Trascorsi tanti anni non sono mai riuscito a comprenderne il perché.
Dopo
la nascita del nostro secondo figlio, maschio anche lui, mia moglie
si trasformò totalmente, come se fosse diventata un'altra. Ci
eravamo sposati da circa dodici anni, dopo cinque di fidanzamento, e
avevamo vissuto quei periodi molto felicemente. Dopo tre anni dal
giorno del matrimonio nacque il primo figlio, seguì il secondo dopo
cinque anni, accolti entrambi con incontenibile gioia. Avevo
conosciuto Livia, mia moglie, appena ventenne quando io ne avevo
cinque più di lei, perché amica di una mia collega di lavoro. Posso
dire con certezza che ci innamorammo a prima vista. Lei appena dopo i
primi giorni di reciproca conoscenza volle mettermi al corrente del
suo breve passato. Era orfana e quando nacque venne abbandonata dalla
madre nella ruota di un convento a Trastevere, un Rione di Roma. Non
aveva quindi fratelli o sorelle e naturalmente neppure un padre nè
parenti. Era stata allevata in quel convento, poi trasferita in un
orfanotrofio dal quale uscì all'età di sedici anni. Riuscì a
diplomarsi a diciotto anni dopo aver frequentato una scuola serale
perché durante il giorno doveva lavorare come cassiera in un bar.
Tramite una inserzione su di un giornale entrò a lavorare presso uno
studio di commercialisti dal quale si dimise dopo la nascita del
nostro primo figlio. Il mio lavoto di gemetra-assistente edile presso
un'impresa di costruzioni mi costringeva a stare lontano da casa dal
mattino alle sette fino alla sera verso le diciotto, diciotto e
trenta. Livia si occupava sia dei figli che della casa fin troppo
bene ed anche per me aveva mille attenzioni. Insomma sembrava proprio
che niente potesse venire a turbare la nostra vita. Ma non andò così
perchè un giorno, improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno
accadde un fatto insolito. In realtà un paio di giorni prima quando
rientravo a casa la trovavo semisdraiata su di un divano con lo
stereo acceso e un mio vecchio disco in vinile contenente alcune
delle più famose romanze dell'opera La Traviata di Giuseppe Verdi.
Lei da una breve distanza guardava i nostri due figli, il più grande
intento a fare i compiti e il più piccolo con i suoi giocattoli. Si
alzava appena entravo e mi chiedeva cosa mi sarebbe piaciuto per
cena. Il terzo o quarto giorno però la trovai alzata dal divano, con
lo stereo acceso e il disco con le musiche della Traviata in
funzione a volume troppo alto. Lo abbassai e, vedendola vestita con
tanto di soprabito, le chiesi se doveva uscire per qualche acquisto e
le dissi che sarei potuto andarci io ma lei rifiutò, mi carezzò e
mi disse che ci avrebbe pensato lei. Mi disse anche che la cena era
pronta e che lei avrebbe cenato al rientro. Rimasi un po' stupito da
questo insolito comportamento ma non le chiesi altro. Verso le venti
feci cenare i bambini, li misi a dormire e mi misi in attesa. Rientrò
che erano circa le ventidue senza nulla in mano che denotasse un
qualsiasi acquisto. Mi disse che era andata a fare una passeggiata.
Le chiesi se era stata da qualche amica ma mi rispose che qualche
volta, di pomeriggio, ci aveva provato ma quelle poche amiche che
conosceva parlavano di mariti,di amiche che avevano amanti, insomma
di pettegolezzi il che la disturbava molto e finì per non andarci
più.
Dopo
cinque giorni che aveva ripetuto questo comportamento presi una
decisione. Non avendo genitori né fratelli perchè figlio unico,
soltanto parenti che abitavano lontano, parlai con una vicina di casa
non più giovane ma molto gentile, la misi al corrente di quella
situazione e le chiesi se la sera seguente poco prima delle 18.30,
qualche attimo dopo la solita uscita di casa di mia moglie, lei, la
vicina, poteva farmi il favore di badare ai miei figli in modo da
poter seguire Livia e rendermi conto di ciò che andava combinando
fuori casa. La signora si prestò molto gentilmente ed io, la sera
dopo, feci appena in tempo a scorgere Livia da lontano ed a seguirla
cercando di non farmi vedere. Lei camminava a passo sicuro, non si
fermò mai né a sostare davanti qualche vetrina, né entrò in un
cinema od in qualsiasi altro posto e neppure si fermò a parlare con
altre persone. Girò a vuoto per ore ed ore. Ripetei questa
operazione per altre tre sere poi, non potendo approfittare oltre
della gentilezza della mia vicina rinunciai a seguire Livia.
Passarono un paio di giorni durante i quali Livia, mia moglie, non
fece rientro a casa. La sera del terzo giorno presi una sua foto
piuttosto recente, andai al vicino commissariato di zona e sporsi la
denuncia della sua scomparsa I giorni passavano ma non ricevevo
notizie finché un giovedì pomeriggio mi chiamò il commissario di
P.S. dicendomi che dovevo passare in commissariato. Mi misero al
corrente di quanto accaduto, mi accompagnarono alla camera mortuaria
per il riconoscimento di un corpo di donna che era stato ritrovato
nel Tevere, il fiume di Roma e, più precisamente, ad uno dei lati
dell'Isola Tiberina. Non ci volle molto per riconoscere la mia Livia
distesa su di un lettino. Chiesi spiegazioni e mi misero al corrente
sia dei risultati delle indagini effettuate sia di quelli
dell'autopsia. Non avevano trovato tracce di alcool o di droga, si
era suicidata gettandosi nel fiume.
Un
colpo tremendo per me che non sono riuscito più ad assorbire. Feci
passare un bel po' di tempo prima di dire ai nostri figli che la loro
mamma non sarebbe più tornata ad ascoltare La Traviata.