di noi dimenticava di chiudere la porta di casa lei riusciva a fuggire senza farsene accorgere, era solita andare a trovare il suo “lui” e trascorrere così i suoi momenti d’intimità. Nei suoi anni di vita, circa nove, si verificarono troppi di questi “momenti” tanto che nostro fratello più grande dovette più volte recarsi nel giardino di Piazza Vittorio per depositarvi le cucciolate dei due nostri “giulietta e romeo”. Certamente Mucci e Peppone erano talmente innamorati l’uno dell’altra che una volta lei, forse per il troppo amore, ebbe il coraggio di gettarsi da casa nostra (quasi terzo piano) nelle braccia, pardon, nelle zampotte del suo adorato. Le andò bene perché non le si ruppe niente, almeno a noi non disse nulla. Ma, purtroppo, l’ultimo suo parto le fu fatale. Senza una ragione, quella volta uscì da casa nostra e salì al piano superiore, si accucciò vicino la porta di non so quale abitazione ed evidentemente, per le doglie, si lamentò in modo così straziante che gli abitanti, ignorando come stavano le cose, si affrettarono a chiamare il personale dell’ Ente Nazionale Protezione Animali. Non vedemmo più la nostra Mucci.

lunedì 20 aprile 2015

[HD] Russian Pyatnitsky Choir & "Bella Ciao" Italian Partisan Hit

25 APRILE 2015 70°ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE

lunedì 30 marzo 2015

LA PATENTE A 36 ANNI, UNA 600 USATA e poco altro ancora

È l'anno 1966 e, sposati da circa 10 anni, io e mia moglie abbiamo un figlio che ha 7 anni. Lui ha preso da me e, come si usa dire, “tale padre, tale figlio”. Mi somiglia infatti per quanto riguarda le fughe. Io ne feci tre intorno ai 14 e i 15 anni, lui invece è stato più precoce. Fortunatamente le sue mini-fughe si sono interrotte all’età di 9 anni. La prima mini-fuga la esegue a poco più di 4 anni. Un giorno mia moglie va a prenderlo all’uscita dalla scuola materna quando lui, improvvisamente, si divincola dalla sua mano e corre velocemente incontro a chissà quali avventure. La scena è questa: mamma urlante a perdifiato cerca d’inseguire il pargolo ormai distante. Un brav’uomo, captato il SOS, blocca il fuggitivo mentre lo stesso sta scendendo dal lungo marciapiede diretto verso il traffico cittadino. Madre disperata, brav’uomo consolante, bimbetto sghignazzante. Rientrano a casa e che fa la madre? Informa subito il figlio che telefonerà al genitore in ufficio per informarlo di tutto l’accaduto e gli dice queste precise parole: “adesso telefono a papà così viene a casa e vedrai quello che ti succede”. Questa frase, scolpita a chiare lettere sia nella mente della mamma, sia in quella del pargolo, sia infine negli annali della storia, verrà ripetuta credo fino alla maggiore età del bimbo. In definitiva io sono il bau-bau, l’orco nero, il mangiabambini e invece lei che cosa è se non la mammina adorata che non ha mai rimproverato o sgridato la sua creatura?. All’età di 7 anni il pargolo frequenta la II^ elementare di una scuola distante oltre un chilometro da casa. Andata e ritorno, all’entrata (ore 8) e all’uscita (ore 16), lui e un suo compagno di scuola abitante nella nostra stessa via - amici per la pelle - vengono accompagnati dalle rispettive mammine. Un giorno alle 15.10 circa ricevo una telefonata in ufficio. E’ la mammina la quale, quasi piangendo, mi dice - “sai che ha fatto TUO FIGLIO?” - A questo proposito io ho sempre saputo che: “la madre è certa, il padre non si sa”. Perché allora in certi casi è mio figlio ed in altri è nostro ed in altri ancora è suo? Misteri della psiche. Comunque il misfatto compiuto dai due amiconi è stato quello di fuggire dalla scuola alle 15 anzichè attendere l’arrivo delle mamme alle 16, di prendere armi e bagagli e, saltellando allegramente, di tornarsene ognuno a casa propria. Anzi no - mio, tuo, suo, insomma nostro figlio ci ha messo il carico da undici. Se ne va a casa dall’amico, fanno prendere anche alla di lui mamma un grosso spavento e, giocando con la sorellina dell’amico, vedendole sul visetto due guanciotte rosse e molto paffute, esclama: “la pesca”! E le dà un morso sulla guancia. Eccolo chi è il mangiabambini! Fortuna che padre e madre sono nostri amici e, bontà loro, perdonano. Quindi l’ultima mini-fuga. La mammina e il pargoletto sono soliti trascorrere i pomeriggi all’aria aperta, tempo permettendo, nei parchi che distano poco da casa. Questa volta tocca al Parco del Colle Oppio sovrastante la Domus Aurea – Casa di Nerone di fronte al Colosseo. Camminano entrambi, mano nella mano, lungo il vialone che arriva fino al Largo della Polveriera, mia moglie distraendosi nell’ammirare il panorama, mio figlio rovinando le scarpe per prendere a calci i sassolini della ghiàia che copre i vialetti del giardino. Improvvisamente uno di questi sassolini, calciato in aria dal pargolo, nel ricadere va a colpire esattamente un puntino qualsiasi del parabrezza di un’auto che passa proprio nello stesso istante e, scheggiandolo, lo fa diventare una ragnatela. In quest’ulteriore scena, descrittami in seguito, i personaggi si muovono così: l’automobilista infuriato frena bruscamente e scende dall’auto, si avvia verso la mammina che con le mani nei capelli sta quasi per piangere mentre del pargolo-colpevole non c’è traccia alcuna. I due si mettono alla ricerca del fuggitivo, lo scovano nascosto chissà dove – forse a casa Nerone – parlano del fatto che il danno va riparato (e pagato), decidono prima di passare da un meccanico per conoscerne l’entità e poi, dato che la mammina esce da casa sempre con poche lire, di venire da me in ufficio poco distante dal luogo del misfatto. Durante il tragitto il pargolo assilla l’automobilista con la descrizione che fa del proprio genitore, forse gli avrà anche detto che se mi girano posso anche uccidere, chi lo sa. Quello che io vedo quando mi appaiono in ufficio i tre…beh diciamo i due e qualcosa perché il pargolo è completamente nascosto dalla gonna della madre, è una scena da film lacrimevole. Compunti e quasi silènti riescono a stento a dirmi dell’accaduto. Prendo atto, dico poche parole e mollo le lire. I conti con l’automobilista li ho regolati, quelli con i demolitori di macchine altrui lo farò a casa.
***Questi furono alcuni degli episodi che mi indùssero a prendere la patente d’auto e fanno parte del “prima” in quanto ogni volta che il bimbo fuggiva, la mamma chiamava e io con la macchina accorrevo. Dovevo dire e fare qualcosa e invece lo guardavo soltanto. L’episodio però più convincente quello cioè della goccia che fece traboccare il vaso fu il seguente:
È il 10 luglio 1966 una caldissima giornata d’estate ed io, il pargolo e la mammina dovremmo iniziare a pranzare ma lei è ancora indaffarata con qualcosa che improvvisamente le cade di mano e si va ad infrangere sulla parte superiore del suo piede destro. Una caraffa di vetro colma d’acqua le produce un brutto taglio. Perde sangue. Non so perché non mi viene in testa di chiamare l’ambulanza. Cerco qualcuno nel palazzo che ha la macchina e che ci possa portare me e mia moglie al più vicino pronto soccorso. Non trovo nessuno. Mi ricordo di quel nostro amico, il padre della “pesca”. Di corsa vado su, loro pure stanno mangiando ma lui smette subito ed esce con me. Lascio lì mio figlio sperando che non si mangi la “pesca”. Di corsa all’ospedale ed in poco tempo tutto sistemato. Prendo l’estrema decisione. L’indomani mi iscrivo ad una vicinissima scuola guida e seguo tutte le lezioni teoriche con molta attenzione. Un istruttore mi fa fare anche ore di pratica e arriva il giorno dell’esame alla presenza, nella macchina da me guidata, di un funzionario credo della Prefettura. Accanto a me siede l’istruttore. Via, si parte, magari a singhiozzo ma si parte. Dopo una buona mezz’ora di varie grattate nel cambiare le marce, di fanali e marciapiedi evitati per puro miracolo, di inutili tentativi di parcheggio - avanti e indrè non ricordo per quante volte – il funzionario, lui sudatissimo, noi pure, esplode e mi ordina di fermarmi. Tre giorni dopo mi telefona l’istruttore e m’informa che posso andare a ritirare il foglio rosa, anteprima della patente. Ancora oggi mi chiedo: se le patenti vengono concesse ad un incapace come me chissà se è meglio non girare tanto per le strade. Il giorno stesso del “rosa” parlo con un cliente dello studio dove lavoro, proprietario di una società di vendita d’auto usate e a rate. Prendo appuntamento per l’indomani e ci vado accompagnato da mio fratello più piccolo (di 7 anni) lui sì patentato doc. Col “rosa” si può guidare col patentato accanto. Acquisto una 600 che sembra abbastanza in forma e mio fratello mi dice che devo guidare io. Da lì a casa sono circa 10 chilometri e, quando finalmente arriviamo, lui scende mi augura buona fortuna e se ne va credo maledicendo il giorno in cui m’ha detto che m’avrebbe accompagnato. La giornata fatidica arriva. Precisamente il 19 agosto 1966 mi viene consegnata dalla Prefettura di Roma la Patente con la P maiuscola, quella vera.. Domenica prossima si va ai pranzare ad uno dei Castelli Romani. Partiamo verso le 10 a.m., non si sa mai. Allegri come una Pasqua, mammina e il rampollo, tetro come il 2 novembre io. Sto attentissimo a non superare i 20 Km.l’ora benchè i cartelli indichino un numero maggiore, ma non mi riguarda. Riguarda però chi si azzarda a starmi dietro. Tre ore di viaggio senza alcun incidente. Per un percorso di un’ora e non di più credo sia un record, negativo forse. Tutti felici e contenti, meno io che già sto pensando al ritorno.
***Negli anni a seguire non è che la mia guida cambiò di molto. Certo camminavo molto più veloce ma osservavo scrupolosamente il codice della strada come, ad esempio, cedere il passo ai pedoni sulle loro strisce, fermarsi ai semafori quando inizia il giallo e attendere scrupolosamente il riapparire del rosso, non investire animali di qualsiasi tipo e cose del genere. Solo che io frenavo bruscamente tanto che colui o colei che mi seguiva inevitabilmente mi tamponava. Sono stato per un lungo periodo l’incubo degli automobilisti, delle loro case assicuratrici, ma il più apprezzato dai carrozzieri. Almeno una volta ogni 15 giorni ero da loro a rifarmi il paraurti posteriore nuovo o un’altra riparazione qualsiasi. Prima che mandassi la mia cara 600 in pensione, dopo tre anni, nel 1969 ebbi anch’io il mio momento di celebrità tamponando una macchina. Solo che era quella di mio fratello più grande che guidava la sua davanti a me in una strada provinciale. Ci mettemmo tutti a ridere per la stranezza del caso. Lui si era diligentemente fermato allo stop. E gli agenti delle due nostre rispettive società assicuratrici si resero conto della nostra assoluta buona fede e ci rimborsarono il costo delle riparazioni. Sorridendo: chissà perché? Ne avrei altre da raccontare sulle mie doti da automobilista, ma non le rammento più così dettagliatamente come quelle sopradescritte.***
TRANQUILLI, DA 20 ANNI NON HO PIU' RINNOVATO LA PATENTE E NON HO AUTO.

lunedì 23 marzo 2015

IMPROVVISAMENTE UN RICORDO

Se devo dire la verità non so spiegare neppure il motivo per cui mi sia tornato in mente l'episodio che sto per tentare di scrivere. ma è successo come se, d'un botto, si fosse accesa una piccola lampadina nella mia mente. Perchè poi, ad essere sinceri, non è niente di clamoroso. O forse sì dato che risale ai tempi che furono, circa 66 anni fa.
Una calda sera di primavera romana del 1949 ero andato dove lavorava la mia fidanzata, attuale mia consorte, per accompagnarla a casa facendo prima una breve sosta e così trascorrere un po' di tempo insieme. Ma quella sera, anzichè al Lungotevere, dove ci recavamo tutte le sere, chiesi io a lei di venire dalle mie parti, più precisamente al Parco del Colle Oppio, vicino Via della Polveriera dove abitavo a quell'epoca.
Entrambi adolescenti naturalmente non vedevamo l'ora di starsene tranquillamente da soli, anche se soltanto per poco tempo.
Data l'ora, era sceso il buio ed il Parco era quasi deserto. Ci sedemmo su una panchina e, da cosa nasce cosa, c'eravamo abbracciati per scambiarci le più innocenti delle effusioni.
Trascorso qualche minuto sento che qualcuno mi bussa sulle spalle, alzo la testa e, a stento, vedo il sorriso beffardo sul volto di un vigile urbano il quale mi/ci chiede i documenti di riconoscimento, annota qualcosa su un foglio di carta, saluta e se ne va.
Piuttosto dispiaciuti fummo costretti ad interrompere la nostra serata.
Circa una settimana dopo, rientrando a casa, mi aprì la porta mia madre (a me e ai miei fratelli le chiavi di casa ci vennero date molto tardi) la quale, sogghignando, mi sventolò dinanzi gli occhi un foglio di carta. Era il verbale della contravvenzione che il vigile mi aveva fatto al Parco con sopra citata l'ammenda da pagare e la causale: "...sorpresi nel Parco del Colle Oppio mentre erano intenti a BAGIARSI (testuale)".
Altri tempi quelli.
Se le forze dell'ordine dovessero usare attualmente lo stesso metodo, con le ammende pagate si risanerebbero i conti dello Stato.
SENZA INVIDIA, INTENDIAMOCI.

giovedì 19 marzo 2015

TRE DOMANDE

La prima domanda che mi faccio quando esco per una breve passeggiata mattutina, è semplice semplice. La mia uscita da casa varia secondo la situazione meteorologica, non quella mia perché non sempre tende al bello, parlo del tempo che fa.
Ecco quindi la prima domanda che rivolgo a chi fa le previsioni: ma è possibile che ogni canale televisivo dice la sua che poi è sempre diversa l’una dall’altra? Mettiamo da parte, per carità di patria le previsioni a lungo termine, il fatto è che non azzeccano nemmeno quelle del giorno dopo. Lo so è una storia vecchia detta e ridetta ma per carità astenetevi dal farle ‘ste previsioni. Mi complicano la vita poiché la sera mi preparo un certo abbigliamento per l’indomani ed è molto facile che non sia quello adatto.
La seconda domanda concerne i quadrupedi amici degli esseri umani. A questo proposito mi capita spesso di assistere a degli episodi veri. Cito il più recente. Molto spesso incrocio una signora non più giovane, ben vestita, dal fare distinto, quasi aristocratico, che esce dal portone del fabbricato dove abita, a poche centinaia di metri da quello dove abito io, sempre alla stessa ora del mattino. La particolarità di quest’incontro da cui la domanda, è la seguente. La gentildonna in questione porta con sé, al guinzaglio, tre cani differenti l’uno dall’altro, e non sto parlando se maschi o femmine ma solo delle loro diverse proporzioni, minuscola, media, grossa e della varietà dei loro antenati. Ieri si è verificato qualcosa che mi ha incuriosito e che non ho potuto fare a meno di notare. Insieme a questa signora, lei davanti io leggermente più indietro, abbiamo fatto lo stesso percorso fino al cancello del parco di Piazza Vittorio. Proprio al centro dell’accesso al parco era tranquillamente disteso sulle sue quattro zampe un felino (gatto o gatta?) di mia vecchia conoscenza: il protagonista principale di una simpatica scena alla quale ebbi modo di assistere nel febbraio di quest’anno, sempre in questo parco. Ho avuto la netta impressione che il gatto/a (?) stava come in attesa dell’arrivo di quei tre cani giacché non appena varcato il cancello del parco la signora ha tolto loro il guinzaglio e, tutti insieme in compagnia del micio/a (?), calmi e tranquilli se ne sono andati passeggiando nell’ampio spazio erboso loro riservato. Credo si siano persino scambiati un loro reciproco saluto di buongiorno. Quando però la gentildonna ha iniziato a tirar fuori da una busta di plastica qualcosa avviandosi quindi verso un lato dello spazio erboso dove era accoccolato un altro felino/a (?) il “compare” (o “la comare”) dei tre cani ha lasciato la loro compagnia ed ha pensato bene di accodarsi alla signora. Era arrivata la colazione! Be’…ma allora l’attesa era per l’”accoglienza” o per il cibo in arrivo?
L’ultima domanda per quel giorno l’avrei voluta rivolgere ad una persona, una giovane donna, molto probabilmente dell’Europa dell’Est, una ragazzona alta, piuttosto formosa, priva di trucco, capelli biondi, occhi azzurri ma arrossati per via che mentre camminava, da sola, senza nessuno accanto, piangeva senza alcun ritegno. L’ho incrociata, insieme con altre persone, lei camminando in un senso io invece al contrario. Non le ho chiesto il perché del suo pianto ma ho pensato di non farlo per non intromettermi in una situazione molto privata. Ho agito bene?

lunedì 16 marzo 2015

LA CROCIERA

Sin da ragazzo ho cercato di far diventare realtà un sogno e, dopo aver chiesto qua e là per Roma, ci sono riuscito. Ho avuto fortuna, non posso negarlo.
Sono le 12:20 e mi sto avviando con passo veloce all'agenzia di crociere di una famosa Società di navigazione che le organizza per il Mediterraneo con partenze anche da Civitavecchia in provincia di Roma. Quindici giorni da trascorrere sull'Autostrada del Mare e a bordo di una nave bellissima munita di tutti i comfort. Una coppia di coniugi, miei conoscenti con i quali mi sono confidato mi ha "raccomandato" alla loro unica figlia dipendente di quella Società di navigazione. Mi sono informato a dovere presso l'agenzia ed anzi la gentilissima nonché affascinante figlia della coppia dei miei conoscenti - Milena, questo il suo nome – proprio stamane mi ha telefonato e mi ha messo al corrente di qualcosa di meraviglioso. Lei, quale dipendente della Società, ha diritto ogni anno ad un premio di produzione che consiste in una crociera al costo ridotto del 50%, senza alcun altro esborso. Per l'intera durata della crociera - quindici giorni – usufruisce gratuitamente di tutte le comodità e i servizi offerti. C'è un piccolo problema però, quello cioè che la cabina di prima classe messa a sua disposizione è per due persone che devono occuparla. Milena, quando mi ha telefonato questa mattina, mi ha messo al corrente di un suo piano riguardo questo viaggio e me ne ha riferito tutti i particolari. Entrambi i suoi genitori sono partiti per altri lidi e lei avrebbe dovuto occuparsi della nonna materna durante la loro assenza. La nonna, che ha sempre desiderato fare un viaggio in mare, è una vedova perfettamente autosufficiente ed in buona salute, per carità, ma ha comunque una certa età e Milena e i suoi genitori non vogliono lasciarla sola. Milena inoltre ha tutto un altro programma di vacanze da trascorrere con il suo ragazzo in giro per l'Europa. Quindi come si fa a rinunciare ad una tale occasione? Allora mi ha fatto una proposta. Me la sarei sentita di fare quel viaggio da me tanto sognato facendo compagnia a sua nonna al costo del prezzo vantaggiosissimo e cioè metà di quello reale complessivo? Dopo alcuni chiarimenti chiesti a Milena e dalla stessa ottenuti ho detto sì. Mi ha fornito ulteriori dettagli e adesso sono in Agenzia a perfezionare la "scenetta" , già tra noi concordata, a voce alta, a beneficio dell'intero uditorio:
= buongiorno signorina, sono passato per sapere se ci sono novità per la crociera Mediterranea
= buongiorno anche a lei, aspetti che controllo perché forse c'è qualcosa che le può interessare (e inizia a spiegarmi tutti i dettagli della faccenda) = benissimo, d'accordo su tutto. Dove posso accomodarmi per attendere l'altro passeggero? = è una passeggera ed è già lì seduta su quel divano, se vuole andare a parlarle = certo, con permesso allora... (mi dirigo verso il divano, lì giunto faccio un mezzo inchino e chiedo alla signora seduta che so essere la nonna di Milena) posso sedermi?
= er posto c'è = grazie. (nel frattempo la osservo: è piuttosto in carne, capelli bianchissimi, neppure un filo di trucco, due occhi vispi di un colore incerto, senza occhiali, vestita molto sobriamente) =Sento dall'accento che lei è romana = da na marea de generazzioni = anch'io sono nato a Roma ma da antenati siciliani. Mi chiamo Calogero, il nome del mio nonno materno = io me chiamo Nanda e nun è er nome de nessuno de' li parenti =grazioso nome. È il diminutivo di Fernanda vero? =macché me chiamo proprio Nanda = sono un pensionato e... = te credo che voleva ancora lavora'? = no, certo. Lei invece lavora?= all'età mia? No, no, sto in pensione, prima facevo la fruttarola, c'avevo er banco a Campo de' Fiori. Puro mi padre prima de me e mi nonno prima de lui,tutti fruttaroli armeno da cent'anni...= a proposito di anni io ne ho 67 = e io 63. In due famo più de 'n secolo pensa un po' = cambiamo argomento... = sì, si è mejo= quella bellissima impiegata che vede lì a quel bancone... = chi quella? È mi nipote, la fja de mi fja = benissimo...= mica tanto. Pensi che noi tre c'avemo tutte lo stesso carattere e nun riuscimo a anna' d'accordo. Però se volemo bene e sa perché? Mica perché vivemo nella stessa casa, ma pe' er fatto che io so' vedova da sette anni e mi' genero c'è e nun c'è, nu' lo vedi e nu' lo senti, quinni...= quindi ecco spiegato perchè vi volete bene = già. Senti un po', m'hai fatto parlà solo a me ma de te nun hai detto gnente = ti ringrazio per essere passata ad un tono un po' più confidenziale, ma di me c'è poco da dire: sono vedovo anch'io, ho due figli, sposati, che hanno le loro famiglie però quest'anno ho deciso di fare una crociera senza di loro = e puro io. So' anni che me la sto a sogna'. Siccome mi nipote m'ha dato la cabbina sua che però è pe du' persone sto aspetta' che quarcheduno...ma dimme un po', ma che gnente gnente annamo su la stessa nave? = non solo, anche nella stessa cabina così in due risparmiamo= e vabbe' ho capito però famo a capisse pure noiartri due. Te rendi conto che dovemo da passa' quinnici giorni drento la stessa cabina? = certo, soltanto la notte però = e lo so però nun te mette gnente in testa che... = non porto cappelli = nun fa' la spiritoso, sai che voijo di'= tranquilla so benissimo come comportarmi = ecco bravo, comportate da ragazzo educato. Adesso annamo da mi nipote a sistemà l'urtime cose = sì, vedrai che sarò un perfetto gentiluomo= e sinnò 'na ciavattata su li denti nun te la leva nissuno = grazie, ti ringrazio per la tua bontà.=
Tre giorni dopo, di domenica, alle 9:00 a.m. in punto io e Nanda dalla nave salutiamo la cara Milena diretti verso la meta agognata, l'inizo della realizzazione del nostro sogno.Siamo sulla nave e guardando Nanda che saluta la nipote col fazzoletto in mano mi accorgo che le sta spuntando qualche lacrima e allora
= Nanda, che fai piangi? = ma chi piagne, chi piagne me dev'esse' entrato quarche bruscolino nell'occhi...= fammi vedere, te lo tolgo io...= ma che te faccio vede, lassa perde. Piuttosto annamo a vede' sta cabbina.=
Rimaniamo veramente estasiati nel visitare la cabina che ci è stata assegnata: ampia, arieggiata, ammobiliata ottimamente, un bagno-doccia completo di tutti gli accessori, due eleganti comodini e
due ampi letti singoli.
= a Calo'... ammazza che robba...sembra de sta' ar grandhotel = Nanda qui siamo in prima classe quindi...= e vabbè però tutto sto gran lusso... = non preoccuparti. Dimmi piuttosto quale letto preferisci tu, quello più vicino al bagno o l'altro sotto l'oblò?= er seconno che hai detto = bene. Io suggerirei di sistemare le nostre cose nell'armadio e poi di andare a fare un giro,che ne pensi?= sì, famo così.=
Dopo una trentina di minuti usciamo dalla cabina e visitiamo gran parte della nave .Giunta l'ora di pranzo ci indirizzano verso un bel salone e ci accompagnano al tavolo che sarà riservato a noi per l'intera durata della crociera. Pensavo che ci avrebbero fatto accomodare in un tavolo con più persone ed invece il nostro è soltanto per noi due.Finito il pranzo facciamo una breve passeggiata in coperta parlando del più e del meno, poi ci sistemiano su due comode sedie a sdraio, ammiriamo il panorama marino e scambiamo qualche parola con i vicini.
= Calo', ho sentito di' che stasera dopo cena se balla = se vuoi possiamo partecipare anche noi però ti avverto che non so muovere un piede = sei de coccio allora...vabbe' te ne stai seduto su quarche cosa e te metti a chiacchierà co' quarche vecchietta. Hai visto quante ce ne so' in giro? = Nanda, scusa la domanda impertinente, ma tu sei forse una giovanetta? = ma che vor di', io so' regazza drento. Sapessi quanno c'avevo diciotto-vent'anni come spirolavo e quanti spiroloni me ronzavano intorno. Poi un giorno, uno de questi - er mejo te l'assicuro - me comincio' a ronza' attorno più spesso dell'artri e così siccome due più due fa sempre quattro è annata a fini' che me lo so sposato
= e avete vissuto felici e contenti. Ne sono certo... = questo è poco ma sicuro. Solo però fino a quanno quer brutto malaccio me l'ha portato via.Era un pacioccone, 'n'omo bono, venneva er pesce accanto ar banco mio. Calo' adesso però piantamola e vestimose pe' anna' a cena' e poi se gettamo ner vortice de le danze...=
Siamo così riusciti a creare tra di noi un'atmosfera cordiale e simpatica. La sera quando ci prepariamo per andare a dormire lascio a Nanda la precedenza per il bagno e quella per mettersi a letto. Quando a mia volta esco dal bagno vedo che già dorme e non sente nulla degli eventuali rumori che faccio. Anche perché sin dalla prima sera le ho detto che mentre dormo io russo e lei allora si è premunita tappandosi le orecchie con dell'ovatta. Oggi è già il quinto giorno di navigazione e siamo andati a dormire subito dopo cena poiché abbiamo voluto partecipare a qualche attività dell'animatrice di bordo e così ci siamo stancati. E' quasi mezzanotte ma ancora non riesco ad addomentarmi. Ad un certo punto, benché al buio, mi accorgo che Nanda accanto al mio letto sta sollevando la mia coperta
= scusame Calo', nun dormo e sento freddo. Me metto drento al letto co' te. Sta' tranquillo nun ammollo carci quanno che dormo = anch'io non dormivo perciò non russavo e quindi non ti ho svegliata io= lo so, lo so, nun è corpa tua, adesso dormi, conta le pecorelle= è un metodo che non funziona = Calo'...ehm...se io t'abbraccio tu che fai? = educatamente ricambio il tuo abbraccio
= sai che c'è Calo'? Famo l'educati e strignemose forte.
A quel punto il "fatto" è finito come speravamo entrambi che finisse.
Il mattino successivo, quando mi sveglio, mi accorgo che Nanda, sdraiata accanto a me, mi sta guardando con uno strano sguardo, un incrocio tra il dolce e il tenero
= Calò, me vergogno pure, ma te devo da confessa' 'na cosa. Stanotte, quann'è successa quella cosa che m'ero scordata da un sacco de tempo, me so' fatta li comprimenti da sola = grazie a te Nanda anche per me è stato uguale. Non lo credevo proprio = e allora chi ce impedisce de comprimentasse quarch'artra vorta? Armeno provamoce.=
La nostra crociera è terminata, quindici giorni bellissimi trascorsi felicemente. Scendiamo dalla nave e Milena è lì che ci attende. Ci viene incontro, ci abbraccia e ci chiede com'é andata
= 'na favola, bella de nonna tua, se semo pure fatti li comprimenti = cioé? = cioé, cioé, quante cose voi sape'. Quanno cresci n'artro po' te lo spiego. Anzi, datte da fa' perché io e Calo' fra un par de mesi se sposamo, tanto er viaggio de nozze già l'avemo fatto. Annamo Calo' =
Mi volto per guardare Milena che, attonita, ci fissa con gli occhi completamente spalancati.

lunedì 9 marzo 2015

LA TERZA MANO

Non credo di aver avuto più di 16 anni quando una volta io e tutta la mia famiglia, fummo invitati a cena a casa di una zia, sorella di nostra madre, la quale abitava con il marito e due figli nel quartiere Appio-Tuscolano di Roma. L’abitazione consisteva in un minuscolo ingresso che dava direttamente nel piccolo soggiorno, poi una camera da letto, avente funzione anche da sala da pranzo per le occasioni in cui erano presenti degli ospiti, un bagno e una cucina. l motivo per l’invito di quel giorno non lo ricordo proprio e comunque le nostre visite erano piuttosto ricorrenti. Ricordo però che in quelle occasioni, lo zio era solito approntare personalmente qualcosa di gustoso della sua terra natia: la Puglia. Infatti anche quel giorno aveva preparato un particolare dessert da consumare al termine della cena. Noi tutti, ed io fra questi, ignoravamo di cosa si sarebbe trattato perché lui voleva farci sempre una sorpresa ma intravidi il “piatto speciale” per pura combinazione. Ero stato incaricato dalla zia di aiutare ad apparecchiare la tavola e, mentre mi accingevo a prendere i piatti da portare in tavola che si trovavano nel piano inferiore della credenza in cucina, non mi feci sfuggire l’occasione di dare una sbirciatina alla “specialità”…ma soltanto un’occhiata, niente di più. Accosciato verso il basso stavo appunto prendendo le stoviglie necessarie per tutti quando vidi quello che avrebbe allietato la nostra cena. Mi venne l’acquolina in bocca.
Mentre ero intento a compiere questo innocente compitino vidi alla mia sinistra un braccio la cui mano ad esso “attaccata” s’infilava nel “piatto speciale” e prelevava una piccola parte di ciò che esso conteneva. Il movimento fu talmente rapido che non ebbi la possibilità di vedere il proprietario di quella mano: la “terza” oltre naturalmente le mie due che tenevano i piatti.
La cena iniziò regolarmente: primo, pietanza, contorno, bevande, il tutto in un’atmosfera abbastanza gradevole. Arrivò il momento del “piatto speciale” e lo zio si alzò dal suo posto a tavola è andò tutto allegro in cucina per prenderlo: lui non volle delegare questa mansione ad altri. Improvvisamente dalla cucina arrivò un’imprecazione piuttosto irata. Affacciandosi nella stanza dove eravamo seduti tutti lui mi indicò con una mano e mi urlò un ordine imperioso:
=Tu vieni qui= Lo zio, marescisllo P.S, in cucina con il “piatto speciale” tra le mani, m’indicava l’evidente parte mancante del suo contenuto. =Chi ti ha dato l’autorizzazione di mettere le mani qui dentro e prendere quello che non dovevi prendere prima degli altri?=
Io, anche un po’ terrorizzato poiché conoscevo il suo carattere autoritario e vessatorio sia nei confronti dei propri figli sia verso noi quattro nipoti, arrossii di vergogna e cominciai a farfugliare frasi sconnesse tra le quali tentavo di dire che avevo preso solo piatti e introducevo parole come “terza mano” che ripetei numerose volte suscitando naturalmente ancora più collera nello zio. Quando qualcuno s’intromise per cercare di calmarlo, lo zio ritornò infuriato a tavola insieme con gli altri ma io, invece, rimasi nel soggiorno, al buio, furibondo, quasi con le lacrime agli occhi sia per l’umiliazione subita sia per la rabbia giacché chi aveva commesso il “reato” non ero io. Dopo una ventina di minuti mi chiamarono mia madre e la zia dicendomi che avevo ragione e che era stato accertato che non ero io il “colpevole” del “misfatto” ma il mio cuginetto di sette anni il quale, molto candidamente ma prudentemente e sottovoce, aveva confessato alla propria madre di essere stato lui a compiere la “prodezza”.
Il despota non mi disse ne “a” ne “b”. Gli altri mi confortarono consolandomi ma l’episodio è stato ricordato per molti anni, ridendoci sopra…Soltanto io ridevo un po’ meno.
Come potevo dimenticarmi della “terza mano”?

lunedì 2 marzo 2015

UN AMICO CHE NON SAPEVO DI AVERE

Almeno fino a ieri mattina.
Il tempo me lo permette e allora alle 10.00 esco di casa e inizio il mio quotidiano giro per il Rione dove abito, non interamente certo sarebbe troppo, però abbastanza per completare il tempo della mia "libera uscita". Benché non abbia con me orologi né da polso e neppure da tasca – ho preso questa decisione a dir poco circa trent'anni fa. Perché? non lo so e non me lo domando, alle 11.00 sto già rientrando alla base. Attraverso la strada passando sulle strisce pedonali senza problemi grazie a tre auto che si fermano cortesemente tanto che io, come al solito, ringrazio togliendomi la coppola. Ho il timore che qualche volta ci sarà un/una automobilista che magari mi prenderà pure in giro, ma non importa. Per arrivare al portone di casa mancano ormai non più di cinquanta metri quando m'imbatto in uno stormo di piccioni che, sul marciapiede, stanno banchettando con numerose briciole forse di pane o di chissà cosa. Dal gruppo se ne stacca uno che, per nulla impaurito, si mette a zampettare accanto a me come un cucciolo. Mentre cammino lo osservo per un po' ma lui imperterrito continua a camminarmi a fianco. Penso fra me e me - adesso se ne andrà - ma lui niente, ogni tanto volge lo sguardo a destra e a sinistra sempre proseguendo la sua passeggiata in mia compagnia. Giunto sotto casa, mi fermo, si ferma anche lui e allora, rischiando di essere preso per scemo da chi transita facendo il mio stesso percorso, gli dico: "amico mio, cerchiamo di capirci, io non sono San Francesco e, per quanto ami gli animali – i bipedi no, mi dispiace, soltanto i quattro zampe - passeggiare con un piccione accanto non è che mi faccia molto piacere". Lui, l'amico piccione, resta fermo lì, ovviamente non parla però tuba e, forse sarà perchè inizio a dare i numeri, mi sembra che lo faccia dandomi l'impressione che si sia persino incavolato. Questa è la volta che mi rinchiudono perché gli rivolgo ancora la parola usando un tono di voce il più amichevole possibile e sottovoce gli dico: "facciamo così, io domattina alla stessa ora passerò su questa stessa strada, se non hai altri impegni ci vediamo domani va bene? Ciao caro". Senza voltarmi, raggiungo il mio portone, apro e volo – per modo di dire – a prendere l'ascensore. L'amico-piccione avrà capito? Spero di sì.
E se fosse la reincarnazione di qualche amico che non c'è più?
PERCHE' HO L'IMPRESSIONE CHE STO INIZIANDO A DARE I NUMERI?

mercoledì 18 febbraio 2015

HO SOGNATO MIO PADRE E MI SONO RICORDATO...

...molto di lui ma alcuni episodi mi sono rimasti più impressi. Forse sarà per questi episodi che l'ho sognato. E pensare che non mi era mai accaduto.
Lui ci ha lasciato nel 1970, a settant'anni e, quando accadde, era ricoverato in un ospedale pubblico per essere operato ma il chirurgo incaricato dell'operazione non arrivò in tempo. Proprio il pomeriggio del giorno della sua scomparsa io e uno o due dei miei fratelli eravamo da lui per la visita quotidiana. Per andare e tornare dal bagno lo dovemmo sostenere in due. Ho ancora davanti agli occhi quella scena straziante quando lo riaccompagnammo per rimetterlo a letto. La sera stessa sul tardi ci telefonarono dal reparto e ci dissero che papà se ne stava andando. Ci precipitammo ma l'infermiere notturno in servizio non voleva farci entrare in corsia e si può facilmente immaginare quale fu la nostra reazione. Assistemmo al suo ultimo respiro. Il difficile fu stabilire quando dovevamo informare nostra madre dal momento che lei non era presente quella triste sera. Ci recammo la mattina dopo alla nostra casa in via della Polveriera ma, prima di salire da lei, ci fermanno per consultarci e per decidere chi se la sentiva di darle quel dolore. Se non ricordo male fu il più grande di noi quattro fratelli a farlo e io appresso a lui. Mi è difficile descrivere come dolorosamente reagì perciò evito di farlo. Mio padre era un uomo buono e capisco che questo si dice quando le persone vengono a mancare però la realtà è questa. Iniziando da quando aveva intorno ai diciotto anni, fece una infinità di mestieri anche perché aveva frequentato soltanto le scuole elementari. Apprendista orologiaio, idem calzolaio, guardiano in una fabbrica, venditore porta a porta di romanzi a puntate e di prodotti di profumeria, macchinista di teatro, maschera in un cinema e chissà che altro. Non occupò mai un posto "pubblico". Durante la seconda guerra mondiale poteva entrare come fattorino nel servizio pubblico di trasporto comunale quì a Roma ma doveva avere la tessera del fascio. Lui non volle iscriversi a quel partito. Il comico fu apprendere che il portiere del nostro fabbricato, pur essendo antifascista, si iscrisse al partito e venne assunto regolarmente. Ricordo che alla fine del fascismo e della guerra quasi beffeggiava mio padre per non essersi piegato a fare quell'iscrizione ma lui non se lo filò per niente. Non si era mai ammalato, non conosceva ospedali se non quelli dove eravamo nati noi quattro suoi figli. Però soffriva molto ai piedi per aver tanto camminato specialmente negli ultini trent'anni della sua vita. Era magro come un chiodo ed era non più alto di un metro e sessantacinque. Aveva un album dove conservava le foto di molti attori di varietà degli anni quaranta e cinquanta, tutti con dedica autografa. La sua passione era anche ascoltare prima alla radio e poi vedere in TV tutti i festival di San Remo dai primi anni cinquanta in poi. Quando se lo poteva permettere acquistava qualche disco 45 giri che sono poi diventati l'eredità per me e che ancora conservo unitamente ai 33 giri e qualcuno addiritturas a 78 giri. In uno di questi c'è incisa, chissà in quale anno, una romanza cantata dal famoso tenore Enrico Caruso. Quando mi sposai durante il modesto pranzo di nozze lui scoppiò a piangere perchè sapeva che io e mia moglie lavoravamo in nero e con basse retribuzioni, pertanto pensava che noi non avessimo in vista un futuro molto radioso. Per fortuna le cose andarono meglio e quando tre anni dopo il matrimonio nacque il mio unico figlio per mio padre fu una gioia immensa. Ogni tanto passava a trovarci per vedere il pupo crescere e portava sempre dei dolcetti. Un ultimo episodio che ricordo di lui è quando si metteva seduto in camera da pranzo per scrivere qualcosa su delle carte relative al suo mestiere di venditore porta a porta. Quello era il momento adatto per la nostra gatta Mucci, che avevamo in casa, per potersi arrotolare attorno al collo di mio padre. Nessuno dei due intendeva muoversi dalle posizioni che occupavano. La nostra casa di via della Polveriera non aveva riscaldamento perciò quello era il sistema migliore per entrambi di sentire meno freddo.
Quando combinavo qualche marachella e purtroppo ne ho combinate anche di grosse, lui si sedeva, mi chiamava in separata sede, mi faceva bonariamente la paternale senza mai sfiorarmi con un dito e mi sottraeva dalle altre "cure" che voleva mollarmi mia madre.
Ciao papà io ti ricordo sempre lo sai e, mi raccomando, abbraccia mamma, Giorgetto e Pinuccio per me.

lunedì 16 febbraio 2015

IO CONTRO GIOVE PLUVIO

Vorrei spiegare il perché se ci riesco.
Ho letto da qualche parte, non ricordo dove, che lui è il dio dell’acqua, del fiume, del mare e della pioggia dalla quale derivano appunto il suo nome Giove e il suo cognome Pluvio. Il mio disaccordo con lui nasce dal fatto che non rispetta mai le previsioni meteo dei mass-media che sono fatte sia sulla carta stampata sia in TV, ed anche sul pc. Questo significa mancare di rispetto a chi si prodiga per fornire notizie “certe” ai cittadini. E che diamine, un po’ di serietà perbacco. Quando è previsto bel tempo così ha da essere. Anche per il contrario certo. Io abito a Roma, vicino le coste tirreniche – circa 25-30 km – e quando desidero conoscere cosa prevede il tempo per l’odierna giornata o per l’indomani m’informo leggendo le previsioni. Più di una volta mi è capitato di sapere che per il giorno successivo, nell’Italia centrale, quindi comprese le coste tirreniche, il tempo previsto variava dal parzialmente al molto nuvoloso, da leggera pioggia a temporale, dal maremoto allo tsunami per arrivare al diluvio universale. Unica assente giustificata la nebbia in Val Padana.
Lo ribadisco, la colpa non è dei meteorologi. Affermo convinto che Giove Pluvio ce l’ha con me, giacché qui non si tratta della nuvoletta fantozziana, c’è ben altro.Per quello che ricordo fin dalla mia tenera età lui è stato molto dispettoso. A riprova di ciò basta citare soltanto alcuni esempi. Quando piove a dirotto, io non esco da casa. Naturalmente lo posso fare dato che lo “stipendio” mi arriva dall’INPS il quale mi restituisce i contributi da me versati durante la mia vita lavorativa. Con la pioggerellina provo ad uscire, lo faccio portandomi regolarmente l’ombrello, ma fatti pochi passi Giove Pluvio decide di allontanarsi portandosi appresso la nuvolaglia. Continuo a camminare con l’inutile ombrello che mi penzola dalle braccia. Non sto qui a contare le numerosissime volte che questo è accaduto.A Roma e non solo, circola una specie di motto: “cielo a pecorelle, acqua a catinelle”. Allora guardo il cielo, lo vedo a pecorelle e mi aspetto il seguito, ma sembra che nel Rione dove io circolo le pecorelle si siano allontanate forse per andare a cercare qualche presépe in altri rioni o quartieri di questa città. Succede infatti che mentre dalle mie parti non piove, a pochissimi chilometri di distanza le catinelle decidono di liberarsi dell’acqua in esse contenuta e la scaricano giù in terra. Qualche mese fa son dovuto uscire per un impegno improrogabile. Le previsioni della sera prima avvisavano pioggia in arrivo e bassa temperatura. Alle 11.00 di pioggia neppure l’ombra e assenza della stessa giacché mi trovavo all’aperto in una zona senza alcun riparo di qualsiasi genere e con un sole bollente da fare invidia all’estate. Naturalmente più trascorreva il tempo e più mi toglievo indumenti di dosso. Ma quello che mi è capitato un giorno ha dell’incredibile. Dalla sera prima un furioso temporale aveva allagato tutti i rioni e i quartieri dell’intera città incluso il circondario agricolo. Vento fortissimo, trombe d’aria, lampi, saette, tuoni come cannonate, caduta d’alberi, insomma Giove Pluvio stava proprio incavolato nero. Fatti suoi, ma purtroppo anche nostri. Tutto ciò fino alle 9.00 del giorno dopo. Pian pianino l’infuriare si stava placando ed era rimasta soltanto una pioggerellina tipo quelle d’aprile. Aspetto ancora un po’, mentre guardo dalla finestra mi viene in mente una canzoncina del secolo scorso “le gocce cadono ma che fa se ci bagniamo un po’” per quanto le medesime sono piccole e quindi decido di uscire con tanto d’ombrello per sicurezza. Scendo i pochi gradini di casa, sorpasso l’androne, apro l’ombrello ed esco dal portone e…neanche una microscopica goccia d’acqua cade più! Avanti e indietro camminano passanti, ombrelli debitamente chiusi io, invece, con l’ombrello che non intende richiudersi – si tratta di uno di quelli corti a scatto e sfido chiunque a riuscirci – m’incammino verso non ricordo più dove, giacché ad ogni passo alzo gli occhi e impreco contro Giove Pluvio e la sua combriccola di guastatempo.

lunedì 9 febbraio 2015

PERIPEZIE...

...del mio pcPasquale e degli annessi pasqualini. Quello che mi è accaduto poco tempo fa è incredibile. Era lunedì e fino alle 9.00 a.m. ero stato a cliccare su questo bene(male)detto marchingegno alias Pasquale e tutto funzionava a meraviglia. Dovevo terminare di leggere un libro che mi aveva coinvolto abbastanza e, trascorsi circa 45 minuti, mi sono rimesso a sedere dinanzi a Pasquale ma il monitor era buio. Prima di mettermi a leggere non l'avevo spento e allora? Ho cliccato qua e là, niente, il morto interrogato non rispose. Ho chiesto se qualcuno avesse toccato qualcosa ma nessuno l'aveva fatto. Telefono al tecnico mio amico che mi conosce da anni, gli racconto tutto, mi dice di non essere in casa (abita fuori Roma) e quindi di non poter verificare attraverso un altro suo marchingegno personale quale sia la causa del guasto. Mi promette di venire dopo pranzo. Infatti verso le 14 arriva, si mette all'opera, traffica una buona mezz'ora ma poi mi dice che purtroppo il monitor è deceduto. Mi chiede se sono trascorsi oltre 24 mesi da quando mio figlio procedette al suo acquisto per eventualmente usufruire della garanzia ma purtroppo ne sono trascorsi 32 e quindi nisba. Poi, avendo avuto in regalo sempre da mio figlio un televisore nuovo, di quelli giganteschi e piatti, lui, il tecnico, mi dice che forse, se c'è, non so di quale attacco parli, riesce a sistemare la faccenda. Togli qui, taglia qua, metti lì e metti là, dopo mezz'ora mi ritrovo con un televisore e annesso schermo gigantesco sulla scrivania al posto di Pasquale che è stato delicatamente poggiato sul tavolino della TV in attesa del funerale. Dopo di che prove su prove e istruzioni a non finire che io fatico a comprendere ma poi finalmente ci riesco. Lui, Pasquale, sotto le mentite spoglie dello schermo TV, risorge e io torno a cliccare. Pago il tecnico, per fortuna con una riduzione del 50%, lo saluto, mi dice arrivederci (ma io spero tanto di no) e la cosa appare risolta.
E INVECE NO
perchè dopo circa tre ore il topo-mouse mi dice addio. Non dà più segni di vita. In un negozio vicino casa gestito da cinesi ne acquisto uno nuovo. Detto e fatto ma non completamente perchè è un tipo diverso ed io stento un bel po' a capire come funziona, Infatti non riesco a farlo funzionare bene. Allora riprendo in mano quello che usavo prima, ci parlo, lo prego, lo supplico e quindi il vecchio topo-mouse che fa? Esaudisce le mie preghiere e risorge anche lui. L'odissea sembrerebbe terminata ma, c'è sempre un ma, si è sparsa la voce tra i miei nipoti, figli dei miei fratelli, uno dei quali mi fa avere, tramite un suo giovane amico ultra informatico che viene perfino a casa per renderlo funzionante, un monitor di computer non nuovo ma in perfette condizioni e di dimensioni più adeguate alle mie attività (cm.35x30). A gratise!!!
Conclusione: adesso lo schermo televisivo panoramico è tornato a fare il TV ed io mi ritrovo con un unico marchingegno, Pasquale, che si è felicemente unito in matrimonio con un altro monitor e con due topi-mouse entrambi funzionanti.
Io sono inesperto e caprone e questo è noto, però prendo un mazzuolo di legno, lo poggio sulla scrivania accanto al pc Pasquale e ai due topi Pasqualini, glielo mostro e li avverto: alla prima che mi fate v'assicuro so' mazzate.
PURTROPPO DA QUALCHE GIORNO PASQUALE SI CONCEDE IL BIS E SI SPEGNE SENZA CHE IO MUOVA UN DITO PER POI RIACCENDERSI DA SOLO. MISTERO !

lunedì 2 febbraio 2015

SALUTAMI TUO PADRE

Il commissario Alberti stava indagando su un caso personale che lo angosciava. Il fatto era che riguardava qualcosa e soprattutto qualcuno che lui amava, la sua unica figlia diciottenne. Si trattava di quello che lei , Sabrina, aveva subito, uno stupro di una notevole gravità per il quale era tuttora ricoverata in ospedale già da tre giorni. Soltanto la sera del secondo giorno Sabrina aveva iniziato a raccontare al padre che la incalzava, alcuni particolari che lo avevano piuttosto convinto che c'erano almeno tre di questi particolari che l'avrebbero aiutato a scoprire il colpevole o i colpevoli di tale misfatto. Quando fu messo a conoscenza dalla propria moglie Rosa, la mamma di Sabrina, di quanto era avvenuto, aveva chiesto ai suoi superiori di volersi occupare personalmente delle indagini cosa che le venne negata in quanto lo ritenevano troppo coinvolto in questa vicenda così personale. Al che lui apparentemente non si scompose ma, testardamente prese una decisione: avrebbe condotto le indagini a modo suo con molta discrezione. Per prima cosa si mise d'accordo con un vice-commissario suo ottimo amico e che, esperto d'informatica, lo avrebbe aiutato in alcune ricerche che voleva fare per capire quali e quanti arresti aveva compiuto risalendo almeno ai cinque anni precedenti. Soprattuto se, i soggetti incriminati, si trovavano a scontare la loro pena o se messi in libertà. Tali informazioni erano per Alberti indispensabili in quanto sua figlia gli aveva raccontato, tra i singhiozzi, che lo stupratore non agì da solo ma insieme a due altri soggetti i quali, dopo l'aggressione compiuta in un vialetto del parco che stava percorrendo - erano soltanto le venti di sera - l'avevano immobilizzata a terra e imbavagliata. A quel punto l'altro soggetto poté compiere lo stupro. Il commissario nel racconto che gli fece sua figlia mise a fuoco i particolari che lo avevano colpito. Sabrina percorreva quel tratto di strada che la divideva dalla propria abitazione a quella di una sua cara amica, diversamente abile, quasi tutti i giorni feriali e nello stesso orario almeno da due anni. Quella sera Sabrina, nel far ritorno a casa si accorse che in un punto del viale due lampioni erano spenti e iniziò a procedere più velocemente ma, fatti pochi passi, tre individui mascherati l'avevano malmenata e poi tutto il resto. Soltanto uno di essi, che poteva essere una sorta di capo in quanto gli altri probabilmente più giovani si erano limitati a sogghignare, aveva compiuto ferocemente la violenza carnale. Ma, prima di andarsene , lo stupratore con voce contraffatta le sussurrò in un orechio soltanto tre parole: "salutami tuo padre". Il commissario comprese che doveva trattarsi di un soggetto che voleva vendicarsi di qualcosa che lui aveva compiuto nell'esercizio dei suoi doveri. Si fece una domanda chiedendosi come mai il delinquente sapeva che Sabrina era sua figlia? Gli tornò in mente a quel punto che lei gli racconto di aver ricevuto un paio di settimane prima una telefonata e una persona, voce femminile, le aveva detto di chiamarsi Rosalba e di volerla salutare dichiarando di essere sua amica. Sabrina rispose che non conosceva alcuna Rosalba. Allora quest'ultima le chiese se si chiamasse Anna figlia dell'ispettore Martelli ma lei rispose di chiamarsi Sabrina e di essere figlia del commissario Alberti. Tutto ciò aveva rafforzato i sospetti del commissario. Ci volle del tempo prima di raggiungere quelle certezze indispensabili per essere sicuro di colui che aveva compiuto quel misfatto. Una sera, era quasi mezzanotte, si appostò nei pressi dell'abitazione dell'individuo che aveva ormai accertato essere il colpevole, lo vide scendere da un'auto in quella viuzza piuttosto buia si avvicinò, lo chiamò apostrofandolo "ciao stronzo sono venuto a ricambiare il saluto" affrontandolo a viso aperto. Il delinquente appena lo vide con estrema velocità impugnò una pistola ma nello stesso momento una raffica di proiettili lo colpì in pieno petto. Uno di quei proiettili purtroppo colpì nella nuca il commissario che stramazzò a terra. I poliziotti che avevano seguito le stesse tracce, nell'intento di cercare di salvare il loro collega dai colpi del criminale, sparando, non avevano colpito soltanto il colpevole ma anche l'Alberti che era disarmato e che morì quasi istantaneamente.

lunedì 26 gennaio 2015

QUEL SIMPATICONE...

...del cane dei miei vicini. Per la verità io sto al primo piano e loro, mi sembra, al terzo o quarto piano del fabbricato dove abitiamo. Sono l'abitante che vive qui sin dal 1969 (il più antiquato) mentre loro, genitori e tre figli, forse, se non ricordo male, soltanto da una quindicina di anni. Ottime persone, cordiali e corrette.
Circa quattro anni fa aggiunsero al loro nucleo familiare un simpaticissimo cagnolino che, con il trascorrere del tempo è diventato un bel canone. Il suo nome è GIGGI e lo hanno volutamente chiamato così perché qui a Roma Giggi sta per "Giggi er bullo", il soprannome di un personaggio caratteristico romanesco noto per i modi in cui si atteggia in alcuni frangenti. Per tutta la durata della giornata Giggi non si vede e non si sente, come se non vivesse nel nostro edificio. Ma "due volte al dì invece sì". Il bullo si fa sentire, altroché se si fa sentire e in due orari precisi: 13,30 e 20,00. Abbaia così forte che credo lo sentano a chilometri di distanza ma, qui sta la cosa strana, il suo comportamento è, a dir poco, singolare. Tra me e me mi sono ripromesso di volerne comprendere bene il perché.
Un giorno, verso le 13,30, sto rientrando a casa e, dopo aver aperto la vetrata posta dopo il portone d'ingresso, la richiudo senza accorgermi che nello stesso momento l'ascensore è arrivato al pianoterra e la giovane figliola dei vicini, con Giggi al guinzaglio, sta preparandosi per uscire in strada.
Ci salutiamo e ci scambiamo alcune frasi di circostanza mentre Giggi, il canone, fremente, è tutto proteso verso la vetrata muovendo le zampe come se stesse ballando il tip tap. Ogni tanto si ferma e volge il muso verso la giovinetta che lo tiene al guinzaglio, quasi implorandola con gli occhi. In parole povere, non vede l'ora di uscire in strada. Mi rivolgo alla giovane per invitarla a dare ascolto
al desiderio del suo canone e pertanto svanisce il mio di desiderio di volerne sapere di più su Giggi.
Sì perché appena esce dal portone e messo le zampe in strada comincia ad abbaiare furiosamente. E seguita a farlo per tutto il tratto di strada fino a quando non gira l'angolo, dopo di che silenzio, ma un silenzio talmente assoluto che quasi preoccupa. Dopo di che il bis alle 20,00. E così tutti i giorni dell'anno.
Sono arrivato a due conclusioni, la prima: Giggi ha le sue esigenze e quindi ha mille ragioni di voler uscire in strada per le due rituali passeggiate. La seconda: a Giggi stanno sulle scatole i due TG DI RAI UNO, QUELLO DELLE 13,30 E QUELLO DELLE 20,00. Ergo preferisce passare il tempo altrove e non a casa.