martedì 18 dicembre 2012

UN RICORDO DEL DICEMBRE 2007

L’antefatto – La vicenda ebbe i suoi inizi circa quindici giorni prima del giorno di Natale.
Si stava paventando, con mio sommo dispiacere, la discesa in campo di tre eserciti in ordine sparso ed in diverse direzioni quando, con mio sommo piacere, fu deciso all’unanimità che il campo di battaglia doveva essere quello del secondo dei tre eserciti, vale a dire il mio andando per ordine d'età.
Per organizzare l’armamento ed il vettovagliamento, sempre all’unanimità, fu conferito il comando supremo a mia nuora la quale, con piglio deciso, prese in mano sia le redini della situazione sia i marchingegni telefonici. Dopo di che le truppe si misero in movimento.
Ognuno dei tre eserciti si era assunto un compito ben definito perché nulla doveva essere lasciato alla ventura.
Poiché io mi trovavo già sul campo, mio compito era quello di compilare un preciso inventario di quanto in mio possesso ed eventualmente denunziarne la penuria nel più breve tempo possibile al centro di comando.
Cosa che feci immediatamente.
Il luogo – In ossequio alle decisioni prese, il “campo” fu predisposto nella mia dimora adatta all’opera.
I partecipanti – Quindici, dagli oltre i 30 ai circa 80 (anni s’intende), più una prossima ai 20 ed una vicina ai 12 (la somma io non la faccio), così suddivisi: il primo esercito, quello del fratello maggiore, composto di sei membri; il secondo, quello del secondo fratello, ugualmente di sei membri ed il terzo, quello del terzo fratello, di cinque membri.
Un vero peccato l’assenza del quarto esercito guidato dal quarto fratello in missione sul suolo germanico.
L’occasione - Era il pranzo di Natale
Qualcosa però non deve aver funzionato troppo bene perché nel momento della discesa in campo dei tre eserciti abbiamo avuto tutti la netta sensazione, considerata l’enorme quantità di armamenti e vettovaglie da ciascun esercito apportata che, anziché una battaglia noi stavamo per affrontare la guerra dei trent’anni.
Al termine dell’incruenta tenzone (ora d’inizio 14 circa – ora finale 17,30 circa) tutti abbastanza satolli e moderatamente euforici abbiamo dato il là a canti e cori d’esultanza per la vittoria da noi riportata su acciacchi, guai, malinconie e tristezze d’ogni sorta.
Abbiamo sopperito alla mancanza di strumenti musicali con l’impensabile potenza delle nostre corde vocali (e della memoria).
Purtroppo per me, visto che la casa dove abito dal 1969 non aveva mai vissuto una tale felice giornata, verso le 21 ha avuto inizio la ritirata dei due eserciti in missione.
Quello mio, è rimasto in loco.
Nonostante le mie sollecitazioni le truppe in ritirata hanno lasciato sul “campo” vettovaglie in quantità tali da satollare tre persone come minimo per un paio di giorni.
Il fatto - La sera del giorno seguente (26/12) e l’intero giorno successivo numerose telefonate si sono rincorse nell’etere alla ricerca di un BATTILARDO (secondo il nuovo dizionario Zingarelli: tagliere in legno di piccole dimensioni su cui si battono carne, lardo, verdure e ortaggi vari)
L’oggetto era scomparso. Apparteneva a mia nuora (sebbene io ne avessi uno in casa lei ha preferito portarsi da casa il suo). D’altra parte lei era al comando e io sono aduso obbedir tacendo.
Due giorni sono durate le mie affannose ricerche per tutto il “campo di battaglia” e, finalmente, la mattina dopo trovo il “fetente” ben acquattato e celato sotto le mentite spoglie di alcune buste del fornaio.
Con mio enorme sollievo ho subito provveduto a tranquillizzare tutti telefonicamente.
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BUONE FESTE A TUTTI


venerdì 14 dicembre 2012

MI CORRE L'OBBLIGO DI CHIEDERE SCUSA...

...a tutti i medici che dal 1953 - circa sessant'anni fa - si son presi cura di me facendomi arrivare fino all'odierno traguardo e che, se non è chiedere troppo, vorrei superare.
La mia gratitudine è enorme per quello che hanno fatto per tenermi ancora in piedi ma, nonostante ciò, sento la necessità di togliermi qualche sassolino dalla scarpa. Direi che basta togliermelo da una sola non da entrambe.
Ma andiamo al punto.
Non ho voglia di tornare troppo indietro nel tempo, un passato ormai lontano, perciò parlo di quando sono entrato l'ultima volta in ospedale e precisamente il 6 ottobre 2010.
Alcuni episodi l'ho già raccontati ma sto tirando le somme e quindi aggiungo anche quelli alla mia odierna resa dei conti.
Appunto oltre due anni fa si verificò l'ultimo mio ricovero ospedaliero a causa del quarto infarto per cui mi feci due o tre giorni al reparto intensivo ed altri cinque in una camera di cinque letti con relativi ospiti. In quella situazione particolare iniziai ad accorgermi di un tremolio alla manodestra e, pensando si trattasse dell'inizio del morbo di Parkinson chiesi al cardiologo che mi seguiva di cosa si trattava. Questi mi disse che avrebbe fatto venire un neurologo il quale appena mi vide affermò che quello era un tremolio essenziale! Al che, volendo fare lo spiritoso, io dissi 'ma essenziale per chi? Io ne farei volentieri a meno'. Non mi precisò altro.
Iniziarono quindi gli accertamenti di rito, sopportai l'ennesima coronografia e iniziai una nuova terapia che ancora adesso devo osservare.
Per fortuna non si tratta di iniezioni e neppure di supposte – e meno male – ma soltanto di tredici compresse al dì, suddivise per tutto il giono dall'alba alle 23 inoltrate.
Ho dovuto stilare una tabella oraria quotidiana poiché dovevo rammentare, di queste compresse, nome, quantità, mg e orari per doverle ingerire. Già perché sono differenti e potrei commettere errori cioè assumere una compressa che magari avevo già ingerito come purtroppo è già accaduto in non poche occasioni..
Ecco allora la tabella:
= ore 6.00 a.m. la prima compressa che, si badi bene, occorre per salvaguardare le pareti dello stomaco dall'ingerimento delle altre compresse. Mi si passi la prima obiezione: ma se io evito di ingoiare le altre dodici giornaliere ed elimino quella dell'alba, non è forse meglio? No, non si può, così mi hanno ordinato. Andiamo avanti:
= ore 8.00 a.m. quattro compresse delle quali due di minori mg rispetto ad un'altra dallo stesso nome ma di mg doppi per la sera;
= ore 12.00, dopo il pranzo – lo faccio alla stesso orario degli ospedali così per affetto, ormai ci sono abituato – due compresse;
= ore 18.30-19.00, dopo la cena – identico orario degli ospedali come detto sopra – due compresse;
= ore 20.00 tre compresse tra le quali quella identica ma di maggiori mg delle ore 8.00;
= ore 23-23.30 la compressa prima di andare a nanna.
Dato che molte volte – anzi ormai troppe – la memoria mi tradisce si comprende benissimo quindi il fatto che ho dovuto mettere tutto per iscritto onde evitare di ingoiare fischi per fiaschi. Non mi è venuta altra definizione ma ciò che volevo dire credo si comprenda bene. A buon intenditor...

domenica 9 dicembre 2012

DUE AL POSTO DI UNO

A VOLTE MI FERMO...
...ma non perché stia camminando e mi occorra fare una sosta ma la faccio pur stando in casa e concedo uno stop alle mie attività casalinghe: leggere, scribacchiare, vedere film sul pc o TG in TV.
E allora mi ritornano in mente ricordi specialmente quelli di più antica data.
Mi domando, ed ovviamente mi rispondo da solo, ma come ho potuto compiere un certo gesto o mettermi in certe situazioni?
Oppure ricordare alcune piacevolezze giacché anch'io ho potuto vivere momenti che potrei senza dubbio definire favorevoli, positivi, qualcuno anche con rimpianti che in realtà non bisognerebbe averne pur avendo commesso errori che avrei dovuto evitare di fare.
Dentro di me mi dico che sono tutte esperienze utili, direi necessarie perché servono a farti sempre di più apprezzare la vita sia quella passata che quella presente e, per chi può, anche quella futura.
Adesso però mi chiedo ma perché sto facendo tutte queste elucubrazioni? Ad essere sinceri non lo so il perché mentre invece, questo lo so, dovrei starmene quieto e tranquillo anche con la mente, i ricordi, la fantasia e tutto il resto.
Chissà forse sto tirando delle somme e capire, io per primo, che diavolo ho combinato nella mia vita e per la mia vita.
E se mi chiedessi se sono soddisfatto oppure no?
Mi sa che è meglio tornare a qualche mia attività e non pormi ulteriori domande.
Punto e accapo.
ANALISI
"NEL MIO PICCOLO" probabilmente è una piccola frase piuttosto banale, detta e ridetta...
(una voce di dentro: "e allora non la dire")
= sì, forse sarebbe meglio...
( "appunto")
= però non riesco a fare a meno...
( "di cosa?")
= del fatto che questa piccola frase sveli in realtà una volontà ben precisa....
( "quale?)
= quella di voler dimostrare il contrario...
( "sarebbe a dire?")
= quando qualcuno racconta di sé quale persona è oppure quello che fa o ha fatto...
("che succede?")
= cerca sempre di far sapere di essere o di essere stato invece qualcosa di diverso, magari migliore...
("non capisco")
= cerco di spiegare meglio...
( "buona idea")
= è come se ci si volesse autostimare...
( "che c'è di male?")
= c'è perché dovrebbero essere gli altri a dire chi sei e come sei...
("questo non è possibile")
= perché mai?
( "perché solo se stessi possono capire in realtà chi sono e come sono")
= certo, ma devono dirsi la verità e conoscersi a fondo...
( "non lo faranno mai, non ammetteranno mai i propri difetti mentre faranno del tutto per far mostra di qualche pregio")
= mi viene da ridere...
( "che c'è di comico?")
= no è che sto pensando alla piccola frase "NEL MIO PICCOLO" la quale, fisicamente parlando, non solo è adattissima a me data la mia bassa statura ma lo è anche riguardo al mio quoziente d'intelligenza e di cultura...
( "va bene. Piantiamola qui")
= perché?
( "semplice, perché speri così di sentirti sviolinare con le varie frasi che si è soliti usare in questi casi: =ma che sta dicendo... lei è ben altro... lei è qui...lei è là...ecc.=. Posso anche ammettere – e lo faccio – che sono frasi dette sinceramente e spontaneamente, però appaiono come sollecitate da te anche se involontariamente. Cerca di essere te stesso, come sei e non come vorresti essere o apparire che è tutt'altra cosa").


giovedì 6 dicembre 2012

ERA DA UN PO' DI TEMPO...

...che non mi sentivo troppo bene ma non fisicamente e questo mi faceva preoccupare ancora di più.
Sì perchè se uno sente un dolore, un eccessivo dimagrimento o il contrario, oppure qualche organo che non funziona si fa vedere dal proprio medico o si ricovera in un ospedale. Io invece capivo che c'era qualcosa che non andava e non sapevo che cosa. Mi decisi, andai dal mio medico di famiglia, gli descrissi meglio che potevo la situazione e lui,dopo aver ascoltato con molta attenzione, mi disse chiaro e tondo "ti devi far vedere da uno psicologo. Se sei d'accordo c'è una persona che conosco, medico-psicologo, molto bravo, anzi brava perché è una donna, della quale mi fido molto in quanto
altri miei pazienti che sono andati da lei a farsi curare, sono rimasti più che soddisfatti". Accettai il suggerimento, telefonai alla psicologa e presi un appuntamento. Quando arrivai allo studio dovetti stare in attesa per circa mezz'ora, poi la segretaria mi fece entrare e mi presentai. La psicologa che era una signora di una cinquantina d'anni piuttosto attraente, mi fece sedere davanti la sua scrivania - in realtà io pensavo di sdraiarmi su un divano ma nella stanza non ne vedevo – e iniziò a farmi domande su domande. I miei dati anagrafici, la mia infanzia, il mio stato civile, la mia precedente attività lavorativa e di cosa mi occupavo attualmente, oltre naturalmente al mio stato fisico. Poi mi disse
= lei frequenta altre persone al di fuori della famiglia e dei parenti?
= veramente no...
= lei non incontra nessuno quando esce di casa per qualsiasi motivo?
= certo, certo e...
= di cosa parla con loro?
= mah, auguro buongiorno o buonasera...
= e basta?
= beh, qualche volta domando come va la salute, come se la passano...
= e poi?
= ehm... che hanno mangiato e se...
= parla più volentieri con uomini o con donne?
= in realtà non è che faccio una cernita però se...
= vuol dire se sono donne è meglio?
= direi proprio di sì...
= ha fatto mai delle proposte particolari a qualcuna di loro?
= beh, no perchè alla mia età che proposte potrei fare...
= invece no caro signore...
= che vuole dire?
= da quello che ho capito a lei occorre qualcosa di più sostanzioso di una semplice conversazione
= e sarebbe?
= lei è a conoscenza che ci sono delle pillole che aiutano a...
= sì, ne ho sentito parlare...
= bene, allora chieda al suo medico se si può permettere l'uso di questa pillola molto efficace
= e se lui mi assicura che ne posso fare uso?
= non perda tempo e proceda...
= d'accordo, eventualmente procederò senza indugiare oltre. Grazie molte, la saluto e...e...e...
= dica pure...
= sempre eventualmente, se la cosa procede in senso positivo, posso invitarla a cena e al dopocena?


domenica 2 dicembre 2012

IL SUGO DI MAMMA

Questa mattina mi trovavo seduto qui davanti al pc-Pasquale quando ho iniziato ad annusare come un cane da tartufi un profumo di sugo proveniente dalla cucina.
Un ricordo lontanissimo si è subito fatto largo nella mia mente.
Da bambino e fino all'adolescenza se non di più, ma sicuramente finchè sono stato a casa con i miei, quando mia madre preparava il sugo di pomodoro il profumo invadeva tutta l'abitazione. E allora si scatenava in me, come credo anche nei miei fratelli, una voglia matta di prendere un pezzo di pane, intingerlo nel sugo mentre stava sul fornello e divorarlo.
Questo ovviamente all'oscuro di mia madre la quale stigmatizzava tale comportamento in quanto poi trovava il sugo pieno di briciole di pane. Fu allora che capii che non ero il solo ad intingere ma, di nascosto, partecipavano anche gli altri tre fratellini.
Sembrava che avessi studiato un piano a tavolino per compiere la "missione" in segreto.
Sapevo che le giornate dedicate al sugo erano la domenica e i giorni festivi. Al contrario dei miei fratelli io non sono mai stato un gran dormiglione e quindi la mattina di tali giornate io ero già sveglio poco dopo l'alba. Rimanevo a letto in attesa dei rumori che provenivano dalla cucina per capire se il sugo era già in lavorazione oppure c'era ancora da attendere. Ovviamente mia madre non è che si trattenesse in cucina a sorvegliare la cottura del sugo. Aveva altre cose da fare nel resto della casa. Cercavo di cogliere il momento propizio per la mia incursione non curandomi del fatto che prima avrei dovuto fare colazione ma quel profumo di sugo mi attirava troppo. Era come se volesse attrarre la mia attenzione e dirmi: 'guarda che sono quasi pronto, puoi assaggiarmi, vieni'.
A piedi scalzi, cercando di evitare ogni più piccolo rumore dalla camera dove io e i miei fratelli dormivamo – loro sì io poco – mi dirigevo in cucina che era a pochi metri di distanza.
Una domenica mattina però accadde qualcosa che non m'aspettavo.
Come per le precedenti domeniche io ero già sveglio quando sentii mia madre uscire dalla camera da letto e, ormai per me era diventato come un vizio, mi misi in stato di allerta. Sapevo a memoria tutti i suoi movimenti e,circa una quarantina di minuti dopo, iniziai a sentire i primi odori gradevoli del sugo. Attesi ancora qualche minuto poi, sempre a piedi nudi malgrado fosse inverno e la casa quasi al buio, arrivai in cucina dove vidi il gas acceso con sopra il tegame del sugo. Mi allungai fino allo sportello centrale del piano superiore della credenza dove si riponeva il pane, ma mi accorsi che era chiuso. E la chiave? Forse era stato cambiato il posto del pane? Dovevo accertarmene e, per farlo, stavo per avvicinarmi all'interruttore della luce per accenderla ma non ce ne fu bisogno. Ci pensò mia madre che, in piedi vicino alla porta della cucina, mi guardava con un lieve sorriso di trionfo.
Con fare ironico mi mostrò un pezzo di sfilatino che aveva in mano e mi disse 'cercavi questo?'
Evidentemente nostra madre si era stancata del fatto che qualcuno dei suoi figli seguitasse ad "intingere" malgrado i suoi continui rimproveri e aveva voluto porvi fine.
La sua trappola aveva funzionato e mi aveva beccato con le mani nella marmellata...anzi nel sugo.

giovedì 22 novembre 2012

LIVIA CHE ASCOLTA LA TRAVIATA

Trascorsi tanti anni non sono mai riuscito a comprenderne il perché.
Dopo la nascita del nostro secondo figlio, maschio anche lui, mia moglie si trasformò totalmente, come se fosse diventata un'altra. Ci eravamo sposati da circa dodici anni, dopo cinque di fidanzamento, e avevamo vissuto quei periodi molto felicemente. Dopo tre anni dal giorno del matrimonio nacque il primo figlio, seguì il secondo dopo cinque anni, accolti entrambi con incontenibile gioia. Avevo conosciuto Livia, mia moglie, appena ventenne quando io ne avevo cinque più di lei, perché amica di una mia collega di lavoro. Posso dire con certezza che ci innamorammo a prima vista. Lei appena dopo i primi giorni di reciproca conoscenza volle mettermi al corrente del suo breve passato. Era orfana e quando nacque venne abbandonata dalla madre nella ruota di un convento a Trastevere, un Rione di Roma. Non aveva quindi fratelli o sorelle e naturalmente neppure un padre nè parenti. Era stata allevata in quel convento, poi trasferita in un orfanotrofio dal quale uscì all'età di sedici anni. Riuscì a diplomarsi a diciotto anni dopo aver frequentato una scuola serale perché durante il giorno doveva lavorare come cassiera in un bar. Tramite una inserzione su di un giornale entrò a lavorare presso uno studio di commercialisti dal quale si dimise dopo la nascita del nostro primo figlio. Il mio lavoto di gemetra-assistente edile presso un'impresa di costruzioni mi costringeva a stare lontano da casa dal mattino alle sette fino alla sera verso le diciotto, diciotto e trenta. Livia si occupava sia dei figli che della casa fin troppo bene ed anche per me aveva mille attenzioni. Insomma sembrava proprio che niente potesse venire a turbare la nostra vita. Ma non andò così perchè un giorno, improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno accadde un fatto insolito. In realtà un paio di giorni prima quando rientravo a casa la trovavo semisdraiata su di un divano con lo stereo acceso e un mio vecchio disco in vinile contenente alcune delle più famose romanze dell'opera La Traviata di Giuseppe Verdi. Lei da una breve distanza guardava i nostri due figli, il più grande intento a fare i compiti e il più piccolo con i suoi giocattoli. Si alzava appena entravo e mi chiedeva cosa mi sarebbe piaciuto per cena. Il terzo o quarto giorno però la trovai alzata dal divano, con lo stereo acceso e il disco con le musiche della Traviata in funzione a volume troppo alto. Lo abbassai e, vedendola vestita con tanto di soprabito, le chiesi se doveva uscire per qualche acquisto e le dissi che sarei potuto andarci io ma lei rifiutò, mi carezzò e mi disse che ci avrebbe pensato lei. Mi disse anche che la cena era pronta e che lei avrebbe cenato al rientro. Rimasi un po' stupito da questo insolito comportamento ma non le chiesi altro. Verso le venti feci cenare i bambini, li misi a dormire e mi misi in attesa. Rientrò che erano circa le ventidue senza nulla in mano che denotasse un qualsiasi acquisto. Mi disse che era andata a fare una passeggiata. Le chiesi se era stata da qualche amica ma mi rispose che qualche volta, di pomeriggio, ci aveva provato ma quelle poche amiche che conosceva parlavano di mariti,di amiche che avevano amanti, insomma di pettegolezzi il che la disturbava molto e finì per non andarci più.
Dopo cinque giorni che aveva ripetuto questo comportamento presi una decisione. Non avendo genitori né fratelli perchè figlio unico, soltanto parenti che abitavano lontano, parlai con una vicina di casa non più giovane ma molto gentile, la misi al corrente di quella situazione e le chiesi se la sera seguente poco prima delle 18.30, qualche attimo dopo la solita uscita di casa di mia moglie, lei, la vicina, poteva farmi il favore di badare ai miei figli in modo da poter seguire Livia e rendermi conto di ciò che andava combinando fuori casa. La signora si prestò molto gentilmente ed io, la sera dopo, feci appena in tempo a scorgere Livia da lontano ed a seguirla cercando di non farmi vedere. Lei camminava a passo sicuro, non si fermò mai né a sostare davanti qualche vetrina, né entrò in un cinema od in qualsiasi altro posto e neppure si fermò a parlare con altre persone. Girò a vuoto per ore ed ore. Ripetei questa operazione per altre tre sere poi, non potendo approfittare oltre della gentilezza della mia vicina rinunciai a seguire Livia. Passarono un paio di giorni durante i quali Livia, mia moglie, non fece rientro a casa. La sera del terzo giorno presi una sua foto piuttosto recente, andai al vicino commissariato di zona e sporsi la denuncia della sua scomparsa I giorni passavano ma non ricevevo notizie finché un giovedì pomeriggio mi chiamò il commissario di P.S. dicendomi che dovevo passare in commissariato. Mi misero al corrente di quanto accaduto, mi accompagnarono alla camera mortuaria per il riconoscimento di un corpo di donna che era stato ritrovato nel Tevere, il fiume di Roma e, più precisamente, ad uno dei lati dell'Isola Tiberina. Non ci volle molto per riconoscere la mia Livia distesa su di un lettino. Chiesi spiegazioni e mi misero al corrente sia dei risultati delle indagini effettuate sia di quelli dell'autopsia. Non avevano trovato tracce di alcool o di droga, si era suicidata gettandosi nel fiume.
Un colpo tremendo per me che non sono riuscito più ad assorbire. Feci passare un bel po' di tempo prima di dire ai nostri figli che la loro mamma non sarebbe più tornata ad ascoltare La Traviata.

lunedì 19 novembre 2012

IO CE L'HO CON GIOVE PLUVIO

Vorrei spiegare il perché se ci riesco.
Ho letto da qualche parte, non ricordo dove, che lui è il dio dell’acqua, del fiume, del mare e della pioggia dalla quale derivano appunto il suo nome Giove e il suo cognome Pluvio.
Il mio disaccordo con lui nasce dal fatto che non rispetta mai le previsioni meteo dei mass-media che sono fatte sia sulla carta stampata, sia in TV ed anche sul pc. Questo significa mancare di rispetto a chi si prodiga per fornire notizie certe o quasi ai cittadini. E che diamine, un po’ di serietà perbacco. Quando è previsto bel tempo così ha da essere. Anche per il contrario, naturalmente.
Io abito a Roma, vicino le coste tirreniche – circa 25-30 km – e quando desidero conoscere cosa prevede il tempo per l’odierna giornata o per l’indomani m’informo leggendo o vedendo TV e pc.
Più di una volta mi è capitato di sapere che per il giorno successivo, nell’Italia centrale, quindi comprese le famose coste tirreniche, il tempo previsto variava dal parzialmente al molto nuvoloso, da leggera pioggia a temporale, dal maremoto allo tsunami per arrivare al diluvio universale. Unica assente giustificata la nebbia in Val Padana. Lo ribadisco, la colpa non è dei meteorologi. Affermo convinto che Giove Pluvio l’ha con me, giacché qui non si tratta della nuvoletta fantozziana, c’è ben altro. Per quello che ricordo fin dalla più mia tenera età lui è stato molto dispettoso. A riprova di ciò basta citare soltanto alcuni esempi.
Quando piove a dirotto, io non esco da casa. Ovviamente lo posso fare dato che lo “stipendio” mi arriva dall’INPS il quale mi restituisce i contributi da me versati durante la mia vita lavorativa.
Con la pioggerellina provo ad uscire, lo faccio portandomi regolarmente l’ombrello, ma fatti pochi passi Giove Pluvio decide di allontanarsi portandosi appresso la nuvolaglia. Continuo a camminare con l’inutile ombrello che mi penzola dalle braccia mentre nel cielo lindo splende un sole africano.
Non sto qui a contare le numerosissime volte che questo è accaduto. A Roma e non solo circola una specie di motto: “cielo a pecorelle, acqua a catinelle”. Allora guardo il cielo, lo vedo a pecorelle e mi aspetto il seguito, ma sembra che nel Rione dove io circolo le pecorelle si siano allontanate per andare a cercare qualcosa in altri rioni o quartieri di questa città. Succede infatti che mentre dalle mie parti non piove, a qualche chilometro di distanza le catinelle decidono di liberarsi dell’acqua in esse contenuta e la scaricano giù in terra. Qualche mese fa, sono dovuto uscire da casa per un impegno improrogabile. Le previsioni della sera prima avvisavano pioggia in arrivo e bassa temperatura. Verso la 11.00 a.m. di pioggia neppure l’ombra e assenza della stessa giacché mi trovavo all’aperto in una zona senza alcun riparo di qualsiasi genere e con un bel sole primaverile. Naturalmente più trascorreva il tempo e più mi toglievo indumenti di dosso.
Ma quello che mi è capitato l'altro giorno ha dell’incredibile. Dalla sera prima un furioso temporale aveva allagato tutti i rioni e i quartieri dell’intera città incluso il circondario agricolo. Vento, trombe d’aria, lampi, saette, tuoni come cannonate, caduta d’alberi, insomma Giove Pluvio stava proprio incavolato nero. Fatti suoi, ma purtroppo anche nostri. Tutto ciò fino alle 9.00 a.m del giorno dopo. Pian pianino l’infuriare si stava placando ed era rimasta soltanto una pioggerella tipo quelle d’aprile mentre invece siamo a novembre. Aspetto ancora un po’, mentre guardo dalla finestra mi viene in mente una canzoncina del secolo scorso “le gocce cadono ma che fa se ci bagniamo un po’” per quanto le medesime sono piccole e quindi decido di uscire con tanto d’ombrello per sicurezza. Scendo appena due rampe di scale, sorpasso l’androne, apro l’ombrello ed esco dal portone e neanche una microscopica goccia d’acqua cade più. Avanti e indietro camminano passanti, ombrelli debitamente chiusi io, invece, con l’ombrello che non intende richiudersi – si tratta di uno di quelli corti a scatto e sfido chiunque a riuscirci – m’incammino verso non ricordo più dove giacché ad ogni passo alzo gli occhi e impreco contro Giove Pluvio e la sua combriccola.

giovedì 15 novembre 2012

DAVANTI AD UNA PAGINA BIANCA

Anche se non è di carta ma è quella dello schermo del mio pc-Pasquale la situazione non cambia.
Il fatto è che m'ero svegliato questa mattina alle 6 in punto con qualche ideuccia nella testa, poi col trascorrere dei secondi, dei minuti e delle ore tutto svanito nel nulla.
Ed è inutile che mi sprema le meningi, che faccia riti propiziatori o che mi metta a pregare Iddio, Allah, Budda o altri loro pari, il risultato è zero.
Che faccio dunque?
Eccola la soluzione del problema, il lampo di genio degno di un perfetto rimbecillito.
Mi scrivo una lettera!

Ciao Aldo, vorrei farti presente con queste poche righe che quello che c'è stato tra noi, molto poco in verità, sarebbe meglio metterlo nel dimenticatoio anche perché sono trascorsi più di quarant'anni da quel pomeriggio che passammo insieme passeggiando e baciandoci in cima alla ruota di quel Luna Park il cui proprietario, visto che eravamo solo noi due , fermò lassù in alto per una buona mezz'ora.
Lo so che lo facemmo con trasporto e ce ne accorgemmo entrambi che in quei pochi minuti eravamo estasiati da quella situazione ma, purtroppo, da esseri umani ragionevoli, ci siamo resi conto col passare dei giorni, che non potevamo andare oltre quei baci così appassionati.
Inoltre eravamo entrambi convinti che non potevamo mai avere una relazione per tanti, troppi motivi.
Ti chiederai allora perché mai mi faccio viva dopo tutto questo tempo. C'è una ragione. Da nonna quale sono diventata, come credo lo sia anche tu, questo episodio della mia vita improvvisamente si è rifatto vivo e per di più piacevolmente.
Però ti prego, anche se tu sarai di parere contrario, non prendere sul serio questa mia lettera,anzi
leggila e distruggila.
Non cercarmi, anche se abito sempre dove tu sai, sarebbe una mossa sbagliata.
Contentiamoci entrambi del pensiero se e quando dovesse riaffacciarsi.
I miei figli e mio marito che hai conosciuto stanno bene come credo e spero anche tuo figlio e tua moglie.
Non ti saluto come tanti anni fa e non mi firmo tanto tu lo sai chi sono.

Ho letto e riletto e, a pensarci bene, non potevo scrivermi una lettera diversa e più piacevole al contrario di questa così amara? Chi me lo avrebbe impedito?
Invece ho preferito scrivermi la verità.
È inutile, sono sempre il solito e d'altra parte a questa età che vuoi cambiare.

lunedì 12 novembre 2012

TRE SALSICCE CHE NON RICORDO DI AVER DIGERITO

Ed ecco il perché.
Probabilmente avrò già scarabocchiato qualcosa riguardo questo ricordo ma da ieri mi è tornato prepotentemente nella capoccia per cui me ne devo liberare prima possibile e quindi lo faccio.
Era un sabato del mese di giugno del 1975. io non avevo compiuto ancora 45 anni e, di ritorno a casa con mia moglie – eravamo andati al cinema non rammento per quale film – mi accorgo che stavo per perdermi il telegiornale serale che all'epoca cercavo di vedere sempre. Adesso non me ne può fregare di meno.
Anziché sedere a tavola per cenare, riconosco di essere stato maleducato, chiesi a mia moglie se per favore poteva darmi un piatto con tre salsicce al sugo e un mezzo panino che mi divorai davanti al televisore. Mangiavo, vedevo il TG e ascoltavo quello che veniva detto dai vari giornalisti e dagli intervistati di turno.
Terminato di mangiare mi sdraiai sul divano di fronte al televisore per vedere un programma qualsiasi ma dopo neppure un'ora iniziai a percepire strani dolori al braccio sinistro e al torace. Chiamai mia moglie, la informai su quello che stavo provando e le chiesi di accompagnarmi in camera da letto perché il dolore stava aumentando di minuto in minuto. Telefonai al 118, cercai di spiegare quello che stava succedendo e la guardia medica che era di servizio mi disse di non muovermi assolutamente, di fare soltanto alcuni movimenti - non ricordo bene quali fossero - e mi disse che sarebbe arrivato subito per portarmi al vicino ospedale. Chiamai telefonicamente anche mio figlio, allora sedicenne, e lo informai dell'accaduto.
Lui, che quella sera stava studiando in casa di un amico, arrivò appensa in tempo per vedermi nel mentre mi infilavano nell'ambulanza steso su una barella portata da due infermieri. Il medico a bordo mi dette un'occhiata, mi chiese come stavano le cose e quindi disse all'autista di andare subito al Pronto Soccorso. Lì giunti un medico mi visitò all'istante.
Per pura combinazione quella sera era di turno un cardiologo che tra l'altro era a capo dell'equipe del reparto in cui venni in seguito ricoverato. In attesa del primo letto disponibile mi misero in uno provvisorio, se non sbaglio mi venne fatta un'iniezione e mi venne somministrata qualche pillola . Avevano fatto entrare mia moglie e mio figlio che io vidi appena poiché credo di aver perso conoscenza. Soltanto dopo tre giorni, verso mezzanotte, riuscii a svegliarmi, circondato da medici e da paramedici i quali mi scuotevano domandandomi come stavo. Certo bene non proprio ma comunque ero vivo. Dopo circa un'ora permisero a mio figlio di entrare – era stato sempre nel corridoio fuori al reparto. Lì ci rimasi trenta giorni esatti sempre senza potermi alzare dal letto – ordine dei medici – e ricevendo una terapia a base di flebo e delizie del genere.
In seguito mia moglie mi raccontò che il cardiologo che mi aveva visitato al pronto soccorso le
aveva chiesto di quale lavoro mi occupavo e quando lei rispose che facevo l'impiegato privato in uno studio notarile lui disse "adesso capisco perché gli è venuto un infarto al miocardio". Mah! Che avrà voluto dire non lo so. Comunque quello fu il primo dei quattro infarti che sono venuti a farmi visita fino all'ultimo che risale al 4 ottobre 2010.
Tornando al titolo di questo scritto mi sono chiesto e continuo a chiedermi se quella sera avevo fatto in tempo a digerire quelle tre salsicce al sugo.

lunedì 5 novembre 2012

LISA DAGLI OCCHI BLU

Era ed è il titolo di una vecchia canzonetta degli anni 70 che a quell'epoca era molto in voga sia alla radio che in TV.
Il titolo di questa canzone fece tornare in mente a Piero un ricordo di molti anni prima.
Lui ne aveva circa 52 di anni e, durante un lontano mese di luglio, gli capitò un'occasione che non poteva lasciarsii sfuggire.
Il marito di una sua nipote aveva parcheggiato una roulotte di sua proprietà in un campeggio un poco prima di Grosseto, molto vicino ad una bella spiaggia del Mar Tirreno. Il nipote acquisito ci andava con sua moglie tutti gli anni per trascorrervi l'intera estate e, quando il tempo lo permetteva, i fine settimana dei periodi autunno-invernali. Quel lontano mese di luglio però avevano deciso di visitare la Francia e quindi chiesero a Piero se voleva andarci lui a trascorrervi un periodo di villeggiatura cosa che non faceva da anni. Accettò di buon grado dato che, per vari motivi, sarebbe rimasto solo a Roma per quasi tutta l'estate.
La roulotte, attrezzatisima all'interno, aveva sul davanti una sorta di veranda di tela-mare che si poteva aprire e chiudere comodamente con l'ausilio di una lunga chiusura lampo. Davanti una piccola aiuola e, ai bordi di questa, due basse siepi di mortella, a destra e a sinistra che la distanziavano dalle roulotte confinanti. Per l'accesso a tutte le roulotte si percorreva una stradina non asfaltata che serviva per la circolazione di soli pedoni e che collegava i vari servizi del campeggio,piscina, bar-tavola calda con rivendita di giornali, ampio locale bagni e docce comuni.
I vicini di roulotte di Piero erano a sinistra una coppia di turisti tedeschi piuttosto anziani e a destra una giovane donna di età tra i 35 e i 40 anni che si comportava in un modo abbastanza singolare. La sera verso le venti si dileguava, forse in giro per il campeggio, e si ritirava molto ma molto tardi. Piero invece quando c'era qualcosa di interessante, si metteva dentro la veranda chiusa, sdraiato comodamente per vedere qualcosa su una piccola televisione portatile in bianco e nero, oppure a letto a leggere un libro. La mattina si alzava presto, faceva colazione in roulotte, andava ad acquistare un quotidiano e poi si metteva comodo in una sedia a sdraio nell'aiuola antistante e si dava alla lettura. Non andava al mare ma qualche volta si recava alla piscina del campeggio per dare solo un'occhiata in giro poiché non aveva mai saputo nuotare.
Una mattina, mancavano una decina di giorni alla fine della sua permanenza nel campeggio, erano appena le sette quando, contrariamente al solito, vide la sua giovane vicina che, su una sedia a sdraio, guardava verso il cielo e fumava una sigaretta. Si salutarono così come avevano fatto nei giorni precedenti ma in un orario molto diverso e scambiarono quattro chiacchiere anche stando seduti. Incuriosito molto Piero educatamente le chiese se andava tutto bene e lei rispose che aveva trascorso la notte in bianco senza riuscire a dormire. Le chiese inoltre se aveva fatto colazione e
poiché gli rispose che non l'aveva ancora fatta, le disse se gradiva prendere un cappuccino che le avrebbe preparato e lei accettò dicendo che sarebbe venuta a prepararselo. E così fece. Durante la colazione gli raccontò alcune cose sue personali e che non era sposata ma conviveva con un suo collega di lavoro a Firenze, sua città natale e di residenza. Conversando così piacevolmente non si accorsero che si stava avvicinando quasi l'ora di pranzo e Piero si chiese come erano volate quelle ore senza che entrambi se ne fossero accorti. Decisero di andare insieme al bar-tavola calda, poi mangiarono qualcosa, non molto per la verità, e neppure bevvero alcoolici essendo entrambi astemi.
Nel rientrare alla roulotte lei gli disse che la sua di roulotte l'aveva lasciata completamente sottosopra e gli chiese se poteva riposarsi lì da lui. Piero le rispose che non c'erano problemi. Si presero un caffé che funzionò come una droga dato che scambiandosi soltanto uno sguardo il programma non andò come s'era detto e... non riposarono. Per il restante periodo del loro soggiorno in quel campeggio, altre quattro o cinque volte...non riposarono.
Ciò che Piero ricordava benissimo di lei erano le sue labbra piene, con il labbro superiore che era arcuato perfettamente. Altro non gli era rimasto impresso nella memoria almeno così gli sembrava.
Il nome della giovane donna era Lisa ma...non aveva gli occhi blu.

sabato 27 ottobre 2012

MI SA CHE CI SIAMO

Proprio così.
Sono arrivato a questa convinzione tre giorni fa quando ho incontrato un conoscente quasi mio coetaneo in quanto io recentemente sono entrato negli 83 e lui ne è appena uscito. Naturalmente sto parlando di anni.
Non ricordo più da quanto tempo incontro questo mio conoscente ma dev'essere da molto. Per dirla tutta fino a sei o sette anni fa lo incontravo quasi tutte le mattine perchè accompagnava ad una sezione della scuola vicino casa mia un suo nipote down.
Dopo di allora l'ho incontrato saltuariamente e sempre da solo ma non nei pressi di quella scuola. Per discrezione non gli ho mai chiesto dove fosse il nipote.
Quelle volte che ci incrociamo per strada mi hanno permesso di sapere che abita in un fabbricato di una via laterale che fa angolo con quella dove abito io.
Ci salutiamo con un semplice "ciao" e proseguiamo per le nostre rispettive destinazioni.
Fino ad oggi.
Questa mattina l'ho incontrato sotto uno dei portici di Piazza Vittorio che trascinava un carrello per la spesa. Probabilmente doveva recarsi al mercato coperto dal quale provenivo io.
Invece di dirmi solo "ciao", come al solito, mi ferma e mi dice
= hai capito te? Pensa che er portiere ha chiesto un aumento de la paga ma mica de dieci o de venti euri al mese, noooo, ne vo' settanta. Ma te pare giusto?
Certamente mi ha preso alla sprovvista ma lì per lì sono rimasto come un baccalà perché non riuscivo a capire di quale portiere parlasse. Da me sono quasi venti anni che non esiste più il servizio di portineria e così pure nel suo e in tutti i fabbricati della zona poichè ci si serve dei citofoni. Così ho preso subito la decisione di non metterlo in difficoltà e di dimostrargli tutta la mia comprensione:
= certo che anche a me sembra una richiesta esagerata...
= e te credo. Pe' mme l'artri der condominio possono da decide quello che je pare ma io nun caccio 'na lira
Stavo per ricordargli che le lire non ci sono più e che anche nel suo fabbricato è stata eliminata la portineria ma ho lasciato perdere
= che venghi dar mercato te?
= sì, come vedi ho comprato qualcosa...
= ahò, hai visto come so' aumentati li prezzi de la robba?
= altroché me ne sono accorto benissimo...
= bé mo' vado sinnò faccio tardi, ciao, te saluto
= ti saluto anch'io, ciao.
Nel fare ritorno a casa ho fatto un'amara riflessione: se tanto mi dà tanto e cioé se come età io e il mio conoscente siamo quasi coetanei vuol dire che lui si è rimbambito prima di me e io ci sto arrivando.
Sì, sì, proprio così, mi sa che ci siamo.

mercoledì 24 ottobre 2012

INTERCETTAZIONI

L'altro ieri mentre ero in cucina sento squillare il telefono che si trova poggiato su di un mobiletto all'ingresso di casa. Velocemente mi avvicino, alzo la cornetta, chiedo chi parla ma il telefono è muto: nessun segnale e nessuna parola. Non sarà piaciuta la mia voce.
Vado in camera mia, mi siedo alla scrivania davanti a Pasquale-pc e, in quello stesso momento, squilla nuovamente il telefono. Non mi alzo, prendo il senzacorda -cordless- gentilmente donatomi da mio figlio in occasione di un mio compleanno che io come al solito non so usare e, appena sto per aprire bocca sento
= ciao amore
= ciao cara, ma che bella sorpresa
= ti ho telefonato prima che tu uscissi per andare al lavoro
= hai fatto benissimo
= tua moglie?
= ancora dorme, non preoccuparti. Invece dimmi: tuo marito?
= è già uscito, doveva accompagnare nostro figlio a scuola
= ho capito. E tu cosa stai facendo?
= sono a letto
= come mai?
= penso
= a cosa?
= a noi due amore
= anch'io ti penso amore mio
= mi piace quando mi dici così
= lo so amore. Quando credi ci si possa rivedere?
= anche adesso se vuoi
= per volerlo lo voglio però mi aspettano in ufficio
= non potresti fare un ritardino amore?
= lo farei volentieri, ma già per venire da te ci vuole una buona mezz'ora, poi...
= amore almeno un'orettina devi stare qui con me...
= appunto. Quindi come vedi tra venire da te, fermarmi per un'ora poi il tragitto fino all'ufficio...
= avanti amore, non te ne pentirai, sarò interamente tua
= mi stai tentando amore. Quasi quasi telefono in ufficio e avverto che ritardo...
*******
Ahò, aaa amori belli, vedete de sbrigavve che a me me serve er telefono. Libbero possibirmente.




sabato 20 ottobre 2012

NOI SIAMO I GIOVANI...

...è il titolo di una canzonetta di tanto tempo fa che conteneva queste parole "Noi siamo i giovani, i giovani più giovani..." etc, etc. Più recentemente una con lo stesso titolo è stata riproposta da una band ma non so se identica alla prima oppure no.
È da un po' di tempo che mi tornano in mente vecchie canzonette e non riesco a capirne il perché. Ad ogni modo qualche giorno fa per un paio di episodi ne ho canticchiato il ritornello.
Conosco da oltre venti anni due coniugi novantenni che abitano poco distante da casa mia. Con il marito ci vediamo almeno una volta la settimana mentre la moglie da un paio d'anni ha perso un pochino la "bussola" e quindi non esce più.
Anche lui non scherza in quanto a problemi fisici però si fa forza e ci tiene a continuare a farsi una passeggiatina nei dintorni,ad incontrarmi per sfogarsi un po', a fare lui la spesa al supermercato e ad attendere alle facende casalinghe. Malgrado tutto è ancora in gamba.
La moglie non vuole nessuno in casa, niente assistenti e neppure visite di amiche o parenti tranne, quando possono, quelle dei suoi due figli maschi ormai ultra ciquantenni.
Circa sei o sette anni frequentava questi coniugi una loro coetanea, per l'appunto anch'essa di 90 anni, nubile, fidanzatasi solo quando era adolescente, la quale è comproprietaria di un appartamento sempre in zona e ci vive da sola.
Anche a lei è stato precluso l'accesso per una visita a casa dei due coniugi novantenni per volere della suddetta moglie.
Un paio di anni fa mi è stata presentata la nubile novantenne la quale mi ha chiesto se potevo aiutarla nel controllare la sua bolletta dell'energia elettrica per lei alquanto salata e non ne capiva il perché dal momento che ne fa un uso molto parsimonioso.. Dietro sua richiesta sono andato a casa sua, ho controllato il contatore e le bollette precedenti e le ho fatto notare che la società fornitrice era nel giusto in quanto lei non pagava quasi nulla da tanto tempo, quindi si trattava soltanto di un conguaglio.
La incontro molto spesso e lei,una piccola signora,capelli bianchi e occhiali da vista, è una persona
cordialissima, notevolmente loquace, molto simpatica e mi saluta sempre amichevolmente. Altrettanto faccio io.
Questa mattina esco dal supermercato,giro l'angolo e mi avvio verso la strada che conduce alla mia vicina abitazione.
Arrivo al semaforo che segna il color arancione un attimo prima di quello rosso di stop, mi fermo per attendere il verde quando, dal marciapiede opposto, scende di corsa per attraversare sulle strisce una persona. Chi è? La nubile novantenne la quale traversa, ancora di corsa,come una donna
di non più di quarant'anni.
Appena mi si avvicina, anche col fiatone, si mette a ridere ed io con lei.
L' altro brevissimo episodio è di due giorni fa. Dovevo gettare uno scontrino ed un fazzoletto di carta nell'apposito contenitore di metallo. Ne vedo uno a pochi passi, mi avvicino e mentre sto gettando quello che ho in mano si avvicina un passante all'incirca della mia età, capelli bianchi e andatura claudicante, anche lui con un pezzo di carta in mano da gettare il quale mi dice a voce alta "noi lo facciamo questo gesto ma noto che molti altri soprattutto giovani preferiscono gettare i rifiuti in terra. In che mondo viviamo..." e si allontana scuotendo la testa.
Peccato, perché avrei voluto dirgli "ma noi ci siamo mai chiesti come ci comportavamo alla loro età? Non siamo mica nati già vecchi."

giovedì 18 ottobre 2012

A VOLTE IO SONO UN PO' STRAROMPI

Ai bordi del vialetto interno del Parco di Piazza Vittorio sono state installate di recente alcune panchine con i bordi laterali di metallo fino a terra mentre il piano seduta e l'alzata sono a barre di un legno particolare molto robusto.
Su una panchina a destra del vialetto noto quattro ragazzi, credo di età tra i 16 e i 18 anni, alti, magri, capelli biondi e zainetto dietro le spalle. Molto probabilmente turisti.
Anziché seduti sul piano si trovano in cima all'alzata con i piedi calzati da scarpe sportive che poggiano sul suddetto piano seduta.
Mi fermo, li guardo, loro sorridono scambiandosi gli sguardi.
Gli domando
= siete italiani?
Loro si guardano in faccia, ridono e scuotono la testa...
= tedeschi – deutschen?
Continuano a ridere scuotendo ancora la testa...
= francesi – fraìncaise?
Ridono ancora più forte e dicono sempre no stavolta pure con le mani e allora, cercando di fare il muso duro più possibile, gesticolando gli chiedo
= e insomma che c^^^o siete?
Evidentemente questa volta hanno compreso e rispondono senza più ridere...
= svenskar...
Mi sembra di capire che si dichiarano svedesi forse capiranno l'inglese e gli ordino...
= sit hear...(aggiungo un segno inequivocabile della mano sbattendola sul piano seduta della panchina).
Scendono da dove stavano appollaiati e se ne vanno piuttosto celermente, rabbuiati in viso, senza voltarsi.
Sono certo che mi avranno creduto un guardiano del parco.
Da parte mia io non so dove ho trovato l'ardire ma...quanno ce vo', ce vo'.
*******
NOTA BENE: le parole in lingua straniera le ho ricavate da Google traduttore.



venerdì 12 ottobre 2012

SE POTESSI AVERE...

Una banconota da 1.000 lire che io, tredicenne, vidi per la prima volta nel 1943 era così grande che, forse esagero un po', mi pareva un lenzuolo magari da culla per neonati. Naturalmente io la vedevo, come si usa dire, "da lontano" nel senso che non l'avevo nelle mie mani ma era custodita gelosamente nel primo cassetto del comò nella camera da letto dei miei genitori. Quando venimmo "liberati" dagli angloamericani circolavano invece le AMLIRE. Un biglietto da 100 era rettangolare, valeva quanto un dollaro americano e aveva le stesse misure.
In quei primi anni quaranta era molto in voga una canzonetta il cui ritornello diceva pressappoco"Se potessi avere mille lire al mese senza esagerare, sarei certo di trovare tutta la felicità...". Già perché con quella cifra ognuno poteva considerarsi veramente felice e contento.
Cerco di fare un paragone con quello che ha dichiarato al riguardo un assessore della Regione Lombardia il quale ha affermato che "con 8.000 (ottomila) euro al mese" lui non riesce a campare cercando di giusticarsi per sostenere quanto andava dicendo.
Certamente a distanza di settanta anni il costo della vita è aumentato ma non fino a questo punto, vero incontentabile assessore?
Ho provato a sognare di avere io 8.000 euro ogni mese e mi sono accorto che sono tanti e che non riuscirei mai a spenderli tutti. E' vero potrei cambiare la vecchia lavatrice che sta esalando gli ulimi respiri, come pure la vecchia macchina del gas e altri ruderi che ho in casa ma si tratterebbe di spese una tantum e quindi?
Vedi assessore lombardo, perché non provi a campare con un ottavo di quello che percepisci come riesco a farlo a stento io? Sai benissimo che ce sono altri che percepiscono anche meno di 1.000 euro al mese e quindi sarebbe meglio che te lo chiedessi tu come fanno a campare così come altrettanto faccio io.
I tempi sono cambiati e allora canticchio anch'io aggiornando la canzonetta di cui sopra "Se potessi averne ottomila al mese..." - di euro naturalmente - oltre trovare la serenità farei felice me ed anche altri che conosco.

martedì 9 ottobre 2012

ALDOO, ALDOOO, ALDOOOOO...

L'altra mattina in giro per i dintorni di dove abito.
Passeggio lentamente sul marciapiede destro della strada che mi permette di arrivare vicino al parco di Piazza Vittorio dove solitamente mi siedo su una delle panchine ivi esistenti.
In questa strada ci sono i binari per i tram che transitano da quelle parti in un senso per arrivare alla Stazione Termini e in quello contrario per due o tre periferie di Roma piuttosto lontane.
Devo attraversare dove ci sono strisce pedonali e semaforo e vedo un tram in direzione di Termini fermo perché il semaforo segnala il rosso e quindi lo stop.
Improvvisamente sento gridare più volte il mio nome e allora, per comprendere chi mi chiama o per sapere se chiamano un altro Aldo il che è possibile, mi volto indietro, poi guardo avanti, a destra, a sinistra ed in alto ma non riesco a capire. Dal finestrino di quel tram fermo proviene una voce femminile di una persona che si sporge, agita una mano e, rivolgendosi a me che sono nei pressi..
= Aldo ciao, come stai? Scendo alla prossima fermata così ci salutiamo bene...
Mentre al segnale verde del semaforo il tram riparte io cerco di fare mente locale e chiedere a me stesso se riesco a ricordarmi di chi si tratta.
Ad una cinquantina di metri dalla fermata del tram vedo scendere abbastanza celermente una signora, discretamente vestita, capelli corti di colore grigio, corporatura rotondetta.
Mi viene incontro con un sorriso smagliante sul volto facendo gesti abbastanza eloquenti come per dire che non poteva credere di avermi incontrato.
Avvicinatasi ancora di più l'ho riconosciuta.
Una ventina di anni prima ci eravamo frequentati abbastanza spesso in quanto abitavamo a poca distanza l'uno dall'altra.
Ecco chi è questa signora, ma certo è Teresa la quale, malgrado i suoi 70 anni o poco più, per quel che ricordo, mi sembra più vispa di prima, proprio come si legge nei versi della poesia di Luigi Sailer e come, da quel finestrino del tram, poco fa tutta giuliva gridava a distesa...il mio nome.
Ci siamo abbracciati e abbiamo ricordato insieme molti di quei momenti di quando avevamo venti anni di meno.
Purtroppo, ecco la nota dolente, abbiamo parlato anche dei nostri rispettivi acciacchi ma tant'è, non è solo dolce la vita.


















giovedì 4 ottobre 2012

ANCH'IO SONO STATO BAMBINO

Per quello che ricordo lo sono stato dai cinque ai dodici anni, più precisamente dal 1935 al 1942; poi gli eventi successivi mi hanno fatto crescere molto rapidamente per vari motivi. Penso che al giorno d’oggi i dodicenni sanno molto ma molto più di quando io avevo la loro età. Dal ’42 al ’48 sono diventato un’altra cosa. La guerra, i bombardamenti, la fame, l’occupazione nazi-fascista, quella successiva degli “alleati”, la disoccupazione e chi più ne ha più ne metta hanno inciso sul mio comportamento. Non solo il mio, penso.
All’età di cinque anni presi la laurea in medicina e due schiaffoni, più un ulteriore supplemento.
A quell’epoca abitavo al terzo piano di un fabbricato piuttosto vetusto e casa mia, all’interno 11, confinava a sinistra con l’interno 12 e a destra con l’interno 10 che a sua volta confinava con l’interno 9. Lì al 9 avevamo due camere e mezzo, un lungo corridoio ed un cesso – né bidet, né vasca e neppure doccia - talmente piccolo che si trovava all’esterno dell’appartamento nell’angolo di una piccola loggetta che dava sul cortile del fabbricato medesimo. Dall'interno 9 ci trasferimmo all’interno 11, leggermente più grande ma con il cesso in casa, sempre però solo water e lavandino. L’interno 9 fu affittato ad una famiglia composta da cinque persone: padre, madre e tre figlie femmine che avevano all’incirca l’età di noi quattro fratelli.. Una di loro, la più piccola, aveva la mia stessa età, 5 anni, e quindi eravamo diventati amici per la pelle e giocavamo tutti i giorni sul pianerottolo davanti le nostre rispettive dimore. Questo perché, essendo ancora troppo piccoli, non potevamo andare a giocare nel cortile e neppure in strada. Accadde che un giorno, mentre io e la mia coetanea eravamo seduti sui gradini della scala comune che conduceva a tutte le abitazioni, rigorosamente davanti i nostri appartamenti, le proposi di fare un gioco che andava molto di moda: il dottore e l’ammalata. Lei mi disse che le faceva male qua, là, sopra, sotto e io allora la visitai scrupolosamente, forse anche troppo, tanto che, entrambi presi dal gioco, non ci accorgemmo dell’arrivo della sua mamma che ritornava dal mercato. Si scatenò il finimondo. I primi due schiaffoni li ricevetti io a titolo probabilmente del pagamento del mio onorario, gli altri però non raggiunsero la destinazione voluta in quanto l’ammalata si era andata a nascondere chissà dove. Mentre io mi disperavo le due mamme, la mia e l’altra, erano lì che discutevano per sapere a chi andava attribuita la colpa di quanto era accaduto. Alla fine decisero entrambe che c’era un solo colpevole: il dottore. Cioè io! Dopo di che ricevetti un supplemento d’onorario per la visita medica effettuata. Non vidi l’ammalata per parecchio tempo, evidentemente era guarita.
Trascorsero i giorni, i mesi e gli anni. Noi tutti crescevamo, ma frequentavamo comitive diverse. Circa tredici anni dopo quel giorno fatidico la famiglia dell’interno 9 traslocò altrove.
Negli ani successivi, dopo sposato, io mia moglie e nostro figlio si andava tutte le domeniche al vicino mare di Roma, Lido di Ostia, sempre nello stesso stabilimento balneare dove rimanevamo fino al pomeriggio inoltrato, pranzando nel ristorante del medesimo stabilimento. Fu così che una domenica dell’estate del 1967, non ricordo giorno e mese ma l’anno sì, ero appena uscito dalla cabina dove ero andato ad indossare il costume da bagno, quando vidi uscire dalla cabina accanto alla nostra una bagnante, alta poco più di me e, credo, della mia stessa età. Abbronzata fino all’inverosimile indossava un bikini microscopico. La seguivano un paio di bambine e un uomo, forse il marito. Mi passò accanto, non mi degnò di uno sguardo e neppure mi riconobbe: io invece sì! Era l’ammalata, la mia paziente di troppi anni prima. Dottore e ammalata capitolo chiuso, purtroppo.
Torno indietro negli anni bambineschi nel corso dei quali mia madre m’insignì di un titolo, non nobiliare. In pratica un nomignolo: “lisceo”, dato che ogni volta che suonava qualcuno e veniva a trovarci gente io correvo in gabinetto e cercavo disperatamente di lisciare sulla nuca un ciuffo ribelle. Non ci sono mai riuscito. Un altro nomignolo me l’affibbiò una mia zia, sorella di mia madre, la quale, ancora signorina, venne a stare da noi. Eravamo già in sei, con lei sette, per poi diventare otto, quando si sposò e nove quando le nacque il primo figlio. Tutti felicemente abitanti in quel piccolo appartamento! Alla zìetta, così la chiamavano noi, prima di sposarsi, le piaceva portarmi con sé a passeggiare e mi chiamava “ciciornia” perché a ma piaceva fare il cicio, diceva lei. Coccolavo e mi facevo coccolare volentieri.
Entrambi i due nomignoli, lisceo e ciciornia, mi rimasero incollati addosso perlomeno fino ai 15-16 anni se non di più.
In qualche occasione particolare, quando era possibile, mia madre cucinava l’abbacchio, vale a dire l’agnello, ma quando questo accadeva, prima di sedersi a tavola io andavo da mia madre intenta a predisporre le porzioni per tutti e le dicevo, piagnucolando, che non volevo mangiarlo perché l’agnello era troppo piccolo.
Sempre nel corso di quel periodo 1935-1942 divenni protagonista di altre vicende. Ne ricordo perfettamente almeno due.
1^) Durante le feste natalizie mia madre, siciliana di non so quante generazioni, prima di sposarsi non ancora diciottenne, aveva lavorato in un laboratorio di pasticceria assai rinomato in buona parte della Sicilia. La sua specialità erano i famosi cannoli siciliani. Lei se ne stava ore e ore in cucina dove per prima cosa preparava la crema a base di ricotta, zucchero, scaglie di cioccolato, pezzettini di canditi e non so più che altra leccornia, la metteva in una zuppiera di ceramica e la riponeva nella parte inferiore di una grossa credenza in cucina. Poi si accingeva a preparare il cannolo vero e proprio, operazione molto delicata e difficile, ma non per lei. Io, non appena sentivo venire dalla cucina quell’odorino molto speciale, mi appostavo nei pressi con fare indifferente e, approfittando di un momento d’assenza o di distrazione di mia madre, mi avvicinavo alla credenza, aprivo uno degli sportelli inferiori, infilavo una mano e mi appropriavo di una bella manciata di crema senza curarmi delle tracce che lasciavo. Le reazioni di mia madre quando si accorgeva del furto erano tremende.
2^) La guerra e i primi tempi del dopoguerra erano difficili per quanto riguarda la reperibilità di molti alimenti e tra questi lo zucchero. Avevamo in cucina due piccoli vasi rettangolari di fine porcellana di Baviera, bianchissimi con tanto di disegnino azzurro dipinto sul davanti e le scritte Caffé in uno e Zucchero nell’altro. Ma erano entrambi spesso semivuoti. Un giorno ero seduto al tavolo di cucina per fare colazione e, mentre mia madre si era allontanata per fare qualcosa, io presi il vaso dello zucchero, letteralmente vuoto, e con un cucchiaio raschiai con una certa forza il fondo del vaso stesso tanto che lo bucai. Apriti cielo. Ricordo le corse dentro casa con mia madre che cercava di prendermi, ma non ci riuscì. Forse voleva abbracciarmi? Chissà?
Ad ogni modo il cimelio è tuttora conservato in casa di mio fratello più grande. Entrerà a far parte di una mostra in un museo. Almeno credo.
Sì, sono stato anch’io bambino ma forse anche un po’ pestifero.

lunedì 24 settembre 2012

COME UN PRIMO APPUNTAMENTO

Sin da ragazzo ho cercato di far diventare realtà un sogno e, dopo aver chiesto qua e là per Roma, ci sono riuscito. Ho avuto fortuna, non posso negarlo.
Sono le 12:20 e mi sto avviando con passo veloce all'agenzia di crociere di una famosa Società di navigazione che le organizza per il Mediterraneo con partenze anche da Civitavecchia in provincia di Roma. Quindici giorni da trascorrere sull'Autostrada del Mare e a bordo di una nave bellissima munita di tutti i comfort. Una coppia di coniugi, miei conoscenti con i quali mi sono confidato mi ha "raccomandato" alla loro unica figlia dipendente di quella Società di navigazione. Mi sono informato a dovere presso l'agenzia ed anzi la gentilissima nonché affascinante figlia della coppia dei miei conoscenti - Milena, questo il suo nome – proprio stamane mi ha telefonato e mi ha messo al corrente di qualcosa di meraviglioso. Lei, quale dipendente della Società, ha diritto ogni anno ad un premio di produzione che consiste in una crociera al costo ridotto del 50%, senza alcun altro esborso. Per l'intera durata della crociera - quindici giorni – usufruisce gratuitamente di tutte le comodità e i servizi offerti. C'è un piccolo problema però, quello cioè che la cabina di prima classe messa a sua disposizione è per due persone che devono occuparla. Milena, quando mi ha telefonato questa mattina, mi ha messo al corrente di un suo piano riguardo questo viaggio e me ne ha riferito tutti i particolari. Entrambi i suoi genitori sono partiti per altri lidi e lei avrebbe dovuto occuparsi della nonna materna durante la loro assenza. La nonna, che ha sempre desiderato fare un viaggio in mare, è una vedova perfettamente autosufficiente ed in buona salute, per carità, ma ha comunque una certa età e Milena e i suoi genitori non vogliono lasciarla sola. Milena inoltre ha tutto un altro programma di vacanze da trascorrere con il suo ragazzo in giro per l'Europa. Quindi come si fa a rinunciare ad una tale occasione? Allora mi ha fatto una proposta. Me la sarei sentita di fare quel viaggio da me tanto sognato facendo compagnia a sua nonna al costo del prezzo vantaggiosissimo e cioè metà di quello reale complessivo? Dopo alcuni chiarimenti chiesti a Milena e dalla stessa ottenuti ho detto sì. Mi ha fornito ulteriori dettagli e adesso sono in Agenzia a perfezionare la "scenetta" , già tra noi concordata, a voce alta, a beneficio dell'intero uditorio:
= buongiorno signorina, sono passato per sapere se ci sono novità per la crociera Mediterranea
= buongiorno anche a lei, aspetti che controllo perché forse c'è qualcosa che le può interessare (e inizia a spiegarmi tutti i dettagli della faccenda)
= benissimo, d'accordo su tutto. Dove posso accomodarmi per attendere l'altro passeggero?
= è una passeggera ed è già lì seduta su quel divano, se vuole andare a parlarle
= certo, con permesso allora... (mi dirigo verso il divano, lì giunto faccio un mezzo inchino e chiedo alla signora seduta che so essere la nonna di Milena) posso sedermi?
= er posto c'è
= grazie. (nel frattempo la osservo: è piuttosto in carne, capelli bianchissimi, neppure un filo di trucco, due occhi vispi di un colore incerto, senza occhiali, vestita molto sobriamente) Sento dall'accento che lei è romana
= da na marea de generazzioni
= anch'io sono nato a Roma ma da antenati siciliani. Mi chiamo Calogero, il nome del mio nonno materno
= io me chiamo Nanda e nun è er nome de nessuno de' li parenti
= grazioso nome. È il diminutivo di Fernanda vero?
= macché, me chiamo proprio Nanda
= sono un pensionato e...
= te credo che voleva ancora lavora'?
= no, certo. Lei invece lavora?
= all'età mia? No, no, sto in pensione, prima facevo la fruttarola, c'avevo er banco a Campo de' Fiori. Puro mi padre prima de me e mi nonno prima de lui, tutti fruttaroli armeno da cent'anni...
= a proposito di anni io ne ho settanta
= e io sessantacinque. In due famo quasi un secolo e mezzo pensa un po'
= cambiamo argomento...
= sì, si è mejo
= quella bellissima impiegata che vede lì a quel bancone...
= chi quella? È mi nipote, la fja de mi fja
= benissimo...
= mica tanto. Pensi che noi tre c'avemo tutte lo stesso carattere e nun riuscimo a anna' d'accordo. Però se volemo bene e sa perché? Mica perché vivemo nella stessa casa, ma pe' er fatto che io so' vedova da sette anni e mi' genero c'è e nun c'è, nu' lo vedi e nu' lo senti, quinni...
= quindi ecco spiegato perchè vi volete bene
= già. Senti un po', m'hai fatto parlà solo a me ma de te nun hai detto gnente
= ti ringrazio per essere passata ad un tono un po' più confidenziale, ma di me c'è poco da dire: sono vedovo anch'io, ho due figli, sposati, che hanno le loro famiglie però quest'anno ho deciso di  fare una crociera senza di loro
= e puro io. So' anni che me la sto a sogna'. Siccome mi nipote m'ha dato la cabbina sua che però è pe du' persone sto aspetta' che quarcheduno...ma dimme un po', ma che gnente gnente annammo su la stessa nave?
= non solo, anche nella stessa cabina così in due risparmiamo
= e vabbe' ho capito però famo a capisse pure noiartri due. Te rendi conto che dovemo da passa' quinnici giorni drento la stessa cabina?
= certo, soltanto la notte però
= e lo so però nun te mette gnente in testa che...
= non porto cappelli
= nun fa' la spiritoso, sai che voijo di'
= tranquilla so benissimo come comportarmi
= ecco bravo, comportate da ragazzo educato. Adesso annamo da mi nipote a sistemà l'urtime cose
= sì, vedrai che sarò un perfetto gentiluomo
= e sinnò 'na ciavattata su li denti nun te la leva nissuno
= grazie, ti ringrazio per la tua bontà.
Tre giorni dopo, di domenica, alle 9:00 a.m. in punto io e Nanda dalla nave salutiamo la cara Milena diretti verso la meta agognata, l'inizo della realizzazione del nostro sogno.Siamo sulla nave e guardando Nanda che saluta la nipote col fazzoletto in mano mi accorgo che le sta spuntando qualche lacrima e allora
= Nanda, che fai piangi?
= ma chi piagne, chi piagne me dev'esse' entrato quarche bruscolino nell'occhi...
= fammi vedere, te lo tolgo io...
= ma che te faccio vede, lassa perde. Piuttosto annamo a vede' sta cabbina.
Rimaniamo veramente estasiati nel visitare la cabina che ci è stata assegnata: ampia, arieggiata, ammobiliata ottimamente, un bagno-doccia completo di tutti gli accessori, due eleganti comodini e due ampi letti singoli.
= a Calo'... ammazza che robba...sembra de sta' ar grandhotel
= Nanda qui siamo in prima classe quindi...
= e vabbè però tutto sto gran lusso...
= non preoccuparti. Dimmi piuttosto quale letto preferisci tu, quello più vicino al bagno o l'altro
sotto l'oblò?
= er seconno che hai detto
= benissimo. Io suggerirei di sistemare le nostre cose nell'armadio e poi di andare a fare un giro,che ne pensi?
= sì, famo così.
Dopo una trentina di minuti usciamo dalla cabina e visitiamo gran parte della nave .Giunta l'ora di pranzo ci indirizzano verso un bel salone e ci accompagnano al tavolo che sarà riservato a noi per l'intera durata della crociera. Pensavo che ci avrebbero fatto accomodare in un tavolo con più persone ed invece il nostro è soltanto per noi due.Finito il pranzo facciamo una breve passeggiata in coperta parlando del più e del meno, poi ci sistemiano su due comode sedie a sdraio, ammiriamo il panorama marino e scambiamo qualche parola con i vicini.
= Calo', ho sentito di' che stasera dopo cena se balla
= se vuoi possiamo partecipare anche noi però ti avverto che non so muovere un piede
= sei de coccio allora...vabbe' te ne stai seduto su quarche cosa e te metti a chiacchierà co' quarche vecchietta. Hai visto quante ce ne so' in giro?
= Nanda scusa la domanda impertinente, ma tu sei forse una giovanetta?
= ma che vor di', io so' regazza drento. Sapessi quanno c'avevo diciotto-vent'anni come spirolavo e quanti spiroloni me ronzavano intorno. Poi un giorno, uno de questi - er mejo te l'assicuro - me comincio' a ronza' attorno più spesso dell'artri e così siccome due più due fa sempre quattro è annata a fini' che me lo so sposato
= e avete vissuto felici e contenti. Ne sono certo...
= questo è poco ma sicuro. Solo però fino a quanno quer brutto malaccio me l'ha portato via. Era un
pacioccone, 'n'omo bono, venneva er pesce accanto ar banco mio. Calo' adesso però piantamola e vestimose pe' anna' a cena' e poi se gettamo ner vortice de le danze...
Siamo così riusciti a creare tra di noi un'atmosfera cordiale e simpatica. La sera quando ci prepariamo per andare a dormire lascio a Nanda la precedenza per il bagno e quella per mettersi a letto. Quando a mia volta esco dal bagno vedo che già dorme e non sente nulla degli eventuali rumori che faccio. Anche perché sin dalla prima sera le ho detto che mentre dormo io russo e lei allora si è premunita tappandosi le orecchie con dell'ovatta.
Oggi è già il quinto giorno di navigazione e siamo andati a dormire subito dopo cena poiché abbiamo voluto partecipare a qualche attività dell'animatrice di bordo e così ci siamo stancati.
E' quasi mezzanotte ma ancora non riesco ad addomentarmi. Ad un certo punto, benché al buio, mi accorgo che Nanda accanto al mio letto sta sollevando la mia coperta
= scusame Calo', nun dormo e sento freddo. Me metto drento al letto co' te. Sta' tranquillo nun ammollo carci quanno che dormo
= anch'io non dormivo perciò non russavo e quindi non ti ho svegliata io
= lo so, lo so, nun è corpa tua, adesso dormi, conta le pecorelle
= è un metodo che non funziona
= Calo'...ehm...se io t'abbraccio tu che fai?
= educatamente ricambio il tuo abbraccio
= sai che c'è Calo'? Famo l'educati e strignemose forte.
A quel punto il "fatto" è finito come speravamo entrambi che finisse.
Il mattino successivo, quando mi sveglio, mi accorgo che Nanda, sdraiata accanto a me, mi sta guardando con uno strano sguardo, un incrocio tra il dolce e il tenero
= Calò, me vergogno pure, ma te devo da confessa' 'na cosa. Stanotte, quann'è successa quella cosa che m'ero scordata da un sacco de tempo, me so' "commossa"
= grazie a te Nanda anche per me è stato uguale. Non lo credevo proprio
= e allora chi ce impedisce de "commoverci" quarch'artra vorta? Armeno provamoce.
La nostra crociera è terminata, quindici giorni bellissimi trascorsi felicemente. Scendiamo dalla nave e Milena è lì che ci attende. Ci viene incontro, ci abbraccia e ci chiede com'é andata
= 'na favola, bella de nonna tua, se semo pure "commossi"
= cioé?
= cioé, cioé, quante cose voi sape'. Quanno cresci n'artro po' te lo spiego. Anzi, datte da fa' perché io e Calo' fra un par de mesi se sposamo, tanto er viaggio de nozze già l'avemo fatto. Annamo Calo'
Mi volto per guardare Milena che, attonita, ci fissa con gli occhi completamente spalancati.
NULLA DI QUESTA STORIA È REALMENTE ACCADUTO. IL SOGNO È RIMASTO TALE