giovedì 28 giugno 2012

21 giugno 2012 - L'indimenticabile estate del '43 ...ma non solo

E'SEVERAMENTE VIETATO PRENDERE IN GIRO CHICCH...E...SSIA.

lunedì 25 giugno 2012

IL CELLULARE...

che non è solo quello che porta gli imputati o ai processi o in galera, ma si usa questa parola anche per i telefonini praticamente marchingegni di complessa struttura complicati ma anche muniti dei requisiti necessari per il loro indispensabile utilizzo. Ma chi ha detto che è indispensabile? E’ stata promulgata una legge al riguardo? No e allora? Io, infatti, fino a maggio del 2007, mi sono sempre opposto a volerne maneggiare uno e ho resistito fino allo stremo. Mi sono sentito come quel soldato giapponese che, unico al mondo, per anni e anni ha ignorato, penso volutamente, che la guerra nel ’45 fosse finita e continuava a restare nascosto nella giungla in attesa del nemico. Dietro una forte insistenza di mio figlio, il quale già mi suppliziava da qualche tempo, ho alzato bandiera bianca e mi sono arreso. Causa: un momentaneo ricovero ospedaliero. Ecco per quale motivo dovevo essere continuamente in condizione di essere contattato e di poter contattare. Addio pace e tranquillità. Come milioni di cittadini sono entrato anch’io, purtroppo, a far parte della “famiglia dei cellularisti”. E non finisce qui: sempre per ordini ricevuti, devo portarmelo appresso anche quando sono fuori casa. Mi sento ridicolo e capisco il perché. Prima che mi fosse appioppato il mio cellulare (io non ne volevo sapere) mi divertiva molto il fatto di incontrare persone che, camminando per strada, sembravano parlare ad alta voce con se stessi. Ai primi impatti, quando li incrociavo sul mio cammino vedendo che addirittura gesticolavano, cambiavo marciapiede e svicolavo, poi, col passare del tempo, mi accorgevo che, camminando, parlavano anche ad alta voce, con uno o due fili che fuoriuscivano dalle loro orecchie e allora capii che…non erano pericolosi. Per non parlare poi dello spettacolo che veniva offerto soprattutto da persone di una certa età anche superiore alla mia (ne avevo allora circa 77), le quali allo squillare del loro apparecchio iniziavano una “importantissima ed inderogabile” conversazione a base di… =come stai? =che mangi a pranzo? =ieri sera che hai visto in TV? =che dici me lo compro quel vestito? =adesso dove stai? =io sto sul bus e fra poco scendo =sì, va bene, ci sentiamo più tardi, un bacione”… Si spiega così perché quando esco di casa lo porto con me a passeggio, nascosto in tasca e, ove mai dovesse vibrare (mi hanno persino messo in funzione il “vibratore”) e poi mettersi a suonare io non faccio altro che girare lo sguardo intorno con aria interrogativa e vedere “l’effetto che fa”. Risponderò a tempo debito, sempre se riuscirò a capire chi mi ha chiamato. Mi hanno istruito su come fare per sapere questo, quello e altro ancora ma evidentemente qualcosa dentro di me si rifiuta di collaborare. Esiste, è vero, la cellulare-dipendenza (da Neologismi Quotidiani di Adamo e Della Valle). Sms, telefonate, pettegolezzi da rivelare il prima possibile senza aspettare di tornare a casa; la “cellulare-dipendenza” non abbandona gli italiani neanche quando sono al volante (Sicilia, 25 ottobre 2001, p.9, In Italia Nel Mondo). Mi viene detto “è il progresso, bellezza”…Già, devo prenderne atto, mi devo rassegnare come ho già dovuto fare per altri marchingegni. Giorni fa ad esempio, mi serviva un idraulico per il cambio dello scaldabagno e poiché quello che gà conoscevo per precedenti lavori non poteva, mi sono rivolto all'amico che abita nel mio stesso pianerottolo e gli ho chiesto se ne conosceva uno di sua fiducia. Presto fatto: prese uno strano oggetto in mano che misurava all'incirca come due telefonini uniti insieme, senza premere tasti ma con un semplice tocco leggero sfiorò la parte anteriore e, a voce, disse all'oggetto che voleva parlare con il tal dei tali. Una voce come quella di un extraterrestre gli rispose precisandogli il numero e chiamando il tecnico il quale rispose e disse che sarebbe venuto l'indomani dalle 9 alle 12. Sono rimasto impietrito e balbettante. Ho ringraziato l'amico e sono rientrato a casa mia guardandomi intorno per il timore che qualcosa o l'ET mi venisse dietro.
Dimenticavo: spero che non sia stato ancora inventato ma se dovessero mettere in funzione qualche meccanismo per interloquire a voce con i computer io prendo il mio Pasquale, salgo su, nel terrazzo condominiale del fabbricato – settimo piano – e gli faccio prendere il volo.

venerdì 22 giugno 2012

COME E QUANDO CONOBBI LA MIA ATTUALE CONSORTE

Era il 1948 ed era una calda domenica di giugno.
In quel periodo io davo una mano a mio padre il quale, credo di averne già parlato in qualche altra occasione, faceva un lavoro particolare. Non era dipendente di nessuno, non aveva né capi né principali, non era mai riuscito ad ottenere un posto fisso ma se la cavava abbastanza con la sua libera attività tanto da riuscire a mantenere dignitosamente una famiglia di sei persone: lui, mamma e noi quattro figli maschi. Praticamente tutta la settimana girava sia per i vari quartieri di Roma, sia in provincia, vendendo romanzi-polpettoni dell'epoca a puntate e a domicilio di chi si abbonava a questa specie di collezione. La domenica invece aveva un giro di "clientela" per la vendita a rate, sempre porta a porta, nel quartiere Trionfale qui di Roma, di prodotti di profumeria: acque di colonia, boro-talco, dentifrici, profumi vari, saponette ecc. Quel quartiere era il preferito da mio padre anche perché tutti i 19 di marzo si festeggiava San Giuseppe e si vendevano bigné con la crema a tutto spiano e ogni volta ne portava a casa un vassoio pieno.
Una domenica di metà giugno, mentre la comitiva dei miei amici di Via della Polveriera, di prima mattina come tutte le domeniche, andava al mare- Lido di Ostia - e vi si trattenevano fino quasi a sera, io invece li raggiungevo subito dopo l'ora di pranzo e dopo che avevo riconsegnato a mio padre la valigetta di legno contenente i prodotti di profumeria rimasti e l'incasso.
Quando quella domenica raggiunsi gli amici nello stesso stabilimento balneare che noi sempre frequentavamo vidi che avevano "rimorchiato- agganciato", cinque o sei ragazze della nostra età e tra di loro ne notai una, grassottella al punto giusto, piccolina e molto carina, non bella ma di aspetto gradevolissimo.
Rientrati a Roma dissi ai miei amici parlando della "piccolina": =quella è fatta pe' mme e che nissuno se permetta de dije "a", levatevelo da la capoccia=.
Il mio corteggiamento durò quasi sei mesi e le mie speranze si stavano affievolendo quando una sera le chiesi se la potevo accompagnare a casa. Lei disse sì, e nel salutarmi, giunti al portone della casa dove abitava, mi strinse la mano in maniera molto significativa che diceva tutto e anche di più.
Otto anni dopo – eravamo nel 1956 – ci sposammo e nel 1959 nacque il nostro unico figlio.

lunedì 18 giugno 2012

2^PARTE DI "TEMPI BELLI D'UNA VOLTA"

SE PRIMA ERAVAMO IN DUE A CANTARE...
Questo è l'inizio di una vecchia canzonetta che ai miei tempi cantavamo in coro io e i miei coetanei quando c'incontravamo e seguitavamo a cantarla fino al numero di quelli che man mano arrivavano alla riunione della "banda": tre, quattro, cinque ecc... sempre le stesse parole cambiando soltanto la cifra, una specie di cantilena.
Al termine della 1^parte di "TEMPI BELLI..." dell'11 giugno corrente l'ultima frase che ho scritto era: "Uno dei prossimi "sabato" ci vado anch'io".
Sabato 16 giugno, così ho fatto, così è andata ed ecco la descrizione del fatto minuto per minuto.
Di mattina verso le 8.30 ho telefonato a mio figlio e l'ho pregato di venirmi a prendere a casa, se poteva, e di portarmi in macchina a Via della Polveriera, più precisamente al piccolo bar in via delle Terme di Tito angolo Largo della Polveriera, luogo di ritrovo dei "reduci" della banda dei tempi passati.
Qualche minuto dopo le dieci eccoci arrivati dinanzi al bar ma non riesco a vedere nessuno e mio figlio deve lasciarmi poichè ha un altro impegno. Lo richiamerò quando sarà finita la riunione.
Appena qualche minuto e mi accorgo che da una macchina posteggiata proprio davanti al bar spunta qualcuno che apre lo sportello accanto al guidatore. Ci guardiamo in faccia e poi con una grossa risata ci salutiamo abbracciandoci. Quel mio amico di 76 anni è quello che da ragazzetti chiamavamo "er carciatore" perché era bravissimo e velocissimo quando giocava a pallone e tutti lo ammiravano. Diventato più grande lo ribattezzammo "cappuccino" perché faceva il barista e se qualcuno di noi capitava dentro uno qualsiasi dei bar dove lavorava lui ti offriva il suo ottimo cappuccino.
Cominciamo a raccontarci qualcosa delle nostre rispettive vicende e nel frattempo ecco che arriva il terzo amico "er purcetta" soprannominato così per via della statura e del peso mosca, tra l'altro fratello di "cappuccino". Anche loro erano inizialmente quattro fratelli maschi, come me e i miei.. Poi due se ne sono andati. Tra l'altro "er purcetta" è diventato famoso perché frequentatore assiduo di centri anziani comunali ma soltanto nei pomeriggi dedicati al ballo dove è atteso in ognuno di quei centri da una vedovella amante del ballo. Una specie di playboy anche se di 79 anni.
Scambio di saluti ed ecco arrivare il quarto amico "straccaletto", soprannome strano dato che lui in vita sua – 73 anni - non ha mai portato gli straccali cioè le bretelle. Però viene chiamato così per il suo incedere, sin da giovane, e per il suo comportamento da eterno affaticato.
Ci sediamo ad un tavolo del bar, all'aperto, e poco dopo arriva il quinto amico "Romoletto" di 75 anni, un pezzo d'uomo alto e grosso.
Non vedendo arrivare altri amici facciamo le nostre rispettive ordinazioni alla cameriera russa. Una bella donna.
I due fratelli purcetta e cappuccino sono venuti in macchina e quindi chiedo loro se mi possono poi accompagnare a casa. Non c'è bisogno di aggiungere altro, dicono di sì, io ringrazio e telefono a mio figlio comunicandogli che non ho più bisogno di lui dato che ho rimediato un passaggio.
Mi faccio due conti ed ecco il risultato: circa 82 anni io "er ficozza", 79 "er purcetta", 76 "cappuccino", 75 "Romoletto" e 73 "straccaletto", in totale quasi 4 secoli. Non c'è che dire siamo proprio dei vecchietti ancora sulla breccia ma non di Porta Pia.
Durante tutta la seduta ogni tanto ci fermiamo per scambiarci i nostri reciproci ricordi e per dare un'occhiata alla bella "sfilata" di turisti e soprattuto turiste che passano proprio davanti il bar dove siamo seduti per raggiungere la vicinissima chiesa di San Pietro in Vincoli ed ivi ammirare il Mosé di Michelangelo.
Alle 11,20 di comune accordo decidiamo di salutarci e smettiamo quindi di chiacchierare nonché di girarci in continuazione per osservare bene lo stato di salute delle "allodole" che passano davanti ai nostri occhi.

venerdì 15 giugno 2012

UN CERTO PROFUMO

Ieri l’altro, un assolato mattino di giugno, uscii prestissimo da casa per farmi il solito giro approfittando del fresco venticello che dava un po’ di refrigerio in vista di una giornata prevista molto afosa.
Data l’ora, in giro non si vedevano molti passanti ed anche il traffico non era molto intenso.
Mancava poca strada ormai per rientrare a casa quando vidi in lontananza una figura femminile che, con leggiadria, procedeva nel senso contrario al mio. Chissà forse fra sé e sé canticchiava qualcosa.
Incuriosito da questo modo di procedere così delicato rallentai volutamente e,nello stesso tempo, senza dare troppo nell’occhio, cercai di osservarla più dettagliatamente.
Molto giovane, forse vent’anni o quasi, piuttosto magra, vestita soltanto di un minuscolo vestito celestino a fiori, leggerissimo, che fasciava la sua figura eterea e che lasciava intravedere le sue forme.
Camminava cercando di sistemare dietro la nuca i suoi capelli lunghi, castano chiari, con un nastro oppure delle forcine, non riuscivo a distinguere.
All’infuori di un paio di curiosi sandali e del vestitino corto fino a metà cosce delle sue gambe snelle, non aveva nient’altro con se, né borsa, né qualcosa di simile, nulla. Lei e il suo vestitino aderente.
Al momento d’incrociarla, la guardai e lei mi sorrise chinando leggermente la testa di lato.
Risposi anch’io accennando un sorriso e proseguii.
Fatti pochi passi ci ripensai, tornai indietro raggiungendola e le dissi:
= Scusa, volevo chiederti se ci conosciamo perché non riesco a rammentare chi sei…La mia età è quella che è e potrei aver dimenticato il tuo nome
= No, no, neppure io ti conosco
= Bé, meno male, temevo di aver fatto una figuraccia
= Nessuna figuraccia, tranquillo. Sto andando qui al bar all’angolo a fare colazione
= Allora ti saluto, buona giornata
= Perché non vieni pure te a prendere qualcosa?
= Ehm…non so se sia il caso che…
= Che c’è di male, su vieni mi fai compagnia
= Non credo sia una buona idea...
= Avanti non fraintendermi, scambiamo soltanto quattro chiacchiere
Entrammo nel bar, ci mettemmo seduti intorno a un piccolo tavolo, lei ordinò un latte caldo e un caffè, separati, non il solito cappuccino, poi un tramezzino e una spremuta d’arancia. Io un té. Quando il cameriere portò il vassoio sul tavolo con quanto avevamo ordinato, insieme allo scontrino per pagare, lei infilò una mano nel vestito all’altezza del seno e tirò fuori un biglietto da 20 euro. Le dissi che volevo offrire io e, dopo aver tergiversato un po’ lei acconsentì..
Poi mi disse che era di una cittadina a circa 100 Km. da Roma, che faceva l’impiegata presso un commercialista,che da quindici giorni si trovava qui in vacanza insieme ad una sua collega per una visita turistica, che sarebbero ripartite quella sera stessa, che erano ospiti di una parente della sua amica, la quale stava ancora dormendo e lei quindi era uscita appunto per fare colazione. Durante il suo racconto io, in silenzio, mentre l’ascoltavo, la guardavo rapito. Occhi scuri, viso ovale non proprio perfetto, labbra carnose e pronunciate. Neppure un filo di trucco, niente. Emanava un gradevolissimo odore simile ad un profumo di non so quale fiore. Mentre ci accingevamo ad uscire lei mi disse
= Scusami sai, sono un po’ in disordine, mi sono appena alzata dal letto.
Mi salutò porgendomi la mano e sentii il suo profumo ancora più accentuato.La osservai allontanarsi con quel suo particolare modo di camminare che accentuava le sue curve flessuose.
Non avevo saputo neppure il suo nome né lei il mio.
Mi chiesi se avevo sognato.
No, avevo ancora in mano lo scontrino del bar.

lunedì 11 giugno 2012

TEMPI BELLI D'UNA VOLTA

Curioso. Mi capita a volte di fare dei ragionamenti tra me e me anche insignificanti se vogliamo però li faccio ugualmente e ci rifletto sopra.
Ad esempio quando mi tornano in mente i tempi belli d'una volta, per me parlo di circa settant'anni fa, avevo dodici anni, c'era la guerra certo e non è che fossero poi così belli quei tempi. Però non era colpa mia e neppure dei miei genitori o di molti altri, ma erano davvero tempi da non augurare a nessuno.
Quando avevo 12 anni non prendevo caffé né a casa né al bar, non fumavo, non acquistavo giornali né andavo a cinema o a teatro, mangiavo poco (il cibo era molto scarso in giro).
Settant'anni dopo ecco che mi ritrovo nella medesima situazione: dal 1999 non bevo caffé,non fumo, non acquisto giornali né vado a cinema o a teatro (per vari motivi), mangio poco – almeno ci provo – per via della dieta che devo osservare.
Naturalmente quand'ero ragazzino mi sentivo libero e mi divertivo insieme a tutti gli amici di Via della Polveriera e dintorni.
Eravamo spensierati, non ci metteva paura niente e ne combinavamo di tutti i colori.
La paura arrivò quando cominciarono a bombardare Roma. A dire la verità però erano i nostri genitori ad averne di più di paura ed era comprensibile perchè temevano soprattutto per noi, i loro figli.
In teoria non dovrei rimpiangerli troppo quei tempi e invece sì giacché la nostra incoscienza ci aiutava a sopravvivere.
Un amico di allora mi ha messo a conoscenza di un fatto.
Un gruppetto di "reduci" di quei tempi si riuniscono ogni sabato mattina per almeno un paio d'ore presso un bar di Via delle Terme di Tito, proprio alle spalle di Via della Polveriera e, senza dubbio
alcuno, rinverdiscono-"recuperano un'apparenza di novità a cose passate"(fonteWikidizionario).
Nostalgia allo stato puro.
Altri amici d'infanzia mi dicono che, anche se lontani dalla nostra "Isola del zibibbo": Via della Polveriera e dintorni, come una specie di pellegrinaggio ci tornano spesso. Per tutti una Shangri-la insomma come un paradiso perduto.
Mi sa che ci piacerebbe tornare "regazzini" ed anche volentieri.
Uno dei prossimi "sabato" ci vado anch'io.

martedì 5 giugno 2012

LO SPAZIO VUOTO

Quando imparai a farlo ricordo che il primo libro per ragazzi che lessi fu "Pinocchio" ma non era tanto il burattino-bambino che mi piaceva quanto invece suo padre Geppetto. Non so neppure io il perché ma ciò che mi attirava di più in lui era il mestiere che faceva: il falegname. Ed iniziò da lì, credo, il desiderio di emularlo. Se mi si chiedeva che cosa volevo fare da grande la prima risposta che davo era proprio "il falegname" seguito da altre aspirazioni molto variegate.
In Via della Polveriera dove ero nato, la nostra casa, dei miei genitori e di noi quattro fratelli aveva, tra l'altro, un corridoio lungo che iniziava subito dopo l'ingresso e arrivava fino in cucina. All'inizio di questo corridoio c'era uno spazio vuoto di circa 80 centimetri di profondità, un paio di metri di larghezza, sempre circa, e almeno tre metri di altezza.
Mia madre aveva espresso più volte a mio padre il desiderio di avere un armadio a due sportelli che doveva avere le stesse misure di quello spazio vuoto e che avrebbe funzionato da ripostiglio.
Anche se mio padre si dette da fare non riuscì a trovare, di seconda mano beninteso, l'oggetto desiderato.
Se ricordo bene, dovevo avere 19 anni ed ero disoccupato quando un giorno mi venne in testa l'idea di vedere se riuscivo io a fare qualcosa che potesse essere equiparato ad un armadio.
Ne parlai prima con mia madre, poi con mio padre i quali un po' dubbiosi mi dissero che potevo provarci e che avrebbero collaborato anche loro. Enunciai il mio "progetto" e tutti concordarono su
ciò che avevo in mente di fare. Mia madre fece addirittura una piccola bozza e mi chiese se era fattibile. Risposi di si.

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Uno scaffale semplice con quattro ripiani e un vano sottostante libero per potervi riporre oggetti più alti.
Io, mio padre e i miei tre fratelli ci occupammo del legname sia per i ripiani che per i fianchi del futuro scaffale da poggiare alle pareti laterali mentre mia madre con della stoffa di cotone a fiori confezionò una tenda con tanto di anelli che avremmo fatto scorrere su di una canna di metallo da fissare superiormente al primo ripiano.
Avevamo in casa gli utensili necessari e quindi potevamo procedere.
Venne acquistato il legname e fatto tagliare a misura in un magazzino poco distante da casa nostra
e demmo inizio all'opera.
In due giorni lo scaffale era pronto anche perché tutto il legname usato l'avevamo lasciato grezzo, senza dipingerlo ma soltanto lisciato un po' con la carta vetrata.
Non voglio dilungarmi oltre ma ci tengo a dire che lo scaffale campò per circa ventisei anni fino alla scomparsa dei nostri genitori per cui la casa era rimasta vuota dato che noi quattro fratelli eravamo sparsi qua e là con le rispettive famiglie.
Quando alla fine del 1976 mi recai nella nostra vecchia casa all'interno 11 di Via della Polveriera numero 40 per vedere se c'era della posta da ritirare, i nuovi inquilini la stavano ristrutturando.
Mi accorsi che all'inizio del lungo corridoio lo scaffale non c'era più e, al suo posto, lo spazio vuoto.

venerdì 1 giugno 2012

LA DIFFERENZA

= in fondo che male c'è siamo entrambi maggiorenni e vaccinati...
= sempre queste parole dette e ridette...
= sono d'accordo ma è così
= no mia cara perchè nel nostro caso c'è una differenza...
= quale, quella che tu hai 61 anni e io 45?
= ti sembra niente?
= cominciamo col dire che sei stato onesto per il fatto di avermi detto la tua età
= era il minimo
= non li dimostri e già te l'ho detto
= ancora un complimento?
= no è la verità e poi sai quanto me ne importa degli anni che hai?
= a me sì, e parlo della troppa differenza, anche se sei stata tu a farmi capire che...
= lo ricordo bene. Comunque siamo diversi e meno male. Per favore non ne parliamo più di queste cose così banali e ovvie. Diventano importanti solo per gente che non ha nulla da dirsi...
= noi invece?
= io ti piaccio e tu mi piaci, tutto il resto è spreco di tempo, non sei d'accordo?
= alcune volte ho timore di dirti parole particolari che mi ronzano in testa perché non so quale reazione potresti avere e quello che potresti dire...
= invece dovresti provare a dirmele queste parole senza dubitare tanto su quello che potrei dire o fare io, cosa penserò di te e blablabla. D'altra parte ascoltami bene una volta per tutte. Siamo entrambi single con un passato che non ci appartiene più, non abbiamo nessuno a cui dover rendere conto delle nostre azioni, godiamo della più ampia libertà, che cosa ci vieta di continuare a vivere tenendoci "metaforicamente" per mano?
= il mio sogno sarebbe quello di poter stare insieme...
= ma quante volte te lo devo dire? Se stai in una camera in subaffitto e non è possibile abitarci insieme non ti rimane altro che venire a casa da me e con me. La mia è abbastanza grande, comoda e tranquilla...
= e i tuoi vicini? I tuoi conoscenti? I tuoi amici? Cosa penserebbero e direbbero di questo vecchio che ti sta vicino? Sai benissimo che noi uomini invecchiamo più precocemente di voi donne...
= la questione è che sei un vecchio - e questo lo dici tu – che però non riesce a dimenticare il profumo della donna, che hai pensieri in testa e ancora di più li hai nel cuore. Dalli a me, se te la senti, così non vanno sprecati
= vorrei abbracciarti ma...
= che aspetti? Vedi di farlo così posso farlo anch'io e voglio anche baciarti.
Una coppia insolita ma che ebbe la fortuna di vivere circa vent'anni insieme.
Non si erano mai sposati, non vissero sempre felici e contenti ma si vollero un gran bene ed erano la coppia più invidiata del quartiere.
Quando lui lasciò questa terra lei, che negli ultimi tempi lo aveva accudito come fa una madre col suo bambino, rimase a lungo chiusa dentro casa, in compagnia soltanto del suo dolore per la perdita di un uomo con la U maiuscola. In definitiva del suo uomo.
Nel tirare le somme convenne con sé stessa che erano stati anni belli e difficili da dimenticare.