ESTATE DEL '43
Non avevo ancora 13 anni ma sognavo tante cose tra le quali quella di andare al mare. Proprio così , ma tutti dovemmo smettere di andarci. Eppure il mare l’avevamo vicino, ad Ostia, distante circa 27-28 Km, poco più di 30 minuti di treno dalla stazione della ferrovia Roma-Lido vicino Porta S.Paolo, luogo dove si svolse un episodio da ricordare. Quello che appresi fu che i bombardamenti degli anglo-americani avevano distrutto i binari di quella ferrovia, la stazione di Ostia, lo stabilimento balneare Roma e molto altro tanto che, nel timore di uno sbarco del “nemico”, furono costruiti sul litorale degli sbarramenti in cemento armato e disposta l’evacuazione della popolazione civile da quella zona. I bombardamenti a Roma ebbero inizio proprio nel periodo che andava dal luglio del ’43 al 14 agosto dello stesso anno quando Roma fu dichiarata Città aperta. Proseguirono però nei paesi intorno alla città, specialmente ai Castelli Romani. Tre anni di guerra avevano lasciato un brutto segno sugli italiani specialmente su chi viveva, o meglio cercava di sopravvivere, nelle piccole e grandi città. C’era molta insicurezza e insofferenza in giro: fame, paura e povertà regnavano sovrane. Quello era l’anno in cui dovevo ultimare la scuola media inferiore ma quasi per l’intera durata di quel periodo scolastico io e tre miei compagni di classe dei quali ricordo ancora il nome pensammo, male e da incoscienti, di dedicarci ad altro. Non frequentammo più la scuola dove eravamo stati iscritti dato che trascorrevamo il tempo libero rubato agli studi trastullandoci nei luoghi dell’antica Roma sul colle Palatino. Fummo tutti regolarmente bocciati. I bombardamenti a Roma sui quartieri Tiburtino, Prenestino, Casilino, Tuscolano e Nomentano, culminarono il 19 luglio ’43 nel tragico bombardamento del quartiere San Lorenzo dove ci furono migliaia di morti e feriti. Io e la mia famiglia abitavamo nei pressi del Colosseo, rione Monti, e non ricordo di aver sentito fragori di esplosioni probabilmente perché nostra madre ogni volta che suonava la sirena dell’allarme ci conduceva di corsa al ricovero antiaereo. Un giorno, verso l’ora di pranzo, l’allarme risuonò almeno sei o sette volte tanto che invece di andare al vicino ricovero, scendemmo nella cantina del nostro fabbricato che a tutto poteva servire meno che a ripararci neppure da un semplice mortaretto. Il pensiero, quello mio e penso anche quello dei miei fratelli, andava però al piatto di pasta e legumi che avevamo lasciato fumante sul tavolo nella stanza da pranzo nell’attesa di essere divorato, ma per nostra madre la priorità era andare a rifugiarci. Finalmente nel primo pomeriggio gli allarmi cessarono e per me il ricordo di quel 19 luglio fu sempre legato oltre che all’episodio della pasta e legumi anche al fatto che quando dovetti uscire da casa, credo per acquistare qualcosa dal vicino fornaio, assistetti al passaggio di un tram proveniente da San Lorenzo dal quale esalava un pessimo odore di bruciato di qualcosa poco gradevole che non seppi definire e che per molto tempo mi rimase nelle narici. Credo che proprio quel bombardamento sia stato uno dei motivi, se non il principale, per il quale il 25 luglio, sempre del ’43, si verificò la “caduta del fascismo”. Se non ricordo male la notizia fu diramata per radio il giorno dopo ed il giorno dopo ancora, 27 luglio, mentre di primo mattino ero intento a fare colazione in cucina con mia madre vicino sentii rientrare a casa mio padre che sventolava con la mano la prima pagina del principale quotidiano di Roma annunciante a titoli cubitali il festoso evento. Io presi la palla al balzo e, senza capire esattamente il significato di quell’avvenimento, sgaiattolai da casa e m’intrufolai in uno dei numerosi cortei di persone che festeggiavano sbandierando il vessillo tricolore recante al centro lo stemma di casa Savoia e gridando “viva il re e abbasso il duce” mentre a forza di picconate smantellavano ogni sia pur piccolo simbolo del fascismo che fu. E pensare che io e mio fratello più grande dovemmo fare obbligatoriamente tutta la “carriera” di quell’epoca: figli della lupa a 4 anni, poi balilla, poi ancora balilla moschettiere e sempre in camicia nera. Un episodio di quel tempo fece comprendere a molti che i fascisti non fossero del tutto rassegnati né scomparsi. Me ne resi conto personalmente perché vi assistetti affacciato alla finestra di casa. Alcuni giorni dopo il 25 luglio due padri di famiglia inquilini nel fabbricato dove abitavamo anche noi, ingaggiarono uno scambio di revolverate contro un paio di fascisti rifugiatisi in una delle aule della facoltà d’ingegneria che confinava con la nostra strada. Per prima cosa non avevo mai saputo che quei due nostri coinquilini erano antifascisti e per di più in possesso di armi poi però mi domandai che cosa poteva significare quella piccola “battaglia”. Quando ad agosto del ’43 fu dichiarata Città Aperta a Roma si respirava una certa tranquillità. L’8 settembre di quell’anno fu firmato l’armistizio tra il governo italiano e l’esercito anglo-americano, ma il giorno dopo ci fu la fuga da Roma dei reali d’Italia. Tutti si dissero che la guerra era ormai terminata invece il 10 settembre ci furono aspri combattimenti, con morti e feriti tra i soldati e i civili italiani, i quali si opponevano all’ingresso delle truppe tedesche a Roma, sia a Porta S.Paolo, il più importante, che in altre località della periferia cittadina. Invece la guerra purtroppo continuava, era cambiato il nemico. A 66 anni di distanza da quel periodo ricordo, per fortuna, soltanto poche cose. Intanto a volte mi sono chiesto e mi chiedo ancora, ma…i miei tre fratelli che facevano? I due più piccoli rispettivamente di 6 e 9 anni probabilmente erano tenuti a bada da mamma mentre il più grande, 15 anni, dove s’era andato a cacciare? Il tredicenne, vale a dire io, si squagliò dal nido, sia pure ad intervalli e per brevi periodi. Mi ricordo un altro episodio verificatosi il 9 settembre, guarda un po’ il giorno del mio 13° compleanno. L’edificio nel quale abitavamo sin dal giorno della nascita di mio fratello più grande – 1928, confinava ad una distanza di pochi metri con un altro edificio abbastanza moderno per quell’epoca abitato quasi esclusivamente da gerarchi fascisti e loro sottoposti che aveva persino un nome: “palazzo Balbo” quadrunviro della marcia dei fascisti su Roma nel 1922. Ad un certo punto di quella giornata, se non ricordo male primo pomeriggio, sentimmo il rumore forte e continuo di numerosi colpi d’arma da fuoco. Prima che nostra madre ci facesse correre al riparo riuscimmo a capire che si trattava di spari provenienti dall’ultimo piano del vicino “palazzo balbo” e diretti verso la piazza antistante il Colosseo dove s’era fermato un piccolo carro armato leggero, italiano, dal quale un soldato, sempre italiano, si capiva dall’elmetto, rispondeva al fuoco con l’aiuto di un piccolo cannoncino. Anche questa battaglia non durò molto perché il carrista riuscì a centrare le finestre dalle quali erano stati sparati i colpi iniziali. Un passo indietro. Nostra madre ci fece sì riparare ma anziché scendere in cantina, considerata la rapidità dell’accaduto, si attaccò alle mani di noi quattro fratelli e ci fece fermare, lei compresa, sotto una specie di muro maestro che divideva un corridoio di casa dalla cucina solo che la finestra di questa cucina affacciava sul cortile interno del nostro fabbricato confinante con altri di questi tra i quali anche “palazzo balbo” e quindi abbiamo potuto veder sfrecciare numerosi proiettili che non riuscendo inizialmente a centrare le finestre in questione colpivano quelle di un altro edificio. Insomma l’importante fu che, centrato l’obiettivo, gli spari terminarono con l’esito finale delle “due finestre colpevoli” distrutte rimanendo tali per molti anni.
Venimmo a sapere dopo qualche tempo che quasi tutti gli abitanti di quel palazzo se la diedero a gambe lasciando campo libero a gran parte dei cittadini confinanti i quali trafugarono tutto il possibile. La severità o il timore, dei nostri genitori c’impedì di partecipare. Quelli dopo il 10 settembre furono giorni tremendi sia per l’occupazione nazista e le malefatte dei fascisti sia per le numerose questioni legate alla sopravvivenza. Tutto cominciò a migliorare dal giorno della liberazione di Roma da parte degli anglo-americani ma io non sono mai riuscito a dimenticare quel periodo dell’estate del '43.
PRIMAVERA DEL '44
Dovevo ancora compiere 14 anni ed ora, a distanza di oltre sei decenni, torno a dirmi che quella, nonostante la spensieratezza dovuta all’età non fu per me una bella primavera. Ma non soltanto per me. Tre episodi di cui ho ancora memoria sono parte di quel periodo: - Via Rasella e dintorni - Stazione Ostiense - Colosseo . In ordine cronologico,dal 23 marzo al 4 giugno del ’44 (liberazione di Roma da parte degli alleati), vissi quei 74 giorni in un modo particolare. Secondo di quattro fratelli, tutti maschi, sono stato sicuramente il più discolo e la disperazione dei miei genitori purtroppo, fino al compimento del diciottesimo anno d’età. Poi, per fortuna, avvenne in me un radicale cambiamento; ma questa è un’altra storia e quindi torniamo a quei giorni. Nel marzo del ’44, durante la seconda guerra mondiale (10 giugno 1940-25 aprile 1945), dopo l’armistizio chiesto agli anglo-americani nel settembre del ’43, Roma, dichiarata “città aperta”, insieme a gran parte dell’Italia, si trovava sotto l’occupazione dei tedeschi con i quali collaboravano attivamente i fascisti repubblichini di Salò. Quasi ogni giorno, inventando chissà quali scuse, riuscivo a sfuggire alla sorveglianza di nostra madre, ad uscire da casa e a bighellonare in giro per la città. A quei tempi io e i miei fratelli abitavamo sin dalla nascita, insieme ai nostri genitori, a meno di cento metri dal Colosseo. Questa posizione centrale mi consentiva pertanto di girare per Roma, soprattutto verso il centro storico della città, senza alcuna necessità di dover usare mezzi pubblici, anche perché ne circolavano pochissimi e io neppure avevo soldi per poterne usufruire. Alcune volte in realtà presi qualche filobus ma soltanto perché mi attaccavo pericolosamente ai due avvolgifili in metallo posti dietro i filobus stessi. Per pura combinazione il 23 marzo del ’44, giorno dell’attacco dei partigiani del GAP, in Via Rasella dove morirono 33 militari delle SS – altoatesini volontari – e due civili italiani, intorno alle 17 gironzolavo nei pressi della centralissima Piazza Colonna e stavo percorrendo Via del Tritone per girare poi in Via del Traforo e fare ritorno a casa. Ma, appena arrivato al Largo del Tritone vicino il palazzo del quotidiano romano “Il Messaggero”, trovai la strada bloccata da un cordone di militari italiani e tedeschi. Gli italiani, guardie di finanza e i tedeschi, SS, stretti l’uno all’altro, avevano formato una barriera invalicabile circondando tutta l’intera zona intorno a via Rasella - Via del Tritone, Piazza Barberini, Via Quattro Fontane e Via del Traforo. Dovevo necessariamente passare di là, percorrere tutto il traforo - o tunnel - che collegava e collega tuttora Via del Tritone con Via Nazionale e quindi procedere per Via dei Serpenti, Via degli Annibaldi e arrivare infine a casa. Sebbene per tutta la durata della guerra, ma anche oltre, il traforo fosse stato adattato a rifugio antiaereo, era ugualmente percorribile sistemato in modo opportuno con murature sia all’entrata che all’uscita e dotato di condotti per l’aerazione. Con l’ingenuità derivante dalla mia giovanissima età, non conoscendo i motivi di quello sbarramento dato che l’attacco alla compagnia di polizia delle SS era avvenuto oltre un’ora prima e io non ne sapevo niente, mi avvicinai tranquillamente al cordone di militari e chiesi di poter passare.
Naturalmente mi ero rivolto al militare italiano ma lui rispose che era impossibileIo insistetti affermandogli che se non fossi rientrato presto a casa le avrei sicuramente buscate dai miei. Lui mi squadrò da capo a piedi poi rivolse lo sguardo verso le due SS che gli stavano ai lati, entrambe gli fecero un segno d’approvazione e lo sbarramento si aprì lasciandomi passare. Soltanto tempo dopo venni a sapere di quello che era successo lì in Via Rasella e del successivo eccidio delle Fosse Ardeatine avvenuto il giorno seguente. Molte vicende di quel tremendo periodo erano poco conosciute da me e dai miei fratelli, un po’ per l’età, nel 1940 il più piccolo di noi quattro aveva tre anni, il più grande dodici, e un po’ perché i nostri genitori preferivano tenerci nascoste le brutture della guerra. Ma soprattutto perché avevamo come primaria necessità quella di sopperire alla penuria di cibo. La fame era qualcosa che non sono riuscito ancora a dimenticare.
A proposito di fame. In una giornata di quel periodo io con un gruppo di miei coetanei abitanti nella mia stessa strada, eravamo venuti a sapere che alla stazione Ostiense, più volte bombardata dagli aerei americani – le famose fortezze volanti - c’erano dei treni semidistrutti stracolmi di ogni sorta di cibo. Non ci pensammo due volte, tutti baldanzosi ci recammo, a piedi naturalmente anche se il percorso non era breve, alla detta stazione che era ridotta in macerie e completamente deserta e vedemmo che c’erano veramente alcuni vagoni-merci delle ferrovie con i portelli scorrevoli spalancati. Come si usa dire, ci tuffammo a pesce ma, anziché generi alimentari trovammo, in quello che restava dei vagoni, soltanto materiale militare: giberne da soldato, munizioni per le armi, gavette e altre cose dello stesso genere. Arraffammo lo stesso quel che ritenevamo poterci ricavare qualcosa e ci accingemmo a riprendere la strada verso casa. Quando, improvvisamente, dal recinto semidistrutto della stazione, lentamente e silenziosamente fece il suo ingresso un‘autovettura scoperta con dentro quattro militari tedeschi tra i quali un ufficiale. Fermatasi l’auto ad un centinaio di passi da noi, l’ufficiale tedesco, a voce alta e tono autoritario, ci fece capire che dovevamo avvicinarci a lui. l tratto del percorso era tutto allo scoperto e noi eravamo totalmente in preda alla paura. Quasi tutti del gruppo riuscirono ad estrarre dalle tasche quanto prelevato dai vagoni-merci e a farlo cadere in terra man mano che ci si avvicinava ai militari tedeschi, io invece, che avevo avuto la bella idea di portarmi via una sciabola da carabiniere con l’elsa sull’impugnatura che sembrava d’oro, dovetti far finta di camminare zoppicando perché l’arma in questione ero riuscito a nasconderla sotto la maglietta e la gamba del pantalone, dalla parte sinistra. L’ufficiale, dai gesti che riuscimmo ad interpretare, ci fece una forte ramanzina e ci ordinò, a gesti, di uscire subito dalla stazione, cosa che ci affrettammo a fare e pure di corsa, eccetto me che seguitavo a zoppicare. Ci andò bene.Tenni quell’arma per parecchi anni, ad imperitura memoria del mio scriteriato “gesto eroico”, però sempre ben tenuta nascosta da mia madre. Poi, dopo sposato e andato via da casa, ho perso le sue tracce. Chissà dov’è andata a finire.
Il 4 giugno del ’44 era una bella giornata di sole. Sentimmo sin dal mattino un rumore di autocarri, carri armati leggeri, moto che transitavano proprio vicino casa nostra. Incuriosito uscii abbastanza presto e vidi una lunga fiumana di uomini e mezzi tedeschi piuttosto male in arnese che si avviavano verso Via dei Fori, Piazza Venezia e da lì verso l’uscita della città. Era la ritirata delle truppe tedesche che andavano verso il Nord dell’Italia incalzati dagli alleati che ormai si trovavano alle porte di Roma. Verso metà della mattinata un discreto numero di soldati tedeschi, per concedersi un po’ di riposo, si accamparono intorno al Colosseo. Introdussero persino alcuni carri leggeri nelle piccole cavità ad arco poste alla base del grande anfiteatro, forse per ripararsi dal sole o da chissà che cosa. L’intera area circostante il grande monumento era gremita di soldati ma anche di gente delle case vicine e si fraternizzava volentieri. Fra loro c’ero anch’io che curiosavo qua e là. Guardandomi intorno vidi che in una di quelle cavità era stato fatto entrare un carro armato leggero ai piedi del quale, seduto in terra, senza elmetto, sudato e dal volto stanco, biondo, giovane, sostava uno di quei soldati che stava mangiando qualcosa. Mi avvicinai e, senza dire una parola, mi misi a guardarlo. Lui che evidentemente si era accorto di me, altrettanto silenziosamente mi porse una grossa fetta di pane bianchissimo ricoperto di burro o margarina, non ricordo bene. Non stetti lì a sottilizzare. Afferrai quello che mi veniva offerto e lo divorai. Feci appena in tempo perché sentii, io e tutti gli altri, il rumore di un aereo,forse un ricognitore, che si stava avvicinando e che, appena vide la scena cominciò a mitragliare in lungo e in largo. Fu un fuggi fuggi generale, ma non tutti se la cavarono. Tornai dopo più di un’ora per rendermi conto di quello che era successo e vidi che quel carro leggero al quale mi ero accostato in precedenza era andato completamente distrutto ed ancora bruciava, mentre non c’era nessuna traccia del soldato tedesco. Mi augurai si fosse salvato.
Ancora oggi, quella piccola cavità lì al Colosseo reca i segni del carro che aveva preso fuoco.
In ordine cronologico i principali avvenimenti della fine della 2^Guerra Mondiale che molto hanno influito sulle nostre vite furono:
- 22 gennaio 1944 - sbarco delle truppe anglo-americane ad Anzio e Nettuno;
- 4 giugno 1944 – liberazione di Roma da parte degli anglo-americani;
- 25 aprile 1945 – fine della guerra in Italia;
- 15 agosto 1945 – fine della seconda guerra mondiale.
29 commenti:
Grazie, grazie di avere condiviso questi momenti con noi. Penso ai miei nonni e a mio zio che è del '43. Penso a quei tempi. Un resoconto più bello e significativo di infiniti libri di storia.
Grazie.
Ciao Aldo, un racconto preciso ed interessante, io ho solo ricordi di esperienze vissute dagli altri, ma è un piacere leggere qui da te, con tutti gli episodi che fanno della fanciullezza un momento unico, in tempi difficili, ma vissuta anche con la spensieratezza dell'età...Buona domenica ed un abbraccio.
La storia dovrebbe insegnare all'essere umano che cattiveria, malignità e crudeltà non solo non portano a niente ma ci fanno solo sprecare del tempo prezioso visto che di vita ne abbiamo una sola e dovremmo cercare di viverla in pace e serenità poichè quando tutto sarà finito non avremo tempo ne spazio per rimediare agli errori.
ciao Aldo, era un gran brutto periodo ... soprattutto per essere bambino ... mi dispiace ... per fortuna che adesso è tutto diverso...
Ciao Aldo,
grazie per aver condiviso questo ricordo che riporta alla tua adoloscenza, in un momento storico difficile, a dir poco.
Anch'io della 2a Guerra Mondiale ho solo i ricordi dei racconti dei miei genitori adolescenti,classe 1925 e 1928, vissuta in un paesino della bassa Bresciana, alcuni dei quali raccapriccianti a cui assistettero personalmente.Infatti a scuola poi al massimo arrivai a studiare sui libri fino alla Grande Guerra 1915-18. Per questo quando mi trovai ad insegnare nella scuola elementare, ho invitato a scuola i nonni dei miei alunni a raccontare loro episodi come quelli che tu hai narrato in questa lunga testimonianza, cioè l'altra faccia della guerra vissuta dal popolo e dai loro coetanei, nella sua quotidianità. Credo che sia giusto che le giovani generazioni conoscano anche questi aspetti della guerra per poterne capire l'inutilità e i danni che può provocare, ma anche per mantenere la memoria di come eravamo per poter meglio apprezzare quello che siamo
difficili momenti, in particolare per un bambino. un abbraccio
Caro Aldo, gran parte del tuo racconto mi ricorda "La Storia" di Elsa Morante.
E' una minuziosa e importante cronistoria. Sei scampato al rastrellamento per puro miracolo, merito della tua giovanile incoscienza e forse del tuo angelo custode.
L'avrai ringraziato chissà quante volte.
Lo ringrazio anch'io per averti protetto, così oggi puoi raccontanci tanti eventi trascorsi.
Mi stamperò questo tuo racconto e lo metterò fra le pagine del libro della Morante: è il posto giusto!
Grazie e un abbraccio.
@la Volpe: Ho cercato di fare del mio meglio senza cambiare la verità delle cose e dei fatti realmente accaduti.
@Ladoratrice: Penso che questa tua unica parola di ringraziamento voglia invece dire molte cose.
Spero di averle comprese.
@riri: Sono tutti episodi che sono rimasti come scolpiti nella mia memoria.
Ricambio l'abbraccio con affetto.
@Ruby: Sono parole e frasi di una sacrosanta verità che dovremmo tenere bene a mente.
@Pupottina: Sì, è tutto diverso ma a quei tempi ed a quell'età ciò a cui ho assistito non lo potrò mai dimenticare.
@sara: Ringrazio te per il tuo gentile commento.
@Luigina: Quella tua iniziativa di far parlare i nonni dei tuoi alunni è stata una cosa molto intelligente perchè le generazioni successive devono rendersi conto cosa sono le conseguenze delle guerre.
@AlessandraLace: Già e il ricordo della fame patita è sempre presente nella mia memoria.
@Nounours: Oltre trent'anni fa lessi anch'io quel bellissimo libro di una delle scrittrici da me più ammirate.
In realtà credo di essere stato abbastanza fortunato in quei periodi, poi evidentemente il vento è girato.
Grazie per il tuo generoso commento.Anche da me un abbraccio
Ricordi toccanti e nella loro tragicità bellissimi... vorrei un giorno poter descrivere ai miei nipoti una data in cui sentiii dire Arrestato il premier italiano....
Ciao Aldo
E' sempre un'emozione leggere i tuoi ricordi che trasportano davvero indietro nel tempo e sembra di riviverli passo dopo passo! Grazie
holaaaaaaaaaaaaaa
sor aldo bello......
un abbraccio grande!!!
bellissimo bellissimo resoconto storico e personale insieme!!!
grazie! marina
Sono curioso di sapere come mai lotti con i numeri...
Comunque grazie per partecipare a questi giochini che scelgo e propongo...
A presto...
Ciao
Tornare indietro a fatti storici così importanti e, purtroppo, tanto dolorosi è fondamentale per capire.
Grazie, Aldo caro :O)
Giusto ieri mio padre mi ha parlato di quel periodo e della sua esperienza. Per chi li ha vissuti sono ricordi indelebili ed è quasi commovente sentirne il racconto dai protagonisti
Ciao Aldo!
Mio padre era del '26, e partì partigiano a 16 anni. L'elenco dei morti della sua brigata è lunghissimo, ma quando ero bambina e mi raccontava le storie di quegli anni in montagna, fucile a spalla e piedi fumanti, non parlava mai di morti o di violenze. Era la guerra vista con l'occhio sbigottito di un ragazzino costretto ad essere uomo: io quasi mi divertivo alle sue fughe nei torrenti per far perdere le tracce ai cani dei nazisti; alla sua fame placata dalle nocciole trovate sotto la neve; alla bollitura dei vestiti per cacciare i pidocchi.
Il tuo racconto mi ha ridato le emozioni di allora. Memoria da non disperdere. Mi unisco agli altri: grazie.
La Silvia precedente sono io, Silvia Garambois.
@il cuoco: Soltanto ai tuoi nipoti? Preferirei sentirlo anch'io e pure tu.
Ciao.
@ANNA: Grazie a te Annarè, questi sono ricordi che è un po' difficile toglierseli dalla mente.
@NADIA: Hola Nadiolita, anche a te un grande e forte abbraccio.
HASTA SIEMPRE!!!
@Marina: Sono contento del tuo generoso e gentile apprezzamento.
Grazie a te.
@MarAnt il Gabbiano: C'è una incompatibilità tra me e i numeri, non tutti in verità, sin dalle elememntari.
Ciao.
@luly: Per certi versi avremmo dovuto tutti imparare quelle brutte lezioni ma sembra che non sia così.
Ciao carissima.
@Angelo azzurro: Non è possibile dimenticare quegli avvenimeti e chi è visutto in quel triste periodo probabilmente ogni tanto li tira fuori per cercare di farli conoscere alle nuove generazioni affinchè non si ripetino. Ciao Angelo.
@silvia 1°) e 2°): Certamente tuo padre ha vissuo in prima persona e non troppo piacevolmente quel periodo, ma, credimi, è un onore per te avere un padre così.
Non tutti in verità giugnono alle nosre medesime conclusioni e cercano di dimenticare quello che è stato fatto per la nostra terra.
Grazie a te Silvia Garambois.
Caro Aldo, la guerra, è brutta, e chi la vive sulla propria pelle. ne porta i segni per tutta la vita
Mia madre e i miei nonni sempre mi raccontavano episodi di guerra.
Mi piaceva ascoltarli anche perchè da piccola non capivo l'importanza li ascoltavo come racconti.
Da grande ho capito e leggendo la tua storia, cosi bene inserita nel contesto storico del momento, mi ha riportato alla mente racconti ascoltati da piccola.
Ma tu, non te potevi stare tranquillo a casa tua invece di andare sempre in giro rischiando la vita? Dovevi essere un bambino molto vispo e meno male che ti è andata bene.
Buonanotte, caro Aldo.
ciao
Ciao Aldooooo!!! Qui finalmente sole!! Te ne mando un pò con un abbraccio.:-)
Anche io ti ringrazio per aver voluto condividere i tuoi ricordi e per avermi fatto emozionare ricordando le ore trascorse ad ascoltare affascinata i rancconti dei miei nonni
grazie aldo per dare una storia personale di una cosa tan triste come una guerra dove e morta tanta gente....
le guerre continuano e sono dramatiche e triste...
speriamo che finiscano perche non servono a nulla.
un bacio
Ciao caro Aldo,
come stai?...
Che brutta cosa la guerra!!!
Quando ero bambina,il mio papà mi
raccontava queste vicende,per mè
sembravano racconti,e mi affascinavano.
Hai descritto questa parte di vita
ancora fanciullo,in modo impressionante,e scorrevole,l'ho
divorato.
Caro Aldo,Ti auguro la buona notte,
un forte abbraccio,e una carezza da Anna2.
@rosy: Tu hai ragione, doppiamente, sulla guerra anzi su tutte le guerre che non si dovrebbero mai fare e sul fatto che io, a quell'età - 13/14 anni - purtroppo ero un po' discolo e la disperazione dei miei.
A 18 anni però sono cambiato.
Buonanotte a te, cara.
@riri: Grazie dell'abbraccio e del vostro sole che si è andato ad aggiungere a quello di Roma.
@Galatea: Ancora oggi ho presente tra i miei ricordi anche quei giorni terribili e, quando posso, torno a raccontarli.
D'altra parte sono un nonno.
@gianna: Le guerre, tutte, portano solo dolore, distruzione e morte e sono una calamità tremenda per i morti ma anche per i vivi.
Un forte abbraccio.
@Anna2: Avrei preferito non viverlo quel brutto e triste
periodo, ma l'importante che me la sia cavata.
Anche a te un abbraccio e una carezza.
Tu sei meglio dei libri. La storia dovrebbero insegnarla a scuola persone come te!
Che dire Aldo, sai tutto di tutti :-) che avevi fatto il militare ad Asti è uno scoop!
Un caro saluto :-)
Che bella pagina di storia, sono rimasta incantata dalla precisione dei Tuoi ricordi.
Un amichevole abbraccio (permetti?).
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