sabato 27 ottobre 2012

MI SA CHE CI SIAMO

Proprio così.
Sono arrivato a questa convinzione tre giorni fa quando ho incontrato un conoscente quasi mio coetaneo in quanto io recentemente sono entrato negli 83 e lui ne è appena uscito. Naturalmente sto parlando di anni.
Non ricordo più da quanto tempo incontro questo mio conoscente ma dev'essere da molto. Per dirla tutta fino a sei o sette anni fa lo incontravo quasi tutte le mattine perchè accompagnava ad una sezione della scuola vicino casa mia un suo nipote down.
Dopo di allora l'ho incontrato saltuariamente e sempre da solo ma non nei pressi di quella scuola. Per discrezione non gli ho mai chiesto dove fosse il nipote.
Quelle volte che ci incrociamo per strada mi hanno permesso di sapere che abita in un fabbricato di una via laterale che fa angolo con quella dove abito io.
Ci salutiamo con un semplice "ciao" e proseguiamo per le nostre rispettive destinazioni.
Fino ad oggi.
Questa mattina l'ho incontrato sotto uno dei portici di Piazza Vittorio che trascinava un carrello per la spesa. Probabilmente doveva recarsi al mercato coperto dal quale provenivo io.
Invece di dirmi solo "ciao", come al solito, mi ferma e mi dice
= hai capito te? Pensa che er portiere ha chiesto un aumento de la paga ma mica de dieci o de venti euri al mese, noooo, ne vo' settanta. Ma te pare giusto?
Certamente mi ha preso alla sprovvista ma lì per lì sono rimasto come un baccalà perché non riuscivo a capire di quale portiere parlasse. Da me sono quasi venti anni che non esiste più il servizio di portineria e così pure nel suo e in tutti i fabbricati della zona poichè ci si serve dei citofoni. Così ho preso subito la decisione di non metterlo in difficoltà e di dimostrargli tutta la mia comprensione:
= certo che anche a me sembra una richiesta esagerata...
= e te credo. Pe' mme l'artri der condominio possono da decide quello che je pare ma io nun caccio 'na lira
Stavo per ricordargli che le lire non ci sono più e che anche nel suo fabbricato è stata eliminata la portineria ma ho lasciato perdere
= che venghi dar mercato te?
= sì, come vedi ho comprato qualcosa...
= ahò, hai visto come so' aumentati li prezzi de la robba?
= altroché me ne sono accorto benissimo...
= bé mo' vado sinnò faccio tardi, ciao, te saluto
= ti saluto anch'io, ciao.
Nel fare ritorno a casa ho fatto un'amara riflessione: se tanto mi dà tanto e cioé se come età io e il mio conoscente siamo quasi coetanei vuol dire che lui si è rimbambito prima di me e io ci sto arrivando.
Sì, sì, proprio così, mi sa che ci siamo.

mercoledì 24 ottobre 2012

INTERCETTAZIONI

L'altro ieri mentre ero in cucina sento squillare il telefono che si trova poggiato su di un mobiletto all'ingresso di casa. Velocemente mi avvicino, alzo la cornetta, chiedo chi parla ma il telefono è muto: nessun segnale e nessuna parola. Non sarà piaciuta la mia voce.
Vado in camera mia, mi siedo alla scrivania davanti a Pasquale-pc e, in quello stesso momento, squilla nuovamente il telefono. Non mi alzo, prendo il senzacorda -cordless- gentilmente donatomi da mio figlio in occasione di un mio compleanno che io come al solito non so usare e, appena sto per aprire bocca sento
= ciao amore
= ciao cara, ma che bella sorpresa
= ti ho telefonato prima che tu uscissi per andare al lavoro
= hai fatto benissimo
= tua moglie?
= ancora dorme, non preoccuparti. Invece dimmi: tuo marito?
= è già uscito, doveva accompagnare nostro figlio a scuola
= ho capito. E tu cosa stai facendo?
= sono a letto
= come mai?
= penso
= a cosa?
= a noi due amore
= anch'io ti penso amore mio
= mi piace quando mi dici così
= lo so amore. Quando credi ci si possa rivedere?
= anche adesso se vuoi
= per volerlo lo voglio però mi aspettano in ufficio
= non potresti fare un ritardino amore?
= lo farei volentieri, ma già per venire da te ci vuole una buona mezz'ora, poi...
= amore almeno un'orettina devi stare qui con me...
= appunto. Quindi come vedi tra venire da te, fermarmi per un'ora poi il tragitto fino all'ufficio...
= avanti amore, non te ne pentirai, sarò interamente tua
= mi stai tentando amore. Quasi quasi telefono in ufficio e avverto che ritardo...
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Ahò, aaa amori belli, vedete de sbrigavve che a me me serve er telefono. Libbero possibirmente.




sabato 20 ottobre 2012

NOI SIAMO I GIOVANI...

...è il titolo di una canzonetta di tanto tempo fa che conteneva queste parole "Noi siamo i giovani, i giovani più giovani..." etc, etc. Più recentemente una con lo stesso titolo è stata riproposta da una band ma non so se identica alla prima oppure no.
È da un po' di tempo che mi tornano in mente vecchie canzonette e non riesco a capirne il perché. Ad ogni modo qualche giorno fa per un paio di episodi ne ho canticchiato il ritornello.
Conosco da oltre venti anni due coniugi novantenni che abitano poco distante da casa mia. Con il marito ci vediamo almeno una volta la settimana mentre la moglie da un paio d'anni ha perso un pochino la "bussola" e quindi non esce più.
Anche lui non scherza in quanto a problemi fisici però si fa forza e ci tiene a continuare a farsi una passeggiatina nei dintorni,ad incontrarmi per sfogarsi un po', a fare lui la spesa al supermercato e ad attendere alle facende casalinghe. Malgrado tutto è ancora in gamba.
La moglie non vuole nessuno in casa, niente assistenti e neppure visite di amiche o parenti tranne, quando possono, quelle dei suoi due figli maschi ormai ultra ciquantenni.
Circa sei o sette anni frequentava questi coniugi una loro coetanea, per l'appunto anch'essa di 90 anni, nubile, fidanzatasi solo quando era adolescente, la quale è comproprietaria di un appartamento sempre in zona e ci vive da sola.
Anche a lei è stato precluso l'accesso per una visita a casa dei due coniugi novantenni per volere della suddetta moglie.
Un paio di anni fa mi è stata presentata la nubile novantenne la quale mi ha chiesto se potevo aiutarla nel controllare la sua bolletta dell'energia elettrica per lei alquanto salata e non ne capiva il perché dal momento che ne fa un uso molto parsimonioso.. Dietro sua richiesta sono andato a casa sua, ho controllato il contatore e le bollette precedenti e le ho fatto notare che la società fornitrice era nel giusto in quanto lei non pagava quasi nulla da tanto tempo, quindi si trattava soltanto di un conguaglio.
La incontro molto spesso e lei,una piccola signora,capelli bianchi e occhiali da vista, è una persona
cordialissima, notevolmente loquace, molto simpatica e mi saluta sempre amichevolmente. Altrettanto faccio io.
Questa mattina esco dal supermercato,giro l'angolo e mi avvio verso la strada che conduce alla mia vicina abitazione.
Arrivo al semaforo che segna il color arancione un attimo prima di quello rosso di stop, mi fermo per attendere il verde quando, dal marciapiede opposto, scende di corsa per attraversare sulle strisce una persona. Chi è? La nubile novantenne la quale traversa, ancora di corsa,come una donna
di non più di quarant'anni.
Appena mi si avvicina, anche col fiatone, si mette a ridere ed io con lei.
L' altro brevissimo episodio è di due giorni fa. Dovevo gettare uno scontrino ed un fazzoletto di carta nell'apposito contenitore di metallo. Ne vedo uno a pochi passi, mi avvicino e mentre sto gettando quello che ho in mano si avvicina un passante all'incirca della mia età, capelli bianchi e andatura claudicante, anche lui con un pezzo di carta in mano da gettare il quale mi dice a voce alta "noi lo facciamo questo gesto ma noto che molti altri soprattutto giovani preferiscono gettare i rifiuti in terra. In che mondo viviamo..." e si allontana scuotendo la testa.
Peccato, perché avrei voluto dirgli "ma noi ci siamo mai chiesti come ci comportavamo alla loro età? Non siamo mica nati già vecchi."

giovedì 18 ottobre 2012

A VOLTE IO SONO UN PO' STRAROMPI

Ai bordi del vialetto interno del Parco di Piazza Vittorio sono state installate di recente alcune panchine con i bordi laterali di metallo fino a terra mentre il piano seduta e l'alzata sono a barre di un legno particolare molto robusto.
Su una panchina a destra del vialetto noto quattro ragazzi, credo di età tra i 16 e i 18 anni, alti, magri, capelli biondi e zainetto dietro le spalle. Molto probabilmente turisti.
Anziché seduti sul piano si trovano in cima all'alzata con i piedi calzati da scarpe sportive che poggiano sul suddetto piano seduta.
Mi fermo, li guardo, loro sorridono scambiandosi gli sguardi.
Gli domando
= siete italiani?
Loro si guardano in faccia, ridono e scuotono la testa...
= tedeschi – deutschen?
Continuano a ridere scuotendo ancora la testa...
= francesi – fraìncaise?
Ridono ancora più forte e dicono sempre no stavolta pure con le mani e allora, cercando di fare il muso duro più possibile, gesticolando gli chiedo
= e insomma che c^^^o siete?
Evidentemente questa volta hanno compreso e rispondono senza più ridere...
= svenskar...
Mi sembra di capire che si dichiarano svedesi forse capiranno l'inglese e gli ordino...
= sit hear...(aggiungo un segno inequivocabile della mano sbattendola sul piano seduta della panchina).
Scendono da dove stavano appollaiati e se ne vanno piuttosto celermente, rabbuiati in viso, senza voltarsi.
Sono certo che mi avranno creduto un guardiano del parco.
Da parte mia io non so dove ho trovato l'ardire ma...quanno ce vo', ce vo'.
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NOTA BENE: le parole in lingua straniera le ho ricavate da Google traduttore.



venerdì 12 ottobre 2012

SE POTESSI AVERE...

Una banconota da 1.000 lire che io, tredicenne, vidi per la prima volta nel 1943 era così grande che, forse esagero un po', mi pareva un lenzuolo magari da culla per neonati. Naturalmente io la vedevo, come si usa dire, "da lontano" nel senso che non l'avevo nelle mie mani ma era custodita gelosamente nel primo cassetto del comò nella camera da letto dei miei genitori. Quando venimmo "liberati" dagli angloamericani circolavano invece le AMLIRE. Un biglietto da 100 era rettangolare, valeva quanto un dollaro americano e aveva le stesse misure.
In quei primi anni quaranta era molto in voga una canzonetta il cui ritornello diceva pressappoco"Se potessi avere mille lire al mese senza esagerare, sarei certo di trovare tutta la felicità...". Già perché con quella cifra ognuno poteva considerarsi veramente felice e contento.
Cerco di fare un paragone con quello che ha dichiarato al riguardo un assessore della Regione Lombardia il quale ha affermato che "con 8.000 (ottomila) euro al mese" lui non riesce a campare cercando di giusticarsi per sostenere quanto andava dicendo.
Certamente a distanza di settanta anni il costo della vita è aumentato ma non fino a questo punto, vero incontentabile assessore?
Ho provato a sognare di avere io 8.000 euro ogni mese e mi sono accorto che sono tanti e che non riuscirei mai a spenderli tutti. E' vero potrei cambiare la vecchia lavatrice che sta esalando gli ulimi respiri, come pure la vecchia macchina del gas e altri ruderi che ho in casa ma si tratterebbe di spese una tantum e quindi?
Vedi assessore lombardo, perché non provi a campare con un ottavo di quello che percepisci come riesco a farlo a stento io? Sai benissimo che ce sono altri che percepiscono anche meno di 1.000 euro al mese e quindi sarebbe meglio che te lo chiedessi tu come fanno a campare così come altrettanto faccio io.
I tempi sono cambiati e allora canticchio anch'io aggiornando la canzonetta di cui sopra "Se potessi averne ottomila al mese..." - di euro naturalmente - oltre trovare la serenità farei felice me ed anche altri che conosco.

martedì 9 ottobre 2012

ALDOO, ALDOOO, ALDOOOOO...

L'altra mattina in giro per i dintorni di dove abito.
Passeggio lentamente sul marciapiede destro della strada che mi permette di arrivare vicino al parco di Piazza Vittorio dove solitamente mi siedo su una delle panchine ivi esistenti.
In questa strada ci sono i binari per i tram che transitano da quelle parti in un senso per arrivare alla Stazione Termini e in quello contrario per due o tre periferie di Roma piuttosto lontane.
Devo attraversare dove ci sono strisce pedonali e semaforo e vedo un tram in direzione di Termini fermo perché il semaforo segnala il rosso e quindi lo stop.
Improvvisamente sento gridare più volte il mio nome e allora, per comprendere chi mi chiama o per sapere se chiamano un altro Aldo il che è possibile, mi volto indietro, poi guardo avanti, a destra, a sinistra ed in alto ma non riesco a capire. Dal finestrino di quel tram fermo proviene una voce femminile di una persona che si sporge, agita una mano e, rivolgendosi a me che sono nei pressi..
= Aldo ciao, come stai? Scendo alla prossima fermata così ci salutiamo bene...
Mentre al segnale verde del semaforo il tram riparte io cerco di fare mente locale e chiedere a me stesso se riesco a ricordarmi di chi si tratta.
Ad una cinquantina di metri dalla fermata del tram vedo scendere abbastanza celermente una signora, discretamente vestita, capelli corti di colore grigio, corporatura rotondetta.
Mi viene incontro con un sorriso smagliante sul volto facendo gesti abbastanza eloquenti come per dire che non poteva credere di avermi incontrato.
Avvicinatasi ancora di più l'ho riconosciuta.
Una ventina di anni prima ci eravamo frequentati abbastanza spesso in quanto abitavamo a poca distanza l'uno dall'altra.
Ecco chi è questa signora, ma certo è Teresa la quale, malgrado i suoi 70 anni o poco più, per quel che ricordo, mi sembra più vispa di prima, proprio come si legge nei versi della poesia di Luigi Sailer e come, da quel finestrino del tram, poco fa tutta giuliva gridava a distesa...il mio nome.
Ci siamo abbracciati e abbiamo ricordato insieme molti di quei momenti di quando avevamo venti anni di meno.
Purtroppo, ecco la nota dolente, abbiamo parlato anche dei nostri rispettivi acciacchi ma tant'è, non è solo dolce la vita.


















giovedì 4 ottobre 2012

ANCH'IO SONO STATO BAMBINO

Per quello che ricordo lo sono stato dai cinque ai dodici anni, più precisamente dal 1935 al 1942; poi gli eventi successivi mi hanno fatto crescere molto rapidamente per vari motivi. Penso che al giorno d’oggi i dodicenni sanno molto ma molto più di quando io avevo la loro età. Dal ’42 al ’48 sono diventato un’altra cosa. La guerra, i bombardamenti, la fame, l’occupazione nazi-fascista, quella successiva degli “alleati”, la disoccupazione e chi più ne ha più ne metta hanno inciso sul mio comportamento. Non solo il mio, penso.
All’età di cinque anni presi la laurea in medicina e due schiaffoni, più un ulteriore supplemento.
A quell’epoca abitavo al terzo piano di un fabbricato piuttosto vetusto e casa mia, all’interno 11, confinava a sinistra con l’interno 12 e a destra con l’interno 10 che a sua volta confinava con l’interno 9. Lì al 9 avevamo due camere e mezzo, un lungo corridoio ed un cesso – né bidet, né vasca e neppure doccia - talmente piccolo che si trovava all’esterno dell’appartamento nell’angolo di una piccola loggetta che dava sul cortile del fabbricato medesimo. Dall'interno 9 ci trasferimmo all’interno 11, leggermente più grande ma con il cesso in casa, sempre però solo water e lavandino. L’interno 9 fu affittato ad una famiglia composta da cinque persone: padre, madre e tre figlie femmine che avevano all’incirca l’età di noi quattro fratelli.. Una di loro, la più piccola, aveva la mia stessa età, 5 anni, e quindi eravamo diventati amici per la pelle e giocavamo tutti i giorni sul pianerottolo davanti le nostre rispettive dimore. Questo perché, essendo ancora troppo piccoli, non potevamo andare a giocare nel cortile e neppure in strada. Accadde che un giorno, mentre io e la mia coetanea eravamo seduti sui gradini della scala comune che conduceva a tutte le abitazioni, rigorosamente davanti i nostri appartamenti, le proposi di fare un gioco che andava molto di moda: il dottore e l’ammalata. Lei mi disse che le faceva male qua, là, sopra, sotto e io allora la visitai scrupolosamente, forse anche troppo, tanto che, entrambi presi dal gioco, non ci accorgemmo dell’arrivo della sua mamma che ritornava dal mercato. Si scatenò il finimondo. I primi due schiaffoni li ricevetti io a titolo probabilmente del pagamento del mio onorario, gli altri però non raggiunsero la destinazione voluta in quanto l’ammalata si era andata a nascondere chissà dove. Mentre io mi disperavo le due mamme, la mia e l’altra, erano lì che discutevano per sapere a chi andava attribuita la colpa di quanto era accaduto. Alla fine decisero entrambe che c’era un solo colpevole: il dottore. Cioè io! Dopo di che ricevetti un supplemento d’onorario per la visita medica effettuata. Non vidi l’ammalata per parecchio tempo, evidentemente era guarita.
Trascorsero i giorni, i mesi e gli anni. Noi tutti crescevamo, ma frequentavamo comitive diverse. Circa tredici anni dopo quel giorno fatidico la famiglia dell’interno 9 traslocò altrove.
Negli ani successivi, dopo sposato, io mia moglie e nostro figlio si andava tutte le domeniche al vicino mare di Roma, Lido di Ostia, sempre nello stesso stabilimento balneare dove rimanevamo fino al pomeriggio inoltrato, pranzando nel ristorante del medesimo stabilimento. Fu così che una domenica dell’estate del 1967, non ricordo giorno e mese ma l’anno sì, ero appena uscito dalla cabina dove ero andato ad indossare il costume da bagno, quando vidi uscire dalla cabina accanto alla nostra una bagnante, alta poco più di me e, credo, della mia stessa età. Abbronzata fino all’inverosimile indossava un bikini microscopico. La seguivano un paio di bambine e un uomo, forse il marito. Mi passò accanto, non mi degnò di uno sguardo e neppure mi riconobbe: io invece sì! Era l’ammalata, la mia paziente di troppi anni prima. Dottore e ammalata capitolo chiuso, purtroppo.
Torno indietro negli anni bambineschi nel corso dei quali mia madre m’insignì di un titolo, non nobiliare. In pratica un nomignolo: “lisceo”, dato che ogni volta che suonava qualcuno e veniva a trovarci gente io correvo in gabinetto e cercavo disperatamente di lisciare sulla nuca un ciuffo ribelle. Non ci sono mai riuscito. Un altro nomignolo me l’affibbiò una mia zia, sorella di mia madre, la quale, ancora signorina, venne a stare da noi. Eravamo già in sei, con lei sette, per poi diventare otto, quando si sposò e nove quando le nacque il primo figlio. Tutti felicemente abitanti in quel piccolo appartamento! Alla zìetta, così la chiamavano noi, prima di sposarsi, le piaceva portarmi con sé a passeggiare e mi chiamava “ciciornia” perché a ma piaceva fare il cicio, diceva lei. Coccolavo e mi facevo coccolare volentieri.
Entrambi i due nomignoli, lisceo e ciciornia, mi rimasero incollati addosso perlomeno fino ai 15-16 anni se non di più.
In qualche occasione particolare, quando era possibile, mia madre cucinava l’abbacchio, vale a dire l’agnello, ma quando questo accadeva, prima di sedersi a tavola io andavo da mia madre intenta a predisporre le porzioni per tutti e le dicevo, piagnucolando, che non volevo mangiarlo perché l’agnello era troppo piccolo.
Sempre nel corso di quel periodo 1935-1942 divenni protagonista di altre vicende. Ne ricordo perfettamente almeno due.
1^) Durante le feste natalizie mia madre, siciliana di non so quante generazioni, prima di sposarsi non ancora diciottenne, aveva lavorato in un laboratorio di pasticceria assai rinomato in buona parte della Sicilia. La sua specialità erano i famosi cannoli siciliani. Lei se ne stava ore e ore in cucina dove per prima cosa preparava la crema a base di ricotta, zucchero, scaglie di cioccolato, pezzettini di canditi e non so più che altra leccornia, la metteva in una zuppiera di ceramica e la riponeva nella parte inferiore di una grossa credenza in cucina. Poi si accingeva a preparare il cannolo vero e proprio, operazione molto delicata e difficile, ma non per lei. Io, non appena sentivo venire dalla cucina quell’odorino molto speciale, mi appostavo nei pressi con fare indifferente e, approfittando di un momento d’assenza o di distrazione di mia madre, mi avvicinavo alla credenza, aprivo uno degli sportelli inferiori, infilavo una mano e mi appropriavo di una bella manciata di crema senza curarmi delle tracce che lasciavo. Le reazioni di mia madre quando si accorgeva del furto erano tremende.
2^) La guerra e i primi tempi del dopoguerra erano difficili per quanto riguarda la reperibilità di molti alimenti e tra questi lo zucchero. Avevamo in cucina due piccoli vasi rettangolari di fine porcellana di Baviera, bianchissimi con tanto di disegnino azzurro dipinto sul davanti e le scritte Caffé in uno e Zucchero nell’altro. Ma erano entrambi spesso semivuoti. Un giorno ero seduto al tavolo di cucina per fare colazione e, mentre mia madre si era allontanata per fare qualcosa, io presi il vaso dello zucchero, letteralmente vuoto, e con un cucchiaio raschiai con una certa forza il fondo del vaso stesso tanto che lo bucai. Apriti cielo. Ricordo le corse dentro casa con mia madre che cercava di prendermi, ma non ci riuscì. Forse voleva abbracciarmi? Chissà?
Ad ogni modo il cimelio è tuttora conservato in casa di mio fratello più grande. Entrerà a far parte di una mostra in un museo. Almeno credo.
Sì, sono stato anch’io bambino ma forse anche un po’ pestifero.