mercoledì 18 dicembre 2013

QUEL GIORNO di cinque anni fa

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Aiutato da una cara amica blogger altrimenti io non avrei saputo dove mettere le mani scrissi:
oggi s'è aperta una porta anzi un portone nel campo dei blog. Ma io saprò diventare un blogger? Avverrà soltanto quando qualcuno me lo farà sapere.
postato da il monticiano alle 10.59 del 18-dic.-2008
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Queste poche parole facevano parte del mio primo post.
Da quel giorno ho avuto la faccia di bronzo di mettere nel mio blog altri post più o meno graditi non lo so ma ho scritto quello che mi passava nella mente: ricordi del passato, fatti e avvenimenti osservati in città e a casa, racconti di fantasia.
BUONE FESTE A TUTTI

giovedì 12 dicembre 2013

ERAVAMO QUATTRO AMICI...

...ma non al bar come recita la nota canzone di Gino Paoli, bensì al Colle Palatino, uno dei sette Colli di Roma, di fronte al Colosseo e a Via dei Fori e mi tornano in mente alcuni ricordi. Come mai? Forse perchè in macchina guidata da mio figlio l'altro giorno sono passato davanti a quel Colle per tornare a casa.
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Il cordless del mio telefono fisso suona, io vado a rispondere e una voce maschile mi fa "Accardo mi riconosci?" ed io "mica tanto, perché non mi dici chi sei?" e la voce "sono Caccia, ti ricordi?", "aspetta... Caccia, Caccia... sìì...come no, e mi ricordo anche di Formi e di Gabri ed eravamo quattro amici inseparabili almeno fino alla terza media", "già, era l'anno scolastico 1943/1944 e tu eri più grande di noi, almeno di un anno", "proprio così perché ero uno che frequentava quella classe per la terza volta", " a proposito ma poi la prendesti la licenza?", " sì, a calci e spintoni perché mi presentai agli esami dopo aver preso un sacco di lezioni private", "non importa, basta che ti sei tolto il pensiero", "e te non dirmi
che ti ricordi quante volte abbiamo fatto sega a scuola andandoci a divertire noi quattro lì al Palatino...", "certo che me ne ricordo ci nascondevamo dentro quella
specie di capanne e di abitazioni antichissime con muri e tetti che potevano crollare da un minuto all'altro", "già, ma dimmi un po' tu abiti sempre al Colle Celio vicino al Cinema Colosseo?", "non mi sono mosso anche perché sai il valore della mia casa è molto alto poiché quando ti affacci quasi quasi sbatti il muso al Colosseo e al Palatino messi insieme. E te non abiti più a Via della Polveriera lì al Colle Oppio vero?", "vero, adesso abito al Colle Esquilino, ma tu come fai a saperlo?", "perché tì ho cercato sull'elenco del telefono e così ho saputo dove abiti e qual'è il numero telefonico di casa tua", "come mai?", "un giorno mi è capitato di sentire un po' di nostalgia per quei lontani tempi e allora ho pensato di fare una cosa", "cioè?", "mi sono messo di buzzo buono a cercare tutti quelli della nostra classe e non è stata una cosa semplice, ma d'altra parte essendo un pensionato ne ho tempo da perdere", "e quali risultati hai ottenuto?", "pensa che te sei il quindicesimo, gli altri purtroppo non sono riuscito a trovarli", " e adesso cosa hai intenzione di fare?", "ho già programmato tutto. Ci vediamo la prossima domenica alle 13 davanti a quel grande ristorante di fronte al Colosseo e, a pranzo, daremo il via ai nostri ricordi e ci racconteremo quello che ricorderemo...", "ma quel ristorante ci costa troppo...", " no perchè il proprietario è un mio vecchio amico d'infanzia e ci farà un fortissimo sconto comitiva", "ma chi sono quelli che hai convocato?", "sarà una sorpresa e non dico i nomi di chi sarà presente", "ma gli altri due Formi e Gabri dei quali, tra l'altro, ricordo i cognomi ma non i nomi, verranno?", "lo saprai soltanto quando li vedrai. Volevo precisarti che ciascuno di noi potrà partecipare con un altra persona, moglie, figlio, parente, amico o conoscente. Se tutto va bene, come penso che andrà, saremo almeno in 30", "d'accordo, verrò anch'io allora, contaci", "Ciao amico mio, a domenica", "Ciao"
Quella domenica, alle 13 in punto siamo arrivati lì, io con un parente, siamo entrati dove c'era una grande tavolata già apparecchiata e pronta, ci siamo seduti in un tavolino vicino ad aspettare. Le 13.30, le 14, le 14.30 niente, non si è fatto vivo nessuno. Ho detto al proprietario se il mio amico Caccia aveva per caso disdetto l'appuntamento ma lui mi disse di non conoscere nessuno con quel cognome e che comunque quel tavolo era già pronto per la sera per una cena. Mi sono chiesto se mi ero rimbambito e forse avevo sbagliato giorno, ora e luogo...
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Ma poi mi sono svegliato ed ho capito che era stato un bel sogno.
Soltanto i cognomi e le avventure dei quattro amici Accardo, Caccia, Formi e Gabri sono la sola realtà di quegli anni trascorsi insieme.
Il resto fa parte del sogno.

lunedì 9 dicembre 2013

RICHIESTE

Ormai da oltre dieci anni tutte le mattine, tempo permettendo, faccio la mia bella ma breve passeggiata come da perentori ordini dei medici. L’orario antimeridiano, e solo quello, varia secondo le stagioni (esistono ancora?), mentre il tragitto è solitamente lo stesso: una sorta di girotondo per le strade vicino la mia abitazione sfiorando alcuni posti turisticamente molto frequentati. Raramente verso altri luoghi.Cammin facendo incontro molte persone alcune conosciute ed altre invece sconosciute com’è logico che sia. Esiste però anche la categoria delle “presunte”, voglio dire persone che io credo di conoscere ed altre che ritengono di conoscere me, per deboli ricordi o per vaghe somiglianze.Mi è capitato più di una volta. Per stare in sintonia con il titolo, nel corso di tali passeggiate avvengono incontri particolarmente curiosi accompagnati da richieste dello stesso tipo. Le richieste normali sono quelle che sono fatte, più frequentemente, da turisti stranieri, anche se usano soltanto la loro lingua, per sapere dov’è la tale strada, il tale luogo, la fermata più vicina di un mezzo di trasporto pubblico. A volte riesco a farmi capire, altre no.Poi ci sono quelle, a dir poco, curiose. Alcuni esempi:
- incrocio qualche giovane che mi chiede “scusa nonno (?) che mi daresti una sigaretta?” ed io rispondo “non fumo” aggiungendo “mi dispiace” da vero ipocrita in quanto se sono dispiaciuto è perchè ho dovuto smettere di fumare da 14 anni, ma appena incrocio una persona che fuma oppure, meglio ancora, lo sta facendo camminandomi davanti, annuso l’aria come un cane da tartufo;
- a volte sono fermato gentilmente da qualche persona la quale mi domanda se conosco via tal dei tali. Io abito in questo rione da 44 anni, so benissimo dove si trova la via richiestami, mi guardo in giro con un sorriso agrodolce e dico “dovrebbe essere da queste parti, ma adesso non ricordo bene…credo che sia la prima o la seconda a destra dopo il semaforo…” poi da perfetto idiota gli do un consiglio “lei faccia una cosa vede quell’edicola di giornali? bene, chieda a loro, sono certo che avrà indicazioni più esatte”. Appena fatti alcuni passi nella direzione contraria a quella presa dalla persona avviatasi verso il semaforo, alzo gli occhi e che ti vedo?La targa della via che mi era stata chiesta;
- ogni due o tre giorni al massimo incontro una ragazza dall’apparente età di 30-35 anni vestita con una mise sempre diversa da quella dei giorni precedenti. Siccome la vedo circolare dalle mie parti ormai da parecchi anni, presumo debba abitare nel mio stesso rione, quindi so benissimo dove si fornisce per l’abbigliamento: con una capace borsa nella mano sinistra non omette di visitare accuratamente neppure il più piccolo dei cassonetti per la spazzatura rifornendo così il suo personale guardaroba. Eppure non è una rom. La faccenda però che mi scombussola non poco è che ogni volta che la incrocio - e capita spessissimo – mi fa la seguente richiesta “mi dai un euro per prendere l’autobus” A parte il fatto che un biglietto per bus, tram o metro forse costa di più, tre cose mi colpiscono di questa richiesta: 1) prima del cambio della lira in euro mi chiedeva mille lire (la cosa va avanti da parecchio); 2) il suo rapido adeguamento della cifra che richiede da lire in euro; 3) possibile che io cambio il mio identikit tutte le volte che l’incontro dal momento che rifiuto di darle soldi ormai da tanto tempo essendomi un po’ scocciato? Ormai m’avrà incontrato mille volte.
- qualche tempo fa dovevo sbrigare una commissione dalle parti di Piazza San Silvestro e, mentre stavo transitando in Via S,Claudio, una piccola stradina che costeggia la Rinascente e che collega Via del Corso alla piazza suddetta, vicino Palazzo Chigi, vengo fermato molto cortesemente da uno “scricciolo” di signora non più giovane, lineamenti ben delineati, capelli biondo-cenere, che mi fa: =ciao, come stai?-=, io leggermente impappinato rispondo =non c’è male e tu?=, lei: =bene, bene, grazie…ma dove stai andando?=, io =all'Ufficio...=, lei =ma pensa un po, io proprio di là sto venendo, adesso però devo correre subito a casa altrimenti…Solo che ho fatto tardissimo e dato che devo prendere mio nipote a scuola ho proprio paura di non arrivare in tempo, Mi è venuta in mente una cosa. Non è che per caso mi puoi prestare 30 euro per prendere un taxi, così è sicuro che arrivo proprio all’ora di uscita,poi appena arrivata a casa te li faccio avere subito, che ne dici?= . Questa valanga di parole che all’inizio mi aveva quasi rimbambito nel momento stesso in cui si è fermata m’ha fatto accendere una lampadina nella testa e allora ho risposto: =ecco cara, l’avrei fatto volentieri ma ho appena il denaro per tornare a casa, altrimenti ben volentieri…=, lei = che peccato. Vedrò di arrangiarmi in qualche altro modo, va bene, fa niente, ciao, ci vediamo eh? =Io, zitto, fra di me “speriamo di no”. A mia memoria, la gentildonna non l’ho mai vista nè conosciuta.
Mi chiedo, mi avrà scambiato per qualcuno di sua conoscenza oppure ci prova con chiunque incontra per la strada?
O avrò la faccia da fesso?



giovedì 5 dicembre 2013

LA CONGIURA DELLE SVEGLIETTE

Due anni fa ho dato il benservito a Guendalina (Guen) il mio più che trentenne orologio-sveglia ormai non più funzionante a dovere ed ho acquistato al suo posto un piccolo orologio da tavolo (sveglietta), quadrato, 5 cm per ciascun lato, color verdolino pallido e l'ho posizionato in cucina. Mentre durante il giorno se ne sta lì buono buono la sera invece, dopo le ventidue, lo porto nella mia stanza, con la sveglia messa a tacere tanto a me non serve, perché capita che alcune volte di notte io mi svegli e controlli l'ora per non alzarmi né troppo presto né troppo tardi. Verdolino però ha un difetto e cioè che i numeri arabi dall'1 al 12 posti sul quadrante sono poco visibili specialmente di notte anche se lascio uno spiraglio di luce esterna che sin dalla sera proviene da un lampione stradale proprio di fronte la finestra della mia stanza. Di conseguenza ho aquistato da poco, presso un negozietto gestito da cinesi vicino casa mia,un altro piccolo orologio da tavolo
(sempre sveglietta),anch'esso quadrato, 5 cm per ogni lato, color grigio fumo di Londra ma con i numeri dall'1al 12 grossi e ben visibili di notte sempre senza sveglia per il motivo già detto. Prezzo euro 2,90. La cosa un po' strana di queste due svegliette è il loro rispettivio ticchettio, silenzioso sì ma, se le accosti all'orecchio il Verdolino offre un tic-tac molto marziale e lento mentre Lum-Liang, la sveglietta acquistata dai cinesi, un tic-tic piuttosto svelto ma in punta di piedi. Un vero peccato che Lum-Liang poco tempo fa mi sia caduta in terra e si sia divisa in due parti però è rimasta sempre funzionante. Fino a questa notte però in quanto ad un certo punto mi sono svegliato ed entrambe (o entrambi, a scelta) le due svegliette segnavano lo stesso orario: 03,15. Poco male, mi dissi, intanto non mi alzo. Infatti mi sono addormentato di nuovo e mi sono svegliato quando dalla finestra filtrava la luce del giorno. Guardo Lum-Ling e Verdolino ed entrambe segnano la stessa ora della notte: 0.3,15 invece di un orario più corrispondente all'inizio della giornata. Come mai?
Alla fine ho capito.
Le due svegliette da ieri sera, quando mi sono infilato a letto, si sono messe a congiurare alle mie spalle contro di me.
Però mi sono accorto più tardi di aver commesso io un errore in quanto la sera prima di infilarmi a letto le ho poggiate entrambe sul loro lato sinistro anziché diritte.
E bravo il congiurato numero tre!



lunedì 2 dicembre 2013

LA NINA...

la Pinta e la Santa Maria. No, no, non è la storia di Colombo e della sua impresa è che quando ho voglia di parlare con Nina e la chiamo, subito mi tornano in mente, come un ritornello, i nomi anche delle altre due delle tre famose caravelle. D’altronde dopo oltre 50 anni di lavoro nella marina mercantile e dopo aver vagato per tutti i continenti di questo nostro mondo credo di avere il diritto di godermi lo spazio di vita che mi rimane. Quando iniziai quel lavoro avevo meno di 18 anni e facevo il mozzo. Poi naturalmente col passare degli anni ho fatto carriera se così si può definire. Adesso sto tranquillamente in pensione. Insieme alla mia dolce e cara Nina. Viviamo in un piccolo locale a livello strada composto di un unico stanzone di circa 60 metri quadrati con annessi due microscopici servizi: angolo cottura e gabinetto. Era un ex bar che non ha avuto molta fortuna ed il proprietario delle mura, mio vecchio ed ottimo amico, lo ha concesso gratuitamente a me e Nina in cambio di piccole faccende che gli sbrigo quotidianamente. Lui d’altra parte è proprietario dell’intero palazzo . Quando non sono impegnato con le faccende, mi siedo su di una comoda sedia a sdraio, leggo qualcosa o ascolto musica di qualsiasi genere e guardo di sottecchi la mia Nina (anche lei non scherza con l’età) che, immancabilmente tutti i giorni, con o senza sole, freddo, pioggia, vento, se ne sta seduta sulla soglia della nostra dimora osservando attentamente tutto ciò che le passa davanti, senza battere ciglio. Mi diverto un mondo a guardarla e mi sono sempre chiesto cosa le passi per la testa perché sembra che nulla la smuove, la stupisce o la interessa. Sembra! Perché invece non è così. La raccolsi in strada che era appena più grande delle mie mani, un ciuffetto di peli bianchi, rossi e marrone. Il risultato di chissà quanti incroci di chi l’ha messa al mondo. Mi è stato detto, da chi se ne intende, che dovrebbe essere un’ottima cacciatrice, ma io, che non amo la caccia, ho sempre pensato che Nina, la mia adorata cagnolina, avesse invece un’altra indole. Lei, sin da piccola, ha avuto il fortissimo desiderio di essere carezzata, di sentire accanto a sé la mia continua presenza tanto che, ormai non posso più evitarlo, quando la sera mi metto a letto per dormire lo trovo già occupato poiché gradisce molto i miei piedi sulla sua pancia e me lo ha fatto capire da sempre, con il suo uggiolio dal tono soddisfatto. D’inverno non che la faccenda mi dispiaccia anche perché in casa non c’è riscaldamento, ma d’estate diventa un problema ed allora abbiamo raggiunto un accordo: lei si sdraia sempre sul mio letto però fuori del lenzuolo ed il più lontano possibile dalle mie estremità. La sua indifferenza a tutto ciò che la circonda è soltanto apparente. Ho avuto numerose prove circa le sue straordinarie doti d’intelligenza, d’intuito, d’udito e di chissà quanto altro ancora perché io, malgrado tutti questi anni trascorsi insieme, non la conosco così bene così come lei conosce me. Si accorge persino di che umore sono in qualsiasi momento della giornata perché non mi perde mai di vista. Salvo quando, due volte il giorno, di primo mattino e all’imbrunire, si alza da dove sta seduta immobile tutto il giorno, mi rivolge uno sguardo d’intesa per farmi capire che starà via soltanto per poco tempo e se ne va trotterellando per il suo giro intorno al palazzo, annusando tutti gli alberelli posti sul marciapiede del viale di casa e di quelli dei palazzi vicini. Non porta museruola e non le ho mai messo il guinzaglio, ha soltanto un collare con una piastrina identificativa. Ho tentato varie volte di farla venire con me nel vicino parco pubblico dove esiste un ampio spazio proprio per i suoi simili, ma lei preferisce starsene in casa e quando io mi allontano sento il suo sguardo sulla mia nuca: non mi perde di vista neppure per un attimo. Nina non è alta, non credo che superi i 50 centimetri da terra. In verità non l’ho mai misurata, è un po’ grassottella e non l’ho mai vista digrignare i denti né sentito il suo abbaiare. L’ho sentita lamentarsi soltanto una volta, credo sette od otto anni fa, quando rimase incinta e partorì tre cuccioletti che io dovetti affidare ad un ente preposto. L’ho fatto però con il suo tacito benestare. Da allora non è più successo: non dà e non desidera alcuna confidenza da parte di nessuno dei suoi simili. Forse si è adeguata al mio carattere. Io non sono sposato non perché non l’abbia voluto, ma il mio mestiere mi ha sempre costretto fuori casa ed anche se è stato bello, divertente ed interessante girovagare in lungo e in largo, ora ne subisco le conseguenze. In certi momenti mi tornano in mente alcuni versi di “Piazza Grande” una canzone di Lucio Dalla, uno dei miei cantanti preferiti, che fa proprio al caso mio: “una famiglia non ce l’ho e la mia casa” (è questa qua) “con me di donne generose non ce né, ho rubato l’amore” (in tutti i porti in cui hanno attraccato le navi dove ho lavorato) ”a modo mio avrei bisogno di carezze anch’io, a modo mio avrei bisogno di sognare anch’io”, (d’altra parte) “quello che sono l’ho voluto io ma la mia vita non la cambierò mai”. Anche perché di tempo non ne è rimasto molto sia per me sia per Nina. Nel caso io dovessi lasciarla per primo, devo pensare ad una soluzione favorevole per lei. Chiederò l’aiuto a qualcuna delle numerose persone che transitano quasi tutti i giorni dinanzi la nostra casa e non ci fanno mai mancare i loro buongiorno-buonasera e le domande sullo stato delle nostre condizioni di salute e di vita (forse siamo considerati dagli altri una sorta d’istituzione se non del rione almeno della strada, tipo San Rocco e il cane). Per fortuna con la mia pensione possiamo andare avanti abbastanza bene e non abbiamo grosse spese da affrontare salvo quelle per il sostentamento giornaliero. Ormai conosco perfettamente i desideri ed i gusti di Nina e lei conosce i miei. Quando qualche volta cambio volutamente il menù del giorno, lo faccio solo per divertirmi osservando la sua espressione interrogativa come se mi chiedesse se può fidarsi di quello che preparo. Siccome però non è stupida prima di mangiare aspetta che lo faccia io e… non credo che sia per una questione d’educazione o di rispetto per la precedenza che secondo lei mi sarebbe dovuta non capisco secondo che cosa. Molto spesso parlo con lei commentando gli articoli che leggo sui quotidiani o quelli che ascolto dalla radio (per fortuna non possiedo televisori, computer, telefoni di nessun tipo). Quello di cui veniamo a conoscenza attraverso quei mezzi, ci basta ed avanza. Mi chiedo come la pensa Nina politicamente. Può sembrare una domanda cretina ma quando noto le sue espressioni nei momenti in cui leggo ad alta voce gli articoli mi viene da pensare che anche lei riflette sul contenuto di quello che riporta la stampa. Deve avere senz’altro la sua personalissima opinione al riguardo. Non la esprime perché potrebbe essere diversa dalla mia e quindi preferisce tenersela per sé. A volte, seguendo il filo di questi ragionamenti mi chiedo se io non stia per dare i numeri, ma poi ci penso bene e mi dico che c’è in giro di molto peggio. Ogni tanto quando provo un po’ di nostalgia, racconto a Nina il mio peregrinare per i mari e gli oceani. Ho avuto sin da bambino la passione per il mare, da qui, credo, mi è balenata l’idea di battezzare Nina col nome di una delle famose tre caravelle. Di episodi ancora ne ricordo parecchi e quando mi viene voglia chiamo Nina, le premetto che sto per raccontargliene qualcuno. Lei si mette a pancia in giù sul pavimento in una strana posizione come se stesse per nuotare, poi mi guarda fisso con quel suo musetto appuntito rivolto verso di me e strizza gli occhi in continuazione. Sembra che mi dica di sbrigarmi a raccontare, non vuole stare troppo nell’attesa che io cominci. Gli episodi che più gradisce sono quelli in cui racconto le vicissitudini mie e di altri degli equipaggi di cui ho fatto parte per riuscire a pescare qualcosa durante la navigazione. Ho tanto l’impressione che anziché da caccia Nina sia un cane da pesca. In fondo io e Nina formiamo una coppia - vecchia e forse un po’ strana dato che io ho due gambe e lei quattro zampe - ma ci vogliamo bene e per i giorni che ci restano ci faremo sempre compagnia. Quando poi lasceremo questa terra chi può dire che non ci si riveda? Nina ne è sicura, io un po’meno.







venerdì 29 novembre 2013

FINE SETTIMANA A NAPOLI

Se non ricordo male era il 1965 - altri tempi - io e mia moglie trentacinquenni e il mio unico figlio appena sei anni. Non ricordo neppure chi di noi suggerì di trascorrere un fine settimana a Napoli ma poco importa dato che tempo e denaro me lo permettevano. Era primavera inoltrata e il tempo era buono.
Non avevo ancora una macchina - presi la patente un anno dopo - e quindi andammo in treno partendo la sera del venerdì. Mio figlio non stava in sé dalla gioia e ricordo che per tutta la durata del viaggio non fece altro che correre sù e giù lungo il corridoio del vagone dove io e mia moglie eravamo seduti. Arrivati a Napoli, stazione di Napoli Garibaldi, non appena scendemmo dal treno, fummo avvicinati da un uomo, distinto e molto cortese, che ci chiese se eravamo in cerca di un albergo o di una pensione. Ma come aveva fatto a capire che non eravamo napoletani che tornavano a casa ma turisti in visita? Gli dissi che in effetti dovevamo cercare un luogo dove trascorrere un paio di notti e aggiunsi anche che non potevamo permetterci un albergo di lusso ma qualcosa di molto più economico. Lui non si scompose per niente e ci disse di stare tranquilli che ci avrebbe accompagnati a una pensione giusta per noi. Lì giunti lui ci salutò, io feci il gesto di volergli dare una ricompensa ma lui mi ringraziò e mi disse che il 'servizio' era compreso nel costo del soggiorno. Ci dettero una camera grande con tre letti, un piccolo lavandino e sovrastante specchio, senza bagno dato che occorreva usare quello in comune nel corridoio. La mattina dopo, appena svegli, mentre io ero intento a radermi la barba - in quegli anni me la dovevo fare due volte al giorno se, ad esempio, la sera volevamo andare in qualche posto - bussarono alla porta e mia moglie disse "avanti" ma io urlai "nooo, sono in mutande". E giù a ridere, non io, certo, ma mio figlio e mia moglie sì. Finito di fare colazione ce ne andammo a fare un giro per Napoli e a pranzo ci mettemmo seduti al famoso ristorante 'La bersagliera' con tanto di compagnia musicale offertaci da due napoletani uno con la chitarra e l'altro con il mandolino. Nel pomeriggio, sempre a passeggio per questa bella città, volli acquistare e regalare a mia moglie una collana di corallo autentico.
L'indomani, era domenica, altro piccolo giro turistico e poi, ormai era tardo pomeriggio, prendemmo il treno e ritornammo a Roma. Decisamente un ottimo fine settimana.
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Quella collana purtroppo prese il volo insieme ad altri oggetti nel 1981 quando subimmo un furto in casa e ci alleggerirono anche di altro. Quattro mesi dopo ci fu il bis,un altro furto, ma i ladri, a parte la casa sottosopra, si dovettero contentare di quattro o cinque banane, altro di sostanzioso non c'era.

lunedì 25 novembre 2013

PRONTO, ALDO?

"Sì, chi parla?" , "scommetto che non te lo ricordi", "allora hai vinto la scommessa perché non me lo ricordo. Che facciamo?", " per aiutarti ti dico qualche piccolo dettaglio", "più grande lo dici e meglio è, credimi", "va bene.
Ti ricordi due mesi fa dove e quando ci siamo conosciuti?", "No, assolutamente
no. Dove e in quale occasione?", "era il 7 settembre, in Via Cavour, angolo via dei Fori, in quella piccola costruzione piuttosto antica dove, per quattro giorni abbiamo partecipato, ad una riunione ...", "sì, adesso mi ricordo, noi non abbiamo mai chiesto la parola in quanto stavamo...","...parlottando seduti accanto l'uno all'altro...", "...un po' maleducati, diciamo la verità...", "sì, vero, però in quella riunione l'argomento non era un granché", "hai ragione ma non riesco ancora a rammentarmi il tuo nome...", "ti aiuto...Ma, Ma?", "...Ma...Ma ...ecco ci sono, Mara!!!", "hai visto? Ci sei riuscito", "ho vinto un premio?", "forse, dipende da te...", "cioè, che devo fare?", "rispondere ad una mia domanda...", "ancora un indovinello?", "no, no, rammenterai spero che io ero seduta alla tua destra in una poltroncina di plastica e il quarto giorno col gomito del mio bracio sinistro spingevo ogni tanto verso il tuo braccio destro e tu lo scansavi?", "questo sì, ma soltanto per delicatezza nei tuoi confronti e...", "e io l'ho molto apprezzato anche se lo facevo intenzionalmente in quanto la mia era una sorta di provocazione a seguito della quale mi sarei aspettata una qualsiasi reazione da parte tua ed invece...", "...invece, sincerità per sincerità, non l'ho avuta in quanto alla mia età quale reazione avrei potuto avere?", "perché quanti anni hai?", "83 compiuti, potrei essere minimo tuo padre...", "ma tu lo sai quanti anni ho io? Dimmi un numero...", "un altro indovinello? Allora lo dico così, a caso,...120 anni!", "incredibile...hai quasi indovinato, ne ho la metà, esattamente la metà", "sono venti meno di me quindi...Ma a prescindere da tutto quello che abbiamo detto fino a questo momento,mi sorge spontanea una piccola domanda, ma come hai fatto a trovarmi?...", "è stato molto semplice, sono andata dove ci siamo conosciuti due mesi fa in quella riunione, sapevo il nome e cognome tuoi dato che ci siamo presentati ed ho chiesto il tuo recapito telefonico dicendo che una volta l'avevo ma non mi riusciva più trovarlo...", "capperi che furbetta sei...", "ma no, è stato un piccolo stratagemma poiché mi sarebbe piaciuto rivederti...", "ah!!!, mi devo sentire lusingato? E' lecito chiederti il perché?", "Così, tanto per scambiare quattro chiacchiere. Sono vedova da circa tre anni, non ho figli e la solitudine comincia a spaventarmi. Se ti va potremmo vederci anche domani, ce ne andiamo a bere qualcosa dove vuoi tu e...", "alt! Purtroppo ho seri motivi per i quali non posso muovermi da casa...", "non fa niente vuol dire che vengo io da te, porto la macchina, la parcheggio, porto anche alcune...", "no, no, grazie, già porti la macchina, non portare altro...", "allora vengo domani pomeriggio, va bene alle sedici?", "va benissimo. Ad ogni buon conto puoi stare tranquilla non ho una 'collezione di farfalle' da farti vedere...".
Mara scoppia a ridere e poi aggiunge: "A domani Aldo!".

giovedì 21 novembre 2013

IO ADORO CARMELA...

...e lo grido al mondo intero!
Tutti sanno che l'Olivetti lettera 36 elettrica è una macchina da scrivere portatile. La mia l'ho qui con me da quarant'anni e forse più.
Carmela, la portatile, l'ho messa da parte circa sei anni fa da quando Pasquale, il pc, si è introdotto qui in casa mia.
Tempo fa ho letto in una pubblicazione che Biagi e Montanelli amavano scrivere in una Olivetti lettera 22, allora mi è venuta un po' di nostalgia che presto si è tramutata in voglia di scrivere qualcosa con la mia Olivetti 36. L'ho presa dove si trovava, l'ho adagiata, le ho tolto la copertina e ho iniziato ma lei invece si è messa a fare capricci. Si deve essere offesa perché l'ho trascurata tutto questo tempo. Ho tentato di spiegarle il perché l'abbia messa da parte. Quando si va avanti con l'età gli acciacchi e gli impedimenti arrivano per tutti, uomini e cose. E quindi è normale che ci sia una specie di 'cambio della guardia', di avvicendamento.Ma lei non me l'ha perdonata, ha seguitato perché è testarda e perché sicuramente si aspettava un po' più di gratitudine per aver fatto da insegnante alle mie due nipoti quando, benché in tenera età, le introdussi nel campo della dattilografia.Penso inoltre che sia gelosa di Filomena – per gli amici Flo -, la tastiera del mio pc. Le ho detto che si tratta di una pura e semplice amicizia e nulla di più ma non mi crede, mi dice che le uso troppe attenzioni, che sono troppo gentile e paziente. Le giuro che non è vero, al contrario, sia a Flo che a Pasquale, il pc, gliene dico di tutti i colori e in tutte le salse quando, per qualche motivo, evidentemente d'accordo, entrambi bloccano tutto. E questo purtroppo capita spesso.
Finalmente Carmela si è convinta. Con delicatezza e dolcezza, ho iniziato a toccare i suoi tasti. È stato un vero piacere perché rispondeva prontamente alle mie sollecitazioni come se godesse di ogni mio lieve contatto. Malgrado l'età si comportava meravigliosamente, sembrava avere non so quanti anni di meno e io ero soddisfattissimo, come ai bei tempi insomma. Sono riuscito, almeno in parte, a soddisfare la mia voglia di quando, la prima volta, la presi tra le mie mani. Ho ringraziato Carmela e lei, quando abbiamo finito, mi ha fatto capire di essere soddisfatta.
Visto che vuol dire essere gentili? Si ottiene più facilmente ciò che si desidera.

lunedì 18 novembre 2013

NOI CI PROVAMMO E...

...datosi che si trattava della settimana Pasquale del 1952 la compagnia amatoriale di teatro della quale facevo parte era stata invitata a rappresentare nel proprio teatro una tragedia religiosa con 21 personaggi uno dei quali ero io (avevo 22 anni), ma il fatto era che non potevamo dire di no all'organizzatore. Il copione di quel lavoro teatrale c’era stato consegnato appena una quindicina di giorni prima e noi tutti eravamo impegnati a cercare di imparare ogni battuta a memoria, anche se, al momento dell’andata in scena, avremmo avuto l’aiuto di un suggeritore. C’era, però, una discreta parte di noi che non riusciva a fare questa operazione e quindi il tutto procedeva troppo a rilento. Il regista, uno di noi ma pratico di teatro, era piuttosto preoccupato per l’andamento delle cose. Tra l’altro aveva ricevuto una richiesta da parte della direzione di un ospedale pediatrico religioso quella, in pratica, di andare a rappresentare almeno la prova generale di quel lavoro nel loro piccolo teatro riservato ad un pubblico composto di suore, personale medico e paramedio e qualche genitore dei piccoli ricoverati. Il regista ci affermò che non gli era stato possibile dire di no, giacché in quell’ospedale c’erano ricoverati i suoi due figli piccoli. Sinceramente eravamo tutti nel panico più completo: nessuno di noi sapeva la propria parte a memoria e inoltre c’erano ancora certi meccanismi da mettere completamente a fuoco. La prova generale era stata fissata lì all’ospedale per il venerdì mentre lo spettacolo vero e proprio sarebbe andato in scena il giorno successivo in un teatro rionale. Dopo aver discusso a lungo prendemmo una decisione. Ci saremmo recati ugualmente al piccolo teatro di quell’ospedale, ma lì giunti il regista avrebbe comunicato alla suore responsabili che a causa di un’improvvisa indisposizione dei due personaggi principali quel lavoro non si sarebbe potuto rappresentare. Una menzogna delle più spudorate. Avremmo in ogni caso portato in scena uno spettacolo d’arte varia – cosa che facevamo abitualmente e che conoscevamo a menadito – e quindi saremmo andati in scena ugualmente visto che le suore avevano già tutto organizzato per questa rappresentazione. Da parte nostra concordammo quali sketch portare in scena, quali e quanti di noi avrebbero partecipato, con quali incarichi. Della nostra compagnia facevano parte anche una giovanissima cantante poi diventata soubrettina con Macario, un ragazzo che suonava benissimo la fisarmonica e un giovane operaio milanese amante dell’arte circense che si era fornito di un completo costume da clown. Era bravissimo quando poteva esibirsi nel suo numero preferito. Felice, questo il suo nome, s’era creato un piccolo aggeggio: aveva inserito nella palletta rossa di plastica che i clown si mettono in punta al naso, una minuscola lampadina collegata ad un filo elettrico, ben nascosto dal cerone, che si dipartiva dal naso, passava dietro la schiena e arrivava sulla pancia attaccato al pulsante di una batteria portatile. Bastava che lui lo premesse col gomito e la lampadina s’accendeva illuminandogli il naso. Unimmo anche loro nella spedizione verso quell’avventura. Arrivò il venerdì e noi, giunti sul posto un’ora prima di quella fissata per lo spettacolo, fummo accolti da due suore facenti funzioni di direttrici, ma soprattutto spalancammo tanto d’occhi nel vedere in una stanza adiacente il palcoscenico del teatro una tavola imbandita di ogni bene mangereccio: panini imbottiti, pizzette, bevande e dolci d’ogni genere e altro ancora. Il nostro imbarazzo crebbe a dismisura. Il regista iniziò subito a recitare la sua commedia e, con fare contrito, spiegò alle suore il motivo per cui non potevamo mettere in scena la tragedia promessa. Le due suore, dapprima perplesse poi convintesi piuttosto a malincuore ci assicurarono che potevamo rappresentare quello che credevamo dato che ormai il tutto era stato predisposto. Peraltro stavano già arrivando i primi spettatori i quali prima di entrare in sala dovevano lasciare all’ingresso un’offerta per le spese. Scoccata l’ora d’inizio dello spettacolo a me cominciarono a tremare le gambe come pure agli altri. Però forse a me più di loro giacché dovevo andare in scena per primo in quanto dovevo presentare ogni singolo quadro, siparietto o intermezzo musicale. Mi feci coraggio, presi il microfono in mano e andai sul palcoscenico. Un bell’applauso d’incoraggiamento mi accolse ed allora io, con una notevole faccia tosta, accennai brevemente al cambiamento di programma e presentai il primo numero. Feci persino lo spiritoso con qualche lieve battutina. Mi guadagnai però il consenso degli spettatori così come l’ottennero tutti i partecipanti allo spettacolo, persino con qualche richiesta di bis. Terminammo dopo circa due ore. Ricevemmo parecchi applausi e l’unanime consenso delle suore due delle quali, le direttrici, nell’invitarci al rinfresco ci chiesero se potevamo tornare ancora qualche altra volta.
Rispondemmo di sì visto che il tutto era finito …a tarallucci e vino.
Infatti ritornammo sul luogo del delitto altre due volte.

giovedì 14 novembre 2013

A.O.T. AMICIZIE OSPEDALIERE TEMPORANEE

Quando il 23 ottobre u.s. sono entrato all'ospedale e nella camera 102 come ho già detto, mi è stato assegnato il letto B - quello centrale - che ho occupato per tutto il mio 'soggiorno' mentre invece quello A alla mia destra ha visto l'avvicendarsi di ben 4 pazienti e quello C alla mia sinistra soltanto 2. Di solito si scambiano quattro parole fra tutti i 'soggiornanti' e così è stato però con alcuni distinguo. Mentre quelli del letto A erano molto loquaci, quelli del letto C, al contrario, erano più taciturni. Ci sono state alcune volte, specialmente negli ultimi due giorni , durante i quali mi sono divertito a sommare le nostre tre rispettive età raggiungendo un record: oltre due secoli e mezzo, per la precisione 256 anni. Cercherò di descrivere al meglio i sei amici temporanei, non so se ci riuscirò però mi auguro che qualcuno si divertirà in seguito a descrivere me, elencando i miei pregi, ove li avessi, e i miei numerosi difetti. Inizialmente il letto A l'ho trovato occupato da una specie di Maciste alto 1,95, peso Kg.127, 58 anni circa, capo-operaio ai Mercati Generali di Roma. Per quanto era alto non entrava nel letto e dormiva, russando sonoramente, con i piedi in fuori .
Persona molto cordiale, ci siamo scambiati un po' dei nostri reciproci ricordi. Ha lasciato l'ospedale il 25 ottobre quando mi stavano portando in lettiga in sala operatoria - da me battezzata cella frigorifera - per il secondo intervento. Ci siamo detti reciprocamente in bocca al lupo. Quando dopo due ore sono stato riportato in camera nel letto A c'era un altro paziente - in seguito mi disse di avere circa 90 anni ex Capitano di lungo corso nella Marina Mercantile, padre partigiano e così anche lui. Ottima persona, piccolino di statura e molto ciarliero (tipo quel novantenne mio amico di cui ho già scritto il quale, non appena entrava in casa e si siedeva, attaccava con la frase "Pe' fatte breve er discorso" ma non smetteva mai e io ero costretto a fare il pesce). Il Capitano soggiornante nel letto A agiva e parlava sì nella stessa maniera ma a voce bassa, per farlo smettere occorreva sparargli con un bazooka. Aveva navigato per i mari di tutti i continenti comandando petroliere e parlava quattro lingue. Dimesso lui al suo posto è subentrato un tipo alto, robusto, chiacchierone a più non posso ma cortese e generoso. Si è messo ad aiutarmi durante i miei digiuni che dovevo osservare sia prima sia dopo i due interventi. Anche perché i comodini accanto ai letti erano posti a sinistra dei letti stessi ed io non sono mancino oltre al fatto di essere stato operato nel torace a sinistra. Se mi occorreva qualcosa non arrivavo a suonare il campanello per l'infermiera, quindi per me erano guai seri. Allora interveniva lui e mi aiutava sempre. Tra noi è scattato un primo abbozzo di vera amicizia. Il giorno 5 novembre, cioè prima della data della mia 'scarcerazione', il letto A è stato nuovamente occupato questa volta da un mio coetaneo - 1930, folti capelli bianchi, bello robusto ma non alto, completamente sordo il quale desiderava conversare ma lo faceva a voce talmente alta che costringeva anche me ad urlare. Infatti la mattina del 6 novembre dopo la visita del primario con tanti dottori e dottorini che lo seguivano, appena usciti è dovuta rientrare da noi una dottoressa la quale ci ha invitato ad abbassare la voce. Abbiamo proseguito il nostro pseudo dialogo con dei cenni senza che riuscissimo a capirci. Per quanto riguarda il letto C per tutta la durata del mio soggiorno è stato occupato da due persone, il primo di circa 75 anni anche lui russava fragorosamente, un po' reticente a parlare ma poi l'ha fatto in seguito. Il secondo invece, di 91 anni, alto anche lui e quindi con i piedi in fuori, magro, e sordo, parlava a bassissima voce con grande mia fatica a capirlo in quanto anch'io non ci sento bene dall'orecchio sinistro. Era un appassionato floricultore e mi ha raccontato, tra molto altro, che le gardenie hanno le foglie bianchissime ma se le tocchi si rovinano diventando gialle. Quando sono stato dimesso lui invece è restato.
In definitiva, malgrado tutto, ho trascorso 15 giorni di vacanza a gratise salvo il sangue che si sono succhiati i vari dracula, a giorni alterni.

lunedì 11 novembre 2013

SOUVENIRS DE L'HOPITAL

La mattina del 23 ottobre u.s., alle 8 meno 5 entro nell'ospedale al quale sono 'affezionato' da anni e, dopo alcuni inciampi che sono tipici all'atto del ricovero mi vengono indicati sia il reparto di intensiva-cardiologia sia la camera a tre letti contrassegnati dalle lettere A, B e C (non da numeri come nelle patrie galere). Il mio letto è B in mezzo agli altri due occupati da due pazienti. Mentre sto per sistemare il mio borsone con il necessario per il 'soggiorno', in un piccolo armadio posto di fronte al bagno, vedo spuntare dal nulla una giovane ragazza con la mia cartella di ricovero, la quale penna nella mano mancina mi chiede "nome?" e io rispondo "Aldo", lei mi fa "no, il cognome " e allora io dico "Accardo". Prende nota poi del luogo e data di nascita, della residenza, nonché di altezza e peso. Su queste due ultime richieste sono un po' vago in quanto la mia statura si dev'essere abbassata per via dell'età ed il peso ondeggia spesso. Durante l'interrogatorio ho, come dire, preso visione della giovane: alta, occhi marrone chiaro, capelli neri raccolti all'indietro, piccolo volto rotondo senza trucco, bocca piccola con due labbra perfette, corpo affusolato ma senza alcun attributo anteriore e posteriore evidenti direi quasi assenti. Mi è venuta in mente che fosse come una di quelle bambole che un tempo si mettevano al centro del letto appoggiate ai cuscini. Ma la giovane sprizzava femminilità da tutti i pori. Benissimo. Vengo avvisato che devo continuare a stare a digiuno come ho fatto già dalla prima colazione in quanto dopo qualche ora mi avrebbero portato in sala operatoria per il primo intervento. Per farla breve si deve procedere all'espianto di un defibrillatore che decubita e si trova collocato in una 'tasca'ricavata nel torace a sinistra vicino al cuore: tagliare, togliere e ricucire. 48 ore dopo reimpianto di un nuovo defibrillatore: tagliare, ripulire con potenti antibiotici e ricucire. Per entrambi gli interventi anestesia locale che non è stata molto benevola con me. Complessivamente 15 giorni di 'soggiorno' tra accertamenti, digiuni, interventi, prelievi, flebo di antibiotici a getto continuo, ECG, lastre, visite di controllo.
Personale del reparto: personale medico: tre cardiochirurghi tra i quali la giovane signora che mi conosce da un bel po' di anni ed è quella che mi 'affetta' col sorriso sulle labbra ( io sorrido molto meno); personale paramedico: otto giovani - due maschi e sei femmine attraenti tra le quali la 'bambola'; tre signore portatrici del vitto e due signore portatrici di scopa e scopettone. Di certo noi siamo ben accuditi e tenuti sotto controllo.Tutto bene compreso il fatto della 'bambola' che io osservo in continuazione e con attenzione ogni volta che lei mi passa davanti o si sofferma per occuparsi di noi tre pazienti. Un giorno, dopo il secondo intervento chirurgico, lei mi dice "Accardo te prima eri dolce adesso invece sei cambiato e lo sei di meno". Ma perché mi sono chiesto? Forse perché la osservo troppo? Qualche giorno dopo, di sera, lei si trova accanto al letto A e, mentre fornisce di medicine il paziente ed è voltata di spalle, mi dice: "Accardo" perché mi guardi?" ed io "ma che hai anche gli occhi dietro? Che faccio di male, mi limito soltanto a guardare una bella ragazza", "non sono una ragazza", "una bella signora?", "no", "una bella signorina?", "no", "e che sei allora?". "una infermiera" e se ne va. Mi lascia a bocca aperta e mi dico "ecco fatto, ho combinato un'altra gaffe delle mie". Passano due o tre giorni e la 'bambola' mi ripassa davanti ma mentre sta per uscire si volta e mi dice "Accardo, ma che vuoi da me?". Se avevo cinquant'anni di meno te l'avrei detto che volevo da te ma mi sono cucito la bocca e sono stato zitto. Quando il giorno seguente deve sempre passare davanti a me che sono seduto, invece di guardarla, alzo la testa, guardo in alto, a destra e a sinistra e lei, evidentemente se ne accorge e sbotta a ridere. Finalmente! Dopo di allora tutto è cambiato: sorrisi sinceri, battute molto innocenti tipo il complimento che le faccio quando, per farmi l'ennesimo prelievo, si presenta con i capelli neri lunghissimi. Insomma la 'bambola' è cambiata totalmente tanto che il 6 di novembre, giorno del mio 'rilascio', mi saluta con una stretta di mano e con uno splendido sorriso.
Chissà, forse si sarà detta "meno male che strarompi se ne va".

mercoledì 6 novembre 2013

RIENTRO A CASA e...

...finalmente posso ringraziare i blogger amici che mi hanno lasciato o inviato commenti augurali relativamente al mio post (IMPEDIMENTO) del 26 ottobre u.s. e scritto dalla cara amica blogger Luz (Luciana),
G R A Z I E !!!
Un caro saluto a tutti,
aldo.

sabato 26 ottobre 2013

IMPEDIMENTO


Grazie agli amici blogger, ma purtroppo non posso accedere ai loro blog come sono solito fare, in quanto dal 23 ottobre sono ricoverato in ospedale per un intervento chirurgico. Debbo ringraziare la mia cara amica Luciana che mi aprì il blog il 18 dicembre del 2008 e che ha pubblicato questo post su mia indicazione. 
Carissimi saluti a tutti.
aldo

mercoledì 23 ottobre 2013

SCUSI, LEI BALLA?

Ho capito che non sarei mai stato capace di ballare sin da quando, sedicenne o poco più, facevo parte di una comitiva di ragazze e ragazzi della mia età che, quasi ogni domenica pomeriggio, si riuniva in casa di qualcuno di noi per fare quattro salti - non in padella anche se per me lo era. Infatti cadevo nella "brace" quando tentavo di muovere i piedi al suono di qualsiasi ritmo musicale sia lento sia veloce. Ero un ciocco di legno. Credo di aver pestato più piedi io che chissà chi. Nessuno riusciva a battermi in questo primato. Un bel giorno, anzi una bella domenica, visto che non riuscivo a fare un passo di danza neppure sotto tortura, la comitiva decise all'unamità, io astenuto, che il mio compito in quei pomeriggi danzanti fosse quello di mettere e togliere sul grammofono i dischi a 78 giri de 'La Voce del Padrone'. A quell'epoca gli stereo ancora non esistevano.All'età di circa diciannove anni la mia ragazza, che sapeva ballare, decise di insegnarmi pena le 'dimissioni'. Un pomeriggio, complici anche le sue datrici di lavoro, venni invitato a casa loro attigua al laboratorio di magliera-sartoria dove appunto lei lavorava , ci chiudemmo in una stanza e lì venni iniziato al ballo. Il fatto è che riuscii ad imparare qualche passo di danza ma soltanto al suono di quella famosa canzone che credo si chiamasse "Beguine to beguine". Non ho mai capito se era un tango, una rumba o qualsiasi altro ritmo. Provarono persino a farmi ballare al suono di un valzer magari lento ma non ci fu verso che io riuscissi a muovermi. Ero negato totalmente. Dopo un paio d'ore di "Beguine", stremati, decidemmo per quel giorno di smettere. Col trascorrere degli anni ci furono altri tentativi, la maggior parte andati a vuoto, ma ormai s'era capito che era inutile cercare di farmi imparare a ballare.Avevo compiuto 55 anni, ancora lo ricordo, e un mio amico che festeggiava il suo di compleanno, m'invitò a casa sua. Era un sabato pomeriggio d'autunno e il suo appartamento, veramente grande e piuttosto di lusso, pullulava di persone d'ambo i sessi sia nostri coetanei sia qualcuno anche più anziano. La maggior parte erano donne.
Ad un certo punto ci fu chi mise in funzione uno stereo ad alto volume e parecchi degli invitati si gettarono nel vortice delle danze. Io, prudentemente, mi sedetti su di una poltrona e cominciai ad ammirarli. Qualche minuto dopo si avvicinò una signora, mia coetanea, la quale mi disse
- Scusi lei balla?
- Ehm... veramente io...le confesso che non so ballare
- Ma questo che sta ascoltando è un tango ed è facile da ballare
- La ringrazio ma non farei altro che pestarle i piedi
- Non si preoccupi, venga, la porto io
- Dove?
- Qui, a ballare, venga su, si faccia coraggio
- Non c'è una Beguine? Mi sentirei più sicuro.
- Poi la cercheremo, adesso prenda il mio braccio e mi segua.
Dopo quel giorno la seguii ancora.

domenica 20 ottobre 2013

CHE SIANO PARENTI?

Di Guendalina intendo, diminutivo Guen, l'orologio-sveglia che da più di trent'anni stava a casa mia. Mi ero affezionato a lei, devo ammetterlo ma purtroppo qualche mese fa ha deciso di lasciarci per niente affranti da alcun dolore in quanto ormai già da tempo aveva perduto ogni dignità riguardo il suo dovere di comportarsi come orologio-sveglia. Al suo posto era subentrato un altro orologio di piccole dimensioni che non adoperavo come sveglia e che non ricordo come abbia fatto il suo ingresso in casa mia. Mi chiedo ancora ma l'avrò acquistato io nel piccolo negozio gestito da cinesi quì nelle vicinanze di casa oppure me lo avrà regalato mio figlio a mia insaputa? Ad ogni modo ha poca importanza il come poichè tanto stava lì al suo posto in cucina. La notte però io me lo portavo vicino al letto per controllare se, svegliandomi, era logico ed opportuno alzarsi oppure se potevo seguitare a dormire tanto non ero e non sono obbligato tuttora a preocuparmi dell'orario in quanto sono in pensione. Verdolino, questo il suo nome perché di questo colore era adornato, si comportava bene ma troppe volte, forse per stanchezza, cadeva dalla sedia dove lo poggiavo rischiando, col tempo, di decretare la sua fine prematura. Decisi allora di acquistarne un altro, sempre di piccole dimensioni e sempre dai cinesi, che pagai 2 euro e 90 centesimi e che anche lui, sempre di notte, siedeva o stava in piedi accanto il mio letto, come il precedente. Da un paio di mesi però MaoTse-tung, così l'ho chiamato io, ha deciso di addormentarsi verso mezzanotte svegliandosi però regolarmente ogni mattina tra le otto e le otto e trenta. D'accordo, a me che la notte riposi anche lui non è che mi dia molto fastidio ma poichè ho il piccolo difetto di svegliarmi più volte prima dell'alba e dare una sbirciatina alle ore che passano, un pochino mi secca. Così la sera, prima di andare a letto, riprendo Verdolino e lo poggio vicino a me mentre MaoTsetung rimane sulla scrivania. Il fatto curioso è che lì sta sveglio sempre, anche di notte. Mistero profondo.
La colpa di tutto però è mia in quanto da anni e anni non uso orologi da polso , da tasca o taschino (la famosa cipolla con la catenella) e non ho neppure la sveglia al collo.

mercoledì 16 ottobre 2013

IL BELLO ADDORMENTATO

Un paio di giorni fa m'è tornato in mente qualcosa che ebbi occasione di leggere nel 1985 e cioè uno dei libri di Luciano De Crescenzo, napoletano verace, ex ingegnere, scrittore, regista, attore e conduttore televisivo. Ammetto di avere una particolare simpatia per lui anche perchè sono innamorato di Napoli e della napoletanità, quindi dei suoi libri e dei suoi film. In quel libro lui, De Crescenzo, scrisse un 'fattariello', così definì uno dei suoi racconti che adesso cercherò di riportare in questo post. La storia è questa: il Cavaliere Sgueglia è una persona precisa, ha 46 anni,è scapolo e, unitamente alla sorella signora Rosa Sgueglia sposata Gallucci, tiene un negozio di colori e ferramenta in Via Torretta 282 a pochi passi dalla Stazione di Mergellina.Come dicevo prima il Cavaliere Sgueglia è una persona precisa; da circa venti anni, ovvero dalla morte del padre buonanima, esce tutte le mattine alle 8.20 da casa, prende un caffè e una brioche al bar da Fontana e alle 9 in punto alza la saracinesca del negozio di Via Torretta. Donna Rosa, la sorella, arriva con comodo per via del fatto che la mattina prima di uscire lei deve avviare un marito al Comune e tre figli, tre scatenati, alla scuola professionale. Lei arriva e si siede alla cassa, un occhio ai clienti e un altro ai guagliuni per evitare che si fottano tutto il negozio. "Mio fratello è troppo buono" dice "e non ha capito che oggi con i prezzi che sono saliti alle stelle perdere una chiave inglese significa dare un saluto a cinquemila lire". All'una il Cavaliere non esce, abbassa solo la saracinesca quasi fino a terra, poi Donna Rosa gli prepara un primo sul fornellino nel retrobottega e subito scappa a casa per sfamare i suoi quattro morti di fame cioè i figli e il marito mentre invece il Cavaliere, poverello, si fa una mezz'oretta di sonno su una brandina in mezzo alle buatte di vernici, rubinetteria e rotoli di rete metallica. La sera, alle otto precise il Cavaliere chiude il negozio e si avvia nel traffico di Via Posillipo dove, dopo una ventina di minuti, appena ha passato Piazza San Luigi si ferma in una traversa scura, un vicolo cieco, parcheggia la macchina, una 1100 Fiat bicolore con i sedili ribaltabili che da quattro anni che la tiene si e no ci avrà fatto diecimila chilometri e si ritira a casa.Una cena semplicissima quasi sempre la stessa e che, ovviamente, si prepara da solo. Poi si mette a letto, padre, figliolo e spirito santo e così sia. Naturalmente a questo punto si potrà dire ma che storia è questa, che importa che il Cavalier Sgueglia è così preciso. E no, e no dico io, la precisione del Cavaliere è determinante per questa storia, già perché bisogna sapere che questa giornata tipo del Cavalier Sgueglia è sempre stata così senza alcuna variazione da quasi vent'anni. Mai una sera al cinema, da un amico, da un parente, non visita e non riceve. Solo la domenica, tutte le domeniche all'una va a pranzo dalla sorella, la messa, le paste da Fontana, due babà, una zuppetta inglese, due sfogliatelle; il giornale Il Mattino, tre scope mano a mano col cognato mentre Donna Rosa prepara in cucina e poi di nuovo a casa. Tutto il calcio minuto per minuto, il secondo tempo della partita, carosello, la domenica sportiva e poi a nanna. Andiamo avanti. Giovedì scorso verso l'una e mezzo di notte, quando stava ancora al primo sonno, il Cavaliere viene svegliato dallo squillo continuo del telefono "Ma chi sarà a quest'ora?"; si alza e va a rispondere con la certezza della brutta notizia. E infatti, apprende dal cognato che la sorella, cioè Donna Rosa, si era sentita male, aveva avuto terribili dolori di pancia e il marito l'aveva portata all'Ospedale Loreto da dove telefonava e dove, con ogni probabilità, appena fosse venuto il professore sarebbe stata operata di appendicite. Il Cavaliere dice solo "quanto mi vesto e vengo". E sempre mezzo stonato dal sonno, si veste alla meglio, esce di casa, scende nel vicolo dove ha lasciato la 1100 e non la trova. Anzi, per essere precisi, proprio al posto dove ha lasciato la sua macchina trova un'altra macchina coperta da un telone scuro. Il Cavaliere che ancora non ha ripreso tutte le sue facoltà logiche, ci gira prima intorno e poi, cautamente, alza un lembo del telone e lì, col massimo stupore, si accorge che:"Gesù, ma stessi sognando".Sotto al telone
c'era proprio la macchina sua e che nella macchina dormiva tranquillamente un uomo: "ma...?". Erano quasi tre anni che Gennaro Esposito, disoccupato, tutte le sere alle undici e mezzo si ritirava nella 1100 del Cavalier Sgueglia e,approfittando della regolarità e precisione delle abitudini del Cavaliere, Gennaro non si limitava a ribaltare i sedili e a riposarsi, no, ma, aperta una grande valigia, che poi custodiva nel bagagliaio, tirava fuori tutto il necessario per prepararsi il letto: cuscino, coperte, lenzuola e la sveglia sul cruscotto. La sveglia veniva messa alle sei e mezza perchè a Gennaro piaceva essere mattiniero; si alzava e iniziava la
messa a punto degli interni della vettura. Aveva con se persino uno scopettino per spazzolare eventuali tracce della sua presenza. Diciamo la verità, qualcosa la
lasciava nella macchina ed era il proprio odore personale ma ormai però, dopo
tanti anni, il Cavaliere a quell'odore di Gennaro Esposito ci si era abituato, anzi fin dall'inizio lui lo aveva preso per un odore Fiat. Ma, torniamo però alla nostra famosa notte. Avevamo lasciato il Cavaliere ammutolito dalla sorpresa in contemplazione di Gennaro Esposito disoccupato e senza fissa dimora,veramente senza fissa dimora si fa per dire perché in effetti Gennaro una fissa dimora ce l'aveva ed era la 1100 Fiat del Cavalier Sgueglia. Comunque, realizzato il fatto il Cavaliere al massimo dello stupore sveglia con un urlo Gennaro che ancora più stupito di lui giustamente gli chiede " ma Cavalie' e voi che fate a quest'ora in mezzo alla strada"..." e ma quella è mia sorella, si è sentita male e l'hanno portata all'Ospedale Loreto"..."ma chi," fa Gennaro "Donna Rosa? E che si è sentita?" "ma voi chi siete, ma che fate nella macchina mia, ma chi diavolo?" "Cavalie', calma,e mo adesso non state a pensare voi chi sono io, piuttosto ditemi che sto in pensiero, Donna Rosa come sta, ma come si sente?"... "ma io non ho capito bene, pare che si tratta di appendicite. Ma voi chi siete, chi vi ha dato il permesso di...?""Cavaliere bello adesso non vi mettete a perdere tempo qua per sapere poi soprattutto chi sono e chi non sono. Voi non vi dovete preoccupare per me, io ho solo approfittato qualche volta della vostra cortesia, piuttosto pensiamo a Donna Rosa che non si sente bene. Dov'è che avete detto dove l'hanno portata?" "All'Ospedale Loreto"..."Benissimo, mo vi accompagno" "Ma come mi accompagnate, io non capisco" "Cavalie', ma voi adesso vi sentite un poco confuso e io vi capisco; lo sbattimento, vi hanno svegliato in mezzo al sonno e poi giustamente state in pensiero lo capisco, ma mo non vi preoccupate che qua ci sta Gennaro vostro che non vi lascia. Io, consentitemi, mi sento di famiglia"... "Come di famiglia?"..."E sì Cavaliere mio, io vi debbo accompagnare". Gennaro e il Cavaliere passarono la notte insieme all'Ospedale Loreto. Gennaro fu di grande conforto in realtà e il Cavaliere lo presentò come un coinquilino, lì di Via Posillipo. Insieme attesero trepidanti la felice conclusione dell'intervento. Salutandosi, poi, alla fine, il Cavaliere si fece giurare sui fantomatici figli dichiarati da Gennaro che mai più avrebbe utilizzato la sua macchina come camera da letto.
Finale del 'fattariello'. Il Cavalier Sgueglia, ad ogni buon conto e malgrado i solenni giuramenti, s'è venduto la macchina e si è comprato il motorino.

domenica 13 ottobre 2013

SAI, HO UNA STORIA

- Veramente?
- sicuro
- e da quanto tempo?
- saranno circa sei mesi
- non mi dire...
- e invece ti dico
- con chi?
- con qualcuno
- io so chi è?
- no...
- ha un nome?
- Annika
- perbacco, un nome singolare
- sì ma a me piace
- giusto e...quanti anni ha?
- tre meno di me
- va bene allora, non c'è molta differenza tra voi e...
- lei è svedese
- non importa
- però parla bene l'italiano, direi meglio di me...
- lo credo, la materia dell'italiano è stata sempre ostica per te
- certe volte poi mi lascio andare col dialetto romanesco...
- e lei ti capisce?
- sì sì, anzi certe battute le dice pure lei in romanesco
- dev'essere simpatica
- molto
- è una storia seria la vostra?
- per ora sì, poi si vedrà
- quando ce la farai conoscere invitandola magari a cena qui a casa nostra?
- una delle prossime domeniche
- vi frequentate molto?
- tutti i giorni
- allora immagino che studiate insieme...
- no mamma perché io sto in terza media e lei in quinta elementare
- ah ecco, hai ragione figlio mio.


giovedì 10 ottobre 2013

E LA PEPPA QUANTA ABBONDANZA

Sì, sì, a differenza dell'altro ieri che ho fatto una passeggiata incolore.
Invece ieri 9 ottobre, ore 9.10:
- sono indeciso se uscire o meno. Mi affaccio alla finestra e vedo che verso San Pietro ci sono poche nuvole, anzi spunta un sole molto pallido ma l'importante è che non ci sia pioggia. Qui a Roma quando si vedono le nuvole sul Vaticano vuol dire che il tempo sarà inclemente. Meglio delle meteo previsioni. Ieri mattina, all'incirca mezz'ora dopo le 9.30, ho fatto appena in tempo ad aprire il portone che è rispuntata Penelope il temporale che da un po' di tempo si scatena su Roma e non solo. Come ho già detto "sta benedetta Penelope non poteva seguitare a tessere la tela per non sposare uno dei Proci aspettando Ulisse, almeno così ci lasiava in pace?".
Ad ogni modo andiamo avanti. Dov'ero rimasto? Ah, sì, mi decido ed esco. Attraverso la strada rigorosamente sulle strisce e, facendomi da parte, cedo il transito ad una giovane mamma che porta nel passeggino un bel bambino al vicinissimo asilo nido. Nell'incrociarmi,con un bellissimo sorriso sulla faccia mi dice "buonasera"(!?!). Rimango un po' perplesso e vado oltre ma poi mi dico: non avrebbe dovuto dire "grazie"? Procedo e passo sotto i portici di Piazza Vittorio per acquistare un farmaco nella farmacia 'amica' nel senso che su alcuni prodotti senza ricetta applica lo sconto. Chiedo al medico se mi può misurare la pressione e lui di buon grado me la misura gratis. Punteggio finale: 119/59. Buona secondo lui a differenza della volta precedente 92/42 tanto che sempre lo stesso medico mi chiese scherzando "ma lei è vivo?".
Ringrazio, saluto e torno a casa sempre passeggiando sotto i portici quando vedo spuntare all'orizzonte una strana coppia: lui un bestione alto un paio di metri, robusto, calzoni bermuda, cappello a larghe tese e telefonino all'orecchio; lei magra ma soprattutto piccola, piccola, ma piccola...così! E non è la figlia poiché ad occhio e croce devono avere la stessa età.
Un numero da circo equestre? Forse, chissà?
Non mi rimane che rientrare a casa anche perchè le nubi stanno diventando nere
e, se arriva Penelope, non vorrei che mi cadesse addosso.

lunedì 7 ottobre 2013

IL DADO E' TRATTO

Queste parole mi ronzavano in testa da un bel po' di tempo vista la decisione presa. Ho quindi deciso di prendere atto definitivamente che sto rimbambendo ogni giorno di più.E non mi si venga a dire che ci sono persone che hanno un'età superiore alla mia - 83 anni - e che non sono rimbambiti affatto. Lo so benissimo e faccio loro tanti auguri perché restino ancora sulla breccia così come sono, ma io non faccio parte di questa categoria. Bando alle parole e andiamo ai fatti. Vediamo se me li rammento. Tutti i giorni faccio sempre gli stessi gesti sin da quando mi sveglio, ma non per paranoia, no, soltanto perché così evito di dimenticare qualcosa anche se non è una cosa importante:
1) mi alzo, apro alcune finestre, sempre e solo quelle, mi preparo e faccio colazione, prendo le pillole del mattino ed entro in bagno dove disbrigo le abituali faccende. Quando ne esco una vocina interna mi fa:
= rientra in bagno
= perché
= hai dimenticato qualcosa
= che cosa
= entra e vedrai.
Gli occhiali! Quando sono entrato me li sono tolti, li ho poggiati sempre nello stesso posto e lì l'ho lasciati. Grazie vocina.
2) mi siedo davanti a Pasquale, inizio a leggere le prime pagine di alcuni quotidiani, vari blog , i programmi TV delle principali reti alla scoperta di qualcosa di interessante da vedere -il più delle volte "non c'è trippa per gatti" – e torna la vocina:
= allora?
= allora che
= non saluti pc-Pasquale?
= ecco, ecco...buongiorno Pasqua'
= non devi dimenticarlo mai.
Ma 'sta vocina qua è amica mia oppure di Pasquale?
3) Esco di casa per il mio consueto giro con in tasca una piccola lista di cose da acquistare, ma non sempre giacché quando si tratta di una sola cosa sono certo di rammentarmelo. Dopo circa un'ora, il ritorno. Sto per aprire il portone quando rispunta la vocina e mi dice:
= dove vai
= dove vuoi che vada, rientro a casa
= e il latte?
= è vero, vado a comprarlo, grazie
= se non ci fossi io.
Si vanta pure la vocina.
4) Acquistato il latte prendo le chiavi dalla tasca e, fino alle prime due per aprire portone e vetrata tutto fila liscio, ma quando mi trovo davanti la porta di casa cominciano i problemi. Le due chiavi sono perfettamente uguali come misura, ma non come intaglio. Dopo due o tre inutili tentativi riecco la vocina:
= la vogliamo aprire o no questa porta?
= sto cercando la chiave
= non è quella
= e qual'è allora
= la prima che hai infilato sopra.
Possibile che la vocina ne sa più di me? Ma allora cara vocina dimmi perché non ti fai sentire quando devo fare cose più importanti?

giovedì 3 ottobre 2013

UNA STORIA VERA...SALVO NOMI, PROFESSIONI E LOCALITA'

Come ogni anno trascorro le vacanze in Sicilia dove sono nati i miei ed ora mi trovo qui alla stazione centrale di Palermo per prendere il treno delle 12:05 che mi consentirà di arrivare a Torino Porta Nuova domattina alle 10:45. Ho prenotato da venti giorni un posto in vagone letto e quindi sono tranquillo per il viaggio. Infatti noto una gran folla di viaggiatori vicini al treno in procinto di salire e trovare un posto libero. Da dodici anni, ora ne ho trentasette, insegno in una scuola elementare di Torino e, non essendo sposato, divido un minuscolo appartamento poco fuori città con un mio collega anche lui celibe. Malgrado le continue sollecitazioni dei miei, soprattutto di mia madre,non ho ancora trovato, ma neppure tanto cercato per la verità, la donna alla quale vada bene il mio carattere, il mio aspetto, il mio lavoro o chissà che. Finora brevi relazioni anche intense con qualche collega o con loro amiche, ma c'è stato sempre qualcosa che ci ha indotto ad interrompere, serenamente e di comune accordo, qualsiasi eventuale futuro panorama di vita. Ho già depositato nel portabagagli del mio scompartimento la borsa da viaggio e attendo che arrivi l'altro passeggero che dividerà con me il letto a castello. Farò scegliere allo stesso quale dei due preferisce, se quello di sopra oppure l'altro. Sento che il treno si sta muovendo lentamente per uscire dalla stazione. Però non è venuto nessun altro passeggero. Forse è meglio, così mi troverò più a mio agio. Ho con me un libro e quindi leggo. Appena trascorso un quarto d'ora si affaccia alla porta scorrevole dello scompartimento l'addetto al vagone il quale:
=Scusi se la disturbo signore, avrei da chiederle un favore...
=Prego, se posso...
=Si tratta di questo. Il passeggero che doveva occupare insieme a lei questo scompartimento ci ha avvisato soltanto poco prima della partenza che, per cause di forza maggiore, doveva rimandare il viaggio e quindi non si sarebbe presentato...
=Infatti ho notato che malgrado il gran numero di passeggeri che si sono affannati per trovare un posto qui ce ne sta uno vuoto...
=Appunto, signore, il treno è stracolmo, non c'è un posto libero, negli altri vagoni stanno seduti persino nei corridoi, però...
=Però cosa?
=Una persona che ha prenotato un posto in questo vagone letto, benché avvisata che non ce n'erano più liberi, per una serie di motivi personali ci ha detto che non poteva prendere il treno successivo in partenza troppe ore dopo. Ci ha chiesto quindi di salire ugualmente perché si sarebbe seduta anche nel corridoio.
=Mi dispiace ma non capisco quale è il favore che dovrei fare io. Qui il posto libero c'è, se vuole può occupare questo...
=Ecco signore, potrebbe esserci un problema ...
=Quale?
=È una signora
=Ah!
=Le crea qualche fastidio se la signora prende posto anche lei in questo scompartimento?
=A me, nessuno, forse alla signora...
=No, ha detto che la cosa non la disturba...
=Allora che venga pure...
Dopo qualche minuto ritorna l'addetto che lascia il passo ad una signora...E che signora!
=Buongiorno. Mi dispiace disturbarla ma domani mattina devo essere assolutamente a Torino per riprendere il lavoro, sa...
=Scusi se la interrompo, abbiano tanto di quel tempo, possiamo parlarne dopo non crede?
=Ha ragione. Allora sistemo le mie cose e...grazie anche a lei per aver convinto questo signore...
=Prego, le auguro buon viaggio anzi lo auguro ad entrambi..
=Ah, sì, grazie, buonasera
Mentre la signora sistema il suo bagaglio di sottecchi la osservo ...ed è un bell'osservare. Non molto alta, capelli castano scuri, lisci e una deliziosa frangetta sulla fronte, volto rotondo, personale ben tornito...il resto lo guarderò dopo con più attenzione. La prima cosa che facciamo è quella di scambiarci i nostri nomi: lei Nora io Mauro. Poi avvicinandosi l'ora di pranzo chiedo a Nora se si va insieme al vagone ristorante e lei accetta ad una sola condizione: il conto deve essere categoricamente diviso tra noi due. È inutile la mia insistenza e quindi 'concludiamo l'accordo'. Durante il pasto, non proprio eccellente per la verità, ci raccontiamo molte cose di noi stessi. Lei ha trentadue anni, cinque meno dei miei, è impiegata presso la sede Rai di Torino, vive in casa di una sorella della propria madre, torinese d'adozione da molti anni, è single ed ha un compagno, anche lui single e coetaneo che vive però a casa dei propri genitori. Aggiunge anche, bontà sua, che si vede col suo compagno in casa sua soltanto dal sabato alla domenica quando i genitori di lui se ne vanno in giro per le vicine montagne. Anch'io le racconto tutto di me finché arriva il momento in cui veniamo avvisati che il vagone ristorante ormai sta chiudendo. Il tempo è volato e noi non ce ne siamo accorti. Prenotiamo un leggero pasto per la cena e torniamo nel nostro scompartimento dopo aver sorseggiato un discreto caffè. Nessuno di noi due fuma. Trascorriamo l'intero pomeriggio fino all'ora di cena un po' leggendo e per il resto continuando a raccontarci alcune cose di noi e qualche aneddoto della nostra vita passata. Consumata la cena torniamo al nostro 'alloggio"verso le 21. Dopo un'ora decidiamo entrambi che è giunto il momento di andare a dormire, Nora sceglie il letto di sotto, io mi reco al bagno per indossare il pigiama. Lei, al mio rientro, si è già sdraiata nella sua cuccetta ed è in pantaloncini corti e maglietta a V senza maniche. Salgo al mio posto e Nora lascia a me la scelta di tenere accesa o spenta la luce. Lei non legge, io qualche pagina, poi spengo. Neppure venti minuti dopo mi sento chiamare
=Mauro dormi?
=Non ancora, perche?
=Ti va di parlare un poco'?
=Certo, aspetta che scendo.
Siamo andati avanti per ore. Abbiamo visto l'alba e poi lo scorrere delle ore, sempre parlandoci ma, come presi da una fretta inspiegabile siamo andati veloci col nostro dialogare, abbiamo parlato in sintonia con la velocità del treno. Come se temessimo di non riuscire a dirci tutto prima del nostro arrivo a destinazione.
Torino Porta Nuova è apparsa troppo presto, il treno è andato troppo veloce. Ci siamo guardati negli occhi e,solo con lo sguardo,abbiamo capito di avere lasciato qualcosa a metà.
Non ci scambiamo numeri telefonici ma, commossi, ci abbracciamo a lungo, affettuosamente, teneramente.

lunedì 30 settembre 2013

L'ULTIMA CIFRA E' SBAGLIATA

= Sii?
= Pronto? Finalmente la trovo dottore...
= Scusi signora non ho capito...
= Ho telefonato ieri ed ho parlato con la sua segretaria...
= Signora io...
= La sua segretaria m'ha detto che...Ma lei è il dottor Florentini?
= No, non lo sono e...
= È il collega del dottore?
= No signora non sono il collega del...
= Allora chi è lei? Un paziente?
= No però sono paziente con lei...
= Che vuol dire?
= Voglio, anzi, vorrei dire se lei mi concede un attimo di pausa, che il dottor Florentini qui non c'è...
= Ha trasferito lo studio?
= Questo non lo so, io sto qui da circa quaranta anni e non c'è mai stato nessuno studio di dottore...
= Allora devo aver sbagliato numero...
= Credo proprio di sì, lei che numero ha fatto?
= Il xxxxxxx9...
= Siamo alle solite...
= Perché?
= Semplice. Ricevo numerose telefonate di altre persone che formano il numero che lei mi ha citato credendo di parlare con il dottor come si chiama mentre invece si sbagliano commettendo tutti il medesimo errore e cioè che quel numero è il mio mentre quello del dottore è quasi uguale meno l'ultima cifra che è zero e non nove...
= Oh! Quanto mi dispiace, mi scusi tanto. Il fatto è che ho urgenza di parlare con.......
Malgrado avesse tentato di salutarla cortesemente lei lo pregò di darle ascolto per qualche minuto. Lui acconsentì e lei, con molta naturalezza, iniziò a parlare. Gli raccontò una parte della sua vita, volle dirgli come si chiamava, quale era la sua età – la metà dei suoi – dove abitava, cosa faceva e per ultimo gli chiese se potevano vedersi aggiungendo 'visto che lei è stato gentile con me'. Lui voleva rispondere negativamente poi prevalse la curiosità e fissarono un appuntamento per il giorno successivo, mercoledi, alle 19.00, al Gianicolo, ai piedi della statua di Garibaldi. Si rese necessario precisare, per potersi riconoscere, come si sarebbero vestiti e, parzialmente, il loro reciproco aspetto. Ebbe l'impressione di stare recitando come in un film. Fu proprio dalle ore 19.00 di quel fatidico mercoledì al Gianicolo che, testimone Garibaldi, sia pure di bronzo, ebbe inizio la loro incredibile storia. Quella di lui e quella di Dafne, un nome mitologico. Lui invece non era mai stato un Apollo. Il giorno del primo incontro fra loro due il più imbarazzato, ed anche imbambolato, era lui. Si presentarono e si sedettero su di una panchina dalla quale si poteva ammirare il panorama di Roma alle prime luci della sera. Non so se fu questa vista o la mitezza della serata a spingere entrambi a raccontarsi quasi tutto di loro. Lei era sposata e nessun figlio perché non avrebbe mai potuto averne. Questo fatto le aveva causato una forte depressione per cui da qualche anno, due volte la settimana, si recava nello studio di quel dottore, psicologo gli precisò, per seguire una terapia. I rapporti col proprio marito si erano purtroppo deteriorati ma continuavano a convivere perchè nessuno di loro due voleva divorziare né adottare bambini. Ormai erano solo amici ed ognuno di loro viveva una propria vita. Non le chiese il perché di questa loro strana decisione. Non voleva intromettersi oltre. Di fronte a queste così delicate confidenze personali rimase un po' perplesso e glielo fece notare, ma a lei questo non importava. Anche se non sapeva spiegarselo sentiva che poteva metterlo al corrente di ogni cosa. Le disse allora che tutto ciò poteva avere una sua logica spiegazione derivante dal fatto che, data la propria età, poteva essere suo padre. Dafne lo guardò e lo pregò di non dire sciocchezze spiegandogli il perché. Gli disse molto chiaramente che da quando si erano seduti, circa tre ore prima, lei non aveva guardato il suo aspetto, se ne era "fregata" per usare le sue parole. Lo aveva soltanto ascoltato e scrutato dentro. E questo le era bastato. Quando dopo poco si salutarono, si abbracciarono a lungo senza alcuna esitazione. Seguitarono a vivere ancora questa incredibile storia per alleviare le loro rispettive solitudini.


giovedì 26 settembre 2013

CARTELLONI PER...???

Da molto tempo nel corso delle mie quotidiane passeggiate vicino casa - sempre se caldo e freddo me lo permettono - ho notato e ancora noto dei cartelloni, alcuni del Comune perchè sormontati dalla scritta in ferro S.P.Q.R. dove ci sono affissi manifesti pubblicitari, altri invece di materiale plastico piuttosto robusto, poggianti su delle aste metalliche conficcate saldamente in terra sul ciglio dei marciapiedi e circondati da barre di metallo come una cornice, però senza la sigla del Comune di Roma. Di chi sono e a cosa servono questi altri cartelloni?
Non si capisce perché su entrambi i lati ci sono delle scritte a carattere cubitale che avvertono 'SPAZIO NON DISPONIBILE' e, sotto, ancora un'altra scritta quasi dello stesso carattere con altro divieto perentorio 'AFFISSIONE PUBBLICITARIA PROIBITA', che in poche parole si deve intendere 'Non azzardatevi ad attaccare qualcosa altrimenti...'. Chissà forse chi ci prova potrebbe essere condannato alla fucilazione,al rogo,al taglio delle mani, all'impiccagione...
Uno dei prossimi giorni mi dovrò togliere una soddisfazione: chiederò il perché ai vigili che si trovano a poca distanza e, ove occorra, lo domanderò a qualcuno dei rappresentanti del Municipio I del quale fa parte la mia residenza qui a Roma. Mi si potrà obiettare 'ma perché non ti fai i fatti tuoi tanto non devi affiggere nulla'. E io risponderò 'sono anche fatti miei perchè quei cartelloni saranno costati qualcosa e a spese di chi? Se le spese le ha pagate il Comune non sono forse soldi che noi cittadini versiamo al Comune stesso? Se quindi sono di proprietà comunale, perché non si decide di farli usare? Incasserebbe qualcosa nel concedere questi spazi pubblicitari si o no?'
Altra perla su questa nostra bella grande ma strana città che è Roma. Due traverse dopo la via dove abito passeggio quasi ogni mattina su di una strada dove, sul lato sinistro accanto al marciapiede, sono state scavate quattro o cinque perfette buche rettangolari molto profonde (una specie di 'fosse comuni') distanti circa due metri l'una dall'altra.Perfettamente circondate da transenne e reti metalliche recano ognuna una striscia gialla con la scritta 'lavori in corso'. Dato che detti lavori durano da chissà quanto e non vedo operai in giro (per la pausa pranzo mancano due ore) mi è venuta la voglia di aggiungere a quella scritta la seguente frase 'che ce so' li lavori in corso l'avevamo capito da soli ma perché nun ce scrivete quanno che finischeno'?