martedì 22 febbraio 2011

IL TEMPO PASSA E SE NE VA, VOLANDO

Penso purtroppo che voli così velocemente da sfondare il muro del suono.
A volte mi sorprendo, specialmente se sono solo, quando mi tornano in mente fatti e...misfatti dei tempi persino lontanissimi.
Naturalmente se sono piacevoli non mi dispiacciono al contrario di quelli che non lo sono.
Eppure se parliamo di memoria è meglio sorvolare.
Viene detto da molti che è naturale che una persona, specialmente della mia età, riesca a ricordare cose del passato e magari dimentica la sera quello che ha mangiato a pranzo: a me capita, non sempre però...
Vuol dire che me ne farò una ragione.
Dove però comincio a seccarmi è quando devo fare qualcosa che poco prima avevo deciso di fare e poi mi chiedo quale era quella cosa.
Cerco di concentrarmi, ritorno sui miei passi, mi guardo intorno, compio gli stessi gesti di prima
della ricerca, niente da fare, buio completo.
Ho adottato il metodo di scrivere per ricordare.
Infatti la mia scrivania è stracolma di fogliettini con sopra le varie incombenze da sbrigare.
Alcuni avvenimenti, fatti e situazioni del passato li ricordo solo a metà. Voglio dire alcuni dettagli
anche quelli meno importanti ce l'ho quasi davanti gli occhi ma il luogo o meglio la località dove li ho vissuti niente, ancora buio . Che strano però.
Qualche giorno fa il figlio di un mio cugino di primo grado residente in Sicilia, nella cittadina dove sono nati i miei genitori, mi spedisce via internet una foto in bianco e nero del 1962, In questa foto scattata appunto in Sicilia, in una chiesa, ci sono io al centro di un gruppo di miei vari parenti, zii e cugini, con in braccio un neonato. La didascalia della foto recita "quello in braccio a te sono io". In uno dei miei rari "sbarchi" siciliani ero stato il suo padrino di battesimo e l'avevo completamente dimenticato.
Tre o quattro giorni fa ero in giro per passeggiare quando incrocio una signora che, sorridendo, mi dice "buongiorno" e passa oltre. Io rispondo sottovoce ma poi mentre mi sto chiedendo chi sia quella persona mi volto e vedo che anche lei si è voltata. Le ho chiesto scusa. Era una signora che abita al terzo piano del mio stesso fabbricato. In oltre quaranta anni l'avrò vista centinaia di volte.
Ieri a pranzo però mi è accaduto l'inverosimile.
Giunta l'ora vengo chiamato con la frase rituale "Aldo vieni che è pronto" ed io subito "Sì, un momento". Poi vado al bagno per lavarmi le mani, mi avvicino al lavandino e lì davanti mi blocco e mi chiedo "ma cosa sono venuto a fare?". Poi,mentre mi sto incavolando di brutto improvvisamente mi ricordo e sbotto a ridere fragorosamente tanto che mi viene chiesto "Aldo, ma che c'è da ridere
così nel bagno?" Evito di rispondere.
Infine questa mattina, sul tardi, stavo rientrando a casa quando vengo fermato da una coppia di sud-americani, peruviani o ecuadoregni, uno dei quali in un italiano un po' stentato mi chiede dove si trova una certa strada. Io resto perplesso quel tanto che basta perché uno dei due ferma un cinese e gli chiede dove si trova la strada che cercano. Il cinese gli risponde "la stlada palallela a questa" e gliela indica, a pochi passi di distanza. Mi sarei sotterrato lì davanti perché l'avevo dimenticato.
La terapia che devo osservare quotidianamente comprende non meno di dodici compresse da ingoiare sin dal mattino appena sveglio fino al momento in cui vado a letto. Nulla di straordinario se non il fatto che a parte il diverso tipo di medicinale, devo assumerle in orari differenti e non tutte insieme, ovvio. Per non commettere errori sia per il dosaggio sia per il nome del medicinale mi sono preparato con l'ausilio del pc-Pasquale una specie di manifesto scritto a caratteri cubitali e stampato su un foglio formato A/4.
Ah!Dimenticavo. Un mio vecchio amico più anziano di me di qualche anno mi stava raccontando qualcosa dei suoi verdi anni quando si ferma e mi fa "a proposito, ricordami dopo che ti devo raccontare un fatto" e prosegue. Al termine nessuno di noi due se ne è più ricordato.
Tanto premesso credo proprio che sia arrivato il momento di tirare i remi in barca e tornare a riva.
Anche perché non ho mai imparato a nuotare sia in acqua: fiumi, laghi, mare, sia nella vita.

venerdì 18 febbraio 2011

C'ERA, VICINO CASA, UNA PIZZERIA IN UNA PIAZZA DOVE SI GUSTAVA LA PIZZA PAZZA

Benché siano trascorsi circa trentacinque anni, oggi, incontrando una persona, mi è tornato in mente qualcosa che ricordo ancora.
La persona che ho incontrato ho stentato un po' a riconoscerla dato il suo precoce invecchiamento e il suo eccessivo dimagrimento nonché, in pratica, per tutto il suo aspetto decisamente mutato ed in peggio rispetto a tanti anni prima.
Era, a suo tempo, il proprietario trentenne di una pizzeria qui a Roma che è stata per parecchi anni la meta preferita da me e dalla mia famiglia in quanto praticava prezzi inferiori alle pizzerie della zona e la cuoca, bravissima, era la moglie del proprietario.
Cucina casareccia, spesa abbordabile e a pochi passi della casa dove abitavo.
A parte la sera che funzionava da pizzeria, alle tredici di tutti i giorni, escluso il sabato, si poteva anche pranzare ma il menù era fisso. La domenica però, sempre a pranzo, si potevano scegliere i piatti preferiti. Il motivo di questa differenza era dovuto al fatto che i proprietari avevano stipulato una convenzione con l'Università La Sapienza, non molto lontana da quella piazza, per cui era frequentatissima da studenti universitari fuori sede debitamente muniti di buoni-mensa.
Fuori il locale c'era sempre un folto gruppo di studenti in attesa che si liberassero dei posti a tavola.
Quasi ogni domenica noi eravamo soliti andare a pranzare in quel locale.
Una sera, terminata una partita di basket con la vittoria della squadra in cui giocava anche mio figlio, il gruppo di genitori, che faceva parte del pubblico presente nella palestra, me compreso, organizzò una serata da trascorrere tutti insieme in quella pizzeria. All'unanimità, incuriositi dal nome, scegliemmo di ordinare tutti una "pizza pazza" che era definita dai proprietari come specialità della casa. Praticamente in quella pizza, a differenza della "capricciosa", c'era di tutto e anche di più. Poteva benissimo essere considerata, nel suo insieme, quasi un pranzo dato che conteneva ogni sorta di antipasti, la pietanza e il contorno, mancavano pasta, frutta e bevande. Malgrado il miscuglio insolito degli ingredienti era un'ottima pizza.
Un giorno, passando davanti il locale, vidi le saracinesche abbassate. Di solito a quell'ora doveva essere aperto anche perchè erano quasi le dodici ed era un giorno qualsiasi, non un sabato chiuso per turno settimanale.
Non c'era neppure un cartello che specificasse il motivo di quella insolita chiusura.
Poiché transitavo in quella piazza tutti i giorni avevo notato che il locale era sempre con le saracinesche abbassate..
Trascorsi almeno un paio anni venni a sapere il perché da un mio vecchio amico che abitava lì vicino.
Il proprietario di quella trattoria, ma non la moglie, era stato arrestato, processato col rito immediato e tradotto in carcere dove stava scontando una lunga pena.
Il reato da lui commesso era truffa aggravata ai danni dell'Università per un traffico di bonus-mensa e altri reati non meglio precisati.
Mi è capitato in seguito d'incontrare la moglie-cuoca ma non ho ritenuto opportuno porle alcuna domanda.
Da una quindicina d'anni il locale, completamente ristrutturato, ha riaperto diventando un ristorante che offre cibi orientali ed è gestito da una signora asiatica.
La pizza pazza non figura nel menù esposto all'esterno.

lunedì 14 febbraio 2011

BIANCHINA

Stava con me da tanti anni e mi dispiaceva vederla ansarsene, non per volontà sua intendiamoci.
Nel corso degli anni era successo già un paio di volte ma non per un motivo così serio e d'altra parte c'era da rassegnarsi, il suo destino ormai pareva segnato.
E invece resisteva, credo che le dispiacesse andarsene così, improvvisamente, forse per un motivo banale.
Così adesso mi è venuto il desiderio di raccontare come sono andati i fatti, in ordine cronologico.
Giovedì sera, verso le 19.30, non riesco a vedere il TG3 fino alla fine perché sento arrivare un forte grido dal bagno =Aldo vieni, corri...= come se per me correre sia facile. Forse una volta. Ad ogni modo vado velocemente al bagno e mi metto le mai nei capelli. Non li ho, ma lo dico tanto per rendere l'idea della grave situazione.
Il pavimento del bagno è letteralmente sommerso dall'acqua fuoriuscita da Bianchina – cioé dalla lavatrice – mentre era in funzione. È un mio vezzo battezzare con un nome di persona cose inanimate.
Spenta istantaneamente Bianchina e asciugato almeno in parte il pavimento ha avuto inizio la ricerca del motivo di quel guasto. Nel fare un giro di telefonate apprendo che la causa potrebbe essere l'eccesivo peso della biancheria, oppure il filtro che non funziona più – per la verità sono anni che non viene pulito – e ancora altre ipotesi.
Proviamo a tirar fuori il filtro per pulirlo ma niente da fare sembra incollato a Bianchina, la manopola non gira e quindi tentativo fallito.
Decidiamo di riprovare a far funzionare Bianchina e lei, ubbidiente, si rimette in moto. L'acqua non esce e così fino alla fine del ciclo di lavaggio. Come mai?
Il giorno dopo mi metto in contatto con l'assistenza clienti Candy, mi danno un altro numero ed io telefono, risponde un tecnico che mi assicura che in giornata o domani verrà a vedere e mi dice, nel frattempo, che per il diritto di chiamata (?) si paga 29 euro.
Anziché il giorno stesso, l'indomani mattina viene il "tecnico", giovanissimo, mi chiede che fa Bianchina, io lo illumino, mi dice che sistema tutto ma, prima di metterci mano, m'informa che il costo dell'operazione – ma che è chirurgo? - è di 148 euro comprensivo di diritto di chiamata, IVA,
acquisto del filtro nuovo – più moderno e completo rispetto quello da cambiare - mano d'opera.
Mentre lavora m'informa che ha 28 anni, che 'sto mestiere non lo vuol fare più nessuno, che ha fatto prima l'apprendista e adesso è vice-tecnico. Quando svita il filtro vecchio una vite va a finire sotto un armadietto da bagno e dice =poi la raccolgo"=e io noto che il filtro "scassato" è identico a quello nuovo. Mah!
Dopo appena mezz'ora lavoro terminato, una prova di controllo, e Bianchina riprende vita.
Riscuote quanto richiesto, mi rilascia una ricevuta e quando sta per andarsene lo prego di cercare di prendere con qualcosa di adatto quella vite che era andata a finire sotto l'armadietto.
E lui mi fa =meno male che me lo hai detto= e rimette la vite al suo posto!
Arrivederci, buongiorno e tanti saluti.
Era meglio da giovane che avessi imparato a fare il "tecnico".

venerdì 11 febbraio 2011

COME STAI PAPA' ?

= Ciao papà...
= Eeee?
= Ti ho salutato papà, sono tua figlia...
= Sai che ci sono giorni piovosi e quelli col sole...
= Sì, lo so papà, ma dimmi come ti senti?
= Oggi piove
= No papà, in cielo ci sono soltanto un po' di nuvole...
= Sei tornata da scuola?
= Papà ho smesso di andare a scuola trent'anni fa
= Tua madre sta in cucina?
= No papà, mamma non c'è più
= Una volta io e lei siamo andati a Castel Gandolfo col trenino e ci vogliamo ritornare
= Va bene, vi ci porto io domenica
= La maestra come ti chiama?
= Quando ci andavo mi chiamava con il mio nome. Tu lo ricordi il mio nome?
= Guarda che nuvole, mi sa che oggi piove. Dì a tua madre di non uscire
= Papà t'avevo fatta una domanda
= Non posso uscire, non è una bella giornata oggi
= Me ne sono accorta
= Sento un odorino. Tua madre cucina sempre bene
= Me lo ricordo. Andiamo a vedere in cucina, vieni così ti muovi un po'
= Eravamo ragazzetti quando siamo andati a...
= Lo so, eravate due bei giovani, adesso camminiamo
= Che c'è per terra?
= Niente non aver paura...Ecco vedi? Quella signora è tua cugina che sta cucinando, ti ricordi come si chiama?
= Ieri sera siamo andati a teatro io e tua madre
= Bravi avete fatto bene. Siedi papà sta squillando il telefono
= Io scendo per vedere se c'è posta
= Adesso no, scendiamo appena ho risposto al telefono. Pronto?
=.......
= Sì, ciao, sono ancora qui a casa
=.......
= Lo so che è tardi ma non posso lasciare mio padre in queste condizioni
= ......
= Capisco, pensa tu ai ragazzi. Ho trovato papà troppo confuso
=.......
= Voi cenate intanto. Adesso lo aiutiamo a mangiare e poi ad andare a letto
=.......
= Va bene, li saluto entrambi, ciao. Papà ti saluta Maurilio, te lo ricordi? È mio marito, tuo genero
= Dov'è andata tua madre?
= Ne parliamo più tardi. Intanto dimmi, come stai papà?

lunedì 7 febbraio 2011

CONFIDENZE

= Pronto Clorinda?
= Chi parla?
= Scusa, dovevo dire prima il mio nome, sono Giorgia
= Ci conosciamo?
= Di persona no però abbiamo una comune amica Onorina Busi
= Ah, vero, la conosco da tempo
= Sì, me l'ha detto ed è lei che mi dato il tuo numero di telefono
= Va bene, dimmi tutto, in cosa posso aiutarti?
= Si tratta di questo: una ventina di giorni fa l'ho incontrata in via del Corso che usciva da un portone...
= Non mi sembra che lei abiti in via del Corso e, per quello che so, lei lavora in un supermercato
nei pressi di Roma 70, un quartiere residenziale di via di Grotta Perfetta...
= Esattamente, ancora ci lavora, ma non è quello che mi ha fatto incuriosire, se hai qualche minuto ti racconto...
= Nulla di urgente, racconta pure...
= Onorina non era sola ma con lei c'era un tipo alto, leggermente brizzolato, un bell'uomo credimi, vestito elegantemente...
= Che c'è di strano, lei è una bella ragazza e quindi...
= Lo so, il fatto però è che loro due stavano litigando di brutto, ma quando Onorina mi ha visto ha smesso di farlo e si è avvicinata a me abbracciandomi e presentandomi a quel tale che stava con lei
= Avranno avuto le loro ragioni per...
= Sì, capisco, il punto è che mi hanno invitato a prendere un caffé con loro in un bar vicino e, malgrado io gli abbia fatto presente la mia contrarietà, mi hanno voluto mettere al corrente del motivo per cui stavano litigando. Non ti voglio annoiare raccontandoti tutta la storia anche perché
si tratta di fatti personali loro ed è inutile stare a divulgarli. Ad ogni modo mi hanno messo a conoscenza della loro rispettiva volontà di troncare la relazione che avevano da tempo, cosa che hanno fatto seduta stante in maniera tranquilla, interrompendo il loro alterco di poco prima. Poi, con molta calma, lui si è alzato, si sono salutati civilmente e io sono rimasta seduta al bar insieme ad Onorina la quale ha voluto raccontarmi altri particolari
= Beh in questi casi è meglio comportarsi da persone civili...
= Hai ragione. Adesso ti racconto il seguito...
= Ah, c'è anche un seguito?
= Già ed è proprio per quello che ti sto telefonando...
= Seguita pure allora...
= Tre giorni fa mi telefona l'ex -"lui" di Onorina dicendomi che è stata proprio lei a dargli il mio numero di telefono e quindi, dopo avermi parlato di varie cose – tra l'altro una bellissima voce – mi ha chiesto se avrei avuto piacere nell'accettare un suo invito a pranzo per il venerdì seguente, cioè domani...
= E tu che hai risposto?
= Che l'avrei richiamato sul cellulare per confermare l'invito. Subito dopo ho telefonato a Onorina
per qualche delucidazione e lei mi ha parlato di alcuni lati del carattere di lui. Poi ha aggiunto di parlare con te per avere altri dettagli dal momento che tu lo hai conosciuto...
= Può darsi, come si chiama questo tale?
= Rinaldo, sai è un bell'uomo, come già t'ho detto, intorno ai quarantacinque anni, alto più di Onorina, snello, fisico atletico e con un timbro di voce che incanta. Lo conosci, vero?
= Altroché, l'ho fatto conoscere io a Onorina. Si tratta di mio marito e non siamo separati.
Fino ad oggi. Nel tardo pomeriggio, quando rienterà dal lavoro dovremo fare quattro chiacchiere.

giovedì 3 febbraio 2011

PENNICHELLA COL BOTTO - replica

In dialetto romanesco pennichella è sinonimo di sonnellino specialmente pomeridiano.
Un riposino in pratica, appunto quello che nostra madre ci ordinava di fare quasi tutti i giorni almeno fino alle soglie dell'adolescenza.
Credo però che la “pennichella” servisse soprattutto a lei per tirare un po’ il fiato considerando la gran fatica che doveva affrontare quotidianamente per dedicarsi alle faccende di casa e occuparsi della nostra famiglia di sei persone: genitori e quattro figli maschi.
Io, per la verità, non ho mai gradito quest’obbligo, non ricordo se era così anche per i miei tre fratelli, sta di fatto che andavo sì a letto ma stavo tutto il tempo con gli occhi spalancati.
Per fortuna, specialmente d’estate, finestra e sportelli della camera da letto erano leggermente socchiusi permettendo così alla luce del giorno e ai raggi del sole di proiettare sul tetto una specie di sequenza cinematografica in movimento grazie al passaggio delle persone in strada.
Avevo il mio schermo personale in casa e m’immaginavo film d’ogni genere.
Stravaccato nel “lettone” di mamma e papà facevo trascorrere il tempo fantasticando storie su storie.
Un pomeriggio d’estate del ’43, il periodo in cui, anche allora, cadevano “bombe intelligenti” sulla città di Roma - memorabili quelle sul quartiere San Lorenzo - accadde un fatto straordinario.
Ero, come il solito, sdraiato nel lettone per la “pennichella” quando improvvisamente un botto tremendo spalancò con violenza finestra e sportelli della camera da letto illuminandola smisuratamente.
Sembrava una scena apocalittica.
Eppure non c'era stato alcun preavviso con il solito poco gradito suono delle sirene d'allarme.
Io rimasi quasi paralizzato, nostra madre andava velocemente di qua e di là credo per sincerarsi se stavamo tutti bene e nello stesso tempo per farci correre al “rifugio antiaereo”, ovverosia nella cantina del fabbricato dove abitavamo la quale era talmente “sicura” che se avessero bombardato con palline da ping-pong noi saremmo rimasti seppelliti sotto le macerie come sorcetti.
Per fortuna il “botto” fu unico e raro, almeno nel nostro rione.
In serata venimmo a sapere che cosa era realmente accaduto. Fino ad un certo punto.
A confine con il parco del Colle Oppio, vicino casa nostra, più precisamente in via Mecenate, c’era allora e c’è ancora oggi, una clinica privata, forse convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale, sulla quale quel famoso giorno dell’estate del ’43 cadde non si sa bene se una bomba o addirittura un piccolo aereo da ricognizione.
Ancora oggi non credo ci sia qualcuno di noi, all’epoca abitanti in quella zona, che sappia con certezza la realtà di quello che era accaduto.
Di sicuro la clinica andò in macerie.
Da quel giorno e fino al termine della guerra, nell’ordine del giorno fu prudentemente cancellata la consueta pennichella.
Con o senza botto.
GRAZIE TANTO A TUTTI PER TUTTO.