lunedì 28 luglio 2014

IL FURBASTRO

Tra la fine del 1949 e l'inizio del 1950 un commerciante romano in vista del Giubileo di quell'anno pensò bene di ampliare il proprio negozio di abbigliamento aggiungendo, oltre al reparto femminile anche uno più piccolo per quello maschile. Aveva previsto, giustamente, che l'enorme afflusso di pellegrini e turisti a Roma, gli avrebbe consentito di fare ottimi guadagni e, per l'occasione, oltre alle due commesse che già lavoravano nel suo negozio, ne aveva assunto altre due, più giovani. Assunse anche un uomo pratico del ramo per il reparto maschile ed anche per agire come una sorta di direttore. Il "direttore" assunto aveva trentadue anni, di statura media e di aspetto comune, non poteva effettivamente definirsi un bel ragazzo ma neppure brutto. Scapolo, sempre elegante, attirava soprattutto la clientela femminile poiché ciò che lo faceva apparire abbastanza piacevole era il suo carattere, il suo modo di agire e quello di essere oltre che un discreto parlatore anche un attento ascoltatore. A volte si compiaceva del suo savoir-faire quando soprattutto riusciva a raggiungere quanto si era prefisso. Con il trascorrere dei giorni il proprietario si sentiva abbastanza soddisfatto di come procedevano le cose nel suo negozio sia dal punto di vista commerciale sia da quello della perfetta armonia che regnava tra il personale. Il "direttore" se la cavava egregiamente nei rapporti con le colleghe sulle quali, quelle più giovani, una biondo-cenere e l'altra bruna, aveva già messo gli occhi. Il problema era quello di quale scegliere per le "manovre di accerchiamento" poiché entrambe non avevano nessun pari età con il quale mantenere alcun tipo di rapporto, erano molto carine se non di più e apparentemente disponibili almeno per un primo approccio. Studiò un piano, apparentemente molto semplice. Doveva accompagnarle alla loro casa, una alla volta naturalmente e quindi, prima qualche parolina per conoscere meglio i loro caratteri e le loro personalità poi man mano comprendere chi avrebbe gradito le sue avances. Lo scopo era quello di sapere chi delle due si sarebbe lasciata convincere ad avere con lui una relazione breve o di più lunga durata. Per questo, almeno per il momento, non si era posto il problema. Come prima volta, una sera, dopo che erano usciti tutti dal lavoro si avvicinò alla bionda e, con molta circospezione, si autoinvitò per accompagnarla e si accorse che lei gradiva questo suo interessamento. Ripeterono la passeggiata insieme ancora altre volte e tutto procedeva abbastanza bene ma non come lui avrebbe desiderato. Sempre pregandola di mantenere il "segreto" seguitarono a vedersi frequentandosi però ancora platonicamente. Lui allora decise di procedere con la bruna adottando lo stesso metodo. Volendo seguitare a vedere anche la bionda calendarizzò le serate in questa maniera: il lunedì assegnò il turno alla bionda mentre alla bruna assegnò quello del sabato.Una sera, era un lunedi, aveva dato appuntamento alla bionda davanti ad un bar che frequentava tutte le volte in cui si incontrava con le sue due giovani colleghe, abbastanza lontano dal negozio in cui lavoravano, ma erano le 21 passate e la bionda non si vedeva. Dopo circa dieci minuti lei arrivò ma non era sola, insieme a lei c'era anche la bruna. Entrambe avevavo stampato sulla bocca un sorriso beffardo e, andandogli incontro, la bionda lo apostrofò così
= direttore dei miei stivali ti vogliamo dire in coro che sei uno sciocco presuntuoso e che hai commesso dei grossi errori uno dei quali è quello, piuttosto infantile, di usare le stesse identiche parole e le identiche frasi ad entrambe. È bastato raccontarci quello che ci hai detto allorquando ci vedevamo con te, sia pure a giornate alterne, per capire che credevi di fare il furbo con noi ma sei soltanto un maldestro furbastro. Buona nottata" e se ne andarono lasciandolo a bocca aperta.
La mattina del lunedi successivo lui telefonò al proprietario del negozio nel quale lavorava e gli disse che doveva partire quel giorno stesso per raggiungere il proprio fratello in Australia.

lunedì 21 luglio 2014

IL GERMANICO

In una piazza vicino casa dove io transito all'incirca quasi tutti i giorni m'incuriosì tempo fa uno strano caso. Una panda blu scuro Fiat lì parcheggiata regolarmente a spina di pesce non aveva né il ticket pagato per la sosta e neppure autorizzazioni quale residente del Rione o disabile. Erano molte cose che incuriosivano di quell'auto: la targa automobilistica della Germania, i finestrini e il parabrezza completamente oscurati dall'interno con pezzi di cartone d'imballaggio perfettamente sagomati, alcuni oggetti sistemati all'aperto di fronte all'auto quali coperte, cuscini, tavolino e sedia pieghevole da campeggio, insomma c'era di tutto un po'. Qualche giorno prima avevo visto un signore di una settantina d'anni il quale seduto sul sedile anteriore, metà dentro e l'altra metà fuori, prelevava da una specie di zuppiera che teneva fra le mani qualcosa che mangiava lui e che in parte dava a gatti e piccioni i quali lo avevano attorniato.Venni a sapere da un mio amico residente a non più di venti metri dalla panda blu e da tutto il resto, che si trattava di una persona che viveva o sopravviveva in quelle condizioni da cinque o sei anni. Per mangiare andava negli orari prefissati ad un convento di suore poco distante, bussava e otteneva il tutto gratis. Per dormire quando faceva freddo si sistemava dentro l'auto e quando faceva caldo fuori all'aperto sul marciapiede dove si era attrezzato a dovere. Per il bagno invece poteva liberamente accedere ai WC di due bar nei pressi della piazza. Non aveva mai chiesto soldi a nessuno, né la polizia del vicino commissariato e neppure i vigili urbani o gli ausiliari del traffico avevano chiesto qualcosa a lui. Convivenza pacifica. Forse per distrazione o forse preso da altri pensieri, pur passando da quella piazza molto spesso, mi disinteressai completamente della strana storia anche perché non avevo più visto la panda parcheggiata e neppure il suo proprietario. Due giorni fa però, passeggiando vicino il giardino che si trova nella piazza, vidi il "germanico" che conversava con un anziano suo coetaneo il quale portava a spasso due barboncini muniti di regolare guinzaglio. Guarda guarda chi si vede mi dissi. Spinto dalla curiosità, visto che i due erano seduti in una panchina di quel giardino, andai a vedere se la panda era tornata ed invece, nello stesso posto di prima, era parcheggiata una "opel" bianca, mezza auto e mezza furgone, con i vetri schermati da carta di giornale, la targa germanica – non so se la stessa della panda precedente – stracolma di masserizia, oggetti d'ogni genere, varie pentole di tutte le misure poggiate sul sedile anteriore del passeggero ed altro ancora. Sul marciapiede, di fronte all'auto, in misura inferiore rispetto la volta scorsa, qualche altro oggetto coperto da un telo impermeabile di plastica scura. Girando intorno a questa nuova "casa del germanico" notai che sui vetri degli sportelli anteriori c'erano incollati due cartelli con la scritta a caratteri cubitali "NON SOSTATE TROPPO VICINO ALTRIMENTI NON POSSO ENTRARE O USCIRE". Inoltre, attraverso il parabrezza, notai anche che sul cruscotto era incollato un foglio formato A4 e vidi che si trattava di un verbale della Polizia municipale molto lungo dove c'erano frasi che non mi riusciva di leggere perchè scritte a caratteri minuscoli. Ero intento a cercare di leggere il contenuto di quel foglio ma mi accorsi che si stava avvicinando il "germanico" modestamente abbigliato e con sulla testa canuta uno zucchetto di lana da sciatore. In un italiano accentuato dal dialetto romanesco mi disse
= Ahò, che te voi compra' la machina? Guarda che te faccio fa' 'n'affare, nun costa tanto...
= Veramente stavo soltanto dando un'occhiata...
= Nun te proccupa', io ce abbito qua drento perché devi da sape' che so' stato a lavora' in Germania pe' un sacco d'anni, me so' comprato casa qui a Roma ma quanno so' tornato dalla Germania l'ho trovata occupata, nun me riesce manna' vvia la ggente che ce stà e a me me tocca vive così, te pare giusto?
= Direi proprio di no. Ad ogni modo le faccio i miei migliori auguri e scusi per l'intromissione...
= Ma de che? Anzi si aripassi de qua fatte vede, magara se pjiamo un caffé...
Il suo amico con i due cani lo chiamò
=Aristode' nun venghi?
= Arivo... Allora te saluto sor mae', statte bene.
= Grazie, arrivederci...=
E restai lì a bocca aperta per lo stupore.
Il "germanico" non era per niente germanico però aveva una nuova "casa".

lunedì 14 luglio 2014

LETTERA DA MIA MADRE

Ciao Aldarello.
Sì lo so, non è più il caso di chiamarti così alla tua età ma a me piace molto chiamare te e i tuoi fratelli – due dei quali insieme a papà stanno qui con me – come quando eravate bambini.
A proposito di bambini, quando diventasti più grande ti raccontai che al momento della tua venuta al mondo mi creasti dei problemi e corremmo entrambi qualche rischio ma poi tutto si sistemò. Forse è stato per questo che ho avuto un certo debole verso di te anche se invece tu eri il cocco di papà. Infatti, malgrado le marachelle, piuttosto grosse direi, che combinasti fino al compimento dei tuoi diciotto anni, ti ho voluto bene. Naturalmente il mio affetto e il mio attaccamento era anche per i tuoi tre fratelli, certo. Una delle marachelle era quella, non so se te la ricordi, di quando infilavi la mano nel ripieno di ricotta di mucca, canditi e scagliette di cioccolato che preparavo durante le festività natalizie per i cannoli siciliani, una delle mie specialità graditissima da tutti. Tu magari avrai pensato che mi fosse sfuggito il tuo armeggiare dato che ero voltata di spalle ed invece sapevo benissimo che eri tu "al lavoro" nella parte bassa della credenza di cucina.Comunque io e papà eravamo molto orgogliosi di voi quattro birbanti nonostante tutto quello che facevate. Purtroppo nel 1976, io avevo 66 anni, ho dovuto lasciarvi ed ho raggiunto papà che già ci aveva lasciati nel 1970. Sai perché ti scrivo questa lettera? Perché sia nel 1953 e sia nel 1966 e nel 1975 te la sei vista molto brutta, ma a me non faceva piacere andarmene prima di chiunque di voi quattro ragazzi. Ed è andata così. Infatti, pensa un po', stai arrivando alla tua veneranda età malgrado tutti i guai fisici che sopporti e che hai dovuto sopportare. Certo non scoppi di salute, tutt'altro, però tiri avanti.
Noi qui ovviamente non abbiamo radio e neppure televisione però siamo riusciti ad entrare nel tuo pc-Pasquale,vediamo tutte le tue scribacchiature e ne discutiamo, ma non ci dispiace leggerti. Praticamente stai ripetendo quello che facevi da bambino e da ragazzo inventandoti in parte tante storielle. Da uomo più che maturo stai ricordando anche molte cose del tuo e nostro passato arricchendole magari con un po' di fantasia. Non so se lo rammenti ma la tua insegnante delle elementari me lo diceva che tu eri bravo a fare i temi d'italiano ma poi, dopo la terza media, ti sei fermato, cioé, come si usa dire, ti sei "guastato col crescere". Adesso resta lì dove ti trovi, intendiamoci non che qui si stia male, però è preferibile essere ancora in carne, ossa e tutto il resto, credimi. Non ci sarà bisogno di avvisarci quando verrà il tuo turno, noi tutti lo sapremo prima. Salutaci affettuosamente tutti i nostri familiari, tuo fratello, le vostre mogli, i nipoti e le pronipoti. Intanto anche noi ti salutiamo abbracciandoti forte.
Mamma.


venerdì 11 luglio 2014

SONNO

La mia personalissima battaglia contro il sonno ebbe inizio quando cominciò la Seconda Guerra Mondiale, oltre 74 anni fa. Pensandoci bene mi piacerebbe battere questa sorta di record arrivando alla durata di quella dei cent'anni fra l'Inghilterra e Francia – protagonista tra gli altri la ben nota Pulzella d'Orléans Giovanna d'Arco. Credo che il motivo della mia insonnia derivi da un episodio che ancora ricordo benissimo. Avevo circa dieci anni e a casa mia noi quattro fratelli eravamo stati abituati da nostra madre ad andare a dormire non più tardi delle ventuno anche perchè non avevamo TV, all'epoca una perfetta sconosciuta. Io e mio fratello più grande – dodici anni – dormivamo in due lettini in camera da pranzo, gli altri due – di sei e quattro anni – nella camera da letto dei nostri genitori. Mia madre era solita rimanere alzata fino a tardi in attesa del ritorno di mio padre – macchinista di teatro - che rientrava dal lavoro poco prima di mezzanotte. Dopo aver sistemato quello che noi fratelli avevamo messo in disordine dentro casa era solita venire a sedersi in camera da pranzo a rammendare o a ridurre di misura gli abiti di noi due fratelli più grandi per poi passarli a quelli più piccoli. Nel frattempo ci raccontava fatti della sua gioventù fino a che non ci vedeva entrambi addormentati. Un giorno però mi raccontò l'episodio cui facevo cenno prima. Mi disse che non una ma almeno tre volte nel corso degli ultimi tempi, verso le ventitré, mezz'ora pù mezz'ora meno, io mi alzavo dal letto e, avviandomi in cucina, ad alta voce dicevo =mi devo sbrigare sennò faccio tardi a scuola=. Poco dopo tornavo dalla cucina e mi rimettevo tranquillamente sotto le coperte. Mia madre non mi diceva neppure una parola perché sapeva che non era opportuno svegliarmi. E meno male che non ho imitato il più piccolo dei miei fratelli il quale una volta, da bambino, vide sul tavolo di cucina un rettangolo di qualcosa di sostanzioso e, credendolo formaggio, gli dette un morso. Era sapone da bucato. Dalla fine della guerra non sono più un sonnambulo ma non riesco a dormire se non prendo una compressa di sonnifero. Quesito forse un po'stupido: chissà perché sulle scatole di compresse c'è scritto "per uso orale". Si possono usare in altri modi, ad esempio come supposte? Troppo piccole, non credo.Attualmente la situazione sulla faccenda sonno e derivati è la seguente: quasi tutte le sere alle 21 – 21.10 salvo imprevisti, metto un po' a riposare il mio pc-Pasquale. Cerco in TV un film o una trasmissione decente da vedere (quasi sempre però m'addormento) e, verso le 23 – 23.30 quando tali programmi solitamente smettono, prendo la compressa di sonnifero la quale per fare effetto, almeno su di me, ci mette quasi un'ora. Inganno l'attesa ritornando da Pasquale a cliccare qua e là quindi mezzo addormentato mi metto in pigiama e mi infilo nel letto.
La giostra quotidiana, serale, anzi notturna riprende a girare e, qualche volta, sogno.

martedì 8 luglio 2014

Estratto da "L'IMPREVISTO"

un mio racconto-post in cinque puntate pubblicato nell'ottobre 2009
.......
Mancavano appena un paio di mesi alla fine dell’anno scolastico e quella sera, erano circa le 23, dopo aver letto qualche pagina del libro che avevo tra le mani in quei giorni, spensi la luce e mi accingevo a dormire quando sentii bussare alla porta della mia camera
= Nico?
= Sì?
Senza aggiungere altro Asia aprì la porta, entrò e s’infilò nel mio letto. Percepii che si toglieva qualcosa di dosso. Si adagiò accanto a me e…
Stetti siccome immobile…esitante feci un sospiro…mi volsi verso di lei…mi colse un capogiro…il tacito domandar non mi fu dato…ella s’avvicinò ancora più di prima…il volto fra le sue mani mi prese dolcemente…mi baciò in fronte…indi le labbra sue raggiunsero le mie ed io…non resistetti…contraccambiai…volle allora prender le mie mani e sui seni suoi condurle lievemente…li carezzai…li baciai…sentii fremere il suo caldo corpo…lentamente mi fece proseguire premendo in modo tenue il capo mio lungo di lei…là fin dove nasce ogni umana vita…gemiti sommessi…e poi un grido…a stento soffocato…oltre non andammo…pose un suo dito sulle labbra mie…capii che un bel tacer era da lei gradito…infine prese una delle mie mani che a lei era avvinta…la baciò sul dorso e…racchiusa nel mio corpo…s’addormentò pian piano…udii il suo russare tenero e delicato…m’addormentai anch’io sebbene frastornato.
Contrariamente al solito, stamattina mi sveglio tardi…Altroché, le nove passate, Asia è già andata alla scuola dove insegna…Un momento! A proposito di Asia…ma…che sogno ho fatto stanotte? E’ meglio che mi preparo un bel caffè. Sul tavolo in cucina, già pronto per la colazione, c’è un biglietto: “Ciao Nico, dormivi così bene che non ti ho voluto svegliare, ci vediamo oggi pomeriggio, Asia”. Lei mi ha visto dormire bene? Che vuol dire? Torno quasi di corsa in camera mia…nel letto lo spazio accanto al mio reca i segni di qualcuno che ha dormito accanto a me…sento persino uno strano, piacevole odore… Non ho sognato! E adesso? Mi viene in mente, e non so spiegarne il perché, l’espressione che pronuncia Dante, tramite Virgilio nell”Inferno” - Divina Commedia: “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandar”. Mettiamola così è stata sua volontà? Allora io non domanderò. Per ore ed ore rimuginai dentro di me quello che era accaduto e cercai di prepararmi ad affrontare la situazione nella maniera più serena e tranquilla possibile. Non potevo negare che nel biglietto che Asia mi aveva lasciato sul tavolo c’era un chiaro invito ad attenderla appena uscita da scuola. Era evidente che volesse fornire qualche spiegazione. Cercai di dedicarmi alle mie quotidiane occupazioni quando, appena dieci minuti dopo le 16,30 sentii introdurre le chiavi nella porta di casa e


=Dove sei Nico= =Sono qui che sto leggendo= =Bene soltanto qualche attimo e poi potrai andare dai tuoi amici del Circolo Pensionati.= =Non c’è nessuna fretta= =Ci tenevo a parlare con te dopo…beh…dopo, sai che cosa intendo…Ecco…secondo me, entrambi “abbiamo sognato”! Che ne dici? A te sta bene questa interpretazione di quello che è avvenuto?= =Sono d’accordo. Soprattutto perché ho già dimenticato. Adesso vado, ciao ci vediamo più tardi= =Preparo io la cena, va bene?= =Benissimo, ciao=


 Conversazione lampo, rapido scambio di battute, capitolo chiuso anzi episodio mai accaduto. Considerata la mia età a me andava bene così. E dire che avevo impiegato numerose ore ad escogitare quale comportamento tenere riguardo quella questione piuttosto imbarazzante almeno per me. Tutto risolto nel migliore dei modi.

giovedì 3 luglio 2014

'NA COSA PE' VORTA

Io c'ho un fijio solo, unico ner senso che nun ce ne so' artri e puro ner fatto che è un frego attaccato a noi genitori sua, affettuoso, bravo, generoso, premuroso, socievole, eccetera eccetera.
Quarcuno me po' di': possibile che é così perfetto e nun c'ha difetti? Si è pe' questo tutti ce l'avemo li difetti (li sua nun li dico manco sotto tortura). Io poi mejio che me sto zitto perché de difetti ce n'avrò na valanga ma, qui sta er punto, solo 'na frase che m'aripete in continuazione me manna in bestia. Sì perché, parlamose chiaro, io c'ho guasi 84 anni e lui ventinove meno de me, abbasta fa un po' de conti pe' capi' che 'na differenza deve pe' forza essece ne li raggionamenti e ne li comportamenti.
Lui c'ha 'na mojie, due fijie. du' gatti e 'na serie de probremi tra i quali, io e mi mojie che è su' madre alle prese co' grossi guai fisici e psichici perché no.
Praticamente anche se vivemo in du' case separate e in du zone diverse de Roma, lui c'ha sur gobbone sia la famijia sua sia noi du' genitori.
Fortuna che mi' nora, su' mojie, è un tesoro e puro lei se dà un da fà de la miseria.
E allora, in do' sta er probrema?
Mo lo dico pe' filo e pe' segno.
Me pare che lui, er mi fijio unico, ariesce a regolarizza' er tutto a compartimenti stagni, come se vivesse drento 'n sommerggibbile mentre io invece vivo come sopra
'na zattera.
Forse è mejio che me spieghi mejio.
Tutti li probremi che c'ha sur groppone, li mia e li sua, lui l'affronta co'carma, senza nissun affanno e nissuna ansia, cioè 'NA COSA PE' VORTA. Er bello è che c'ariesce e li arisorve vorta pe' vorta. Io invece li probremi li vedo tutt'insieme e vojio arisorveli ar più presto possibbile, puro quelli che veranno tra due, tre e artri mesi. E quanno ne parlo co' lui, prima che me li scordo, lui m'ammolla sempre quella frase: 'NA COSA PE' VORTA, 'NA COSA PE' VORTA, 'NA COSA PE' VORTA e così via, uffaaa. Io addivento 'na berva.
Sì perché poi ce penso la sera, la notte e li giorni dopo.
Intennemose, qui lo dico e qui lo nego, io se nun ce fosse lui nun saprei com'anna' avanti e quinni 'n sacco de vorte abbozzo e manno giù.
Certe vorte penso: ma come pote' ricambia' a lui e alla famijia sua tutto quello che ha fatto e fa pe' noi, padre e madre sua? Da vivi gnente. E così pure quanno noi due, io e mi mojie se n'anneremo all'arberi pizzuti nun c'avemo gnente da lasciajie, nessuna eredità, né sordi né casa, gnente! Così come i mi nonni, materni e paterni e così come anche li genitori mia e de mi mojie gnente c'hanno lasciato e gnente lassamo noi.
A me nun me né fregato mai un tubbo. So'sicuro, manco a lui. E nun semo invidiosi.