domenica 30 gennaio 2011

giovedì 27 gennaio 2011

CAPELLI ROSSO-FIAMMA ABITA DALLE MIE PARTI

Almeno credo dopo il bis di ieri mattina.
Sì perchè al termine della mia solita passeggiata anziché iniziare il giro dalla via che imbocco quando esco da casa e che faccio sempre, mi sono incamminato verso la via parallela arrivando quindi alla fermata del bus che comunque non devo prendere.
E chi ti vedo alla fermata? La stessa giovane donna dai capelli rosso fiamma che vidi – anzi ammirai e ne parlai – oltre due mesi fa, il 7 novembre 2010.
Lo stesso abbigliamento, lo stesso atteggiamento, con il telefonino tenuto fermo all'orecchio destro con la mano dalle dita affusolate, gli stessi capelli di un bagliore accecante e il sole che sembra illuminarglieli ancora di più.
Mentre cammino rasentando il ciglio del marciapiede la rossa si volta leggermente e abbozza un sorriso verso di me, sempre parlando al telefonino. Un po' sorpreso mi fermo e le faccio un cenno con la testa a mo' di saluto, lei mi fa un cenno con la mano sinistra, piccola e affusolata come l'altra, facendomi intendere di aspettare un momento. Mi volto per vedere se tutto ciò sia rivolto a qualcun altro, ma ci sono soltanto io.
Terminato di parlare mi dice
= salve come va?
= si ricorda di me?
= certo l'altra volta abbiamo scambiato qualche parola e allora...
= ti...ehm...posso usare il tu?
= sì, tanto lo faccio anch'io
= benissimo e...abiti da queste parti?
= sì, non molto lontano da questa fermata
= capito...vai al lavoro?
= come sempre, almeno i giorni feriali
= vorrei farti una domanda personale se me lo permetti...
= sei un tipo curioso vero?
= sì, lo ammetto
= spara
= al tuo lui, se lo hai, gli piacciono i tuoi capelli?
= non sto con un lui ma con una lei
= ah!
= ti scandalizza?
= a me? E perché? Ognuno è libero di stare con chi gli pare...
= credevo di sì, i capelli bianchi che hai mi hanno...
= oltre quelli ho anche un cervello che ancora funziona, poco ma quel poco mi basta
= ad ogni modo ce l'ho avuto un uomo ma sarebbe stato meglio non averlo conosciuto. Adesso mi trovo benissimo con la mia ragazza. È più giovane di me ma siamo veramente innamorate l'una dell'altra. Viviamo insieme nella stessa casa
= credo sia questo ciò che maggiormente conta
= ci puoi giurare. Sta arrivando il bus. Devi salire anche te?
= no abito qui a due passi e allora...
= allora ciao, ci vediamo...
= ciao...io mi chiamo Aldo e tu?
= è importante per te?
= beh, insomma...
= te lo dirò quando c'incontreremo la prossima volta, ciao
La guardo salire, resto fermo per un po' quindi mi chiedo che cosa avrà voluto dire con quell'ultima frase.

lunedì 24 gennaio 2011

PERDERE UN AMICO

Certo non è come perdere i genitori, i propri fratelli o i propri figli, ma la perdita di un amico così speciale a me colpì moltissimo. E ne soffrii parecchio quando l'appresi.
Ci eravamo conosciuti in ospedale entrambi ventiquattrenni ed avevamo stretto fra noi una fraterna amicizia.
Le nostre rispettive fidanzate ci venivano a trovare almeno due volte la settimana ed anche loro erano diventate amiche.
Quando terminammo il periodo di ricovero ospedaliero restammo d'accordo di continuare a frequentarci anche se io abitavo a Roma e lui in aperta campagna a poco più di quaranta chilometri di distanza.
Pur non avendo la macchina – presi la patente dodici anni dopo – andare a trovarlo non era difficile in quanto usavo il treno e quando scendevo alla stazione del suo paese che distava appena cinque chilometri da casa sua, lo trovavo lì davanti che mi aspettava con il suo trattore agricolo.
Così, ogni primavera ed ogni estate ci si vedeva sempre da lui perché proprio in quei periodi doveva aiutare la propria famiglia – genitori e una sorella sposata con un contadino – che era proprietaria di un terreno agricolo molto esteso, parte coltivato e parte adibito a pascolo, e di un enorme casale di campagna.
Polli e conigli scorazzavano liberamente intorno la casa mentre due enormi vacche erano al riparo in una piccola stalla adiacente.
Qualche volta mi è capitato di vederlo mentre le portava a pascolare ed una volta mi fece andare con lui con una delle vacche presso un vicino di campagna che aveva un toro da monta, perché sperava così di veder nascere presto una vitella.
Non c'era che l'imbarazzo della scelta quando veniva l'ora di pranzare o cenare ed io, escluso pollame e conigli, facevo onore a tutti i prodotti della sua campagna.
Un giorno, suo cognato, in occasione di una festività, non ricordo quale, volle preparare un maialino arrosto ma quando vidi come lo cucinava rinunciai al "fiero pasto". Lo aveva sotterrato, privo di vita, in una piccola buca nel terreno davanti casa, ricoperta con legname e foglie ai quali aveva dato fuoco. Con tutto il dovuto rispetto per il mio amico e la sua famiglia non ci riuscii. Se non avessi assistito al mis-fatto...forse, chissà.
A parte questo episodio trascorsi da lui delle giornate indimenticabili, sarà forse perché i miei nonni paterni e materni erano contadini e io dovevo aver ereditato qualcosa da loro.
Un paio di mesi prima di sposarmi lo contattai per invitarlo al mio matrimonio ma il padre mi mise al corrente di quello che era accaduto.
Il mio giovane e caro amico, a causa di un avvallamento del terreno del quale non si era accorto, era andato a finire schiacciato sotto il trattore. Morto istantaneamente.
Rimasi sconvolto e ne piansi la scomparsa.
Si chiamava Elia ed è stato il mio miglior amico di quegli anni.

lunedì 17 gennaio 2011

L'ULTIMA CIFRA E' SBAGLIATA

= Sii?
= Pronto? Finalmente la trovo dottore...
= Scusi signora non ho capito...
= Ho telefonato ieri ed ho parlato con la sua segretaria...
= Signora io...
= La sua segretaria m'ha detto che...Ma lei è il dottor Florentini?
= No, non lo sono e...
= È il collega del dottore?
= No signora non sono il collega del...
= Allora chi è lei? Un paziente?
= No però sono paziente con lei...
= Che vuol dire?
= Voglio, anzi, vorrei dire se lei mi concede un attimo di pausa, che il dottor Florentini qui non c'è...
= Ha trasferito lo studio?
= Questo non lo so, io sto qui da circa quaranta anni e non c'è mai stato nessuno studio di dottore...
= Allora devo aver sbagliato numero...
= Credo proprio di sì, lei che numero ha fatto?
= Il xxxxxxx9...
= Siamo alle solite...
= Perché?
= Semplice. Ricevo numerose telefonate di altre persone che formano il numero che lei mi ha citato credendo di parlare con il dottor come si chiama mentre invece si sbagliano commettendo tutti il medesimo errore e cioè che quel numero è il mio mentre quello del dottore è quasi uguale meno l'ultima cifra che è zero e non nove...
= Oh! Quanto mi dispiace, mi scusi tanto. Il fatto è che ho urgenza di parlare con.......
Malgrado avessi tentato di salutarla cortesemente mi pregò di darle ascolto per qualche minuto. Io acconsentii e lei, con molta naturalezza, iniziò a parlare. Mi raccontò una parte della sua vita, volle dirmi come si chiamava, quale era la sua età – la metà dei miei settanta anni – dove abitava, cosa faceva e per ultimo mi chiese se potevamo vederci "visto che lei è stato così gentile con me".
Volevo rispondere negativamente poi prevalse la curiosità e fissammo un appuntamento per il giorno successivo – mercoledi – alle 19.00, al Gianicolo, ai piedi della statua di Garibaldi. Si rese necessario precisare, per poterci riconoscere, come ci saremmo vestiti e, parzialmente, il nostro reciproco aspetto. Ebbi l'impressione di stare recitando come in un film.
Fu proprio dalle ore 19.00 di quel fatidico mercoledì al Gianicolo che, testimone Garibaldi - sia pure di bronzo - ebbe inizio la nostra incredibile storia. La mia e quella di Dafne, un nome mitologico. Qualche tempo dopo a seguito di una mia domanda, mi disse che era stato il padre a chiamarla così al momento della nascita. L'ispirazione gli era venuta visitando la Galleria Borghese a Roma e ammirando la scultura del Bernini raffigurante il gruppo marmoreo Apollo e Dafne. Ed aveva fatto bene perché quando quel famoso mercoledì di marzo vidi per la prima volta la Dafne in carne ed ossa rimasi quasi senza parole. Molto ma molto attraente mentre io non sono mai stato un Apollo. Il giorno del primo incontro fra noi due il più imbarazzato – ed anche imbambolato – ero io. Ci presentammo - per poco non lo feci balbettando – e ci sedemmo su di una panchina dalla quale si poteva ammirare il panorama di Roma alle prime luci della sera. Non so se fu questa vista o la mitezza della serata a spingere entrambi a raccontarci quasi tutto di noi. Lei era sposata e nessun figlio perché non avrebbe mai potuto averne. Questo fatto le aveva causato una forte depressione per cui da qualche anno, due volte la settimana, si recava nello studio di quel dottore – psicologo mi precisò – per seguire una terapia. I rapporti col proprio marito si erano purtroppo deteriorati ma continuavano a convivere perchè nessuno di loro due voleva divorziare né adottare bambini. Ormai erano solo amici ed ognuno di loro viveva una propria vita. Non le chiesi il perché di questa loro strana decisione. Non volevo intromettermi oltre. Di fronte a queste confidenze così delicate e personali rimasi un po' perplesso e glielo feci notare, ma a lei questo non importava. Anche se non sapeva spiegarselo sentiva che poteva mettermi al corrente di ogni cosa. Le dissi allora che tutto ciò poteva avere una sua logica spiegazione derivante dal fatto che, data la mia età, potevo essere suo padre o forse anche suo nonno. Dafne mi guardò e mi pregò di non dire sciocchezze spiegandomi il perché. Mi disse molto chiaramente che da quando ci eravamo seduti, circa tre ore prima, lei non aveva guardato il mio aspetto, se ne era "fregata" per usare le sue parole. Mi aveva soltanto ascoltato e scrutato dentro. E questo le era bastato.
Quando dopo poco ci salutammo, ci abbracciammo a lungo senza alcuna esitazione.
Seguitammo a vivere ancora questa incredibile storia per alleviare le nostre rispettive solitudini.

martedì 11 gennaio 2011

IL FILM E' INIZIATO DA POCO

Sono andato al cinema vicinissimo casa per assistere alla visione di un film che m'interessava vedere.
Non ho fatto in tempo ad entrare prima dell'inizio dello spettacolo pomeridiano, ma la persona addetta al controllo dei biglietti mi dice che sono trascorsi appena cinque minuti.
La sala ovviamente è buia, illuminata soltanto dal chiarore delle immagini che scorrono sullo schermo e io vado un po' a tentoni.
Riesco a malapena a scorgere una poltrona vuota al centro della settima fila di platea, chiedo permesso alle persone sedute e...pesto un piede a qualcuno che lo ritrae dolorante.
Sussurro a bassa voce
= Mi scusi tanto
Una voce femminile mi risponde sussurrando
= Non si preoccupi, non è niente
Con la coda dell'occhio cerco di capire a chi appartiene quella voce.
Una donna sicuramente, all'incirca della mia età, trent'anni. Altro non mi riesce vedere.
Attendo l'intervallo tra il primo e il secondo tempo quando si accendono le luci in sala. Il che avviene dopo circa cinquanta minuti.
= Stia tranquillo, non m'ha fatto niente di doloroso
= Le chiedo ancora scusa, sa col buio...
= Lasci perdere, piuttosto le piace il film?
= Veramente l'avevo immaginato un po' più...
= Sì, non è un granché
= Ha ragione...
= Io me ne vado, lei che fa? Rimane?
= Come? Ehm...quasi quasi seguo il suo esempio
= Bene, andiamo.
Mentre ci alziamo e c'incamminiamo verso l'uscita ho tutto il tempo di esaminarla bene. Promossa a pieni voti.
Usciti dal cinema lei mi fa
= Ho la macchina poco distante, lei abita nelle vicinanze?
= No, ma sono venuto con il tram...
= Vuole che l'accompagni?
= Bèh...ecco...io...
= Facciamo così, mi accompagni lei, sono venuta a Roma da Bologna e fino a domani mi devo trattenere qui per una riunione di lavoro. Il mio albergo non è molto lontano. Ha fretta di tornare a casa?
= Non, non è per quello ...È che la ...la...
= La questione si complica? Non abbia timore, io non chiedo nulla di lei e lei faccia altrettanto. Non è prerogativa solo degli uomini voler trascorrere qualche ora con chiunque, quindi venga con me e non si faccia scrupoli.
= Non me ne faccio, solo che non mi va questo tipo diciamo...d'intrattenimento con una donna...
= Tranquillo, non esercito la "professione" più antica del mondo, mi piacciono gli uomini e lei è uno di questi. Offerta gratis, prendere o lasciare.
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Suona la sveglia, mi alzo e, a differenza di altre volte, stranamente mi rammento tutti i dettagli di questo sogno salvo l'ultimo quello cioé se ho accettato l'offerta oppure no.

venerdì 7 gennaio 2011

SONNO

La mia personalissima guerra contro il sonno ebbe inizio all'incirca quando cominciò la Seconda Guerra Mondiale, oltre settanta anni fa.
Pensandoci bene mi piacerebbe battere questa sorta di record arrivando alla durata di quella dei cent'anni fra l'Inghilterra e Francia – protagonista tra gli altri la ben nota Pulzella d'Orléans Giovanna d'Arco.
Credo che il motivo della mia insonnia derivi da un episodio che ancora ricordo benissimo.
Avevo circa dieci anni e a casa mia noi quattro fratelli eravamo stati abituati da nostra madre ad andare a dormire non più tardi delle ventuno anche perchè non avevamo TV, all'epoca una perfetta sconosciuta.
Io e mio fratello più grande – dodici anni – dormivano in due lettini in camera da pranzo, gli altri due – di sei e quattro anni – nella camera da letto dei nostri genitori.
Mia madre era solita rimanere alzata fino a tardi in attesa del ritorno di mio padre – macchinista di teatro - che rientrava dal lavoro poco prima di mezzanotte.
Dopo aver sistemato quello che noi fratelli avevamo messo in disordine dentro casa era solita venire a sedersi in camera da pranzo a rammendare o a ridurre di misura gli abiti di noi due fratelli più grandi per poi passarli a quelli più piccoli.
Nel frattempo ci raccontava fatti della sua gioventù fino a che non ci vedeva entrambi addormentati.
Un giorno però mi raccontò l'episodio cui facevo cenno prima.
Mi disse che non una ma almeno tre volte nel corso degli ultimi tempi, verso le ventitré, mezz'ora pù mezz'ora meno, io mi alzavo dal letto e, avviandomi in cucina, ad alta voce dicevo =mi devo sbrigare sennò faccio tardi a scuola=
Poco dopo tornavo dalla cucina e mi rimettevo tranquillamente sotto le coperte.
Mia madre non mi diceva neppure una parola perché sapeva che non era opportuno svegliarmi.
E meno male che non ho imitato il più piccolo dei miei fratelli il quale una volta, da bambino, vide sul tavolo di cucina un rettangolo di qualcosa di sostanzioso e, credendolo formaggio, gli dette un morso. Era sapone da bucato.
Da tempo non sono più un sonnambulo ma non riesco a dormire se non prendo una compressa di sonnifero.
Quesito forse un po' stupido: chissà perché sulle scatole di compresse c'è scritto "per uso orale". Si possono usare in altri modi, ad esempio come supposte? Troppo piccole, non credo.
Attualmente la situazione sulla faccenda sonno e derivati è la seguente: tutte le sere alle 21 – 21.10 salvo imprevisti, metto a dormire il mio pc-Pasquale. Cerco in TV un film o una trasmissione decente da vedere e, verso le 23 – 23.30 quando tali programmi solitamente smettono, prendo la compressa di sonnifero la quale per fare effetto, almeno su di me, ci mette minimo un'ora. Inganno l'attesa sintonizzandomi sul canale decoderizzato Rai Storia e, esattamente quindici minuti prima delle 02.00 mi sveglio.
Devo ricominciare da capo: alzarmi da dove mi ero seduto e addormentato, mettermi in pigiama etc etc.
La giostra quotidiana, serale, anzi notturna ha ripreso a girare.

lunedì 3 gennaio 2011

MI SONO INNAMORATO DI MORBI

Non è uno scherzo e neppure una storia inventata, tutto vero dalla A alla Z.
Un mio nipote acquisito per via che è figlio di una sorella di mia moglie, nato a Roma il 9 febbraio del '56 quando la neve cadde copiosa su questa città, è un bravissimo tecnico e si occupa di vari lavori di installazione antenne TV, riparazione televisori, apparecchi radio e altri marchingegni.
Fino a qualche anno fa era un operaio specializzato presso uno stabilimento industriale, licenziato per riduzione del personale, lui tra i primi in quanto scapolo e senza carichi familiari.
Vive da solo in una bella casa di due piani, in campagna, nei pressi di una cittadina distante circa trenta chilometri da Roma.
Ho dovuto dilungarmi su mio nipote perché ritengo che siano dettagli utili per la storia che cerco di raccontare meglio possibile.
Giorni fa il televisore che tengo nella mia stanza, benché acceso, è diventato muto. Meno male mi son detto, chissà se è una disgrazia oppure una fortuna? Il fatto è che le immagini si vedevano, belle, chiare, distinte ma l'audio non ne voleva sapere. Inoltre l'altro televisore del soggiorno aveva lo schermo quasi diviso a metà da una striscia fastidiosa che sostava imperterrita sulle immagini.
I miei goffi tentativi di sistemare i due apparecchi recalcitranti sono finiti nel nulla più assoluto.
Mi decido e telefono al predetto mio nipote mettendolo al corrente della situazione. Lui mi fa:
= a zi' io verrebbe anche oggi ma nun posso venì da solo
= e vabbe' vie' co' la tu regazza
= no lei oggi sta a casa da la madre
= e allora co' chi?
= co' Morbi
= e chi è?
= er cane mio
= te sei fatto er cane?
= poi t'aricconto
= vabbe' nun è un probblema, vie' co' chi te pare basta che venghi.
Un paio d'ore dopo lui e Morbi arrivano e, quando apro la porta, vedo un cane non grosso, manto raso color marrone chiaro, orecchie lunghe penzolanti, occhi languidi, sguardo e comportamento timorosi.
Mentre il nipote procedeva nell'opera di rianimazione dei due televisori aspiranti cadaveri perché piuttosto in là con l'eta mi ha raccontato tutto di Morbi.
Circa venti giorni prima verso le 23.00 stava per addormentarsi quando sentì l'abbaiare di un cane
provenire dal tratto di terreno davanti casa sua. Sarà uno dei cani dei suoi vicini pensò e cercò nuovamente di addormentarsi ma quel cane continuava ad abbaiare insistentemente, e così seguitò a fare per tutta la notte. Quando al mattino mio nipote si alzò sentì raschiare alla propria porta di casa , aprì e Morbi molto lentamente, senza alcun timore, entrò strofinandogli il muso intorno le gambe. Da quel giorno lui e Morbi sono diventati inseparabili. Praticamente non è stato mio nipote
a trovare Morbi ma quest'ultimo a trovare mio nipote.Dal veterinario che l'ha visitato e vaccinato ha saputo che in quanto a salute stava abbastanza bene, non presentava ferite o lesioni, aveva circa un anno e mezzo ed era un incrocio tra un bassotto e un fox terrier. Non sapendo il suo nome gli aveva appioppato quello di Morbi per quanto era morbido il corpo e per come erano teneri i suoi atteggiamenti.
Ed infatti per tutta la durata della sua opera qui in casa, mio nipote era seguito come un'ombra da Morbi, quasi attaccato alle gambe e veniva guardato a lungo da quegli occhi languidi.
Soltanto quando qualcuno in strada lanciò per due o tre volte dei petardi, in anticipo rispetto alla fine del 2010 e piuttosto rumorosi, Morbi si andò a rifugiare sotto la mia scrivania.
Durante tutta la permanenza in casa, si può dire che Morbi non ha fatto neppure un fiato, pronto sempre a farsi carezzare.
Io amo gli animali, soprattutto i gatti – ne ho avuti in casa quattro dal 1948 – ma ho sempre desiderato avere un cane. Uguali a Morbi anche due.
Come si fa a non innamorarsi di una tale creatura?