giovedì 13 novembre 2014

SONO POCHE RIGHE, IL TITOLO NON SERVE

Per quello che a volte mi succede mi sono fatto una domanda e mi sono dato questa risposta.
Parlo di quando una semplice piccola idea (pomposamente la chiamo ispirazione) si insinua nella mia mente. Prima inizia lentamente e poi vi si stabilisce definitivamente e non se ne va, quasi una persecuzione. Con i loro tempi le tesserine per comporre il mosaico di detta idea fanno breccia nella mia testa. Quello che mi sorprende è che arriva prima la tesserina del titolo del futuro scritto. Come se mi indicasse la via da seguire ma, trattandosi soltanto del titolo, man mano che altre tesserine si fanno strada capita che quel titolo non va bene e allora ne compongo uno che ritengo sia migliore, sempre che io ci azzecchi. In realtà dovrei prendere nota sulla carta di quelle tesserine come in una sorta di diario, ma non l'ho mai fatto e non lo faccio. Le deposito lì, nella mia mente, le lascio crescere, con la speranza che non cambino strada e spariscano. I luoghi e i tempi dove maggiormente si fanno vive sono nella mia stanza, a letto, quando mi accingo a riposare o a dormire e, strano a dirsi, nel bagno. Una volta riunitesi, loro, le tesserine, si radunano dove man mano le avevo depositate e, finalmente libere, scorrono abbastanza velocemente dalla mente alle dita delle mie mani che cliccano sulla tastiera del pc. Da quel momento non riesco più a fermarle. Neppure se, come mi è capitato recentemente, è l'ora di pranzo e mi dicono che è pronto a tavola. Dopo un paio d'ore metto il punto allo scritto e soltanto allora vado a mangiare. Tanto poi lo andrò a rileggere per la correzione di qualche refuso o per metterlo nel dimenticatoio.
QUANTO SOPRA DETTO SOLTANTO SE MI BALLA IN MENTE QUALCHE PICCOLA IDEA DI FANTASIA. PER FATTI REALI E RICORDI L'ITER È DIVERSO, DI MOLTO.


lunedì 10 novembre 2014

IL NOME

Nonno Tito viene dall’ospedale dove la sua unica figlia, soltanto due ore fa, ha dato alla luce una bambina.
  
Non è nulla di sensazionale considerato che di bambini ne nascono tutti i giorni anzi tutte le ore
, ma lo è invece per lui ed è una notizia che vuole far sapere subito ad amici e parenti e quindi si precipita a casa.
Non è stato il solo ad attendere questa nascita, però lui, camminando su e giù per il corridoio, si è sentito molto agitato, anche se non c’era di che preoccuparsi…ed anche eccitato…sarà perché è la prima volta che diventa…
nonno!.
E poi anche perché sua figlia, appena uscita dalla sala parto, gli fa “conoscere” la dolce creatura
e gli chiede una cosa…che deve pure sbrigarsi a fare. Lei, appunto sua figlia e lui, suo marito e quindi la mamma ed il papà, hanno deciso di comune accordo che è lui, suo nonno, a dover scegliere il nome da dare alla loro bambina.
Una bella responsabilità perché non è affatto una cosa semplice.
Quindi, appena giunto a casa, dopo aver fatto numerose telefonate per far sapere la lieta novella a tutti, si mette a pensare quale nome dare alla sua…nipotina…Già, adesso ha una nipotina! 

Riflette a lungo ma tutti i nomi che gli vengono in mente, per un motivo o per altro, non sono di suo gradimento e pensa che non lo sarebbero neppure per i novelli genitori.
Prende un calendario e lo scorre dal mese di gennaio a quello di dicembre:di nomi ve ne sono una infinità però… non lo soddisfano, con tutto il rispetto per chi si chiama Albina,Bibiana,Cunegonda, Ermenegilda o Genoveffa.
Si dice: “adesso elenco tanti nomi per ordine alfabetico, qualcuno lo troverò certamente”. Inizia con Alessandra…Barbara…Cristina…Donatella…Eleonora…Federica…niente da fare…Tutti bei
nomi per carità ma…non sa il perché…non gli sembrano appropriati.
Eppure soltanto due ore fa era così contento che quasi scoppiava per tanta felicità e tanta…un
momento!!!…eccolo trovato!…basta ricordare quello che ha provato…un’immensa GIOIA!…Ha
deciso!…questo è il nome che darà alla sua nipotina.
Se quando sarà grande vorrà sapere come mai porta quel nome vorrebbe essere lui a spiegarle perché.

giovedì 6 novembre 2014

PIOVEVA FORTE QUEL GIOVEDI' DI MARZO

Sandro non aveva con sé un ombrello ma per fortuna la fermata della metro che doveva portarlo al capolinea della metro A di Roma si trovava proprio sotto l'ufficio. Giunto a destinazione, dove aveva parcheggiata la macchina per rientrare a casa a Rocca Priora, la pioggia non aveva smesso anzi era diventata quasi una tempesta con tanto di grandine. Vicino l'uscita della metro Sandro, che era venuto a trovarsi tra gli ultimi passeggeri, notò una giovane donna che tentava di aprire uno di quegli ombrelli che si allungano premendo un tasto, che saranno anche comodi a portarli con sé ma capita molto spesso che si rompano. Niente da fare malgrado i numerosi tentativi. Le si avvicinò, chiese il permesso e ci provò anche lui ma fallì, si scusò, le disse che aveva la macchina nel vicino parcheggio e aggiunse che le avrebbe volentieri dato un passaggio. Lei lo ringraziò e l'informò che non abitava vicino ma a Monte Porzio Catone, un altro dei Castelli Romani. Sandro, sorridendo, le precisò che anche lui doveva andare da quelle parti cioè appena quattro o cinque chilometri dopo quel paese, quindi non gli costava nulla darle un passaggio. La vide titubare per qualche istante poi con un lieve sorriso gli tese la mano e si presentò. Si chiamava Diana. Appena entrati in macchina lui mise in moto e iniziarono a scambiarsi quattro chiacchiere. Senza che glielo chiedesse, Diana gli disse la sua età, trentadue anni e lui le precisò la sua, trentasei. Aggiunse di aver accettato l'invito a salire in macchina ma volle precisare che era stata indotta a farlo soltanto per le cattive condizioni del tempo e perché la fermata del bus che doveva prendere era troppo lontana. Il traffico intenso consentì loro di parlare molto ma Sandro non perdeva l'occasione di osservarla minuziosamente anche se con discrezione. Non si poteva proprio definire una gran bella donna ma aveva lineamenti regolari, capelli ed occhi castani, pochissimo truccata. Inoltre aveva un bellissimo sorriso con tanto di fossette sulle guance. Quando arrivarono dove viveva Diana, scesero e, nel salutarsi, decisero di comune accordo di rivedersi il giorno dopo, alla stessa ora, nello stesso luogo. Iniziò per entrambi un periodo d'amicizia piuttosto sereno e tranquillo ma non si andava oltre anche se Sandro aveva fatto più volte dei tentativi per un approccio più concreto. Solo che Diana non era d'accordo. Ad eccezione della domenica, si incontravano tutti i giorni e man mano che il tempo passava aumentava la reciproca conoscenza. Entrambi occupati, Sandro contabile presso un'azienda, Diana quale infermiera professionale presso un ospedale, erano altresì single e vivevano da soli in minuscole case di loro proprietà. Gli altri loro parenti vivevano a Roma ai quali entrambi dedicavano le giornate festive. Ogni tanto cenavano a casa ora dell'uno ora dell'altro a seconda delle rispettive disponibilità. Praticamente si trattavano molto affettuosamente da amici nulla di più. In alcuni casi sia Diana sia Sandro mostravano segnali inequivocabili di voler modificare il loro rapporto e tramutarlo in qualcosa che entrambi desideravano ma quel passo in avanti tardava ad arrivare. Trascorsero quasi due mesi da quel primo incontro al capolinea della metro A ed un giorno, era un sabato, fermi in macchina dinanzi casa di Diana lei raccontò a Sandro che a 22 anni era stata fidanzata con un suo coetaneo collega di lavoro con il quale ebbe una relazione durata circa quattro anni ma, un giorno, per una troppo accentuata diversità di caratteri decisero entrambi di smettere e di lasciarsi. Da quella volta Diana non volle più avere rapporti di alcun genere con altri uomini.
Col trascorrere del tempo, con Sandro le cose stavano andando diversamente. Infatti il loro rapporto cambiò notevolmente. Diana si trasferì a casa di Sandro e la loro convivenza iniziò a dare i suoi frutti. Uno dopo l'altro nacquero tre figli maschi e quando il primo stava per compiere sette anni decisero di sposarsi in Comune esattamente il giorno del suo compleanno. Fu una gran bella festa alla quale parteciparono amici, conoscenti e parenti comuni. Quando l'Assessore preposto a celebrare le nozze vide i loro tre figli schierati accanto ai genitori, chiese chi erano quei tre "signorini" Sandro rispose che erano i loro veri testimoni rispettivamente di 5, 6 e 7 anni. La sera, rientrati casa, stanchi ma felici, si misero a letto guardandosi negli occhi e, sorridendo, Sandro eloquentemente chiese a Diana =che ne dici, siamo ancora capaci di mettere al mondo un altro bambino?=. Lei, con un sorriso malizioso, parafrasando il titolo di un vecchio film,rispose =sì, ma SPERIAMO CHE SIA FEMMINA=.




lunedì 3 novembre 2014

SOGNO DI UN GIORNO DI MEZZO AUTUNNO

Per dare una "sistematina" ad uno dei miei "poblemini" fisici devo osservare una dieta molto particolare che definire crudele non rende appieno l'idea. La lista contiene dodici "consigliucci". Inizia dal pane e prosegue con le minestre, la carne, i salumi, il pesce, i formaggi e derivati, le uova, la verdura, la frutta, le bevande, i dolci e gli aromi. In ciascuno di essi ci sono le seguenti "avvertenze" CONSIGLIATO - SCONSIGLIATO. In due dei dodici METODO DI COTTURA e in altri due CONDIMENTO CONSIGLIATO. Quando è il momento di stabilire il menu del giorno nella mia mente non ci sono gioie ma dolori.
L'altro giorno però ho preso una decisione.Verso le dodici, di nascosto, sono sgaiattolato fuori di casa e sono andato al ristorante vicino gestito da un mio vecchio amico al quale ho chiesto di farmi leggere la lista del giorno. Poi ho ordinato e poscia divorato quanto segue
- spaghetti con le cozze
- sette tra gamberoni e mazzancolle al forno
- un piattino con due ostriche e sette vongole veraci
- due bicchieri di vino bianco
- un caffé.
Il tutto rigorosamente "SCONSIGLIATO" come specificato nella sopracitata lista della dieta.
Fino ad oggi ancora la racconto, poi si vedrà.



lunedì 27 ottobre 2014

TE LO RACCONTO A VOCE

Vieni vieni bella di nonno, sono contento che sei venuta perché, vedi, questo fatto che mi è accaduto se tu l'avessi letto come solitamente fai ogni volta che ti capita tra le mani qualcosa che scribacchio, penso che avrebbe perso molto rispetto a quanto ti sto raccontando. Inoltre desidero che tu sappia che non è una favola, perché il tempo delle favole per te è già passato da un pezzo. Adesso siediti qui di fronte a me, così inizio. Sarò un pochino pignolo nel narrarti i dettagli ma lo faccio per cercare di spiegare meglio la singolare situazione in cui mi sono trovato.
"""Tre giorni fa, dopo una nottata trascorsa così così, mi sveglio, mi alzo e sbrigo tutte le attività mattutine, colazione compresa. Alle 6.30 precise mi siedo alla mia scrivania dinanzi al pcPasquale,
accendo la lampada da tavolo perché l'alba non è ancora spuntata del tutto e,improvvisamente, una specie di cinguettio talmente sonoro, arrabbiato, insistente quasi mi stordisce e mi rimbomba nelle orecchie - diciamo una, perché da quella sinistra non ci sento più da anni. Che succede mi chiedo?
Apro gli sportelli della finestra della mia stanza, attraverso il vetro cerco di dare un'occhiata in giro e chi vedo seminascosto nell'angolo a destra del davanzale che affaccia sulla via dove abito? Un volatile pennuto, un passero (solitario proprio come recita la poesia di G. Leopardi) che mi guarda e seguita ancora a cinguettare magari più lentamente, per nulla intimorito dalla mia quasi presenza. Come tutto il mondo sa (forse esagero), io e gli animali bipedi e pennuti non siamo mai andati d'accordo. Sarà soltanto colpa mia e mi dispiace ma così stanno le cose. Mi rivolgo al pennuto il quale continua a fare cing cing cing (pio pio pio se non sbaglio lo fanno soltanto i pulcini delle galline) e gli dico == amico mio stammi a sentire e, quando ti parlo guardami, non girare la tua testolina di qua e di là. Io desidero sapere sempre con chi ho a che fare, ad esempio qual è il tuo nome tanto per cominciare. Io mi chiamo Aldo e tu?...Già, con il solo cing cing cing non si capisce. Facciamo così, te lo do io un nome... Potrei chiamarti Francesco come il Fraticello di Assisi - lui parlava con gli uccelli credo, ma il paragone non regge. Al Vaticano attualmente risiede un Papa che si chiama Francesco, e poi si chiamava così il mio primo nipote che mia nuora dette alla luce in un ospedale dopo il parto cesareo. Non ho fatto in tempo a vederlo perché, appena nato, lo portarono all'ospedale pediatrico Bambin Gesù qui a Roma, al Gianicolo per metterlo nell'incubatrice, dove rimase poco più di due giorni e poi ci lasciò. Mio figlio stette sempre con lui. Al suo funerale, per il gran dolore che provavo, non ci andai. Mia nuora sì, credo fuggendo dall'ospedale dove era ricoverata. Provo ancora dolore, dopo 27 anni...Andiamo avanti. Dove eravamo rimasti? Ah sì,,, tu Franceschiello mio, più ti guardo e più mi viene il sospetto che sei scappato da una gabbia. Poiché io una gabbia non ce l'ho e non ho voglia di tenerti tra le mani anche se sei un passerotto non più alto di 15 cm, come la mettiamo? Non posso mica andare in giro a chiedere a chicchessia se gli è scappato un passerotto o una passerotta, mi prenderebbero a calci. A proposito... ma tu sei maschio o femmina? Vabbe', lascia perdere, non ha importanza. Tiriamo le somme e smettila col tuo cing cing. Entrare qui in casa da me non se ne parla, ma rimanere fuori a te non conviene e ti spiego perché. Vedi questo grande edificio qui di fronte, a circa 15 metri? Quello è un istituto tecnico professionale. Da questa parte è alto circa venti metri ed è coperto da quel tetto a tegole sulla cui cima sono sempre appollaiati almeno un paio di gabbiani, i quali per cibarsi dovrebbero stare nei pressi di fiumi, laghi o mare ma siccome là trovano soltanto plastica e immondizia di vario tipo sono emigrati qui in citta. Da quando sono arrivati, sono spariti almeno una dozzina di piccioni quindi, appena quelli ti vedono ti adoperano subito come aperitivo. Io posso soltanto prepararti una specie di nido: prendo una scatola di cartone, nell'angolo a sinistra metto un pezzo di stoffa che tu adopererai come letto e a destra l'angolo pranzo con un po' di briciole di pane - chicchi di grano non ne ho - e una tazzina con l'acqua. Però ci vai da solo dentro il nido perché io non ti prendo in braccio. Fai un salto, capito Franceschie'? Per precauzione accosto anche le persiane, così i due gabbiani non si accorgono di te. Basta, ho parlato troppo. Ci vediamo dopo== L'indomani mattina, alla stessa ora del giorno precedente, Franceschiello ha fatto cing cing cing appena tre o quattro volte e a bassa voce, quasi sussurrando. L'ho salutato tenendomi a debita distanza, l'ho rifocillato e mi sono messo a giocherellare col pcPasquale."""
OGGI, BELLA DI NONNO, FRANCESCHIELLO NON C'È E NON HA CINGUETTATO.



martedì 14 ottobre 2014

GIORNI COSI'...

...possono capitare quando problemini fisici di qualche tipo ti impediscono di fare quello che vorresti fare.
   In attesa di giorni migliori decidi quindi di dedicare il tuo tempo libero alla meditazione.
Nella speranza che arrivino presto io attendo e medito.

lunedì 6 ottobre 2014

INVITATO AD UNA FESTA DI COMPLEANNO

Mi è tornato in mente un ricordo di circa 20 anni fa.
Insieme ad altri comuni amici coetanei ed anche ex compagni di scuola, in totale circa una quindicina, venimmo invitati da Libera una ancor bella single - la più corteggiata dall'intera classe - benestante, brilante, ex dirigente statale.
L'occasione era il suo compleanno - 65 anni - e il suo ingresso nella "shiera dei pensionati di lusso".
Libera era stata sempre una persona indipendente, intraprendente, appunto libera di nome e di fatto, non si era mai sposata e i suoi "periodi amorosi" duravano...quanto bastavano alle sue esigenze personali. Anche durante il prosieguo della sua vita non aveva mai cambiato il suo spirito libero, perché lo voleva così e se lo poteva permettere.
Per la verità avevamo festeggiato insieme anche altri suoi compleanni, ma questo era particolare.
Libera aveva fissato l'appuntamento alle 20.30 in un ristorante di lusso del quartiere aristocratico di Roma, Parioli, nei pressi della sua lussuosa abitazione.
Naturalmente quando ci vedemmo ci furono abbracci, saluti, scambi di effusioni a base di pacche sulle spalle mentre Libera che ci osservava compiaciuta aveva il suo daffare nell'aprire i regali che ognuno di noi aveva portato per lei.
Fortunatamente ci eravamo sentiti telefonicamente in modo da evitare di fare regali simili o quasi.
Subito dopo Libera ci fece strada per condurci in una piccola saletta riservata dove era apparecchiato un tavolo con ottimi vini e spumanti italiani, bicchieri di cristallo e un enorme piatto contenente olive e stuzzichini vari.
Parlammo a lungo ricordando numerosi episodi del nostro comune periodo giovanile, scolastico e per alcuni anche universitario.
Un bicchiere tira l'altro arrivammo a mezanotte inoltrata senza neppure rendercene conto.
Io però sentivo un languorino che man mano era cresciuto fino a diventare languorone e, osservando gli altri, non ero il solo. Libera invece farfalleggiava da uno all'altro di noi senza mostrare alcun segno di stanchezza o di altro.
Ad un certo momento si affacciò alla porta della saletta il proprietario del ristorante che fece un segno a Libera la quale rivolgendosi a noi si scusò dicendoci che doveva andare a saldare il conto.
Appena voltatasi noi ci guardammo un po' sbalorditi e ci interrogammo solo con gli occhi senza pronunciare alcuna parola.
Libera ritornò in mezzo a noi e iniziarono i saluti di commiato e il reciproco scambio di promesse di rivedersi al più presto.
Uscito dal ristorante mi precipitai di corsa alla mia macchina, partii velocemente alla ricerca disperata di una bancarella, banchetto, banco o negozio per cercare di mettere qualcosa sotto i denti ma soprattutto nello stomaco.
Una mezz'ora dopo vidi un "pizza a taglio" ancora aperto, velocemente entrai e acquistai un pezzo di pizza enorme, non ricodo il suo peso.
Con la pizza in mano alzai gli occhi al cielo e urlai "AUGURI LIBERA".

mercoledì 1 ottobre 2014

BOLOGNA

Frecciarossa, proprio questo il treno che in meno di tre ore ci ha portato me, mio figlio e mia nuora da Roma a Bologna. Alle 22 siamo andati all'albergo dove io pernotterò questa notte, mentre lui e sua moglie saranno ospiti di un loro trentennale amico e della sua famiglia.
Domani mattina, alle 10, ci dovremo trovare in una clinica al cospetto di un primario che ci è stato consigliato da un caro amico di mio figlio. Mi devo sottoporre ad una visita medica molto delicata.
Entro nell'albergo e domando all'addetto alla reception il numero della camera che ho prenotato ieri l'altro da Roma ed esibisco il mio documento di riconoscimento. Molto gentilmente mi dice il numero, mi fornisce le chiavi, mi augura la buonanotte poi, quasi sussurrando,
= le chiedo scusa signore può darmi un minuto d'ascolto?
= certamente, dica pure...
= se deve cenare avrei da proporle...
= no grazie, a causa di una visita medica che devo affrontare domattina dovrò stare digiuno...
= peccato...le avrei suggerito il nome di un ottimo ristorante che si trova poco fuori Bologna ma l'avrei fatta accompagnare in macchina da una signora di mia conoscenza sia all'andata che al ritorno...
= la ringrazio per la sua gentilezza ma come le ho appena detto non posso cenare e...
= scusi se l'interrompo ma, se mi permette il suggerimento, la compagnia della signora può essere sempre utile se lei lo ritiene opportuno...
= in che senso scusi...
= nel senso cioè che la signora può...come dire...tenerle compagnia per mezz'ora oppure un'ora oppure ancora per tutta la notte...
= mi ascolti...dalla sua strizzatina d'occhio si comprende benissimo il messaggio che mi sta inviando ma lei ritiene che alla mia veneranda età possa permettermi di...
= non c'è problema signore dato che le mansioni della signora possono limitarsi ad assisterla per le sue necessità...
= praticamente come un assistente domiciliare?
= esattamente...bravo...
= e questa, chiamiamola assistenza, penso abbia un suo costo
= sì ma è veramente poca cosa. Allora: mezz'ora 25 euro, un'ora 50 euro, tutta la notte 100 euro...
= certo che potrebbe...Sono io che decido la durata vero?
= naturalmente e...non solo... lei ha la possibilità di scegliere la persona che le farà compagnia...
= questa cosa non mi piace...non sto al mercato...mi mandi chi crede ma tenga presente la mia situazione...
= non dubiti, vedrà che rimarrà pienamente soddisfatto...
= lo spero. Io adesso salgo in camera, ci penso un po', poi la richiamo e le faccio sapere la mia decisione. Se dovessi decidere per il sì la persona che eventualmente verrebbe non la faccia salire prima di una mezz'ora...
= stia tranquillo signore.
Sono le 23 ed ho terminato da due minuti di sbrigare alcune faccende personali.
Bussano alla porta della camera, apro e
= buonasera, posso?
= prego...
= mi chiamo Deri e...
= Deri cos'è il cognome?
= no, è il vezzeggiativo di Ulderica, il mio nome
= salve, io mi chiamo Aldo.
È una giovane signora tra i 35 e i 40 anni, bruna, occhi chiari, viso ovale, labbra piene, personalino attraente, abbigliata con eleganza.
= Fa molto caldo anche stasera...
= vero...io non posso bere niente ma lì c'è un frigorifero ben fornito...
= no grazie, sto bene così
= d'accordo...ci sediamo?
= sì sì...ecco fatto.
Iniziamo a conversare raccontandoci qualcosa del nostro passato e del nostro presente. Mi accorgo che anche Deri è un'ascoltatrice attenta, mi lascia parlare a lungo senza interrompermi ed io faccio altrettanto. Senza che ce ne accorgiamo superiamo la mezzanotte di qualche minuto e allora le chiedo se può trattenersi fino al mattino precisandole che alle sette potrà consumare la prima colazione qui in camera. Io no per la faccenda del digiuno. Mi sono ricordato che poco dopo le otto verrà mio figlio per accompagnarmi in clinica. Chiedo a Deri se desidera avere adesso quanto le spetta ma lei mi risponde di non preoccuparni, se ne parlerà al mattino. Mi dice che vuole farsi una doccia e si reca in bagno. Nel frattempo mi preparo per la notte, indosso un pigiama ma, anche se è molto leggero, sento un caldo tremendo. Pazienza. Sollevo la sopracoperta dal letto abbastanza ampio e mi infilo sotto il solo lenzuolo rimanendo mezzo seduto. Poco dopo esce Deri dal bagno con un grosso asciugamano bianco avvolto intorno al corpo. Continua ad asciugarsi ancora un po' poi mi dice che, a causa del caldo, preferisce introdursi nel letto così...e si toglie l'asciugamano rimanendo nuda completamente. Poi, osservandomi, mi suggerisce di togliermi il pigiama per stare un po' più fresco. Poggiamo le nostre teste sui nostri rispettivi cuscini con il viso rivolto l'uno verso l'altro. Ci guardiamo negli occhi e riprendiamo a parlare. Nessuno di noi due sembra avere sonno. Ad un certo punto Deri mi carezza con dolcezza il volto, mi guarda ancora più intensamente di prima, poi mi chiede se può darmi un bacio - non alla francese precisa - e io annuisco. Lei poggia castamente le sue labbra piene sulle mie mentre continua a carezzarmi. Mi chiede quindi di poggiare la mia mano sul suo seno nudo, la trattiene con la sua mano e. senza toglierla, lentamente socchiude gli occhi. Io, purtroppo, fermo, freddo, immobile come ...una statua. Non posso anzi non riesco ad andare oltre.
Alle 8,10 ecco che arriva mio figlio il quale mi chiede subito
= hai dormito bene papà?
= come il neonato tra le braccia della mamma. Peccato che ieri, sul Frecciarossa, nel tirare fuori dalla tasca dei pantaloni il fazzoletto mi deve essere caduta in terra l'unica banconota da 100 euro che avevo e quindi...
= papà io te lo ripeto da anni ma tu non mi dai retta, i soldi non li devi tenere sciolti in tasca ma vanno tenuti nel portafoglio...
= sì hai ragione, adesso andiamo. Tu che dici quel primario ci chiederà di tornare una seconda volta magari tra un mese?
= speriamo di no...
Fra me e me "SPERO DI SI'".






lunedì 15 settembre 2014

TEATRO

Era l’anno 1931 e per sessant’anni fino al 1991 ne ho fatte, viste e vissute di cose nell’ambito di
quello che Peter Brook, famoso regista britannico, definiva così: “Il Teatro è la vita”.
Silvio D’Amico, critico teatrale, giornalista, docente di storia del teatro e direttore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica che porta il suo nome, affermava, convinto, che non è “teatro” il cinema. Personalmente penso che non lo sia neppure la TV con le sue fiction, i suoi sceneggiati e spettacoli, registrati o meno, con gli spettatori retribuiti che applaudono e ridono a comando. “Perché il Teatro vuole l’attore “ vivo”, e che parla e che agisce scaldandosi al fiato del pubblico, vuole lo spettacolo senza la quarta parete e che può avvenire anche in spazi aperti”.
Premesso quanto sopra nel 1931 mio padre lavorava al Teatro Galleria di Roma con le mansioni di macchinista e in quel periodo calcava il palcoscenico la Compagnia di riviste Guido Riccioli comico e Nanda Primavera soubrette (già soprano nelle operette diventata in seguito attrice di teatro, cinema e TV). In uno sketch dello spettacolo la soubrette doveva entrare in scena tenendo tra le braccia un neonato. Sembra che, così come me lo ha raccontato mio padre, il capocomico chiese agli elementi della sua compagnia e al personale del teatro se c’era qualche genitore appunto di un neonato e mio padre si offrì lui di portare un bambino di poco più di un anno: in altre parole io. Altri particolari, se anche mi sono stati raccontati non li ricordo, ma credo che proprio quell’episodio fece scattare in me la molla della mia futura passione per le tavole del palcoscenico. Sarà per un puro caso, ma la soubrette Primavera è deceduta a 97 anni: hai visto mai che il Teatro allunga la vita? Negli anni a venire questa mia passione s’intensificò sempre di più ma con scarsi risultati. Mi dilettai, part-time, a fare del “teatro” (con la lettera minuscola) a livello amatoriale; mi è capitato pure qualcosa di semi-professionale, sporadicamente e soltanto perché mi capitava di guadagnarmi la “mille” (nel senso di mille lire) prendendo parte a spettacoli d’arte varia in occasione di feste o sagre in molti paesi della provincia di Roma, di sera e all’aperto, in ospedali di vario tipo ed in altri posti. Negli anni '46, '47, '48 sempre al Teatro Galleria dove mio padre lavorava, io facevo l’aiuto macchinista di scena. Nel primo periodo si esibì la Compagnia di Riviste Renato Rascel, comico e Tina De Mola, sua moglie, soubrette. L’ultima sera della loro tournèe, poco prima dell’inizio dello spettacolo, Rascel mi disse che quando nel corso della scenetta finale gettava dietro le quinte il suo esile bastoncino da passeggio, io dovevo fare in modo di creare un bel po’ di rumore. Ci pensai un po’e decisi di preparare una grossa catasta di cantinelle di legno, spezzati di scena e altro materiale. Arrivò il momento del lancio del bastoncino e quando mi giunse ai piedi dietro le quinte feci cadere tutto quello che avevo preparato. Il boato fu enorme. Sembrava che fosse caduta una bomba, il pubblicò s’impaurì un poco ma quando vide che anche Rascel rideva sbottarono a ridere tutti e ci fu un grande applauso.Dopo qualche tempo tornai ancora a lavorare in quello stesso teatro come aiuto dell’aiuto dell’elettricista ufficiale: praticamente eravamo in tre ad occuparci di quel settore e combinazione tutti con il nome Aldo. Pur non avendo mai frequentato scuola di teatro, di recitazione o Accademia d’Arte Drammatica ed essendo quello un periodo nero per me in quanto non riuscivo a trovare un lavoro, decisi di voler realizzare il mio sogno: diventare un vero attore di teatro. Appena ne parlai con mia madre e con la mia fidanzata - oggi mia moglie - come se si fossero messe d’accordo fecero di tutto per dissuadermi e, purtroppo, ci riuscirono.Svanita così ogni mia speranza continuai a fare teatro, saltuariamente, sempre a livello semi-professionale e a partecipare a spettacoli d’arte varia dovunque capitava l’occasione, alcune volte insieme ad attori professionisti come i fratelli De Vico e alla cantante di Radio Campidoglio Maria Boni.
Avrei potuto parlare più dettagliatamente di molti altri “episodi teatrali” ma suppongo che sia stato meglio non prolungarmi troppo.
Adesso sul mio “teatro” è calato il sipario dove ho scritto la parola FINE.

lunedì 8 settembre 2014

CHE BELLO STA CO' TE


La canzone con Nino Manfredi di cui al video quì sopra e che ho riascoltato in questi giorni mi ha fatto tornare in mente una breve storia di tanto tempo fa.
Dario un giovane ventiduenne era un appassionato di canzoni romane e, benché di dischi di questo genere ne possedesse una bella collezione, non appena veniva a conoscenza che era in programma da qualche parte di Roma, città in cui era nato e abitava, un concerto di tali canzoni, si può dire che era tra i primi a prenotare un biglietto. Infatti appena apprese la notizia che un giorno, più precisamente una domenica pomeriggio, in un piccolo teatro al centro della città, si sarebbe esibito un noto cantante romano acquistò subito il biglietto per un posto nella poltrona di platea in quinta fila. Quella domenica si presentò al teatro mezz'ora prima dell'inizio e si sedette sulla poltrona segnata col numero stampato nel biglietto d'ingresso. Accanto, sulla sua destra, c'erano due poltrone ancora vuote mentre il resto era già tutto occupato. Qualche minuto prima dell'inizio si presentarono due donne tutte trafelate le quali sedettero nelle due poltrone ancora vuote. Una era giovane, sicuramente della sua stessa età mentre l'altra, che si accomodò proprio accanto al corridoio di transito, poteva avere all'incirca una cinquantina di anni. La giovane poggiandosi sul bracciolo della propria poltrona lo sfiorava appena ma Dario spostò ugualmente il suo di braccio per una sorta di malcelata timidezza. Venne ricambiato dalla giovane con un sorriso appena accennato. Ebbe inizio lo spettacolo ed il cantante non sembrava stancarsi di intonare una serie di belle canzoni romane tra le quali "Che bello sta' co' te", molto applaudita dal pubblico. Dario, guardando di sottecchi la sua giovane vicina si accorse che si stava passando un fazzoletto sugli occhi. Quasi nello stesso istante terminò la prima parte dello spettacolo, si accesero le luci in sala e la signora cinquantenne si alzò dalla poltrona e disse alla giovane che andava a prendere un caffè e se voleva poteva andare con lei ma la giovane preferì non farlo. Dario, incuriosito da quello che aveva visto prima, prese coraggio e, dicendo il proprio nome, si presentò alla giovane e le chiese se si era commossa nell'ascoltare l'ultima canzone. Lei gli disse il suo di nome, Flaminia, e che la canzone era legata a un avvenimento di qualche anno prima. I due giovani continuarono a parlarsi per tutto l'intervallo e così Dario venne a conoscenza che la signora più anziana era la madre di lei, che abitavano in un paesino poco distante da Rona e che Flaminia frequentava un'università romana. Continuarono a scambiarsi reciproche confidenze su loro stessi e poi si scambiarono anche i rispettivi numeri telefonici. Era nata tra loro una simpatia che magari non si aspettavano così a prima vista. Si rividero ancora, molto spesso, tanto che l'amicizia si trasformò abbastanza rapidamente in amore che durò due anni e poco più e che si dovette interrompere perché il padre di Flaminia si era stabilito all'estero per lavoro e quindi lei e la madre dovevano raggiungerlo.
La sera prima della partenza i due giovani, Dario e Flaminia, abbracciandosi forte cantarono tra le lacrime "Che bello sta' co' te, me sembra de vola', che bello quanno attero e tu sei qua..."