lunedì 29 luglio 2013

PICCIONI

**A settembre del 1948 ero da poco fidanzato con una ragazza, poi mia moglie, la quale, nata a Roma, abitava vicinissimo Piazza Navona in un vecchio palazzetto di una stretta via del Rione VI Parione. Di fronte a quello, altro palazzetto d'epoca remota nel quale, all'ultimo piano proprio sotto il tetto a tegole curve o coppi, abitava allora una famiglia composta da padre, madre e quattro figlie femmine delle quali la più piccola era fidanzata con un fratello della mia ragazza. A quei tempi si faceva presto a fare amicizia e a frequentarsi tanto che le due famiglie, anche per ragioni legate ai fidanzatini, stavano spesso insieme. Una domenica venni invitato anch'io a pranzo a casa delle quattro sorelle. La loro madre mi accolse con molta cordialità, mi fece visitare la casa. Si era creata una bella atmosfera. Nel fare il giro delle stanze di quell'abitazione notai che in quella del soggiorno la porta-finestra che dava su un piccolo balcone era completamente spalancata. Non ne comprendevo il motivo nel senso che data la stagione rigida e la totale mancanza di riscaldamento nell'abitazione, da lì entravano folate di vento gelido a non finire. Chiesi alla gentile padrona di casa il perché di ciò e lei mi disse: 'per i piccioni. Io gli metto qualcosa da mangiare non sul balcone ma per un bel tratto della stanza poi, quando cinque o sei di loro sono intenti ad occuparsi del cibo, chiudo la porta-finestra, li catturo, gli torco il collo, li spenno e poi li cucino. Sono ottimi in salmì.' Rimasi di stucco. Poi, molto educatamente, poco prima del pranzo dissi alla cacciatrice che, per alcuni disturbi dello stomaco dovevo mangiare il primo piatto in bianco, poi un poco di contorno e un'arancia. Da quella volta mi sono guardato bene dall'andare a pranzo o a cena da loro.
**Il cortile condominiale del fabbricato dove tuttora abito da oltre quaranta anni un tempo era stato sempre frequentato da una dozzina di piccioni dei due sessi – o anche tre ma non l'ho mai accertato – i quali avevano costruito la loro dimora e nido d'amore sulla rivestitura esterna della canna fumaria che correva in alto, sotto il tetto di un locale una volta adibito a sala biliardi annessa a un grande bar e lungo il perimetro del locale medesimo. Salvo le pausa-pranzo e pausa-cena quei colombi trascorrevano la maggior parte della loro giornata su quella canna fumaria e tubavano tubavano in continuazione proprio di fronte le mie tre finestre. Crescevano e si moltiplicavano praticamente senza soluzione di continuità. La mia abitazione situata al primo piano, specialmente d'estate, risuonava dei loro suoni e talvolta, quando avevo le finestre spalancate, qualche piccione s'infilava dentro casa. Avevano però la brutta abitudine di insudiciare sia le mura esterne del locale, ex sala biliardi, sia i davanzali delle mie finestre e quelle degli altri abitanti del condominio. Qualche volta trovavamo i loro “ricordini” sulla nostra biancheria stesa ad asciugare. Non solo la nostra naturalmente. Dopo anni ed anni finalmente è stata trovata una soluzione a tale problema. In tutti i posti dove i piccioni si accomodavano per costruire i loro nidi, per dormire, per tubare e per far nascere altri loro eredi, sono state collocate delle sottili sbarre di ferro munite di una serie fittissima di punte metalliche acuminate così da impedire loro qualsiasi tipo di sosta su ogni dove. Rimedio perfetto e da allora i picccioni sono emigrati verso altri lidi.
**Alcune volte mi reco presso uno dei supermercati che distano non troppo lontano da casa mia. Quello più vicino mi consente di camminare in uno dei due marciapiede di un tratto non breve di Viale Manzoni quello cioé che costeggia le mura di un Istituto tecnico statale e di una facoltà dell'Università La Sapienza di Roma. Su questo tratto di strada non ci sono negozi di alcun genere e neppure accessi di abitazioni, soltanto mura perimetrali. Verso le 9.30 di ogni mattina io transito di là e noto un mio amico molto anziano che sembra ormai non starci più con la testa in quanto lo saluto, mi guarda e, assorto nei suoi pensieri, passa oltre senza profferire parola. Altre volte invece mi saluta molto cordialmente senza però chiamarmi per nome tanto non credo che lo rammenti. Quest'amico porta sempre con sé una capiente busta di plastica stracolma di chissà quale tipo di briciole, chicchi o semi ecc. che sparge a piene mani sul marciapiede. Circondato da una miriade di piccioni , forse tra loro ci sono anche quelli emigrati dal mio cortile, l'amico non si cura né dei passanti né di me che gli passo accanto e cerco di attaccare discorso. È in tutt'altre faccende affaccendato. Da un bel po' di tempo però su quel tratto di marciapiede vedo solo i piccioni che beccano, girano e svolazzano in cerca di qualcosa, ma del mio amico con c'è traccia alcuna. Aspetto un po', mi guardo intorno, infine proseguo. Preferisco non formulare ipotesi.

giovedì 18 luglio 2013

IL SORPASSO

Me ne andavo una mattina a passeggiare...
...così come faccio tutti i giorni, per gli stessi tratti di strada e, tempo permettendo a seconda delle stagioni, agli stessi orari: non prima delle 8.30 e non dopo le 11.00. Sempre che le stagioni siano quattro perché da qualche tempo qualcuna di loro mi sembra si sia dileguata.
Questa mattina esco di casa, passo al marciapiede opposto che costeggia un Istituto Tecnico e mi avvio verso mete lontane ...che sarebbero il mio sogno
ed invece...
Da più di un anno la mia velocità di crociera si è ridotta notevolmente e allora quando sono in strada cedo volentieri il passo a chi, dietro di me, cammina più spedito.
Sto arrivando quasi a metà della strada dove abito quando sento uno scalpiccio di piedi, mi faccio di lato e mi volto un poco accorgendomi che un uomo, intorno ai cinquant'anni, sta per avvicinarsi piuttosto velocemente. A seguire una donna, credo di pari età, che cammina un po' indietro.
Sono una coppia e lo capisco poiché passandomi accanto li sento dialogare e li vedo gesticolare ma un poco a distanza l'uno dall'altra in quanto lei non riesce a tenere lo stesso passo.
M'incuriosisco e allora li seguo anche se non alla stessa velocità.
Giunti all'incrocio con Via Conte Verde l'attraversano e seguitano andando dritti verso l'altro incrocio con Via Principe Eugenio, sempre dialogando e gesticolando.
Noto che lui parlando con lei che gli sta dietro a fatica non si volta mai. Perché? Mi pongo la domanda ma mi rispondo dicendomi di farmi i fatti miei.
La curiosità che mi ha spinto a seguire la coppia almeno fino a che mi è stato possibile nasce da un ingenuo mio desiderio: mi sarebbe piaciuto che a lei fosse riuscito il sorpasso.
Si sarebbe voltata a parlare con lui?

lunedì 15 luglio 2013

L'IMPORTANZA DEL SALUTO

Addio, arrivederci, buongiorno, buonasera, buonanotte che sono usati normalmente come saluti augurali o di commiato a volte possono anche non essere tali. Oppure essere male interpretati sia da chi li rivolge sia da chi li riceve. Allora come ci si deve comportare?…Non lo so…posso soltanto cercare di comprenderne gli intendimenti. Io personalmente saluto, per esempio, amici, conoscenti, gli abitanti del fabbricato in cui risiedo anche se non li vedo spesso, negozianti, commessi, commesse e cassiere dei supermercati e dei negozi dove abitualmente mi reco, nonché gli operatori ecologici - ex netturbini già scopini - che cercano di mantenere pulite le strade che sono percorse. A proposito di saluti mi rammento di un fatto accadutomi circa 26 anni or sono. Rientravo a casa con mia moglie verso le 19.00 quando, appena entrato nell’androne vidi scendere dalle scale un tale, che non avevo mai notato prima d’allora, dall’aspetto giovanile, ben vestito, sorridente e che salutai con un cortese e sonoro buonasera. Lui, sempre sorridendo, mi ringraziò, salutò e se ne andò. Aprii la porta di casa e che vidi? Sparsi nel corridoio, già preparati per essere prelevati e volar via: il mio stereo completo di giradischi, radio, registratore e due casse acustiche; una pianola elettrica, una macchina per scrivere elettrica ed ancora una piccola radio-transistor. Per non parlare poi della casa sottosopra, degli abiti, della biancheria gettati in terra e calpestati e del furto di tanti piccoli oggetti d’oro, ricordi di mia moglie, oltre ad una bottiglia dal collo largo colma fino all’orlo di monete da 500 lire dell'epoca che a lei faceva piacere mettere da parte. Passato lo shock mi tornò in mente il tale che avevo visto scendere le scale poco prima il quale, sotto la giacca, aveva un rigonfiamento che copriva con le sue mani. Probabilmente la bottiglia delle 500 lire era là e nelle sue capaci tasche c’era tutto quello che aveva potuto sottrarre. Naturalmente ho sperato che non se la fosse presa troppo per essere stato interrotto da noi durante la sua operazione di prelevamento e che comunque abbia gradito il mio cordiale saluto
Gli incontri quasi quotidiani sono quelli che faccio casualmente da circa 45 anni nelle strade intorno alla zona dove risiedo con la mia famiglia. Il fabbricato che comprende la mia abitazione, suddiviso in quattro scale, è composto di circa 92 unità immobiliari - abitazioni, magazzini, negozi ed uffici - ed i proprietari si riuniscono ogni due o tre mesi nelle rituali assemblee condominiali alle quali partecipano però soltanto quella minima parte necessaria per arrivare alla maggioranza dei millesimi di proprietà. Io, pur non essendo un condomino ho partecipato, quale delegato del proprietario dell’abitazione che occupo, a numerose di queste assemblee in occasione delle quali ho avuto la possibilità di conoscere alcuni di questi condomini. Tra loro un tale alto, baffi e capelli grigi, magro, occhialuto, taciturno, di cui non ricordo né il nome né il cognome, che partecipa sempre alle assemblee e che incontro spesso per strada. C’incrociamo, mi guarda, lo saluto e lui non risponde neppure con un cenno. Sarà muto? Sordo? No, perché una mattina l’ho visto che chiacchierava animatamente con un mio amico che conosco da oltre 20 anni, della stessa mia età e delle mie stesse idee politiche. Sono passato proprio vicino a loro, ho salutato: il mio amico ha risposto molto cordialmente, lui zitto, un pesce. Mi sono detto: vuoi vedere che lui, benché non so come ne sia a conoscenza, ha idee politiche completamente opposte alle mie? Neanche per sogno perché un giorno ha acquistato dallo stesso mio edicolante un quotidiano che va ancora più in là di come la penso io. Da me interpellato il medesimo edicolante mi ha informato che il “silenzioso” acquista da anni sempre quello stesso giornale. E allora? Mah! Gli devo stare molto sulle cosiddette e non ne conosco il motivo.
A volte percorro una strada dove affacciano numerosi fabbricati: uno solo di questi ha sempre il portone aperto davanti al quale sostano due settantenni, o giù di lì, i quali sono frequentemente immersi in animate ma pacifiche conversazioni. Quando sto per superarli uno dei due, il meno alto, il più rotondo, capello e pizzetto brizzolati, con gli occhi che brillano e con un ampio sorriso mi saluta cordialmente. Io nell’allontanarmi ricambio il saluto e mi chiedo: ma chi è? Non riesco a ricordarmelo. Eppure ogni volta che c’incontriamo, accade spesso perché anche lui dovrebbe abitare in zona, mi saluta ed io faccio altrettanto senza però riuscire a capire di chi si tratta. Perfino due giorni addietro nel salutarmi al buongiorno ha aggiunto “caro dottore”(?). Chissà per chi mi scambia. Io, posso quasi giurarlo, non lo conosco. Sarà qualcuno che si vuole divertire?
Sempre durante il percorso di quelle strade vicino la mia abitazione incontro un altro amico -credo abbia circa novanta anni - il quale, unitamente alla moglie, viene spesso da queste parti per fare la spesa. Non appena mi vede, anche se è lontano - almeno la vista deve averla ottima, mentre per il resto, be’, dovremmo fare un controllo per sapere chi è primo in classifica. Poi si ferma, blocca la moglie accanto a sé, con fare autoritario mi fa cenno con la mano di avvicinarmi e appena mi trovo a portata d’orecchie mi “ammolla” un monologo impetuoso cianciando tra i più svariati argomenti: dove ha lavorato, le opere (?) che ha compiuto, la politica - il suo punto di vista opposto al mio - le sue altissime (?) e molteplici (?) conoscenze in ogni campo. Insomma un pozzo senza fine di scienza e conoscenza. Ho provato sempre ad interromperlo, ma non ci sono mai riuscito: le mie opinioni, il mio parere non gli interessano minimamente. Anche la moglie che evidentemente lo conosce bene, cerca di fermarlo ma lui, dopo averle lanciato un’occhiata fulminante, la stoppa perentoriamente e prosegue nel suo monologo. Ad un certo punto, evidentemente per mancanza di fiato, si ferma e, con un filo di voce mi dice che: “ proseguiremo in un successivo incontro il nostro dialogo”. Ma se non mi ha mai fatto aprire bocca, io vorrei sapere quando abbiamo dialogato. Adesso però, quando esco da casa e quindi dal portone, mi guardo bene intorno, mi munisco di un binocolo per poterlo scorgere anche a chilometri di distanza e, appena ne intravedo la sagoma, mi dirigo nella direzione opposta.
Ecco quindi i motivi per cui: A) al “silenzioso” non gli rivolgo il saluto; B) al “buontempone” glielo ricambio e al “logorroico”, poiché lo evito, glielo tolgo.
Da circa due mesi non incontro più né il “silenzioso”, né il “buontempone”, né il “logorroico” e neppure il “saccheggiatore”. Quest'ultimo spero sinceramente che si stia godendo le sue “meritate vacanze” in quell’ameno luogo di Roma denominato Rebibbia. Andrebbe bene anche Regina Coeli. Per gli altri tre invece credo sia per una questione d’orario. Voglio dire, mentre in precedenza circolavo nelle vicinanze della mia abitazione dalle 10.00 fino verso le 11.00, adesso, a proposito di luoghi ameni, ho anticipato “l’ora d’aria” alle 9.00.
Mi auguro di cuore che non sia accaduto qualcosa di spiacevole perché, lo ammetto, sono preoccupato. Chissà se anche loro si staranno chiedendo come mai non mi hanno più incontrato. Staranno in pensiero? Non mi farebbe piacere se solo pensassero che io…….(è d’uopo il gesto scaramantico).






giovedì 11 luglio 2013

TRE RANDAGI

Una storia vera
Sono esseri randagi però ad onor del vero uno ha due gambe e per comodità lo chiamerò Peppe mentre gli altri due che sono gatti e hanno quattro zampe ciascuno li chiamerò Bibì e Bobò.
Mi capita d'incontrarli ogni volta che passo per una piccola strada vicino casa e lo 'spettacolo' è ed è sempre stato lo stesso.
Peppe ha tra i 60 e i 65 anni, per discrezione non gli ho mai chiesto l'età precisa, mentre di Bibì e Bobò nessuno conosce il loro rispettivo anno di nascita.
Loro tre vivono - meglio sopravvivono - in quel tratto di strada almeno da cinque anni da quando cioé Peppe è stato sfrattato da casa insieme alla sua famiglia. La moglie, investita due mesi fa sulle strisce, uscita dall'ospedale e tuttora bisognosa di cure è andata ad abitare a casa di una sorella mentre il loro unico figlio, disoccupato, è ospite della sua ragazza. Peppe ha fissato la propria residenza lì, davanti il portone della palazzina dove viveva un tempo, in una macchina con i vetri coperti da cartoni correttamente e perennemente parcheggiata entro le strisce bianche. Peppe è una brava persona, va avanti nella vita adattandosi a fare piccoli lavori in nero cosa che ha fatto quasi sempre tanto che non ha una pensione. Anche la moglie, prima di essere travolta da una moto, si arrangiava facendo le pulizie presso alcune famiglie della zona.
Bibì e Bobò tengono compagnia a Peppe, non in macchina, e lui ricambia dando loro una piccola parte del cibo che cerca di acquistare con quel poco che riesce a rimediare giorno per giorno. Infatti sotto la macchina Peppe ha posato tre o quattro piccole scatole di plastica vuote dove mette il mangiare per i suoi due amici.
L'altra mattina, verso le dieci, sono passato in quel tratto di strada.
La macchina era chiusa e Peppe non c'era, forse era andato a cercare qualcosa da fare. C'erano però Bibì e Bobò, entrambi sdraiati su un grosso sellino di una moto di grossa cilindrata parcheggiata accanto la macchina-casa di Peppe.
Dormivano alla grossa quasi abbracciati l'un l'altro, incuranti del passaggio di persone o auto.
Forse Peppe avrebbe tardato a venire e loro, nell'attesa, hanno pensato bene di schiacciare un pisolino.

lunedì 8 luglio 2013

VOCE SOLISTA IN UN DUO

MO: Moglie – MA: Marito
MO:
(entra in casa, contemporaneamente scuote l’ombrello che ha in mano per la pioggia che vi si è accumulata poi si avvia verso la cucina)…e mi raccomando, non bagnarmi la moquette …è da questa mattina alle sei che non ho fatto altro che pulire e spolverare, spolverare e pulire. Ci si può mangiare su questa moquette!…Perché poi? (volgendosi indietro e non vedendo il marito) ma che fai? Entra su e metti i piedi nelle pattine mi raccomando…non bagnarmi tutto (si ritira in cucina)
MA:
(entra carico di pacchi e pacchettini in entrambe le mani; sotto l’ ascella sinistra trattiene a stento un ombrello chiuso e sotto quella destra un mattarello confezionato con carta da regali. Inoltre, stretto tra i denti, un manico di corda dal quale pende un oggetto tondo di cristallo anch’esso confezionato con carta idonea. È fradicio di pioggia dal cappello che tiene in testa fino alle scarpe con le quali traffica a fatica per togliersele e mettere le pattine. Nel fare questi movimenti inevitabilmente inonda di pioggia la moquette del pavimento. Cerca di poggiare da qualche parte i vari pacchi, pacchettini ecc. ma i movimenti gli sono impediti da tutto quello che porta.)
MO:
(dalla cucina)e chiudi la porta di casa, che ce l’hai a fare le mani?...
MA:
(cerca di avvicinarsi alla porta di casa ma ne è impedito sia a causa delle pattine sia anche per tutti i pacchi ecc. che ancora non riesce a sistemare da qualche parte. L’oggetto tondo che trattiene con i denti non gli permette di aprire la bocca per chiamare la moglie)
MO:
(c.s. dalla cucina) …e come se non bastasse adesso devo anche preparare da mangiare, ma chi me lo fa fare…Meno male che questa festa viene una volta l’anno!...Lo so, lo so, si tratta sempre dei miei parenti: zia Brigida, zia Camilla, zio Cirillo e delle mie sorelle Ninì e Lulù…Pensa che strazio se fossero venuti anche i tuoi di parenti, per amor del cielo! E sì tanto a te che te ne importa. Chi si carica di tutto il peso? Sono io, io e soltanto io. Fa questo,fa quest’altro, lava, pulisci, spazza, compra, esci, entra, porta a casa, tutto,tutto io devo fare. E poi pensa ai regali a questo, a quella…Oh! A proposito, i regali devi metterli a posto in ordine perfetto, lì nei mobiletti. E non sederti sul divano. Ho faticato più di due ore per pulirlo e spolverarlo. Almeno aspetta che arrivino i miei parenti. Stammi a sentire, sai che ho pensato? Ad un certo punto, dopo la cena, ti alzi da tavola, spegni la luce e poi, dopo che hai tirato fuori i regali, d’improvviso la riaccendi eh? Che ne dici? Ho avuto una bell’idea? Così faccio loro una sorpresa che non la dimenticheranno mai. Quindi cerca di ricordarti bene dove metti i regali perché poi, al buio, dovrai tirarli fuori nello stesso ordine in cui li hai sistemati adesso... Allora come procede? Avrai finito spero,. Sistema tutto per bene e vieni a darmi una mano in cucina, con l’arrosto voglio fare anche le patatine novelle, ai miei piacciono tanto. Vieni in cucina che devi sbucciarle. Chissà se due chili basteranno? Mah, quasi quasi sarà meglio aggiungerne un altro po’, che ne dici? Mi senti di là? Vabbé io dico di sì. …Ma come? Non ce ne sono più? E chi le ha mangiate? Ehi, dico a te che stai lì, ne sai niente? Ho capito, non mi vuoi rispondere. Però adesso sai che fai? La smetti con la pacchia del riposo, scendi, vai al supermercato e ne compri almeno due chili. Tanto che ci vuole, prendi l’autobus e dopo cinque fermate sei arrivato. Non t’azzardare a comprarle alla frutteria qui all’angolo. Con quello ho litigato già tre volte. Capirai, con me si vuole mettere; fa il furbo: prenda questo, prenda quest’altro, no non si può scegliere, aspetti che faccio io. Ma per chi mi ha preso? Per una deficiente? Io invece sono una che si accontenta, non ho tante pretese, ma stupida mai! Sei d’accordo anche tu? Eh!? Che ne dici? Ma perché non parli? Dico a te, perché non rispondi? Non sei né sordo né muto. Allora? Ma si può sapere… (viene fuori della cucina e vedendo quello che il marito ha combinato lo apostrofa duramente) …razza di rimbambito! Ma lo vedi che cosa hai combinato? Non hai resistito eh? Non hai fatto in tempo? Non sei riuscito a trattenerti (vedendo in terra la moquette bagnata dalla pioggia che il marito sta ancora cercando di togliersi di dosso) …te la sei fatta sotto come un lattante! Rimbambito!!! (si volta e sta per ritornare in cucina, ma il marito apre la bocca, il vaso di cristallo cade in terra rompendosi in vari pezzi, calpesta tutti gli altri pacchi ecc. e con un urlo che non ha nulla di umano insegue la moglie in cucina brandendo il mattarello fra le mani).
Si ode il rumore di una padella che sbatte sopra qualcosa.
MO: cosa credevi di fare con quel mattarello fra le mani?


giovedì 4 luglio 2013

LA CASA DOVE NACQUI

Forse sarà perché è tempo di ciliege ed i ricordi della casa di Via della Polveriera dove sono nato si rincorrono nella mia memoria uno dopo l'altro.
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Si entrava in casa tramite un piccolo ingresso, poi iniziava il lungo corridoio che, dopo aver costeggiato una piccola cameretta – da noi chiamata camerino -, una camera da pranzo e attraversato un altro piccolo corridoio che consentiva l'accesso alla camera da letto e al gabinetto, arrivava fino in cucina. Praticamente quest'ultima era il centro dell'universo per tutti noi. Appena si entrava sulla destra c'era, fissato nel muro, il lavello di pietra, credo in travertino - lo chiamavamo lavandino - di colore avana a pallini bianchi, senza sotto lavello. Subito dopo un mobile da cucina – da noi chiamato credenza – con tre sportelli inferiori, tre cassetti e tre sportelli superiori. A sinistra un lungo tavolo da sei posti con sopra una lastra di marmo bianco che nostra madre usava per preparare la pasta fatta in casa, i dolci, etc. Poi una finestra a due sportelli senza persiane e, accanto, il fornello a carbone che, quando entrava in funzione noi a turno dovevamo attizzarne il fuoco con una grossa ventola munita di belle e grandi piume non so di che animale. Se non ricordo male l'erogazione del gas iniziò alla fine della seconda guerra mondiale. Sotto il tavolo era posteggiata una grossa tinozza di zinco che fungeva da vasca da bagno in quanto il gabinetto era fornito soltanto di water e lavello. Noi quattro fratelli adoperammo quella specie di vasca fino ad almeno i quindici anni dopo di che andavamo a farci una doccia da quelli che all'epoca si chiamavano alberghi diurni: da Cobianchi all'inizio di Via del Corso – allora Corso Umberto – oppure alla Casa del Passeggero vicino la Stazione Termini. Naturalmente a pagamento. In casa non c'era riscaldamento di nessun tipo fino a che un giorno nostra madre, incuriosita, domandò al proprietario – siamo stati sempre in affitto – che cosa fosse quella forma muraria dall'apparente aspetto di un caminetto collocata sulla parete a metà del lungo corridoio. Il proprietario disse di non saperne nulla, ma acconsentì, dietro richiesta di nostra madre, che se voleva poteva abbattere quella piccola parte di muro per vedere di cosa si trattava. In poche parole era un vero e proprio caminetto che funzionava benissimo e da allora anche noi avemmo la nostra casa un po' meno fredda.
Nel 1976, sei anni dopo la scomparsa di mio padre, anche nostra madre a sessantasei anni ci lasciò sia noi sia la casa. Lei già da qualche anno viveva lì da sola in quanto noi quattro fratelli avevamo tutti la nostra famiglia, ma ci vedevamo spesso. Nostro fratello più grande tentò di andarci ad abitare, ma per tanti motivi non riuscì a vedere esaudito il suo desiderio pertanto decidemmo insieme di lasciare libera la casa da persone e cose. Il proprietario trovò presto un nuovo inquilino il quale prima di occuparlo iniziò a fare grossi lavori di restauro. Ricordo che appena qualche giorno dopo andai a vedere se nel frattempo fosse arrivata posta per nostra madre, salii le scale, giunsi al pianerottolo, vidi la porta aperta di quella che era stata la nostra casa per oltre quarantasei anni, entrai e, vedendo un paio d'operai che stavano picconando un po' dovunque, mi vennero i brividi perchè sentii risuonarmi nelle orecchie le parole di una nota canzone romana. ...fa piano a murato' co' quer piccone, ma nun lo vedi che mamma mia sta lì...
E piansi.