domenica 31 gennaio 2010

GENTILE SIGNORA

Le scrivo la presente lettera per rammentarle, chiedendole scusa se Le creo disturbo, quando Lei venne a trovarmi una prima volta oltre 57 anni fa, ricorda?
Poi, lo ammetto, queste Sue veloci e brevi visite si sono ripetute nel corso degli anni ancora altre volte, ma sono state soltanto rapidissime apparizioni risoltesi, diciamo così, nel migliore dei modi.
Comprendo benissimo che Lei ha svolto validamente la sua attività presso tantissimi altri, anche tra persone di mia intima conoscenza specie di recente e che quindi ha deciso, Lei o altri non lo so, per i troppi impegni che ha avuto e che ha in questo periodo, di lasciar passare ancora un po’ di tempo prima di venirmi a trovare nuovamente.
Benissimo, d’accordo e La ringrazio, anche se - spero che Lei ne convenga - un lasso di tempo così lungo non è che mi conforta molto nel senso che più la “cosa” va per le lunghe e più mi affligge.
Cerco di spiegarle meglio il mio pensiero.
Forse si starà già chiedendo se io non veda l’ora che Lei arrivi?
No, non è così, al contrario.
Mi rendo perfettamente conto che Lei un giorno dovrà pure venirmi a trovare ma proprio per questo Le sto scrivendo questa lettera.
Le spiego.
Quando nei Suoi ritagli di tempo libero deciderà di venirmi a trovare - come avrà già notato ripeto più volte le stesse parole - non dico che deve avvisarmi prima ma, se le decisioni in questo campo dipendono da Lei o da qualcuno dei Suoi capi, be’ La prego di fare in modo di presentarsi da me nei momenti in cui io sarò presente il meno possibile.
Voglio dire che, quando questo avverrà, fisicamente io dovrò esserci ma sarebbe meglio che la mia mente si trovi altrove, diciamo nel mondo dei sogni.
Per esempio l’orario migliore, anzi gli orari migliori, sono quelli tra le 14:00 e le 15:00 e tra le 24:00 e le 5:00 del mattino seguente.
Lei può scegliere tranquillamente uno qualsiasi tra i giorni feriali e quelli festivi, per me non fa alcuna differenza, mi troverà sempre a Sua completa disposizione pregandola però di tenere in debito conto gli orari che in precedenza ho definito come i più agevoli, almeno per me.
Mi rendo conto che questa Le può sembrare una pretesa un po’ non dico assurda ma quasi e che può creare un precedente piuttosto pericoloso sotto molti punti di vista anche per altri che sono in attesa come me, però, mi creda, questo renderà la cosa più facile sia per Lei sia per tutti quelli che dovranno riceverla.
La prego di ritenersi dispensata dal farmi avere una Sua risposta in merito a quanto da me richiesto tramite la presente.
Come vede non Le ho scritto il 2 di novembre per evitare qualsiasi fraintendimento.
Le sono profondamente grato sin da ora per tutto quello che Lei si premurerà di fare nei miei confronti.
Ritengo superfluo, come Lei può ben comprendere, sottoscrivere questa lettera.
L'educazione esige che, terminata questa missiva, io debba porgerle i miei cordiali saluti e lo faccio ben volentieri, ma nello stesso tempo La invito a passare da queste parti il più tardi possibile. Nel frattempo riponga la falce e si prenda un lunghissimo periodo di riposo, non può che farle bene.
Grazie.

giovedì 28 gennaio 2010

SERATA TEATRALE

Sempre agosto del 1979
Come mi ero ripromesso di fare quindici giorni fa, sono tornato in questa ridente cittadina monticiana dei Castelli Romani.
Questa volta per un’occasione particolare.
Di prima mattina ho letto su un quotidiano romano che qui nella serata, più precisamente alle 21, su iniziativa del Comune, sarà rappresentato un lavoro teatrale di Carlo Goldoni. Il luogo è il parco pubblico e l’ingresso è gratuito. Sono piuttosto incuriosito da questo avvenimento in considerazione del fatto che a me piace molto il teatro. Voglio anche vedere quali reazioni hanno i cittadini del luogo. Cercherò di essere uno scrupoloso ed obiettivo simil-cronista della manifestazione.
Arrivo nella cittadina alle 18.00. E’ ancora presto e quindi mi vado a sedere su una panchina del viale-passeggio-struscio. Sulla panchina accanto alla mia è seduta una donna tracagnotta, trentenne, triste, tronca, che ha il suo da fare con una vispa bimbetta di tre o quattro anni la quale non riesce a stare ferma e buona vicino alla mamma, così come di rigore. Ad un certo punto la mammina evidentemente si è stancata e non potendone più agguanta per una mano la bimbetta, l’avvicina a sé poi, indicandomi con un gesto della testa dice, con tono basso, ma non tale che io non riesca a sentire “vedi quell’uomo con la barba? Se non stai buona e ferma qui accanto a me sai che faccio? Mi hai capito!” La bambina mi guarda e…io allora mi alzo e vado via. Incredibile! Distrutto, cerco di trascinare quello che è rimasto di me in qualche altra zona sperando di non essere arrestato dalle forze dell’ordine. Episodio limite d’accordo ma certo tutt’altro che edificante. Ora io ammetto di non avere un aspetto piacevole, ma addirittura farmi passare per un bau-bau è un po’ esagerato.
Per consolarmi, prima di recarmi a “teatro”, decido di fare uno spuntino ma, invece di andare alla “fraschetta” della volta precedente, mi reco in un’autentica osteria dove oltre a mangiucchiare qualcosa, si beve del buon vino produzione propria e si gioca anche a carte. Tavoli e sedie credo del secolo passato. Mi siedo. Una deliziosa nonnina con i capelli bianchissimi si avvicina al tavolo, mi dice, non richiesta, d’essere la proprietaria, di chiamarsi Sora Annita e mi chiede che cosa desidero. Rispondo che andrebbe bene un bicchiere di vino bianco e una “panzanella”. Qui occorre fare una precisazione. Due fette di pane croccante bagnate con un po’ d’acqua guarnite con pomodoro, condite con olio, sale e pepe, queste per me rappresentano la “panzanella”. Da queste parti invece ci aggiungono due olive nere, uno spicchio d’uova sodo, un’alicetta sott’olio e una fettina di prosciutto: beh, dico, è una cena. Alla vista di tale leccornia cosa avrei dovuto fare? L’unica era darsi alla fuga. Non l’ho fatto. Eroicamente e spavaldamente ho sfidato la sorte e…mi sono leccato i baffi senza alcun ritegno.
Alle 20.00, con troppo anticipo cosa che io faccio per abitudine, mi reco nel parco pubblico dove si terrà la rappresentazione teatrale, mi siedo in prima fila e sono il primo…ed unico! Dopo una mezz’ora e alla spicciolata arrivano gli altri spettatori. Il teatro all’aperto è stato creato sfruttando un tratto di giardino in pendio. La salita è adibita a platea. I sedili sono costituiti da tavole grezze di legno inchiodate su tronchetti d’albero infilati a terra. Il fondo della discesa che forma uno spiazzo in pianura è stato attrezzato a palcoscenico mediante un’impalcatura di tubi di ferro e tavolato grezzo, alta da terra circa un metro. Sembra un vero e proprio anfiteatro dei tempi che furono. La scena, stilizzata, raffigura Venezia. Ne danno l’idea quattro spezzati in tela e legno dipinti di nero a righe gialle che rappresentano chiese e palazzi veneziani, due riproduzioni, in scala minore con ruote incorporate per essere spostate, di ponticelli veneziani ed infine un pannello, semovente, con l’intelaiatura stilizzante di una porta ed un altro simile per una finestra. Ai lati e sullo sfondo un telaio, ad altezza d’uomo, di colore celeste. Sulla sinistra la comune. Faccio appena in tempo a vedere quanto descritto che mi siede accanto un ragazzino. Biondino, magro, un volto con un’ espressione piuttosto sveglia e vivace, si agita continuamente e, senza alcuna inflessione dialettale, mi fa:
= A che ora comincia ?
= Alle 9
= Mi hanno detto alle 9 e un quarto
= Allora sarà così anche perché c’è ancora poca gente
= Come ti chiami?
= Aldo e tu?
= Giampiero
= Sei di qui?
= Sì
= Come mai sei venuto qua a teatro?
= Perché non ho mai visto gli attori in persona, solo al cinema e in televisione
= Quanti anni hai?
= Otto e mezzo
= Vai a scuola?
= Sì sono stato promosso in terza.
La conversazione non langue, anzi. M’informo sul perché è venuto solo, lui me lo spiega e poi aggiunge che gli piacerebbe, quando sarà diventato grande, di fare il teatro. Con il sopraggiungere di altri spettatori Giampiero è attirato da amici e compagni di scuola fino a che, ad un certo punto, lo perdo di vista.
Prendono parte allo spettacolo due donne ed un uomo ed il lavoro che rappresentano ballando, cantando e recitando, è composto di tre atti unici scritti dal Goldoni intorno al 1700. Il tutto in rime con pochi tratti di dialetto veneto ed il resto in lingua. Il pubblico, diventato via via sempre più numeroso ha mostrato di apprezzare e gradire la fatica degli interpreti. Notevole il livello di preparazione e l’affiatamento degli attori, tra l’altro ottimamente intonati. Ho avuto naturalmente qualche attimo di nostalgia per i miei trascorsi teatrali – amatoriali – ed ho faticato non poco per allontanarla. Al termine dello spettacolo ho indugiato di proposito tra il pubblico per captarne impressioni ed opinioni che si sono rivelate pienamente aderenti alle mie. Nel complesso positive. Mi sarebbe piaciuto conoscere anche il parere di quel ragazzino.
Chissà, dopo trenta anni avrà conservato l’amore per il teatro?

lunedì 25 gennaio 2010

UN SABATO D'AGOSTO DEL 1979

Mi trovo in una cittadina dei Castelli Romani, a poco più di 30 Km. da Roma e i cui abitanti - a volte la combinazione – si chiamano monticiani.
Sono arrivato di primo mattino per sbrigare una certa pratica per conto del titolare dello studio in cui lavoro e, dopo circa un’ora, ho già terminato.
Credevo mi occorresse più tempo, tanto che ho avvertito tutti che mi sarei dovuto assentare fino a sera inoltrata ed invece eccomi qui libero e giocondo.
Mi siedo su una panchina del viale-passeggio di questa piacevole cittadina e mi accingo a leggere un quotidiano. Dopo un po’ lo chiudo e comincio a guardarmi intorno: paesani – o cittadini? -, villeggianti a corto, medio e lungo termine, familiari dei suddetti, passanti. Un bellissimo campionario. Mi giungono alle orecchie conversazioni più o meno animate che volutamente cerco di non ascoltare, non perché non m’interessano, ma perché non m’interessino.
Vedo un gran movimento: è la giornata della fiera-mercato settimanale .
Fisso nella memoria tre scene sulle quali mi soffermo di più:
1^ - Un gruppetto di tre giovani, due uomini e una donna, età tra i 25 e i 30 anni, barbe, capelloni, piedi scalzi e abbigliamento quasi hippy si avvicendano ad un banco per vendere, dopo averlo reclamizzato con una ininterrotta litania, un apparecchio (?) di plastica per affettare, macinare, tritare ogni specie di ortaggio. In sintesi una grattugia piana, da tenere in mano o poggiare su di un recipiente. Nulla di meccanico o elettrico o idraulico. A me personalmente ha fatto l’effetto di un ritorno indietro nel tempo di almeno quaranta anni. In ogni caso ha riscosso notevole successo. Spiegare il perché mi riesce difficile.
2^ - A distanza di un paio di metri l’uno dagli altri quattro uomini, russi – ritengo profughi ebrei –
i quali, dopo che ciascuno di loro è riuscito ad accaparrarsi una piccolissima fetta di marciapiede, contrattano naturalmente a gesti, per cercare di vendere agli incuriositi e numerosi passanti, ogni sorta di strani oggetti: ninnoli, soprammobili, orologi tascabili come andavano di moda un tempo, foulard, cartoline illustrate di tutti i formati raffiguranti Mosca o Leningrado, quadretti, distintivi e orsacchiotti mascotte delle Olimpiadi di Mosca 1980, persino un grosso apparecchio per diapositive ed ancora altri oggetti, il tutto con evidenti scritte in caratteri cirillici e palesemente di foggia russa.
Anche qui ottimi affari e reciproca soddisfazione per entrambe le parti.
3^ - Due “vitelloni” locali all’abbordaggio di una ragazza.
Descrizione approssimativa di questa ultima: m.1,50 di altezza, 40 Kg. di peso, 20 anni di età.. Bruna di capelli, carnagione scura, lineamenti piuttosto marcati. Zoccoli altissimi, blue-yeans e maglietta-corpetto rosa tutta ricamata, in filo di cotone, completamente traforata e quindi trasparente: sotto la maglietta niente assoluto all’infuori del mezzo busto composto d’epidermide, carne e ossa. Quale ghiotto boccone per i vitelloni di cui sopra e forse anche per…
In pochi minuti missione compiuta. Passo vicino la panchina occupata dal terzetto almeno un paio di volte e tutto procede che è un vero piacere. Pissi pissi, bao bao a tutto spiano. Quindi missione riuscita.
Passeggio qua e là tra i vari banchi che vendono di tutto: attrezzi d’ogni genere e per vari usi, biancheria, mobilia, generi alimentari e tanto altro ancora. Non mi accorgo però che nel frattempo le ore sono volate. Sono quasi le 15.00 p.m. e ho saltato il pranzo senza che me ne sia accorto. Cambio programma, cenerò questa sera, per ora mangio un panino.
Fatto. E adesso? Prendo un’insolita decisione.
Mi dirigo al vicino ed unico cinema dove, con modica spesa, trascorro due ore assistendo alla prima visione – almeno per me – di un pessimo, orripilante film, nel quale i personaggi interpretati da attori italiani e stranieri o presunti tali, partecipano ad una sorta di gara per aggiudicarsi il più grosso dei classici pesci in faccia. Mi riferisco ovviamente a ciò che dicono e fanno nel film – e come lo dicono e come lo fanno – la cui trama, basata sui soliti inflazionatissimi gangsters italo-siculo-americani, presenta a mio giudizio l’originalità, se così si può dire, di essere ambientato esclusivamente a Roma.
Sinceramente ne esco un po’ nauseato. Probabilmente non m’intendo né di film né di attori.
L’ora sarebbe quella della cena. Tra l’interno e l’esterno di una classica “fraschetta” dei Castelli Romani ho scovato, libero, soltanto un unico tavolino traballante nel bel mezzo del più numeroso e rumorosissimo agglomerato di tavoli, sedie e convivianti. Mi siedo e riesco ad ottenere dopo mezz’ora dall’aver ordinato, due fette croccanti di pane cotto a legna condite con pomodoro fresco e un goccio d’olio, una trasparente fetta di formaggio non ben definito, un bicchiere di vino bianco. E per tornare al punto dell’ora della cena secondo me c’è gente che deve averla iniziata nel primo pomeriggio; altri che sono al dessert, in pratica fagioli con le cotiche; altri ancora al bis o al tris della bruschetta; alcuni che nel chiedere il conto al cameriere lo pregano di portarlo accompagnato da: tre porzioni di maiale in salsa verde, due di prosciutto e melone, un litro di vino e mezz’acqua minerale. Insomma dalle 20.00, ora in cui sono riuscito a sedermi, fino alle 24.00, ora in cui sono riuscito ad alzarmi, ho assistito ad uno dei più belli spettacoli del mondo. Posso pure sbagliarmi ma ho avuto varie volte l’impressione che qualche gruppetto di persone ha pagato, si è allontanato e, dopo un giretto nei pressi, appena libero un tavolo, ha ricominciato daccapo.
La giornata mi è piaciuta perciò credo che presto ritornerò in questa ridente cittadina.

venerdì 22 gennaio 2010

HO IL SOSPETTO...

...da un po' di tempo a questa parte, più precisamente da quando la temperatura è scesa, che in casa mia succede qualcosa di strano. Non ho volutamente detto da quando è iniziato l'inverno in quanto le stagioni sembrano non esistere più. Stavo dicendo che quando fa freddo la casa, riscaldamento o no, è naturalmente più calda rispetto la temperatura esterna specialmente la notte tanto che al mattino mi è capitato spesso nell'aprire gli scuri applicati alle finestre di notare i vetri delle finestre medesime completamente appannati. Nulla di straordinario certamente considerato il divario tra il calore interno e la temperatura esterna. Fin qui appunto tutto regolare tanto che facendo quest'operazione per tutta casa e ogni mattina, tutte le finestre mostrano lo stesso aspetto: vetri regolarmente e totalmente appannati. TUTTE TRANNE UNA!
Cerco di spiegarmi. Appena si entra in casa mia c'è un piccolo ingresso che prende luce da una finestra che dà sul cortile interno dell'intero condominio. Certamente nulla a che vedere con la trama del film “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock perché la faccenda mostra qualcosa di molto diverso.
La finestra di cui sto parlando dista da terra circa 85 cm, è larga 65 cm ed è alta 184 cm. Ha due ante e sei vetri rettangolari dei quali due in basso e due in alto di cm 40x20 ciascuno mentre i due centrali sono entrambi di cm 100x20.
Antistante la finestra sporge un piccolo davanzale in pietra di 25 cm.
Fu nell'agosto del 1987 che proprio da questa finestra - da me lasciata incautamente aperta – si introdussero, non invitati ed in nostra assenza, due veri acrobati: il “prelevatore-ladro ed il suo degno compare facente funzione di “palo”, di cui ho fatto cenno in un mio precedente scritto.
Torno a questa finestra per dire che non avendo né balconi né terrazze le uniche due piante che ho sono posizionate su quel piccolo davanzale in due piccoli vasi . Orbene la piantina a sinistra di cui non conosco le generalità rimane rinsecchita per quasi tutto l'anno salvo qualche fogliolina verde.
Quella a destra invece fiorisce soltanto d'inverno. Sono ciclamini, mi ha assicurato la fioraia vicino casa quando glieli ho descritti, otto o nove ciclamini dai colori sgargianti che è un vero piacere vederli.
Quando la mattina apro gli scuri di questa finestra – non i vetri perché fa freddo – mi accorgo con stupore che mentre cinque di quei sei vetri sono completamente appannati tanto da non poter vedere nulla al di là di loro, il sesto vetro – quello in basso a destra – è completamente chiaro, limpido e trasparente con la pianta di ciclamini che si mostra in tutto il suo splendore. Gli stessi ciclamini si protendono verso il vetro come se volessero entrare in casa per farsi ammirare ancora di più. Io gli chiedo se devono raccontarmi chissà che, se hanno freddo, se vogliono qualcosa ad esempio acqua o altro, ma non rispondono.
Ho il sospetto però che un giorno lo faranno.

giovedì 14 gennaio 2010

DEL SALUTO E DEL SUO SEGUITO

Buongiorno, buonasera, buonanotte che sono usati normalmente come saluti augurali o di commiato a volte possono anche non essere tali. Oppure essere male interpretati sia da chi li rivolge sia da chi li riceve. Allora come ci si deve comportare?…non lo so…posso soltanto cercare di comprenderne gli intendimenti. Io personalmente saluto, per esempio, amici, conoscenti, negozianti, commessi, commesse e cassiere dei supermercati e dei negozi dove abitualmente mi reco, gli operatori ecologici - ex netturbini già scopini - che cercano di mantenere pulite le strade che sono percorse, gli abitanti del fabbricato in cui risiedo anche se li vedo raramente. A questo proposito mi rammento di un fatto accadutomi circa 23 anni or sono: rientravo a casa con mia moglie verso le 19.00, quando appena entrato nell’androne vedo scendere dalle scale un tale, che non avevo mai notato prima d’allora, dall’aspetto giovanile, ben vestito, sorridente e che saluto con un cortese e sonoro “buonasera!”. Lui, sempre sorridendo, mi ringrazia, saluta e se ne va. Apro la porta di casa e che vedo? Sparsi nel corridoio, già preparati per “essere prelevati e volar via”: il mio stereo completo di giradischi, radio, registratore e due casse acustiche; una pianola elettrica, una macchina per scrivere elettrica ed ancora una piccola radio-transistor. Per non parlare poi della casa sottosopra, degli abiti, della biancheria gettati in terra e calpestati e del furto di tanti piccoli oggetti d’oro, ricordi di mia moglie, oltre ad una bottiglia dal collo largo colma fino all’orlo di monete da 500 lire che a lei faceva piacere mettere da parte. Passato lo shock mi è tornato in mente il tale che avevo visto scendere le scale poco prima il quale, sotto la giacca, aveva un rigonfiamento che copriva con le sue mani. Probabilmente la bottiglia delle 500 lire era là e nelle sue capaci tasche c’era tutto quello che aveva potuto sottrarre. Naturalmente ho sperato che non se la fosse presa troppo per essere stato interrotto da noi durante la sua “operazione di prelevamento” e che comunque abbia gradito il mio cordiale saluto.
Gli incontri quasi quotidiani sono quelli che faccio casualmente da circa 40 anni nelle strade intorno alla zona dove risiedo con la mia famiglia. Il fabbricato che comprende la mia abitazione, suddiviso in quattro scale, è composto di circa 92 unità immobiliari - abitazioni, magazzini, negozi ed uffici - ed i proprietari si riuniscono ogni due o tre mesi nelle rituali assemblee condominiali alle quali partecipano però soltanto quella minima parte necessaria per arrivare alla maggioranza dei millesimi di proprietà. Io, pur non essendo un condomino ho partecipato, quale delegato del proprietario dell’abitazione che occupo, a numerose di queste assemblee in occasione delle quali ho avuto la possibilità di conoscere alcuni di questi condomini. Tra loro un tale alto, baffi e capelli grigi, magro, occhialuto, taciturno, di cui non ricordo né il nome né il cognome, che partecipa sempre alle assemblee e che incontro spesso per strada. C’incrociamo, mi guarda, lo saluto e lui non risponde neppure con un cenno. Sarà muto? Sordo? No, perché una mattina l’ho visto che chiacchierava animatamente con un mio amico che conosco da oltre quindici anni, della stessa mia età e delle mie stesse idee politiche. Sono passato proprio vicino a loro, ho salutato: il mio amico ha risposto molto cordialmente, lui zitto, un pesce! Mi sono detto: vuoi vedere che lui, benché non so come ne sia a conoscenza, ha idee politiche completamente opposte alle mie? Neanche per sogno perché un giorno ha acquistato dallo stesso mio edicolante un quotidiano che va ancora più in là di come la penso io. Da me interpellato il medesimo edicolante mi ha informato che il “silente” acquista da anni sempre quello stesso giornale. E allora? Mah! Gli devo stare molto sulle …cosiddette e non ne conosco il motivo.
A volte percorro una strada dove affacciano numerosi fabbricati: uno solo di questi ha sempre il portone aperto davanti al quale sostano due settantenni, o giù di lì, i quali sono frequentemente immersi in animate ma pacifiche conversazioni. Quando sto per superarli uno dei due, il meno alto, il più rotondo, capello e pizzetto brizzolati, con gli occhi che brillano e con un ampio sorriso mi saluta cordialmente. Io nell’allontanarmi ricambio il saluto e mi chiedo: ma chi è? Non riesco a ricordarmi chi è. Eppure ogni volta che c’incontriamo, accade spesso perché anche lui dovrebbe abitare in zona, mi saluta ed io faccio altrettanto senza, però, riuscire a capire di chi si tratta. Perfino due giorni addietro nel salutarmi al “buongiorno” ha aggiunto “caro dottore”! Chissà per chi mi scambia. Io, posso quasi giurarlo, non lo conosco. Sarà qualcuno che si vuole divertire?
Sempre durante il percorso di quelle strade vicino la mia abitazione incontro un altro amico -credo abbia più d’ottanta anni - il quale, unitamente alla moglie, viene spesso da queste parti per fare la spesa. Non appena mi vede, anche se è lontano - almeno la vista deve averla ottima, mentre per il resto, be’, dovremmo fare un controllo per sapere chi è primo in classifica - si ferma, blocca la moglie accanto a sé, con fare autoritario mi fa cenno con la mano di avvicinarmi e appena mi trovo a portata d’orecchie mi “ammolla” un monologo impetuoso cianciando tra i più svariati argomenti: dove ha lavorato, le opere (?) che ha compiuto, la politica - il suo punto di vista opposto al mio - le sue altissime (?) e molteplici (?) conoscenze in ogni campo. Insomma un pozzo senza fine di scienza e conoscenza. Ho provato sempre ad interromperlo, ma non ci sono mai riuscito: le mie opinioni, il mio parere non gli interessano minimamente. Anche la moglie che evidentemente lo conosce bene, cerca di fermarlo ma lui, dopo averle lanciato un’occhiata “fulminante”, la “stoppa” perentoriamente e prosegue nel suo soliloquio. Ad un certo punto, evidentemente per mancanza di fiato, si ferma e, con un filo di voce mi dice che: “ proseguiremo in un successivo incontro il nostro dialogo”. Ma se non mi ha mai fatto aprire bocca, io vorrei sapere: quando abbiamo “dialogato”? Adesso però, quando esco da casa e quindi dal portone, mi guardo bene intorno, mi munisco di un binocolo per poterlo scorgere anche a chilometri di distanza e, appena ne intravedo la sagoma, mi dirigo nella direzione opposta.
Ecco quindi i motivi per cui: A) al “silente” non gli rivolgo il saluto; B) al “buontempone” glielo ricambio e al “logorroico”, poiché lo evito, glielo tolgo.
*******
Da circa due mesi non incontro più né il “silente”, né il “buontempone”, né il “logorroico” e neppure il “prelevatore”. Questo ultimo spero sinceramente che si stia godendo le sue “meritate vacanze” in quell’ameno luogo di Roma denominato Rebibbia. Andrebbe bene anche Regina Coeli. Per gli altri tre invece credo sia per una questione d’orario. Voglio dire, mentre in precedenza circolavo nelle vicinanze della mia abitazione dalle 10.00 a.m. fino verso le 11.00, adesso ho anticipato “l’ora d’aria” -a proposito di luoghi ameni- alle 9.30 sempre a.m. Mi auguro di cuore che non sia accaduto qualcosa di spiacevole perché, lo ammetto, sono preoccupato. Chissà se anche loro si staranno chiedendo come mai non mi hanno più incontrato. Staranno in pensiero? Non mi farebbe piacere se solo pensassero che io…….(è d’uopo il gesto scaramantico).
In tema di saluti ed incontri due brevi episodi.
Una mattina ho incrociato durante il mio solito tragitto una ragazza. Circa venti anni, bellina, alta quanto me (?), tutta affannata, la quale appena mi ha visto mi ha fermato dicendomi
=Scusi è più di mezz’ora che sto girando in cerca dell’ufficio postale e non mi riesce a trovarlo. Mi dice per favore da quale parte devo andare? Mi avevano assicurato che era qui vicino
Io sorrido beffardamente e le faccio, forse con un tono troppo perentorio
=Volti le spalle
Lei, quasi spaventata
=Ma perché?
=Così vedrà l’isola del tesoro
=Senta io non ho mica voglia di scherzare
=Ma io non scherzo. Basta che lei giri lo sguardo e potrà leggere un bellissimo grosso cartello
La bellina si volta e rimane di stucco. Proprio di fronte a lei c’è il suo desiderato ufficio postale
=Porca…mi scusi. Ci sono passata davanti perlomeno tre volte. Ma come ho fatto a non vedere quel cartello?
=Questo non lo so, però le assicuro che ci sta da oltre 30 anni. Io abito qui nei pressi e ci vengo molto spesso, sarà stata un po’ distratta
=Lei è troppo gentile. Altro che un po’ distratta, ho l’impressione che mi sto rimbambendo
=Considerata la nostra rispettiva età ritengo che questa sensazione appartenga più a me che a lei. Ora la saluto e le auguro buona fortuna
=Peccato che vado di fretta, devo andare in ufficio, mi avrebbe fatto piacere prendere un caffé insieme
=La ringrazio, basta il saluto. Arrivederci e…occhio ai cartelli
=Non me ne lascerò scappare nemmeno uno da oggi in poi. Grazie e…ciao
=Ciao.
Trascorsi pochi giorni mi ferma un uomo di una certa età abbigliato con la caratteristica tenuta da turista. Infatti, è straniero e qui arrivano i dolori. Riesco a capire che è un olandese, non parla neppure mezza parola d’italiano e mi mostra in continuazione una carta stradale indicando con le dita il “disegnino” del Colosseo. Fin qui ci siamo: vorrebbe visitarlo. Il problema è come farcelo arrivare perché da dove ci troviamo al luogo dove lui vuole arrivare ci sarebbero almeno due o tre chilometri di distanza. Provo a chiedergli se parla inglese - come se io lo parlassi - e meno male che scuote la testa, sorride e con un movimento delle spalle mi fa capire che gli dispiace, ma non sa neppure che “roba” sia. Ho evitato una brutta figura. M’infondo coraggio e, a gesti come si fa per le ombre cinesi, cerco di spiegargli la strada da percorrere indicandogliela sulla sua carta stradale facendo inoltre volteggiare le mie mani a destra e a manca. Sembro un vigile urbano sulla pedana agli incroci intento a dirigere il traffico. L’”orange” - mi sembra che gli olandesi, almeno nel gergo calcistico, sono così soprannominati - mi fa ripetuti cenni di aver capito: beato lui. Io penso proprio che, almeno per 24 ore, non riuscirà a visitarlo il Colosseo. Mi ringrazia ripetutamente e, a mo’ di saluto, da quel colosso che è - ecco perché vorrebbe vedere il “monumentone” - mi stringe la mano così calorosamente che ne ho sentito il “ricordo” per tre giorni.

P.S. Pasquale si è rotto. Tornerà il prima possibile, ma deve essere riparato o sostituito!!!

lunedì 11 gennaio 2010

SOFFRO D'INSONNIA

La questione risale a prima che venissi al mondo. Tiravo calci e creavo problemi. Così mia madre mi raccontava, dopo la maggiore età naturalmente perché ai miei tempi si nasceva soltanto sotto un cavolo e si era trasportati nelle braccia della mamma con l’ausilio del becco della cicogna. Qualsiasi altro modo di nascere era vietato. Quei tempi sono cambiati ed oggi si nasce mediante altro meccanismo. Progressi della tecnologia.
Sin da piccolo, appunto, non avevo nessuna voglia di dormire. Camomille, ciucciotti, dondolii, ninne nanne non mi spostavano di un millimetro dalla decisione che avevo preso: non volevo dormire. D’altra parte non facendo nulla in tutte le ventiquattro ore della giornata che bisogno avevo di dormire e riposare? Che non riposava mia madre era una cosa alla quale io non avevo mai fatto mente locale.
Molte mamme, compresa la mia, ricordo che dicevano spesso “questo figlio benedetto ha scambiato il giorno per la notte”. A parte il fatto che non dormivo neppure durante il giorno, questa “benedizione” mi deve aver accompagnato per moltissimo tempo. Attualmente, ma posso pure sbagliarmi, sembra che i neonati prima di nascere abbiano regolato bene i loro orologi interni. Una fortuna per entrambi i loro genitori.
Sono passati giorni, mesi, anni, anzi decine di anni e il mio problema anziché risolversi si è aggravato.
Le preoccupazioni per la famiglia, il lavoro e la casa hanno contribuito notevolmente a far sì che io riesco a trascorrere delle magnifiche notti in bianco malgrado i numerosi espedienti provati.
Molti anni fa chiesi al nostro medico di famiglia qualcosa per aiutarmi a dormire ed egli mi prescrisse un liquido da prendere a gocce: “Mi raccomando, non più di cinque prima di coricarsi” così disse. La sera feci esattamente quello che mi aveva detto, ma di dormire neppure a parlarne. Era come se avessi bevuto due caffè. Non mi persi d’animo. La sera successiva aumentai la dose: dieci gocce. Le palpebre si abbassarono leggermente sugli occhi, ma niente di più. Evidentemente raddoppiando le gocce raddoppiavano anche i caffè. Il conto tornava: 10 gocce = 4 caffè.
Lasciai trascorrere un altro po’ di tempo quindi tornai dal medico e gli dissi come stavano le cose. Lui non si scompose, io nemmeno, prese ricettario e penna e mi prescrisse delle compresse Stessa procedura della prima volta e, prima di coricarmi, una compressa. Neppure un quarto d’ora e il sonno prepotentemente s’impadronì di me. Una martellata avrebbe fatto meno effetto.
Tutto bene fino ad un paio di mesi fa quando mi è stato consigliato di dimezzare la dose, in pratica assumerne mezza compressa la sera onde evitare l’aumento del rimbambimento già in atto.
E così è stato finché la settimana scorsa, senza consultare nessuno, ho pensato di attuare un piccolo esperimento.
La sera che prendo mezza compressa dormo al massimo un paio d’ore. Ergo, il giorno dopo mi sento tutto insonnolito e allora tanto vale non assumere alcunché. Difatti dormo dalle tre alle quattro ore in più. Già va meglio.
In conclusione adesso il sistema è: una sera sì, una sera no, una sera sì, una sera no, una sera sì, una sera no…s’è incantato il disco e io mi sto addormentando. Buona notte e sogni d’oro.

venerdì 8 gennaio 2010

LETTERA DI RISPOSTA AD UN'AMICA

Mia cara,
inizio subito con l’assicurarti che sei fortunata e, aggiungo, lo è chi ti è vicino.
Magari borbotti fra te e ti domandi: ma dov’è questa fortuna che io non vedo ed altri sì?
Basta leggere attentamente, così come ho fatto io, la ricostruzione dettagliata della tua esistenza in questi anni.
Ho quasi la certezza matematica che tu abbia scritto la tua lettera appena pervenutami così, di getto, senza fermarti un attimo e ti dico il perché.
Sentivi dentro di te l’impeto di urlare al mondo intero: io sono questa persona.
Ti rendi conto quale coraggio, forza d’animo, spirito libero ci vuole per dialogare così con un estraneo, anche se mi consideri tuo amico e di questo ti ringrazio?
Un mare, una montagna, una prateria e non dire che esagero.
Tu mi hai in sostanza dimostrato come si vive e si deve vivere una vita.
Non dico “si dovrebbe” bada bene, dico “si deve”!
Per questo adesso diventerò monotono usando sempre le stesse due parole alla fine d’ogni frase, ma non sottovalutarle.
Tutte le esperienze che hai vissuto, familiari, fanciullesche e adolescenziali, sono vita!
Quelle amorose, in parte intense, riuscite o dissoltesi in breve tempo, sono vita!
Quando hai creduto che valesse la pena coltivarle e invece ne sei rimasta delusa, sono vita!
Le vicende burrascose tra i tuoi genitori e tra loro e te, sono vita!
I bisticci, i litigi, chiamali come vuoi, con altri membri della tua famiglia, sono vita!
Le relazioni, lunghe o brevi, avute con tuoi coetanei o quasi, sono vita!
I periodi di depressione, di pianto, di urla, di parlare da sola, di non voler uscire da casa, sono vita!
Le tue ricerche dell’uomo che vorresti accanto a te e che adesso hai trovato, sono vita!
E poi, ultimando la tua storia così intensa aggiungi di aver “saltato tante cose, tante esperienze però in sostanza è quanto basta per far capire che persona puoi essere oggi”.
Ma ti rendi conto di aver descritto l’essenza vera della vita e tu ne sei la dimostrazione?
La vita è questa, per chiunque di noi, ed è così che si vive, tra dolori, gioie, amarezze, delusioni, periodi belli, brutti o così così, felicità o infelicità, lacrime, risate, affetti, amicizie, amori e tanto altro ancora.
Tutto questo lo vivi…VIVENDO!
Dove, come, quando e con chi ti pare, altrimenti non è vita.
Raccontandomi di te, nella bella e schietta maniera in cui l’hai fatto, mi hai onorato ancora una volta della tua amicizia e ti ringrazio per il bellissimo dono.
Io pure ti ho detto molte cose, anche delicate, della mia vita, così come hai fatto tu, ma esiste una grossa differenza.
Tu sei una giovane bella donna e hai parlato-scritto come se l’avessi fatto ad un confessore o ad uno psicologo, io invece sono un anziano della quarta età ed anche un po’ pedante.
Sono certo che tu sappia benissimo quale differenza esiste tra una “donna vissuta” e una donna che ha vissuto appieno la sua fin qui giovane vita.
Tu sei questa seconda persona.
Mi auguro che tu non pensi di aver ascoltato-letto un predicozzo, sia pur breve.
Ma un consiglio mi permetto di dartelo.
Non ascoltare chi ti dice: “ma dài forza, non è poi così brutta la faccenda, devi essere più ottimista, vedrai che dopo passerà, verrà la volta buona che finalmente…; se fai così andrà meglio; sarebbe più opportuno che tu”…BALLE!
Devi fregartene e continuare ad essere quella che sei stata ieri, quella che sei oggi e che spero sarai domani: tu stessa, così come sei.

martedì 5 gennaio 2010

QUEL VENERDI' DI LUGLIO, DI PRIMO MATTINO, MENTRE ANDAVO AL MERCATO PER COMPRARE OTTO ETTI DI ALICI DA FARE GRATINATE - Seconda edizione

Premessa
Mi piacerebbe parlare a quattr’occhi con chi inventa proverbi quali, ad esempio: “il buon dì si vede dal mattino” ed anche “le ore del mattino hanno l’oro in bocca”.
Antefatto
Il giorno prima, giovedì, avevo letto sul PC una ricetta di cucina sulle alici gratinate e, parlandone in casa, avevamo deciso che l’indomani l’avremmo sperimentata giacchè trattavasi di faccenda semplice e sbrigativa.
Avevamo tutto l’ingrediente salvo appunto le alici delle quali io ero e sono rimasto sempre molto ghiotto.
Il fatto vero e proprio
Esco da casa bello fresco e pimpante - quanto può esserlo uno che è vicino agli 80, che spera di arrivarci e magari di superarli - giro l’angolo della via che mi avvicina al mercato, quando noto un gran trambusto dettato dalla presenza di numerosi autocarri bianchi, un gruppo piuttosto consistente di persone tutte molto affaccendate intorno sia agli autocarri sia alle attrezzature necessarie per riprese cinematografiche, questo è ciò che ne deduco io. Mi domando come mai lavorano così di buon mattino ma, evidentemente, avranno dei buoni motivi. Non mi fermo a guardare così come invece si attardano a fare alcuni curiosi, quando, fatti alcuni passi, vengo fermato da una giovane signora la quale mi fa
=Scusi può attendere qui un attimino?…
A me già sentire la parola “attimino” mi fa rabbrividire, ma decido comunque di accontentare la giovane signora che in quel momento sta parlottando con un tale seduto in una poltroncina pieghevole, entrambi con i loro occhi rivolti verso la mia direzione. Mi giro un paio di volte per capire se i loro sguardi vanno verso qualcun altro ma né addietro, né avanti, né accanto a me esistono altri esseri viventi - sia umani che non. Pochi secondi appena e la giovin signora ritorna sui suoi passi e mi chiede
=Lei ha un po’ di tempo a disposizione?
=Bé veramente stavo andando a comprare delle alici per poi portarle a casa e…
=Sa perché glielo chiedo?
=No ma se indovino c’è un premio?
=Le piace scherzare vero?
=Ogni tanto specialmente alla presenza di belle signore…
=Grazie. Vede io sono l’assistente del regista…
=State girando un film?
=Veramente è una soap, sa cos’è?…>
=No sto parlando delle soap-opera a puntate, quelle che trasmettono le TV …
=Quale TV, la RAI?
=No, la stiamo girando per quel grosso gruppo di tv private che si chiama…
=Ho capito ma non le vedo
=Ha delle remore al riguardo?
=Remore no ho dei reumatismi vanno bene? Chissà forse sono parenti
=Sa che lei è un bel tipo?
=Sa che direi di non essere proprio un bel niente? Anzi un po’ sveglio sì
=Mi ascolti, purtroppo qui si va un po’ di fretta altrimenti mi farebbe piacere dialogare ancora con lei ma veda io l’ho trattenuta qui perché - ne ho avuto conferma dal regista - lei ha una figura che incarna perfettamente uno dei personaggi della soap che stiamo girando e…
=E allora?
=Allora le dispiace se le faccio alcune domande?
=Direi di no sperando però di fare in fretta altrimenti le mie alici non m’aspettano e se ne tornano in mare
=Lei è partita IVA?
=No io sono partita MINA, mi piace di più come canta
=Intendevo dire se è titolare di una partita IVA
=Sì avevo capito, sono un vecchio pensionato a riposo e non lavoro ma so rendermi utile specialmente quando devo andare a comprare le alici, ma per il momento mi pare che non se ne fa niente
=Non c’è problema, le chiedevo questo perché avremmo bisogno di lei per farle interpretare una piccola particina in questo lavoro che stiamo girando, naturalmente con un compenso non vistoso ma soddisfacente, basterà che lei, al termine della sua prestazione, firmi una ricevuta e…
=Prima di firmare sarebbe opportuno che io riscuota non crede?
=Senza dubbio, ci mancherebbe altro
=L’ho voluto precisare perché una sessantina di anni fa mi è capitata una cosa del genere, in teatro però e, al termine della tournee, l’impresario della compagnia teatrale si “dette alla fuga” lasciandomi con un pugno di mosche in mano
=Ah! meglio ancora! Quindi lei se ne intende di spettacolo. Bene, bene…
=Mica tanto. Di spettacolo no ma di come vanno certe faccende nella vita sì
=Stia tranquillo. Noi adesso le facciamo indossare un costume adatto, la trucchiamo giusto per esigenze della ripresa perché per il resto lei ha le physique du ròle
=Veramente io ho soltanto molta fretta per via delle alici…
=E’ tutto a posto, giriamo la scena alla quale deve partecipare e poi potrà andare libero dove crede, d’accordo?
=Va bene. Lei che ne dice? E’ meglio che telefoni a casa per avvisare che le alici tarderanno un po’
=Certo, certo. Venga con me che le consegno un telefonino e le presento anche il regista. Dopo che avrà telefonato la farò parlare anche con i due famosi protagonisti principali li vede? Li conosce eh?
=Non ho avuto il piacere
=Ma come? Stanno sempre in TV, hanno preso parte a centinaia di puntate di varie soap…
=E dalle! Le ho detto prima che non ho mai visto, non vedo e non vedrò mai quel genere di…
=Mi dispiace, lei è uno dei pochi…
=…fortunati, sì è il termine esatto
=Che burlone. Venga appresso a me, ecco, questo è il telefonino e questo è il copione. Quando legge il nome GUGLIELMO, che sarebbe lei…
=Non possiamo usare il mio di nome?
=Lei come si chiama?
=PASQUALE
=No, non va bene con l’ambientazione della soap, ma possiamo procedere anche senza il copione. Quando sarà sul set, inquadrato dalla camera, lei potrà parlare al cenno del regista, è tutto molto semplice. Adesso vada, si cambi, si faccia truccare e poi torni da me. Ci vediamo
Dopo oltre un’ora cominciano a girare una scena dove compare la coppia dei due famosi protagonisti principali: lei una bella stangona tipo pivot nella pallacanestro, con tutti gli attributi che le competono - veri o rifatti non compete a me l’accertamento - lui un fustone biondo che per quanto mi pare di capire ha altri interessi…Affari suoi, ognuno prende la via che più desidera. Solo io non riesco ancora a prendere la via del mercato per comprare le alici. La faccenda però si fa sempre più complicata perché le ore passano, il regista si sbraccia, sbraita, strepita, urla tante di quelle male parole verso i due “famosi protagonisti principali”, così assortite e pittoresche che io non ho mai sentito, eppure ne conosco…No, non sono quelle tradizionali. Deve averle inventate lui per l’occasione. Sono quasi le tredici quando passa nei pressi una mia coetanea che vedendomi conciato in modo un po’ particolare - vecchio costume inizio ‘800 - per di più truccato, mi chiede che cosa sto facendo. L’incontro spesso nei negozi da me frequentati quasi quotidianamente e quindi le rispondo scherzando che sto “dandomi al cinema, al teatro e alla TV” scegliere! Le chiedo se vuole un autografo, lei sorridendo mi chiede se sono impazzito! Allora ne approfitto e le dico se va al mercato e se mi può comprare otto etti di alici che le voglio fare gratinate. Mi dice di sì e si avvia. Dopo tre quarti d’ora ritorna e m’informa, con mio sommo gradimento, che pur avendo chiesto a circa una ventina di banchi del pesce, di alici neppure l’odore. Alle dieci erano già finite. Se volevo potevo acquistare qualcosa scegliendo nella famiglia dei cetacei: balena, capidoglio, pesce martello, squalo ecc. Ma solo fino alle quindici perché il mercato a quell’ora chiudeva i battenti. Non l’ho neppure degnata di una risposta. L’ho ringraziata, l’ho salutata e sono tornato nei pressi del caos. Cerco inutilmente di farmi notare dalla “giovin signora assistente del regista” facendo gesti disperati ma è tutto inutile. Verso le 16,30 - otto ore dal mio passaggio mattutino, forse sarebbe stato meglio starsene in casa - furtivamente e di corsa si avvicina l’assistente e mi sussurra nelle orecchie che la scena nella quale i due “famosi ecc.ecc.” stavano esibendosi - da oltre sette ore e circa 48 ciak - era “nel momento culminante”…sì, aggiunsi, ”del finale travolgente si fumarono zazà”…ma io sto ancora quà… e che cavolo! Finalmente alle cinque “de la tarda” tocca a me! Il regista, senza più un filo di voce, riesce a farmi capire che devo entrare, fare un inchino verso i due “famosi ecc.ecc.” e dire con voce altisonante: “IL PRANZO E’ SERVITO” Eseguo, per mia e sua fortuna, una sola volta - non credo perché l’abbia detto molto bene piuttosto lui non ne poteva più e altrettanto dicasi di me. Mi ha fatto cenno di andarmene ma prima di togliermi il costume di scena ho cercato l’assistente, l’ho trovata, mi ha dato il “conquibus” che mi spettava, ci siamo scambiati i saluti - al regista soltanto facendo ciao, ciao con la manina - e me ne sono tornato a casa senza dire “arrivederci”. Appena rientrato i miei mi hanno chiesto com’era andata la pesca di alici a Fiumicino (da Roma Km.30).
FU COSI’ CHE QUEL GIORNO NON MANGIAI ALICI GRATINATE

venerdì 1 gennaio 2010

IO E IL MARE

Ricordi fuori stagione
A diciotto anni circa, come tanti, facevo parte di una comitiva di miei coetanei tutti abitanti in Via della Polveriera-Isola del zibibbo-Roma e, almeno fino a quando qualcuno di noi non convolava a giuste (?) nozze si stava sempre insieme. Tempo e soldi permettendo, poteva capitare pure che, d’estate, la domenica si andasse tutti al mare. Tempi ancora duri quelli del 1948. Il dopoguerra non era ancora rose e fiori e allora ci si arrangiava
Dal Colosseo, vicino dove abitavamo noi, alla Piramide vicino alla stazione del treno che da Roma ci avrebbe portato sino al Lungomare di Ostia, c’era un tram che passava raramente, ma noi ce la facevamo sempre a piedi.
Io ero l’unico dell’intera combriccola che non sapeva nuotare, però al mare mi divertivo ugualmente stazionando sempre vicino la riva.
Una domenica “er secco”, più alto di me di una trentina di centimetri aggiungo io, membro a pieno titolo della comitiva, mentre era in acqua mi chiama urlando a squarciagola “a ficozzaaa” – il mio soprannome – “viè qua che se tocca”. Lì per lì non mi rammentai della differenza d’altezza tra noi due e, facendo qualche goffo tentativo di nuoto, arrivai vicino l’amico. Non l’avessi mai fatto. C’è mancato poco che affogassi. Mi sarò bevuto almeno un mezzo litro d’acqua di mare – a quei tempi pulita – con grande gioia del “secco” e degli altri “amici” che sghignazzavano a più non posso.
Qualche domenica dopo quell’episodio, io raggiunsi gli amici al mare soltanto dopo pranzo in quanto durante tutta la mattinata avevo dovuto dare una mano a mio padre nel suo consueto giro domenicale presso i suoi “clienti” ai quali vendeva, a rate, brillantina, profumi, saponette, shampoo, dentifrici, talco e altri prodotti similari. Uno dei mestieri che si era inventato per tirare avanti la baracca. Giunto al mare, al solito posto dove si andava sempre, vidi che gli amici erano intenti a colloquiare con un gruppo di ragazze. Ci siamo, mi dissi, questa volta hanno rimorchiato. Indossai il costume da bagno, mi sedetti vicino al gruppo e cominciai a sbirciare le donzelle. Mi soffermai su una di loro, come si suole dire le presi le misure, e decisi: la “pallocchetta avea da diventar” la mia lei. A pomeriggio inoltrato, quando rientrammo a casa, riunii tutti gli amici e li avvisai che dovevano togliersi dalla mente di mettere gli occhi su quella fanciulla pena la morte. Vabbè non usai proprio queste parole, ma quasi. Mi fece tirare il collo per almeno sei mesi poi disse sì e “cedette alle mie brame”. Otto anni dopo divenne e lo è attualmente, mia moglie. Dopo fidanzati però ci andavamo da soli al mare, qualche volta anche con un'altra coppia di fidanzatini come noi. Una di queste volte ci capitò una specie di naufragio. Noi quattro avevamo noleggiato un pattino, una specie di barca aperta sopra, sotto, davanti, dietro e ai lati, con sotto due galleggianti. Remando remando ci allontanammo un po’ dalla riva, ma notando che il mare si stava ingrossando ci affrettammo per tornare indietro. Ad una decina di metri il pattino si capovolse: tutti a fondo che annaspavamo come disperati. Riuscimmo ad aggrapparci al pattino rovesciato mentre ci giravamo l’uno verso l’altro per controllare se c’eravamo tutti e se stavamo bene. Nonostante la gran botta che presi sulla testa non staccavo le braccia dal galleggiante mentre la mia bella, reggendosi sulle mie spalle se la rideva a crepapelle. Cosa c’era di tanto comico non l’ho mai capito. Vennero due barche con due bagnini e ci misero in salvo.
Nel 1969 io e mia moglie, sentito il parere di nostro figlio di dieci anni, decidemmo di trascorrere un periodo di villeggiatura in un paese dopo Pescara, che affacciava quasi sull’Adriatico e aveva vicino una bella pineta. Prendemmo alloggio in un albergo situato proprio sulla spiaggia di recentissima costruzione ancora da ultimare ed il proprietario, in considerazione di questo fatto, aveva deciso di praticare prezzi molto convenienti. Un pomeriggio, allettato dalla vista di un mare calmissimo, mentre mio figlio era vicino alla madre e giocava sulla spiaggia, presi il suo materassino di gomma ed entrai nell’acqua bassissima per un lungo tratto di distanza dalla spiaggia.
Cominciai a farmi trascinare dal leggero sciabordio di piccole onde e mollemente sdraiato mi godevo lo spettacolo degli altri bagnanti. Ad un certo punto il materassino, forse a causa di una mia mossa un po’ energica, si capovolse, caddi in acqua, annaspai perché non sentivo il fondo del mare sotto i miei piedi ed iniziai a mandare giù acqua salata. Non gridavo, non chiedevo aiuto, mulinavo soltanto le braccia per restare a galla e mi ricordai con terrore che non sapevo nuotare. Qualcuno vicino a me fortunatamente si rese conto di quello che stava accadendo, mi dette una mano e mi accompagnò a riva. Mia moglie tranquillamente sdraiata a prendere il sole non si era accorta di nulla. Le raccontai l’accaduto, lei si mise a ridere aggiungendo che ero stato uno stupido e che avrei
dovuto chiedere aiuto. Già, perché non l’ho fatto?
Infine voglio dire io amo il mare, ma tra noi non ci sono ottimi rapporti.