sabato 18 agosto 2012

LA PRIMA VOLTA CHE VIDI PARIGI

Era l'estate del 1972 e capitò l'occasione buona per andare a vedere Parigi. Mai vista prima.Ecco come andarono i fatti. Il fratello di mia moglie, mio cognato, era anche lui cognato del fratello di sua moglie. Il cognato di mio cognato, nato in Italia, viveva in Francia da oltre vent'anni, insieme alla sua famiglia, faceva il floricoltore e aveva una bella casa nella campagna vicinissima a Parigi. Per capire meglio la differenza il "romano" è il mio di cognato e il "francese" è invece il suo di cognato. Il "francese" aveva invitato il "romano" a trascorrere una quindicina di giorni a casa sua appunto a Parigi estendendo l'invito anche a me in quanto eravamo quasi parenti (?). Io e il cognato romano tenemmo due o tre riunioni per pianificare il viaggio in tutti i minimi particolari. Poiché a partire eravamo in sei e cioè io, mia moglie e mio figlio di 13 anni e lui, il cognato romano, sua moglie e sua figlia di 11anni, decidemmo all'unanimità di andare con due autovetture: la mia 1100/R e la sua Renault. Consultando carte, cartine e mappe apprendemmo che la distanza da Roma a Parigi misurava 1500 chilometri circa e che, senza fermarsi mai – cosa sicuramente impossibile – ci avremmo impiegato non meno di 15 ore. L'unica soluzione era partire all'alba in maniera tale da arrivare a destinazione in un orario ragionevole. Il cognato romano abitava in un quartiere periferico mentre io invece in un rione del centro e allora pensammo di darci un appuntamento al primo distributore di benzina presente all'inizio della via consolare che ci avrebbe consentito di accedere in autostrada verso Torino. Nessuno di noi sapeva di quale società petrolifera fosse il distributore, ma doveva essere il primo, rigorosamente. Le cinque del mattino era l'ora fissata di comune accordo. L'indomani mattina, prima dell'alba, dopo aver regolato i nostri orologi, ci mettemmo in marcia verso il primo obiettivo: un distributore di benzina qualsiasi. Miracolo dei miracoli, alle cinque in punto avvenne il rendez-vous esattamente davanti il primo distributore che, se ricordo bene, era quello del canone a sei zampe. Verso le tredici – dopo otto ore di viaggio – ci fermammo per una brevissima sosta mangereccia e quindi proseguimmo a velocità sostenuta come se non si vedesse l'ora di arrivare alla meta. Quando arrivammo a Lione era già pomeriggio inoltrato. Dovevamo ancora percorrere 500 Km. circa per giungere a Parigi. Una breve sosta e di nuovo in marcia, ma ad un centinaio di chilometri da la Ville Lumiere decidemmo, sempre all'unanimità, di fermarci: eravamo stanchissimi. Cercammo un alberghetto per dormire ma l'unico che trovammo non era di gradimento delle nostre consorti. Parcheggiammo in un prato alberato quasi sul ciglio di un burrone in fondo al quale si vedevano dei binari ferroviari. Avevamo sonno e allora, desiderando "ritirarci nei nostri alloggi", predisponemmo le nostre due auto per cercare di farle diventare qualcosa che somigliasse ad un posto dove dormire. Il cognato romano aveva l'auto con i sedili anteriori adattabili e quindi lui e la moglie si misero discretamente comodi mentre la loro figlia si accomodava sul sedile posteriore. Nel frattempo mio figlio prendeva possesso del sedile posteriore della mia auto e si metteva a dormire con le gambe fuori dal finestrino. Io e mia moglie seduti sui due sedili anteriori. Naturalmente, meno i due ragazzi che, placidi dormirono , noi quattro non chiudemmo occhio anche perché su quei binari ferroviari transitarono molti treni, sia in una direzione che in quella opposta. Riprendemmo il nostro viaggio e, finalmente, verso le undici di mattina arrivammo a Parigi e quindi a casa del cognato francese. Io e i miei ci trattenemmo una settimana ma facemmo in tempo a visitare Champs Elysees, Notre Dame, Tour Eiffel, Tomba di Napoleone e altro ancora che non rammento. La sera prima di partire il figlio del francese c'invitò a noi maschietti a fare una capatina nella strada parigina dove si trovano le Folies Bergeres ed altro. Per noi, quell'altro fu una capatina ad un locale notturno il buttafuori del quale ci aveva magnificato lo spogliarello integrale al quale avremmo assistito. Non fu così, nulla era più casto di quello spettacolo. Meglio. Giusta punizione per dei turisti ingenui. L'indomani di buon'ora io e i miei ci mettemmo in viaggio per Montpellier vicino Marsiglia dove eravamo stati invitati da una mia cugina figlia di un fratello di mio padre. Rimanemmo lì circa sei giorni, facendo in tempo a fare alcuni bagni nel Mediterraneo e prendere atto che a quei tempi, anno 1972, topless e tanga andavano già di moda.

lunedì 13 agosto 2012

BREVE CRONACA IN PRESA DIRETTA

Oggi è domenica 12 agosto e sono le otto di mattina.

Percepisco che la temperatura mi confà e allora decido di uscire da casa dopo un periodo di quarantena - magari esagero però quindici giorni sono sicuri – che ho dovuto osservare standomene rinchiuso tra quattro mura sia per il caldo eccessivo sia per una leggera indisposizione poi risoltasi.

Passeggio lentamente sul marciapiede di destra della mia strada di casa che costeggia l'Istituto Tecnico Industriale Galilei con ingresso in via Conte Verde appena girato l'angolo.

Ricordo che nel 1944, durante la "liberazione" di Roma l'Istituto era stato occupato dai soldati americani i quali, quando era loro concesso il riposo, lo trascorrevano nel breve tratto di Via Luigi Pianciani proprio di fronte l'Istituto medesimo, che avevano adibito a campodi baseball.

Torniamo ad oggi. La temperatura è buona, tira anche il classico e fresco venticello di Roma, giro l'angolo di Via Conte Verde, traverso e inizio il breve tratto di una Via Pianciani insolitamente vuota

appena quattro o cinque auto parcheggiate sul lato sinistro della via mentre a destra il deserto! Sul lato destro affacciano l'Ufficio Scolastico Regionale del Ministero dell'Istruzione, ex Provveditorato agli Studi; gli uffici dell'A.N.A.S. e quelli della Regione Lazio Agenzia Agricoltura Caccia e Pesca quindi, tolto il periodo ferragostano, di solito è affollato e frequentatissimo. Nel lato opposto alcune abitazioni ed un piccolo albergo credo a tre stelle non di più. Preciso che il largo marciapiede dove si trovano gli Uffici appena descritti è interamente coperto da una grata metallica a copertura ritengo di locali adibiti a vari usi, mentre quello a sinistra è stretto e coperto dai classici sanpietrini.

La via, oggi domenica ante ferragosto, è "felicemente" deserta ed io mi avvio verso il vicinissimo supermercato quando ad un tratto dall'alberghetto esce una stangona in minigonna che si mette a fotografare l'esterno e l'insegna dell'albergo stesso mentre da una macchina parcheggiata lì davanti esce uno stangone in calzoncini che si avvicina alla ragazza. Entrambi giovanissimi. Mentre passo sul marciapiede opposto, quello destro con la grata, sbircio la targa dell'auto e noto che è italiana,

Credevo fossero turisti nordeuropei. Giunto nei pressi i due mi danno un'occhiata ed io penso che se mi chiedono di far loro una foto sono fritto perché non ne capisco un'acca. Invece per mia fortuna niente. Seguito a camminare, sento che mi stanno sorpassando sullo stesso marciapiede che percorro io e, fatto qualche passo, una qualche folata di vento proveniente dalla rete metallica solleva la leggerissima minigonna della stangona la quale si volta e S O R R I D E N D O M I si tiene bassa la mini con il braccio destro. Mi sorride anche lo stangone! Ma che vor di'? Ad ogni modo ce ne fossero di incontri così tutti i giorni. Chissà perchè mi è tornata in mente la scena di Marilyn Monroe nel film "Quando la moglie è in vacanza".

Sto per giungere a destinazione ma il supermercato nei giorni festivi apre alle 8.30 e allora mi metto all'ombra di un alberello poco distante.

Appena qualche minuto dopo una persona anziana, credo di qualche anno meno di me, capelli bianchissimi, mi passa vicino e, camminando, mi guarda e mi chiede =dov'è il locale di......?.= senza dire di che cosa e, senza fermarsi, si allontana lentamente. Sono rimasto basito. Non ho capito che voleva sapere e quindi non ho potuto rispondere.

Quando sono entrato al supermercato mi sono chiesto se per caso mi avesse beccato in pieno qualche colpo di sole.

Eppure non mi sono inventato nulla, niente fantasia solo realtà e ho voluto descrivere tutto subito.


lunedì 6 agosto 2012

ARGOMENTO SUCCULENTO

Qualche volta capita di ascoltare, non volendo, dialoghi d'ogni genere tra due o più persone in occasioni e nei luoghi più disparati: al bar, al cinema, a teatro, in pizzeria, al ristorante, al supermercato, passeggiando, oppure sui mezzi di trasporto pubblici. Insomma ovunque.

Giusto ieri dovendo recarmi in un piuttosto lontano da casa, decido di salire su un autobus al capolinea per stare comodamente seduto considerata la lunghezza del tragitto.

L'autobus è completamente vuoto: come mai?

Lo sciopero quasi quotidiano dei trasporti?

Per precauzione cerco d'incrociare l'autista per chiedere se il servizio funziona o meno e l'autista stesso – nel vicino bar a prendersi un caffé - mi assicura che da lì a pochi minuti la corsa sarebbe regolarmente partita.

Bene. Con la possibilità di scelta che ho mi siedo in un posto a metà del bus e aspetto.

Appena qualche attimo ed ecco salire due uomini di una certa età intorno ai sessanta credo, piuttosto robusti o meglio sovrappeso, capelli grigi e andatura sicura, quasi spavalda. Si siedono anche loro proprio dietro di me e iniziano a chiacchierare mentre l'autista mette in moto e parte. Siamo soltanto in quattro: tre passeggeri e l'autista.

Non ho con me cose da leggere, quotidiani, settimanali o libri per cui rivolgo lo sguardo verso i finestrini e vedere quello che avviene in strada.

Gli altri due passeggeri seduti dietro di me parlano tra di loro, prima a bassa voce poi, senza neppure farci caso, alzano il tono e non posso fare a meno di ascoltare quello che stanno dicendo

=Romole' ma nun m'hai riccontato gnente de quer pranzo de domenica passata

=Statte zitto Miche' nun ce vojo manco pensa'. So' passati quattro giorni e ancora devo da diggeri'...

=E che te sarai magnato mai?

='O voi sape' Romole' ?

=Te credo, sennò che amichi semo

= E vabbé, mo' te lo dico. Anzi 'o sai che faccio? Faccio come li gamberetti, a marcia indietro, ner senso che, pe fatte gusta' tutto, parto dar dorce, anzi da li dorci fino ai primi. Manco a dillo sur tavolo un vino cannellino de Frascati a fiumi...

=Ce lo so, quer vino è veramente gajardo...

=Esatto. Allora come t'ho detto te ricconto dalla fine: tre dorci..

=Come tre? Uno nun bastava?

=Allora fai finta de nun capi'...Se trattava d'un pranzo vero dove devi da magna' tre cose d'ogni cosa...d'ogni portata voglio di'... Mo hai capito?

=Vabbé vabbé, daje...

=I dorci: un maritozzo co la panna, un bigné co la crema e na fetta de tiramesù...

=Boniii!

=Pe' contorno: du carciofi alla romana, 'na forchettata de cicoria 'n padella co' ajo, ojo e peperoncino e 'na cucchiajata de facioli co' le cotiche...

=Questi me piaciono un sacco...

=Pe' seconno: abbacchio a scottadito, gallinaccio co' peperoni e saltimbocca alla romana...

=Er gallinaccio nun me sconfinfera...

=Pe' primo: rigatoni alla carbonara, spaghetti ajo, ojo peperoncino e spaghetti cacio e pepe

=Tutto qua?

= Perché nun abbasta?

Una frenata brusca, l'autobus si blocca, l'autista sporge appena la testa dal gabbiotto, si volta e, rivolto verso Romoletto - certamente per sfotterlo - gli dice

=AHO' MA L'IMPEPATA DE COZZE com'è che nun c'era ner menù?

mercoledì 1 agosto 2012

BETTY (fatti realmente accaduti)

Lei si chiamava Betty e nei primi anni cinquanta conobbe Paolo in occasione di un pomeriggio danzante in casa di una propria parente. Avevano entrambi tra i diciannove e i venti anni ed erano fidanzati con amici comuni. Lei con un giovane coetaneo in procinto di essere assunto presso una grossa ditta, invece Paolo, in attesa di occupazione, con un'amica di Betty. Loro quattro facevano parte di una comitiva piuttosto numerosa e quasi tutte le sere si incontravano in una sorta di osteria-trattoria situata nei pressi delle loro abitazioni per scambiare quattro chiacchiere. L'oste era il padre di uno di loro e quindi si potevano trattenere senza alcun ostacolo dalle tre alle quattro ore ogni volta. Colei o colui che se lo potevano permettere ordinavano una bibita e mangiavano un "cappone". Non era il noto gallo castrato bensì mezzo sfilatino di pane leggermente scottato sulla griglia, condito con una goccia d'olio e un pizzico di sale. Come si usa dire i tempi erano magri e quello era ciò che passava il convento. Nel corso di questi incontri si rideva, si scherzava e si passava il tempo discutendo di vari argomenti. Una di quelle sere, Betty e Paolo, seduti insieme agli altri amici, si accorsero reciprocamente che stavano guardandosi con intensità senza che nessuno di loro ne conoscesse il perché. Non dissero una parola, appena qualche secondo e volsero altrove i loro sguardi. Entrambi cercarono di evitarsi per il resto della serata. Due giorni dopo, quando insieme agli altri si ritrovarono all'ingresso della solita osteria, Betty prese da parte Paolo e rapidamente gli sussurrò

=Devo parlarti da solo

=Anch'io.

Senza che nessuno se ne accorgesse riuscirono a concordare un appuntamento per il tardo pomeriggio del sabato successivo. Quando si videro nel giorno e nel luogo concordati si salutarono non senza imbarazzo poi Paolo chiese:

=Va bene per te se prendiamo il bus e scendiamo al capolinea che si trova all'inizio di Appia Antica?

=Sì, va benissimo.

Saliti sul bus e lungo tutto il percorso scambiarono tra loro poche parole. Si stavano chiedendo entrambi come affrontare la situazione che si era venuta a creare. Giunti a destinazione si diressero camminando lentamente verso il prato antistante il Mausoleo di Cecilia Metella, non c'erano panchine e quindi si sedettero sopra i resti di una colonna marmorea proveniente da vecchi scavi archeologici della zona

=Paolo...te l'ho chiesto io quest'incontro

=Lo so Betty e sentivo anch'io la necessità di vederci da soli

=Sai anche il perche?

=Sì. Vedi Betty a volte certi sguardi sono più espliciti delle parole e di certi comportamenti

=Sono così trasparente per cui si nota subito quello che sento dentro di me?

=Dal momento che siamo qui, insieme, noi due soli, non credi che lo sia anch'io?

=Vero. Il fatto è che non dovremmo esserci qui e tu conosci benissimo il motivo

=Perché ti sposi a fine mese

=Giusto. E non è corretto e neppure onesto questo mio comportamento, ma...

=Ma?

=Penso che abbiamo sbagliato i tempi dei nostri reciproci fidanzamenti. Te lo dico con sincerità

=Che intendi fare

=Nulla. Anche se vorrei dirti quello che provo per te. Ho fatto una promessa e intendo mantenerla.

=Ti vuole bene come...

=Come?

=Come e quanto te ne voglio io?

=Credo di sì, a modo suo. E poi io e te non abbiamo fatto mai trapelare quello che sentivamo l'uno per l'altro

=Abbiamo commesso un grosso errore

=Già. Torniamo adesso, ti prego.

Paolo prese per mano Betty gliela strinse con delicatezza e si avviarono lentamente verso il bus.

Si stava facendo buio, ma giunti a pochi passi si fermarono si guardarono e si scambiarono un lungo

ed appassionato bacio, incuranti di tutto. Poi, senza dire una parola, salirono sul bus e tornarono nelle loro rispettive case. Il dolce intenso sapore di quel bacio e di quelle labbra rimase a lungo nei ricordi di Paolo. Negli anni che seguirono pur risiedendo nello stesso Rione di Roma s'incontrarono raramente. Invece Betty e la moglie di Paolo, entrambe con un figlio quasi coetanei, si vedevano spesso nel vicino Parco del Colle Oppio dato che i due bambini giocavano sempre insieme. Betty e Paolo evitarono comunque di coltivare la loro di amicizia e se qualche volta s'incrociavano, si scambiavano appena qualche parola e si salutavano affettuosamente. Non molto tempo fa, dopo tanti, troppi anni, accadde qualcosa. Paolo, per sbrigare una commissione per conto del proprio figlio, si dovette recare presso l'Agenzia di una Banca vicino casa e quando entrò vide che davanti a uno sportello era ferma Betty probabilmente anche lei per lo stesso motivo. Paolo si avvicinò ad un altro sportello dove non c'era nessuno in attesa e rivolse un cortese saluto a Betty poco distante. Lei si voltò, sorrise e subito si avvicinò a Paolo e, rivolta verso l'impiegato che evidentemente conosceva da molto tempo, disse

=Eugenio vuoi sapere una cosa? Vedi questo signore? Più di sessant'anni fa io mi ero innamorata

di lui, poi invece...

L'impiegato allo sportello accennò un sorriso imbarazzato mentre Paolo cercava di dire qualcosa senza riuscirci. Terminate le operazioni in banca, Betty e Paolo si salutarono abbracciandosi calorosamente, alla presenza di tutti gli astanti, impiegati e clienti. Per poco non partì un applauso.

Nel riprendere il cammino per il ritorno a casa Paolo ripensò al dolce intenso sapore di quel bacio dei primi anni cinquanta che non aveva mai dimenticato.

giovedì 26 luglio 2012

DIALOGO (???) E ALLUSIONI

“Eccomi qua…che ne dici?…mmmh!…c’è qualcosa che non quadra vero?
“…....”
“Deve essere la cravatta…non è adatta eh?
“…....”
“Può darsi che stoni un po’ con questo vestito...
“…....”
“D’altra parte non è che devo andare chissà dove…
“…....”
“Lì alla Camera non si mettono mica ad esprimere giudizi su quello che indosso...
“…....”
“Credo non si accorgano neppure se ci sono oppure no…
“…....”
“Ormai li conosco i miei colleghi…hanno altro da fare e guardare…
“…....”
“Effettivamente è meglio che provi un’altra cravatta…vediamo un po’…
“…....”
“Sono talmente tante che…guarda, guarda…
“…....”
“Sì, lo so che sono passate di moda ma alcune di queste hanno un valore particolare per me…
“…....”
“Ecco…questa per esempio me la regalò il Capogruppo anni fa…
“…....”
“No, no…è vero…non ci sta bene…
“…....”
“Sì, in effetti, non s’intona col vestito…
“…....”
“Allora, vediamo un po’…vestito grigio…cravatta…
“…....”
“Secondo me questa è proprio quella che ci vuole…
“…....”
“Siamo d’accordo…vestito grigio tinta unita…cravatta blu a palline…
“…....”
“Scarpe e calzini sono intonati quindi……..
“Sono a posto, vado…ma prima chiudo lo sportello con lo specchio.
= Miche’…
= che c’è?…
= ‘sto botto che d’è?…
= lo specchio Carme’…
= lo sai nun va be’…
= ma mi dici perché?…
= perché due nun fa tre…
= ci vediamo Carme’…
= te saluto Miche’…=
…UFFA…Specchio delle mie brame chi è lo scocciatore del reame?

giovedì 19 luglio 2012

LETTERA APERTA (già inviata e ancora senza risposta)

Roma 3 luglio 2012
AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DEL GOVERNO ITALIANO
Palazzo Chigi – Piazza Colonna – Via del Corso
R O M A

Oggetto: TAGLI ALLA SANITA'

Professor Mario Monti, Tu ricopri attualmente questa carica e da Te e naturalmente dai Ministri e dai Sottosegretari del Governo Italiano noi cittadini Italiani ci aspettavamo e ci aspettiamo ancora
quella "equità" da Te molte volte promessa. Capisco che per attuare un programma di austerità e di sacrifici per rimettere a posto l'economia italiana dopo i disastri attribuibili sia alla crisi mondiale, sia a quella europea in particolare e sia infine alla incompetenza di chi Ti ha preceduto, Tu devi ottenere e rispettare le delibere del nostro Parlamento e non solo, però ci sono stati e temo ci saranno, dei provvedimenti che sono lontanissimi dalla "equità" tanto declamata.
Vengo subito al punto. Sono un cittadino italiano nato a Roma nel 1930, pensionato INPS cat. IO, invalido al 100% - vero e non falso – sposato con una donna anch'essa nata a Roma nel 1928, pensionata sociale INPS, invalida al 100% con diritto d'accompagno. Lei è assistita da una signora rumena regolarmente assunta e retribuita per la quale verso i regolari contributi. Il nostro unico figlio nato a Roma nel 1959, sposato, due figlie studentesse, ci aiuta il più possibile non soltanto ecconomicamente. Evito di elencarTi qui tutti i guai fisici che affligono me e mia moglie ma potrei parlarTi del mare di guai economici in cui ci troviamo e ci troveremmo ancora di più ove venissero effettuati i tagli che state preparando. Se richiesto lo farò, magari a parte, con documentazione certificata unitamente alla situazione reddituale completa dalla quale risultano gli unici redditi che abbiamo e che si limitano soltanto ed unicamente alle pensioni INPS che percepiamo. Non possediamo altri redditi di alcun tipo e non siamo proprietari neppure della casa dove abitiamo. Da quello che farei avere si potranno facilmente effettuare gli opportuni accertamenti così che si possa controllare quello che vado affermando. A parte le spese per l'assistenza di mia moglie, nonchè le bollette mensili, bimestrali e via dicendo mi potresti dare un consiglio come continuare a vivere con quello che percepisco e con quello che costa la vita attualmente?
Ti scrivo questa lettera perché ho letto un articolo su un quotidiano che, riguardo la pubblica amministrazione, "non passa il tetto alle pensioni" e che descrive in dettaglio le vostre pensioni e quelle di altri dirigenti che a me hanno suscitato non poca rabbia. Credimi Professore, non invidia, ma impotenza di fronte a queste e ad altre iniquità – vedi privilegi – che governanti, politici, sottobosco ed ex appartenenti alle istituzioni, godono, hanno goduto e continueranno a godere per tutta la loro vita. Posso dare a Te e a chi frequenta i "palazzi" a qualsiasi livello un suggerimento che è ovviamente una provocazione e che forse a qualcuno di voi non dispiacerebbe.
Emanate un decreto legge che istituisca le "camere a gas" di nazista memoria in modo da eliminare i "parassiti" come noi.
Oppure una mia proposta alternativa, che a me pare ragionevole, può essere quella di ottenere dallo Stato un contributo mensile vita natural durante pari al costo del ricovero ospedaliero di mia moglie per cinque giorni. Credo che ne potranno ricavare un beneficio non indifferente sia lo Stato a tutti i livelli, sia l'ospedale, sia la persona da curare e assistere dentro la propria dimora e a proprie spese grazie al vostro contributo. Ovviamente tale proposta vale anche per altri che si trovano nelle mie stesse condizioni.
E, Ti prego, non rispondermi "c'è chi sta peggio" perchè questo è scontato e non è sostenibile.
Buon lavoro,
aldo accardo.

ps. auspico una cortese e rapida risposta.

lunedì 16 luglio 2012

LA PATENTE, UNA 600, PRIMA, DURANTE E DOPO

La patente d’auto ai miei tempi si poteva ottenere a 18 anni compiuti. Io fino ai 36 non ci pensavo proprio ma accaddero alcuni fatti che mi costrinsero ad aggiungermi al numero dei circolanti a 4 ruote.Correva l’anno 1966 (secondo me troppo velocemente) ed io ero impiegato in uno studio professionale piuttosto lontano dal posto in cui abitavo però questo fatto non mi creava alcun problema. Mezzi pubblici a profusione e abbastanza celeri dato il traffico di allora .
È il 10 luglio 1966, una caldissima giornata d’estate ed io, il pargolo di 7 anni e la mammina dovremmo iniziare a pranzare ma lei è ancora indaffarata con qualcosa che improvvisamente le cade di mano e si va ad infrangere sulla parte superiore del suo piede destro. Una caraffa di vetro colma d’acqua le produce un brutto taglio. Perde sangue. Non so perché non mi viene in testa di chiamare l’ambulanza. Cerco qualcuno nel palazzo che ha la macchina e che ci possa portare me e mia moglie al più vicino pronto soccorso. Non trovo nessuno. Mi ricordo di un nostro amico, padre di un compagno di classe di mio figlio che ha una sorella più piccola con due guanciotte che sembra una “pesca”. Di corsa vado su, loro pure stanno mangiando ma lui smette subito ed esce con me. Lascio lì mio figlio sperando che non si mangi la “pesca” dato che ogni volta che la incontra gli piace darle un morso.Di corsa all’ospedale ed in poco tempo tutto sistemato. Prendo l’estrema decisione. L’indomani m’iscrivo ad una vicinissima scuola guida e seguo tutte le lezioni teoriche con molta attenzione. Un istruttore mi fa fare anche ore di pratica e arriva il giorno dell’esame alla presenza, nella macchina da me guidata, di un funzionario credo della Prefettura. Accanto a me siede l’istruttore. Via, si parte, magari a singhiozzo ma si parte. Dopo una buona mezz’ora di varie grattate nel cambiare le marce, di fanali e marciapiedi evitati per puro miracolo, di inutili tentativi di parcheggio - avanti e indrè non ricordo per quante volte – il funzionario, lui sudatissimo, noi pure, esplode e mi ordina di fermarmi. Tre giorni dopo mi telefona l’istruttore e m’informa che posso andare a ritirare il foglio rosa, anteprima della patente. Ancora oggi mi chiedo: se le patenti vengono concesse ad un incapace come me chissà se è meglio non girare tanto per le strade. Il giorno stesso del “rosa” parlo con un cliente dello studio proprietario di una società di vendita d’auto usate e a rate, prendo appuntamento per l’indomani e ci vado accompagnato da mio fratello più piccolo (di 7 anni) lui sì patentato doc. Col “rosa” si può guidare col patentato accanto. Acquisto una 600 che sembra abbastanza in forma e mio fratello mi dice che devo guidare io. Da lì a casa sono circa 10 chilometri e, quando finalmente arriviamo, lui scende mi augura buona fortuna e se ne va credo maledicendo il giorno in cui m’ha detto che m’avrebbe accompagnato. Tutte le sere, verso mezzanotte, quando in giro non circola nessuno, io mi esercito alla guida della 600 con un amico accanto prendendo in pieno alberi, fanali e marciapiedi di un lungo viale vicino casa. Ma il giorno fatidico arriva. Precisamente il 19 agosto 1966 mi viene consegnata dalla Prefettura di Roma la Patente con la P maiuscola, quella vera.. Domenica prossima si va a Genzano, da Pistamentuccia, passando per Albano prima e per Ariccia poi.Le pappardelle ci attendono. Partiamo verso le 10 a.m., non si sa mai. Allegri come una Pasqua mammina, il rampollo,ed io tetro come il 2 novembre. Sto attentissimo a non superare i 20 Km.l’ora benchè i cartelli indichino un numero maggiore, ma non mi riguarda. Riguarda però chi si azzarda a starmi dietro. Tre ore di viaggio senza alcun incidente. Per un percorso di un’ora e non di più credo sia un record, negativo forse. Tutti felici e contenti, meno io che già sto pensando al ritorno.
Negli anni a seguire non è che la mia guida cambiò di molto. Certo camminavo molto più veloce ma osservavo scrupolosamente il codice della strada come, ad esempio, cedere il passo ai pedoni sulle loro strisce, fermarsi ai semafori quando inizia il giallo e attendere scrupolosamente il riapparire del rosso, non investire animali di qualsiasi tipo e cose del genere. Solo che io frenavo bruscamente tanto che colui o colei che mi seguiva inevitabilmente mi tamponava. Sono stato per un lungo periodo l’incubo degli automobilisti, delle loro case assicuratrici, ma il più apprezzato dai carrozzieri. Almeno una volta ogni 15 giorni ero da loro a rifarmi il paraurti posteriore nuovo o un’altra riparazione qualsiasi. Prima che mandassi la mia cara 600 in pensione, dopo tre anni, nel 1969 ebbi anch’io il mio momento di celebrità tamponando una macchina. Solo che era quella di mio fratello più grande che guidava la sua davanti a me in una strada provinciale. Ci mettemmo tutti a ridere per la stranezza del caso. Lui si era diligentemente fermato allo stop. E gli agenti delle due nostre rispettive società assicuratrici si resero conto della nostra assoluta buona fede e ci rimborsarono il costo delle riparazioni. Sorridendo. Chissà perché?
Ne avrei altre da raccontare sulle mie doti da automobilista ma è meglio che non lo faccia.
Tanto non rappresento più un pericolo per il prossimo in quanto la patente si è fermata al 2001.

mercoledì 11 luglio 2012

MI E' VENUTO UN DUBBIO

Specialmente d'estate in giro per Roma si notano turisti singoli o in gruppo col naso all'insù ad ammirare le bellezze che questa città offre, con le mani impegnate a tenere una carta toponomastica e con gli occhi rivolti alla ricerca di qualcosa. Durante il mio quasi quotidiano peregrinare qui nel mio Rione, ne incontro a frotte e a me questo fa piacere anche perchè mi sembra di intravedere nelle loro espressioni un interesse estatico. Come detto più volte sono stato fermato spesso e con molta cortesia per informazioni circa vari luoghi, monumenti e percorsi. Quando ho potuto e saputo interpretare le richieste ho risposto molto volentieri.
L'altro ieri però mi è accaduto qualcosa che mi ha fatto venire un dubbio. Mi sono chiesto: per caso le guide turistiche hanno un aspetto particolare e io somiglio loro? Perché se è così devo prendere accordi con il Comune affinché io venga dotato di cappello con visiera simile a quello dei vigili urbani nonché di targhetta plastificata con su scritto a caratteri cubitali TU DOMANDA E IO RISPONDO almeno in cinque lingue: francese, inglese, spagnolo, tedesco e italiano. Quanto alla retribuzione per tale mia opera, che ritengo meritoria e che penso dia lustro alla città credo che l'accordo sia facilmente raggiungibile trattandosi di lavoro a tempo determinato co.co.co. oppure, a scelta, co.co.tas: a tassametro, un tot l'ora. Tutto questo naturalmente dopo aver frequentato un regolare e accelerato corso di mimica facciale e gestuale non conoscendo io le sopraelencate cinque lingue, forse un po' l'ultima. La soluzione mi è venuta in mente a seguito di quanto accadutomi ieri.
A metà strada tra dove abito e la centrale Stazione Termini vengo molto gentilmente fermato da una giovane ragazza asiatica la quale reca con sé una enorme valigia a rotelle, uno zainetto e un borsone a tracolla. Evidentemente stanchissima prende fiato, mi fa un inchino cerimonioso e a me sorge spontaneo farle la domanda "Japan?". Lei, come se le avessi detto di aver vinto il primo premio di non so quale lotteria, con uno splendido sorriso mi conferma "yes!". Poi in un inglese giapponesizzato o in giapponese inglesizzato mi chiede qualcosa. Naturalmente stento a capire cosa vuol sapere ma in quello che dice riesco ad acciuffare una parola molto storpiata "Termini" e allora tiro un sospiro di sollievo, vedendo scomparire dalla faccia la mia espressione interrogativa anche lei lo fa ed ha inizio l'ardua opera di farle capire come arrivarci. Facendole notare un certo punto del percorso che deve fare, tra l'altro in salita, le indico un semaforo e non sapendo tradurre questa parola alzo la mano destra, apro e chiudo le dita a becco d'anatra per cercare di mostrarle l'alternanza dei colori e le dico, in inglese, i loro nomi: red=rosso, yellow =giallo, green=verde. Lei, che sembra aver capito, mi fa un bel sorriso. E fino a qui ci siamo. Poi tentando di farmi capire con i gesti le dico che arrivata al semaforo deve girare a destra. "Right"?, mi fa lei e io, che questa parola la conosco, annuisco sorridendo due o tre volte. Quando però mi chiede qualche altra cosa guardandosi intorno io non riesco a capire e le mormoro a testa bassa "I am sorry" che, se non ricordo male vuole dire "sono dispiaciuto o mi dispiace". Le mie reminiscenze per quanto riguarda la lingua inglese si fermano qui e risalgono al giugno del 1944 quando Roma, durante la seconda guerra mondiale, venne "liberata" dagli angloamericani. Terminato il dialogo, se così si può chiamare, ci salutiamo: lei chinando la testa, io facendo altrettanto per la qual cosa abbiamo corso il rischio di darci una reciproca testata. La vedo arrancare su per l'erta mentre io prendo la strada certamente più agevole per rientrare a casa. Percorsi un centinaio di metri mi blocco quasi fulminato da due pensieri:
1° pensiero doloroso: credo che Madama Butterfly voleva che le dicessi se nelle vicinanze c'erano bus o tram per arrivare a Termini e io, non avendo saputo tradurre, non ho risposto mentre invece so benissimo che a due passi c'è la fermata di almeno tre linee tramviarie che portano per l'appunto proprio alla Stazione centrale;
2° pensiero doloroso: in quel tratto di strada da percorrere per arrivare a destinazione mi sono ricordato, dopo, che ci sono due semafori. Risultato? Mentre girando a destra del primo, così come le ho detto, non si va da nessuna parte, per arrivare alla Stazione Termini occorre invece girare a destra dopo il secondo.
Ripensandoci mi sono chiesto più volte se Butterflfly sia poi riuscita a fare rientro nel Paese del Sol Levante.

sabato 7 luglio 2012

INDOVINA CHI VIENE A PRANZO

C'era una volta e c'è ancora, una ragazza che posso dire di avere conosciuto da piccola in quanto amico del suo caro papà.
Per poter rinverdire i tempi che furono e tutti i ricordi di quello che lui, il suo papà ed io abbiamo avuto la fortuna e la gioia di combinare insieme, l'altro giorno ho deciso di telefonare alla blogger Luz ("Come il pane a colazione") dato che è lei la ragazza che conobbi da piccola ed è lei che mi ha installato e insegnato ad usare questo blog il 15 dicembre 2008.
Ho tuttora il foglio con le istruzioni scritto di suo pugno.
Le ho chiesto se l'indomani potevo passare a casa sua per ricordare insieme alcuni di quei ricordi e lei, Luz, molto gentilmente ha detto che le avrebbe fatto molto piacere.
Ha aggiunto che il giorno dopo sarebbe venuto a prelevarmi a casa, con la sua auto, Gap che è blogger anche lui ("Vengo da lontano e so dove andare") ed è il di lei marito.
Non solo, ma Luz mi ha detto di rimanere a pranzo da loro.
Ho fatto un po' di resistenza ma non c'è stato nulla da fare anche se le ho elencato tutte le mie fisime in merito ai cibi da me non graditi.
Detto fatto, l'indomani, puntuale come un orologio svizzero–ma sarà vera 'sta storia dell'orologio svizzero?- eccoti il Gap che mi preleva e mi porta a destinazione.
Appena arrivati scambiamo qualche abbraccio e qualche chiacchiera, poi chiedo a Luz se le posso dare una mano ma lei, con fare perentorio, mi ordina di stare seduto a guardare il panorama.
Poichè io sono "uso obbedir tacendo" così faccio.
Alle 13.30 sediamo intorno al tavolo, un piccolo brindisi con del prosecco e poi all'attacco.
Questo il menù:
= Antipasto: panzanella rivisitata
= Primo: cavatelli con gratin goloso
= Secondo: arrosto freddo di maiale con "maionese" di pesca
= Contorno: sformatini di melanzane
= Dolce: panna cotta pralinata alle mele tatin.
Annaffiato il tutto con vino bianco e rosso e tutto cucinato a casa da Luz con l'ausilio delle sue amorevoli mani.
Beato Gap.
Credo che tra una quindicina di giorni mi farò risentire telefonicamente per sapere se potrà essere possibile un eventuale bis, così tanto per convincere Luz che ho apprezzato.

mercoledì 4 luglio 2012

FRED E IL SUO AMICO UMANO AL GUINZAGLIO

Sono appena le otto di mattina ma quando esco di casa per il mio quotidiano peregrinare nei dintorni un'ondata di calore m'investe: mi trovo in una fornace!
Mi faccio coraggio e decido che al massimo tra mezz'ora faccio ritorno alla mia dimora, non che sia molto più fresca ma col ventilatore sotto il naso forse andrà meglio.
Appena girato l'angolo mi fermo per rinfrescarmi facendomi abbracciare da un fresco venticello e mi capita di assistere ad una scena a suo modo un po' particolare.
Si ferma un'auto vicino al marciapiede, parcheggia, il guidatore prima di scendere apre uno dei sportelli posteriori dal quale, rapido come un fulmine, balza fuori un cagnolino alto credo poco meno di una quarantina di centimetri, pelo raso bianco e marrone, almeno due specie incrociate il quale, abbaiando a squarciagola, fa tre o quattro giri intorno a me ballando una specie di tip-tap.
Nel frattempo è sceso dall'auto il guidatore più che anzianotto il quale mi rassicura dicendomi che non morde, che Fred è buono come un agnello ma intanto si agita e abbaia a più non posso poi, quando si avviano verso il vicino Parco di Piazza Vittorio, Fred si zittisce e, anche se zampetta molto velocemente, ogni tanto si volta credo per accertarsi che il suo amico lo segua.
Il "guidatore" m'informa che il suo cagnolino lo ha chiamato Fred per quel suo modo curioso di zampettare che gli ricorda il famoso Fred Astaire...per cui...
Giunto al semaforo Fred si ferma, guarda il suo amico ed evidentemente fa capire al "guidatore" quello che chiede poiché questi prende il guinzaglio e glielo assicura al collare.
Quando appare l'avviso luminoso verde con la scritta AVANTI, Fred traversa tirando il suo amico che ha in mano il guinzaglio ma sono certo, da quello che vedo, che è Fred a portare a spasso il suo amico umano.
Giunti al cancello del parco Fred toglie il guinzaglio dal...No, sbaglio. Volevo dire l'amico umano toglie il guinzaglio dal collare di Fred il quale si volta un attimo, lo fissa e poi corre come un folle verso altri tre o quattro suoi simili i quali si stanno contendendo, credo, la finale dei 400 metri senza ostacoli.
Ogni tanto Fred si ferma, cerca con lo sguardo il suo amico umano e, appena lo vede, riprende la sua gara.
Io allora mi chiedo: ma chi guida chi?